DELLA PORTA, Tommaso, il Giovane

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA PORTA, Tommaso, il Giovane

Carrol Brentano

Originario di Porlezza (Como), come gli altri famosi scultori Della Porta, figlio di Alessio e di una Battistina, nacque probabilmente intorno al 1550, dato che il fratello maggiore Giovanni Battista era nato nel 1542 e che il primo documento rimastoci circa la sua attività di scultore risale al 1571. Ebbe anche altri due fratelli, Giovanni Paolo, indicato come Cortigiano, Giovanni Pietro e due sorelle. Non risulta che il D. abbia avuto moglie o figli, e nel suo testamento del 1583 proclamava suo "nipote in arte" il figlio di una sua sorella e di Iacopo Braschi, provvedendo al suo mantenimento professionale per tre anni (Bertolotti, 1881, I, p.198).Come molti altri artisti alla fine del XVI secolo a Roma, il D. era mercante e restauratore di opere antiche otre che scultore. In entrambi i campi seguì il fratello Giovanni Battista, che egli accompagno a Loreto a lavorare al rivestimento della S. Casa. Qui lo stesso D. risulta aver lavorato alle Sibille, come attestano due pagamenti, il primo del 12 apr. 1571,di 40 fiorini, per "delle sibille che fa" e l'altro del 2 ottobre "per una sibilla fatta dal detto M. Tommaso a fiorini 400 l'una", ma tutti e due i pagamenti, come i numerosi altri documenti riguardanti la S. Casa, erano intestati a Giovanni Battista (Weil Garris, 1977, II, docc. 1170 a, 1184).

Il D. era a Roma nel 1574, dove risulta in un elenco di membri della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon (Orbaan, 1915), ma ritornò probabilmente a Loreto alla fine del 1576, quando suo fratello stava organizzando la spedizione di blocchi di marmo di Carrara a Loreto per l'ultimo gruppo dei Profeti, iniziati dai fratelli Lombardi tra il quinto e il sesto decennio del '500, che dovevano essere inseriti nelle dieci nicchie della parte inferiore del rivestimento. In luglio e in agosto 1578 il D. ricevette pagamenti "a buon conto" per un profeta "che fa", e il 10 dic. 1578 ricevette un totale di 690 fiorini "per resto del Profeta fatto e messo da lui nella facciata di S. Cappella" (Weil Garris, 1977, 11, doc. n. 1204; il profeta tradizionalmente attribuito al D. è Balaam). Di nuovo a Roma nel settembre 1578, il D. vendeva al cardinale Pietro Donato Cesi diciassette frammenti di Sculture antiche per un totale di 1.500 scudi. Questi pezzi, secondo altri documenti del luglio 1580 e dell'aprile 1583, erano ancora in casa del D., ma finalmente nel marzo 1584 risultano già consegnati al card. Cesi (Bertolotti, 1881, I, pp. 191-196; Lanciani, 1912, IV, pp. 115 s.). Contemporaneamente nel dicembre 1579, insieme con il fratello Giovanni Paolo, il D. vendeva un altro gruppo di sei sculture antiche agli eredi del nobile veneziano Michele Surian per un prezzo ancora da stabilire. Nella vendita doveva essere incluso anche un ritratto non finito del Surian, presumibilmente opera del D. stesso (Bertolotti, 1881, I, pp. 190 s.). In questo periodo il D. era occupato in lavori per il papa, scolpendo due "puttini" per l'altare della cappella Gregoriana in S. Pietro per i quali veniva pagato nel giugno e nell'ottobre 1580 (ibid., p. 192; non risultano rapporti di parentela con Giacomo Della Porta, architetto di S. Pietro in quel periodo e documentato come fornitore di marmo per la stessa cappella nel 1579, né con un Lorenzo Della Porta, pagato per tredici teste di putti nella stessa cappella nel maggio 1580). Nell l'aprile 1583, essendo il suo corpo "aliquantulum infirmus", il D. fece testamento (Bertolotti, 1881, I, pp. 192-200).

Dal documento si deduce che, sebbene ancor giovane, il D. era benestante, poiché poteva lasciare a sua madre una somma di 200 scudi e somme minori a molti parenti e ancora 200 scudi oltre i suoi mobili al pittore Durante Alberti. Suoi eredi universali dovevano essere in quest'ordine: le confraternite di S. Giuseppe al Pantheon e di S. Marta a Porlezza, la società di S. Ambrogio dei Lombardi a Roma. A suo fratello Giovanni Paolo lasciava le sue sculture antiche e a Giovanni Battista "5 petia statuarum modernarum", oltre a "pezzi da restaurare". Il più significativo lascito in questo testamento è comunque quello alla chiesa di S. Ambrogio dei Lombardi, nella quale voleva essere sepolto; egli lasciava due statue moderne non finite di Sibille che dovevano essere collocate nelle nicchie a lato dell'altare. Vengono considerate opere del D. le due figure femminili ai lati dell'altare della cappella di S. Ambrogio, ora parte della chiesa di S. Carlo al Corso, così come la Deposizione in marmo, menzionata nella biografia di Baglione, che si trova tra le Sibille sopra l'altare (per una possibile datazione prima del 1610 cfr. Drago-Salerno, 1967, p. 69).

Nel 1585, insieme con Leonardo Sormani (che aveva lavorato con Giovanni Battista a molti altri progetti di Sisto V) il D. ricevette un'importante commissione pontificia: il modello per la colossale statua in bronzo di S. Pietro per la colonna di Traiano (per i pagamenti ai due artisti insieme, nell'ottobre 1585, nel febbraio e nel maggio 1586 e per altri tre pagamenti senza data, cfr. Bertolotti, 1881, I, pp. 201 s.; Id., 1884, pp. 104 s.). Per il S. Paolo della colonna di Marco Aurelio, sono invece attestati pagamenti ad un Costantino De Servi, sempre negli anni 1585-86, pertanto la critica moderna (Bush, 1976, p. 260) ha rifiutato l'attribuzione (Baglione, Titi) al Della Porta. Comunque, poiché ci sono rapporti non chiari di D. Fontana del settembre 1588 che sembrano indicare che il D. e il Sormani fossero responsabili per il S. Paolo come per il S. Pietro (Bertolotti, 1884, p. 105), e due lettere in cui Costantino De Servi si lamenta di essere costretto a prendere un compagno "quale era uno di quelli che faceva il San Pietro" (Gaye, 1840, pp. 473 ss.), è possibile che il D., da solo o con il Sormani, abbia modellato anche il S. Paolo.

Nel 1590 il D. e il fratello Giovanni Paolo erano designati eredi universali del fratello maggiore Giovanni Battista. Nel gennaio 1594 il D. e Giovanni Battista risultano presenti ad una riunione dell'Accademia del disegno (Zuccaro, 1604, p. 38). Giovanni Battista ricevette il suo ultimo incarico, per la cappella di S. Pudenziana, nel giugno 1596, ma morì nel 1597 lasciando incompiuto il lavoro, che fu terminato dal D. e da Giovanni Paolo che insieme ricevevano nel dicembre 1598 un pagamento di 180 scudi per avere completato l'opera (Bertolotti, 1881, I, p. 201). Nel 1601, tuttavia, a seguito della stima di P. P. Oliviero che valutò l'opera di Giovanni Battista a S. Pudenziana pari a 3.366 scudi, dopo una lite con i Caetani, il saldo fu dato al D. e al fratello Giovanni Paolo (Dizionario biografico d. Italiani, sub voce Della Porta, Giovanni Battista).

Secondo il Baglione alla morte di Giovanni Battista il D. si trovò erede della collezione di statue antiche e moderne del fratello, da lui valutata più di 60.000 scudi; pertanto, fece a sua volta un nuovo testamento in base al quale lasciava ingenti somme ad opere pie e per la fondazione di seminari. Ma, sempre secondo la stessa fonte, alla morte del D. il lascito fu calcolato di non oltre 6.000 scudi. La reale eredità può corrispondere alla lista di 95 sculture rinvenute nella "casa delli heredi delo Cavaliere della Porta", pubblicate da Graeven (1893). Tra la vedova di Giovanni Battista e i due fratelli nacque una lite per l'eredità risolta nel 1601 (ibid., p. 189). D'altra parte l'inventario redatto il 12 sett. 1613 "ad instantiam Accademie Pictorum et Scultorum urbis" dei beni di Giovanni Battista Braschi (nipote del D.) sempre nella casa di Giovanni Battista al Corso, si riferisce ai beni spettanti "ad quondani dominuin Thomam de Porta" (Arch. di Stato di Roma, Notai Capitolini,vol. 91 [1613], cc. 88r-89v, 962, notaio Pietro Pizzuti).

Il D. è documentato per l'ultima volta in qualità di scultore nel 1601, quando scolpiva un angelo a bassorilievo per S. Giovanni in Laterano; in quello stesso anno, insieme con Durante Alberti, era fideiussore per Teodoro e Paolo (probabilmente suo fratello Giovanni Paolo) Della Porta (Bertolotti, 1881, II, p. 110). Nell'aprile 1600 il D. era registrato fra i membri dell'Accademia dei Virtuosi al Pantheon (Orbaan, 1915, p. 34) e nel 1604 fra quelli dell'Accademia di S. Luca. Nel novembre 1603 il D. testimoniava al noto processo intentato da Giovanni Baglione a Onorio Longhi, dichiarandosi amico di entrambi (Bertolotti, 1881, II, pp. 66 s.). A quel tempo il D. viveva in via del Corso, angolo via dei Pontefici, nella casa di Giovanni Battista. Morì nel 1606 e fu sepolto in S. Ambrogio il 24 nov. (Roma, Arch. storico del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Libro dei morti, I, p. 149). Tre anni dopo, il 23 dic. 1609, fu sepolto in S. Lorenzo in Lucina il fratello Giovanni Paolo (ibid., p. 163). Si corregge così la data 1618 fornita dal Baglione che lo diceva morto perché "impatiente e di poco cervello". Lasciò 70.000 scudi per opere pie (Giovio, 1784, p. 191).

Il Baglione asserisce che il D. "operò pochi lavori, e diedesi al medesimo traffico del fratello, onde gran quantità di buone cose antiche ritrovavasi" e questo risulta vero. In una carriera di 48 anni il D. produsse poche opere originali e di quelle note e documentate nessuna è sicura: gli Angeli nella cappella Gregoriana e in Laterano non sono stati identificati, il S. Pietro della colonna Traiana è un lavoro in comune col Sormani e le sue opere fondamentali, il Profeta o le Sibille che risultano dai pagamenti della S. Casa, non sono state identificate con esattezza. Le dieci grandi Sibille, scolpite rapidamente, nei due anni tra il 1570 e il 1572, che dimostrano una pedestre ripresa dello stile di Iacopo Sansovino attraverso la mediazione dei fratelli Lombardi, devono essere il risultato della collaborazione dei due fratelli e di altri aiuti. Lo stesso probabilmente vale per le michelangiolesche figure di Profeti eseguite tra il 1576 e il 1578, i cui documenti sembrano asserire che Giovanni Battista e il D. lavorarono a figure diverse, ma, anche se la tradizionale attribuzione al D. del Balaam fosse giusta, la sua partecipazione all'ideazione originale sembra scarsa: esiste infatti un bozzetto in terracotta (Rotondi, 1941, p. 18) del Balaam che sembra essere stato già copiato nel 1541 da F. Brandani a Piobbico (Weil Garris, 1977, I, pp. 329, 433). Le due Sibille che il D. definiva incompiute nel testamento del 1583 e lasciava in eredità alla chiesa di S. Ambrogio, sono simili nello stile a quelle del rivestimento di Loreto, ma non esiste prova che siano di mano del Della Porta. Molti scultori del XVI secolo, infatti, incluso il D., avevano nelle loro collezioni anche pezzi moderni che poi lasciavano in eredità. Queste Sibille sono comunque piuttosto banali, mentre il gruppo della Deposizione è più interessante. La composizione, con la figura serpentinata del Cristo che viene calato da un angelo e (sorprendentemente) da tre donne, richiama gli stessi schemi di Guglielmo Della Porta e di certo può essere stata ideata da lui o dalla sua cerchia dopo la sua morte, nel 1577. A meno che le statue di S. Ambrogio non siano attribuibili con certezza al D., egli deve essere soprattutto ricordato nell'ambiente romano del XVI secolo come un eccentrico restauratore e mercante di successo.

Fonti e Bibl.: F. Zuccaro, Origine e progresso dell'Accademia ... (1604), a cura di D. Heikamp, Firenze 1961, pp. 38, 98; G. Baglione, Le vite de' pittori scultori e architetti,Roma 1642, pp. 152 s.; F. Titi, Descriz. delle pitture..., II,Roma 1763: pp. 375, 480; G. B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi,Modena 1784, p. 191; G. Gaye, Carteggio ined. d'artisti..., III,Firenze 1840, pp. 473 ss.; [A. Bertelotti] Guglielmo Della Porta...,in Arch. stor. lomb., II(1875), p. 322; Id., T. D., ibid., III (1876), p. 294; Id., Artisti lombardi a Roma...,Milano 1881, I-II, ad Ind.;Id., Artisti subalpini a Roma,Mantova 1884, pp. 104 s.; P. Ferri, Disegni... degli Uffizi,Roma 1890, p. 278; H. Graeven, La raccolta di antichità di G. B. Della Porta,in Mitteil. des Deutschen Archaeol. Inst., Röm. Abt., VIII(1893), pp. 236 ss.; G. Merzario, I maestri comacini,Milano 1893, I, p. 428; II, pp. 328 s.; L. v. Pastor, Storia dei papi, X,Trento 1896, pp. 450 s.; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma..., II,Roma 1903, p. 128; III, ibid. 1907, pp. 147 ss.; IV, ibid. 1912, pp. 115 s.; J. A. F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon,in Repertorium für Kunstwissenschaft,XXXVII (1915), pp. 32, 34; L. Serra, Catalogo del pal. ducale e Gall. naz. di Urbino,Roma 1930, p. 50; G. Caetani, Domus Caietana, II,Sancasciano Val di Pesa 1933, p. 325; P. Rotondi, D. nella scultura romana della Controriforma,in Boll. del R. Istit. d'archeol. e storia d. arte, VI(1933), pp. 33 ss. (attribuisce al D. opere di Tommaso il Vecchio); Id., Sculture e bozzetti lauretani,Urbino 1941, pp. 17 ss.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., X,3, Milano 1937, p. 562; C. D'Onofrio, Le fontane di Roma, Roma 1957, p. 92; G. Drago-A. Salerno, La chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso,Roma 1967, pp. 52, 69; F. Grimaldi, Loreto. Basilica S. Casa,Bologna 1975, pp. 96, 109; V. Bush, The colossal scuipture of the Cinquecento,New York 1976, p. 260; U. Middeldorf, A Renaissance jewel...,in The Burlington Magazine, CXVIII(1976), p. 158; K. Weil Garris, The S. Casa di Loreto, New York 1977, I, pp. 96 ss.; II, docc. nn. 1005, 1050, 1170a, 1184, 1201, 1203 s., 1284; S. Ortolani, S. Giovanni in Laterano,Roma s.a., p. 56; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, p. 284 (sub voce Porta, Tommaso della, der Jüng.).

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