DELITTO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

DELITTO (XII, p. 541)

Gaetano ARANGIO-RUIZ

Delitti contro la pace e l'umanità. - I termini "delitti contro la pace" e "delitti contro l'umanità" si trovano usati ufficialmente per la prima volta nello statuto del tribunale militare internazionale di Berlino, istituito dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica in base al protocollo di Londra dell'8 giugno 1945, per la punizione dei maggiori crimini di guerra (in senso lato) perpetrati da cittadini dei paesi europei dell'Asse prima e durante la seconda Guerra mondiale (v. guerra: I crimini di guerra, in questa App.). Le due categorie di "delitti" hanno poi formato oggetto del secondo e del quarto capo d'imputazione nell'atto di accusa presentato il 18 ottobre 1945 dai rappresentanti delle quattro potenze contro i criminali di guerra tedeschi processati a Norimberga davanti allo stesso tribunale e nelle sentenze da questo pronunciate a carico degli imputati il 1° ottobre dell'anno successivo. Entrambe le categorie di delitti si trovano inoltre contemplate nello statuto dell'analogo tribunale militare internazionale istituito il 19 gennaio 1946 a Tōkyō per la punizione dei criminali di guerra giapponesi. Secondo la definizione datane nel primo degli atti citati (art. 6 dello statuto del tribunale di Berlino), i delitti contro la pace consistono nella direzione, preparazione, promozione ed esecuzione di guerre di aggressione e di guerre intraprese in violazione di trattati o accordi internazionali o di assicurazioni date, nonché la partecipazione ad un piano comune o ad un complotto avente per fine il compimento di azioni del genere. I delitti contro l'umanità consistono nell'assassinio, la strage, la riduzione in schiavitù, la deportazione o altri atti inumani commessi ai danni di popolazioni civili prima o durante la guerra; o la persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi, condotta in esecuzione o in concomitanza con altri delitti compresi nella giurisdizione del tribunale (crimini di guerra in senso stretto e delitti contro la pace), anche se non previsti come reati dalla legge del paese in cui furono commessi. Entrambe le categorie vengono normalmente ricomprese generalmente sotto il termine "crimini di guerra", che designa invece più propriamente le sole violazioni delle norme relative alla condotta delle ostilità, al trattamento dei prigionieri di guerra, dei feriti e degli ammalati ed al regime dei territorî occupati, con particolare riguardo al trattamento delle popolazioni civili. La classificazione, chiara per quanto riguarda la distinzione fra delitti contro la pace e crimini di guerra in senso stretto, può dar luogo a confusione relativamente alla distinzione fra questi ultimi e i delitti contro l'umanità. Basta tener presente a tale fine che, mentre i crimini di guerra in senso stretto comprendono soltanto i fatti illeciti commessi in tempo di guerra e ai danni di stati o sudditi nemici, la figura criminosa dei delitti contro l'umanità si riferisce ad azioni del tipo di quelle sopra elencate in quanto siano compiute, in tempo di pace come in tempo di guerra, ai danni di sudditi dello stesso stato al quale appartengono gli offensori e normalmente nel territorio dello stato medesimo. Secondo l'atto di accusa e la sentenza citati, i delitti contro la pace di cui i capi nazisti processati a Norimberga sono stati accusati e riconosciuti colpevoli comprendono per esempio, fatti quali: l'instaurazione violenta del regime nazista in Germania (compiuta, tra l'altro, secondo l'accusa e la sentenza, allo scopo di compiere delitti contro la pace); l'invasione dell'Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda e Lussemburgo; l'aggressione contro la Iugoslavia, la Grecia, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti d'America; e la violazione di trattati internazionali quali le convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907 relative alla soluzione pacifica delle controversie ed all'apertura delle ostilità, il trattato di Versailles, i trattati di Locarno di mutua garanzia e di arbitrato, varie convenzioni di arbitrato e conciliazione e il Patto Kellogg. I delitti contro l'umanità comprendono, tra gli altri, fatti quali la persecuzione degli oppositori politici e degli ebrei e il maltrattamento e la strage di popolazioni civili in territorio occupato (quest'ultime comprese anche fra i crimini di guerra in senso stretto e nel relativo capo di accusa).

L'esigenza che fatti del genere dei delitti contro la pace e contro l'umanità non restino impuniti e di munire di una sanzione più efficace - come sarebbe appunto la responsabilità individuale degli uomini di governo - le norme del diritto internazionale di pace e di guerra è stata avvertita da scienziati e uomini politici ed ha trovato numerose espressioni, specie dopo la fine della prima Guerra mondiale, in scritti, discorsi, congressi e conferenze (per i precedenti storici e per la questione dei crimini di guerra tedeschi dopo la prima Guerra mondiale, v. guerra: Crimini di, in questa App.). La conferenza di Ginevra del 1937 ha persino elaborato un progetto di convenzione per la istituzione di una Corte penale internazionale. In particolare l'idea della tutela della pace internazionale attraverso il diritto penale è stata sostenuta con vigore, sin dal 1928, dal giurista e diplomatico romeno Vespasiano V. Pella, che è considerato come il massimo esponente del movimento.

Il protocollo di Londra dell'8 giugno 1945 e il processo di Norimberga costituiscono lo sbocco di una lunga serie di atti internazionali di varia natura, attraverso i quali è venuto gradualmente prendendo corpo e attuandosi, nel corso della seconda Guerra mondiale, il proposito dei governi delle Nazioni Unite di procedere, a guerra finita, alla cattura ed alla punizione mediante regolari processi, dei sudditi delle potenze dell'Asse e del Tripartito che si fossero resi colpevoli di atti rientranti nelle tre categorie di figure criminose sopra menzionate.

Facendo seguito alle proteste cecoslovacche (3 settembre 1939) e polacche (2 dicembre 1939) contro il comportamento delle forze tedesche di occupazione nei rispettivi paesi, ad un primo appello lanciato all'opinione pubblica mondiale contro le atrocità tedesche dai governi britannico, francese e polacco (2 dicembre 1939), ed alle dichiarazioni ufficiali fatte prima da Churchill e Roosevelt (25 ottobre 1941) e poi da Molotov (note del 27 novembre 1941 e 6 gennaio 1942), i rappresentanti di nove paesi europei occupati dalla Germania, sottoscrivevano a Londra, il 13 gennaio 1941, una dichiarazione - nota sotto il nome di St James Palace Declaration - con la quale si impegnavano a considerare fra i loro principali scopi di guerra la punizione dei colpevoli di crimini di guerra. Dopo una serie di avvertimenti lanciati alla Germania dalle tre maggiori potenze, e nuove proteste contro il trattamento inumano inflitto dai Tedeschi agli ebrei, e una dichiarazione interalleata nello stesso senso apparsa contemporaneamente a Londra, a Mosca e a Washington (17 dicembre 1942), i governi delle Nazioni Unite tornavano ad affermare l'intenzione di punire i colpevoli degli atti inumani lamentati e di affrettare l'adozione delle misure necessarie a tal fine. Il primo provvedimento concreto seguiva poco dopo con la costituzione a Londra, su proposta britannica, della United Nations Commission for the Investigation of War Crimes - della quale entravano a far parte tutti i paesi membri dell'alleanza antinazista ad eccezione dell'Unione Sovietica - con il compito di indagare sui crimini di guerra commessi ai danni di cittadini delle Nazioni Unite, di accertare la responsabilità, e di raccogliere testimonianze. L'atto successivo più importante era costituito dalla nota Dichiarazione di Mosca dei Tre grandi (Declaration on Atrocities) del 30 ottobre 1943, che confermava solennemente, a nome di trentadue stati alleati l'impegno di portare i responsabili di crimini di guerra sul teatro dei loro misfatti, perché fossero giudicati sul posto dalle stesse popolazioni colpite; e ciò senza pregiudizio del caso di quei criminali tedeschi i cui delitti, non essendo geograficamente localizzabili, sarebbero stati puniti in base ad accordi fra i governi alleati. Ulteriori accordi furono presi alle Conferenze di Yalta e di Potsdam. La maggior parte di questi atti, tuttavia si limitavano a considerare, specie inizialmente, i "crimini di guerra" in senso stretto commessi da sudditi nemici contro le Nazioni Unite o loro sudditi. La sola distinzione operata fra le figure criminose da essi contemplate era quella fra i delitti che per la loro localizzazione in determinati paesi o i loro effetti ai danni di determinati paesi sarebbero stati puniti in base alla legge e dagli organi degli stati offesi; e i delitti che, non essendo geograficamente localizzabili, sarebbero stati puniti in base ad accordi speciali. Distinzione il cui solo nesso con quella fra i crimini di guerra in senso stretto e i delitti contro la pace e contro l'umanità sta nel fatto che in linea di massima le figure criminose comprese nella prima categoria (delitti localizzabili) rientrano nei crimini di guerra in senso stretto o vanno ricomprese nello stesso tempo in questa categoria e in quella dei crimini contro l'umanità; mentre i delitti non localizzabili appartengono per lo più alle categorie dei delitti contro la pace e contro l'umanità. Un accenno implicito alla categoria dei crimini contro l'umanità si trova nelle dichiarazioni relative alle persecuzioni compiute dai Tedeschi contro gli ebrei (se non altro in quanto tale persecuzione ebbe il suo centro principale e le sue maggiori vittime fra gli ebrei della stessa Germania); e una più chiara allusione ad entrambe le categorie (delitti contro la pace e contro l'umanità) si trova nell'ultima parte della Dichiarazione di Mosca, ove si parla appunto dei delitti non localizzabili. Ma è solo nel citato protocollo di Londra e nello statuto del tribunale internazionale di Berlino che queste due ultime categorie vengono espressamente comprese fra le figure di delitti perseguibili e nettamente distinte fra loro e da quella dei crimini di guerra in senso stretto. È probabile perciò che soltanto quando sarà fatta luce sui negoziati che hanno condotto alla stipulazione di questo accordo sarà possibile accertare quali fattori esattamente abbiano concorso a determinare la linea di condotta finalmente seguita dalle quattro potenze per quanto concerne in particolare i delitti contro la pace e contro l'umanità, e quale sia stato al riguardo l'atteggiamento dei singoli governi.

La prima parte del citato protocollo di Londra sanciva l'impegno fra i contraenti di istituire un tribunale internazionale per il giudizio e la punizione, in conformità della Dichiarazione di Mosca, dei maggiori criminali di guerra appartenenti ai paesi europei dell'Asse (per la composizione del tribunale e lo svolgimento del processo, v. norimberga, in questa App.) e di cui all'ultima parte della Dichiarazione stessa (articoli 1-3). Si faceva salvo espressamente sia il caso di quei crinnnali da consegnare ai paesi che erano stati teatro dei loro misfatti (art. 4), sia il caso degli altri criminali che le Potenze occupanti la Germania avessero già sottoposti o voluto sottoporre in futuro al giudizio di loro tribunali nazionali o di loro corti marziali in territorio occupato (art. 6): entrambe categorie di crimini di guerra in senso stretto.

La seconda parte dell'accordo conteneva lo statuto (Charter) dell'istituendo tribunale internazionale, composto di sette titoli o capi (composizione, principî generali e giurisdizione, accusa, garanzie processuali a favore degli imputati, procedura, giudizio e spese) (art. 5). Di particolare importanza, oltre alla definizione delle tre categorie di delitti sopra menzionate (art. 6), la disposizione dell'art. 3 che escludeva ogni eccezione da parte degli imputati contro la giurisdizione del tribunale o contro l'autorità dei singoli giudici. Altre disposizioni erano intese ad aggravare la responsabilità delle persone in posizione di comando, dichiaravano responsabili i singoli individui indipendentemente dalla riferibilità dei loro atti ad uno stato, escludevano o limitavano gli effetti dell'attenuante degli "ordini superiori", prevedevano il potere del tribunale di dichiarare la "criminalità" di intere organizzazioni, ecc.

A differenza dei crimini di guerra in senso stretto, la cui figura giuridica, in quanto effettivamente esistente nel diritto statuale e nel diritto internazionale, ha assunto contorni relativamente definiti nella scienza giuridica, le due categorie dei delitii contro la pace e dei delitti contro l'umanità pongono alla scienza problemi nuovi, dei quali è difficile se non impossibile dare una spiegazione sul piano del diritto positivo. Su questo piano - escludendo non solo ogni considerazione di carattere morale o politico ma anche ogni soluzione basata sul diritto naturale o su un preteso diritto dell'umanità distinto dal diritto internazionale e dagli ordinamenti degli stati - la qualificazione degli atti in questione come antigiuridici e la giustificazione della pretesa punitiva esercitata dalle quattro potenze contro i loro autori si può tentare per diverse vie, nessuna delle quali, però, offre prospettive di una soluzione soddisfacente.

Per quanto riguarda la categoria - prima nell'ordine seguito dallo statuto del tribunale - dei delitti contro la pace, cioè i delitti imputati agl'individui che, trovandosi a capo dello stato tedesco, hanno preparato, scatenato e condotto guerre di aggressione, essi si potrebbero spiegare, sul piano del diritto internazionale, solo ammettendo la responsabilità internazionale degl'individui che agiscono in nome dello stato di cui sono organi. Essendo escluso, però, almeno dalla dottrina oggi dominante, che una responsabilità del genere sussista secondo il diritto internazionale generale, l'antigiuridicità dei delitti in questione e la giustificazione della pretesa punitiva esercitata contro i loro autori è spiegabile soltanto sulla base delle norme di diritto internazionale particolare poste in essere, con effetto retroattivo, dall'accordo tripartito di Londra del giugno 1945 e dallo statuto del tribunale internazionale ch'esso ha istituito. Soluzione che - quando anche si superasse l'ostacolo costituito dal fatto che tali norme di diritto particolare sarebbero in contrasto con il principio sopra citato della irresponsabilità internazionale degli individui-organi dello stato - importerebbe l'esistenza dell'antigiuridicità e della pretesa punitiva soltanto nei riguardi delle potenze partecipanti all'accordo del giugno 1945 e comunque relativamente ai soli fatti contemplati nell'accordo stesso. Una soluzione sul piano del diritto interno dello stato vinto o degli stati vincitori sarebbe da escludere, d'altra parte, data la materia squisitamente internazionale degli atti incriminati, delle norme appositamente convenute e applicate e dei mezzi impiegati per esercitare la pretesa punitiva. Non risulta in alcun modo che le potenze partecipanti all'accordo quadripartito abbiano immesso le necessarie norme di adattamento nel loro ordinamento o nell'ordinamento dello stato vinto; né che il tribunale abbia comunque agito in qualità di organo nell'ambito dell'ordinamento o degli ordinamenti in questione.

Per quanto riguarda i delitti contro l'umanità, bisogna distinguere, innanzi tutto, due figure diverse: da un lato le azioni che, per essere state compiute da organi militari o civili in zona di operazione o in territorio occupato contro popolazioni civili nemiche, rientrano nella figura dei crimini di guerra in senso stretto e come tali si possono spiegare sulla base del diritto internazionale di guerra e in particolare della facoltà riconosciuta ai belligeranti di procedere direttamente alla repressione delle violazioni del diritto bellico perpetrate ai loro danni o ai danni dei loro sudditi da membri delle forze armate avversarie; dall'altro lato, quelle figure criminose alle quali corrispondono atti che non possono essere assimilati ai crimini di guerra in quanto commessi dal belligerante (organi civili o militari) nel proprio territorio e comunque non ai danni dello stato avversario o dei suoi sudditi, bensì ai danni di sudditi dello stesso belligerante, come la persecuzione degli avversarî politici, degli ebrei, di minoranze, da parte della Germania nazista (delitti contro l'umanità in senso stretto). Per quanto riguarda quest'ultima categoria, a differenza del caso dei delitti contro la pace, nei quali, all'esclusione di ogni possibilità di giustificazione sul piano del diritto statuale - per la presenza degli elementi internazionalistici sopra indicati - fa riscontro una certa possibilità di costruzione sul piano del diritto internazionale, tuttavia la soluzione sul piano internazionale sarebbe ancora più problematica. L'ostacolo che, nel caso dei crimini contro la pace, derivava dal principio dell'irresponsabilità degl'individui, è qui costituito dall'esclusività del potere di ciascuno stato sui proprî sudditi e dalla conseguente impossibilità di configurare non solo la responsabilità internazionale degli individui-organi persecutori dei proprî connazionali, ma la responsabilità internazionale dello stesso stato persecutore nei confronti dei vincitori. Ostacolo che sarebbe superabile solo a patto di introdurre nell'ordinamento internazionale mutamenti rivoluzionarî che certo non si ravvisano nell'accordo di Londra del 1945 e nell'attività del tribunale da esso istituito. Ma non meno vano sarebbe il tentativo di spiegare l'antigiuridicità dei delitti contro l'umanità sulla base dell'ordinamento dello stato vinto - considerandone come portatori i vincitori (che vi avrebbero introdotto norme penali a effetto retroattivo) - o gli ordinamenti degli stessi stati vincitori: e ciò a causa dell'assoluta mancanza di indizî dai quali sia lecito desumere che le norme contenute nel protocollo di Londra e nello statuto del tribunale - e il tribunale stesso - siano entrati a far parte dell'uno o degli altri ordinamenti giuridici ed abbiano operato nel loro ambito. Un altro modo di spiegare giuridicamente il fenomeno relativamente sia ai delitti contro la pace sia ai delitti contro l'umanità sarebbe di considerare le norme di diritto sostantivo e processuale contenute nello statuto del tribunale internazionale (e il tribunale medesimo) come costituenti un ordinamento a sé, distinto sia dall'ordinamento internazionale sia dagli ordinamenti statuali. In tale ordinamento particolarissimo e a effetti materiali retroattivi troverebbero fondamento tanto la antigiuridicità quanto la pretesa punitiva. È ovvio, tuttavia, che tanto quest'ultima costruzione quanto quella che a titolo esemplificativo si è menzionata per la categoria dei delitti contro la pace, avrebbe un valore giustificativo così scarso da indurre senz'altro a spostare il giudizio sui processi dal piano giuridico a quello politico e morale.

Bibl.: v. sotto la voce guerra: I crimini di guerra.

Delitto politico (XII, p. 542).

Negli anni immediatamente antecedenti la seconda Guerra mondiale e in quelli successivi i delitti di natura politica si sono fatalmente intensificati, in relazione agli avvenimenti, in maniera impressionante e la loro repressione ha assunto in ogni paese proporzioni forse senza precedenti.

I regimi di oppressione come quello della Germania hitleriana e dei paesi ad essa assoggettati; le guerre civili che, dopo avere insanguinato paesi come la Spagna o la Grecia, hanno lasciato dietro a sé strascichi di persecuzione e di repressioni; le disposizioni precauzionalmente adottate da alcuni regimi a carattere totalitario in Europa orientale e i processi conseguentemente instaurati anche in questi paesi contro persone sospette di non fare gl'interessi del regime stesso; e infine il regime dell'occupazione militare nemica prima e gli eventi politici che si riallacciano alla liberazione dei paesi d'Europa poi, sono stati fonte continua di leggi repressive speciali in materia politica, di nuove incriminazioni, di norme liberatorie e di norme processuali, nonché di infiniti processi, i quali hanno contribuito alla chiarificazione scientifica del concetto, già del resto discusso, di "delitto politico".

Una notevole elaborazione hanno anzitutto ricevuto gli orientamenti generali sulla repressione del delitto politico. Negli ordinamenti di tipo autoritario o totalitario il delitto politico è stato sempre più recisamente considerato con un particolare sfavore, che raggiunge il suo apice nella letteratura nazionalsocialista tedesca (per la quale il delinquente politico è considerato il più spregevole dei delinquenti e sottoposto a un trattamento giuridico e materiale assai più duro di quello riservato ai delinquenti comuni), ma che - almeno limitatamente ai delitti contro lo stato - è solennemente espresso anche in legislazioni vigenti, ad es. nell'art. 133 della costituzione dell'URSS, il quale definisce il tradimento della patria, la violazione del giuramento, il passaggio al nemico, l'attentato alla potenza militare dello stato e lo spionaggio, come "il più grave dei misfatti" e commina contro di essi "tutti i rigori della legge". Negli ordinamenti, invece, d'ispirazione democratica, pur non essendosi mai troppo attenuato il rigore nella repressione delle forme più gravi di tradimento (soprattutto nei confronti della collaborazione con gli occupanti tedeschi in Francta e in altri paesi già occupati: v. collaborazionismo in questa App.), ha continuato a manifestarsi la tendenza, già affermatasi con la rivoluzione francese e sviluppatasi in tutto il corso dell'Ottocento, a riconnettere al carattere politico del delitto effetti meno sfavorevoli al reo. Nel diritto italiano questa tendenza, quasi scomparsa ad opera della legislazione fascista, ha cominciato a riaffacciarsi con il decreto di amnistia 22 giugno 1946, n. 4, il quale ha usato nei confronti di tutti i delitti politici un criterio di clemenza senza precedenti e si è affermata in seno alla commissione ministeriale per la riforma del codice penale del 1930, la quale ha proposto la soppressione del primo comma dell'art. 8 del codice stesso che rende più facile la persecuzione del delitto politico commesso all'estero, nonché, in tema di estradizione, il ritorno al cod. pen. Zanardelli che all'art. 9 non ammetteva, conformemente a molti codici stranieri l'estradizione dello straniero imputato di delitti politici.

Altro problema che è stato posto in epoca recente è quello della distinzione tra delitti politici e delitti di oppressione o di persecuzione politica. È, quest'ultima, una categoria affermatasi nel diritto internazionale attraverso l'esperienza di quei regimi dittatoriali o totalitarî, i cui autori e rappresentanti si avvalgono del potere per perseguitare sistematicamente gli avversarî politici del regime medesimo. Questi delitti trovano considerazione accanto ai delitti di persecuzione religiosa e di persecuzione razziale, con i quali concorrono a formare il grande raggruppamento dei delitti contro l'umanità (v. sopra: Delitti contro la pace e l'umanità).

La dottrina mette giustamente in rilievo il contrasto tra gli autori di codesti delitti e gli autori di delitti politici, i quali generalmente lottano contro regimi di oppressione o comunque in condizioni di inferiorità che dànno un particolare colorito morale alla loro azione; mentre invece i primi abusano del potere per opprimere i proprî sudditi e per privarli di quelle condizioni di eguaglianza che dovrebbero essere uno dei presupposti elementari del retto esercizio del potere. Mentre quindi per i delinquenti politici è internazionalmente riconosciuto il divieto di estradizione, tale divieto non vige per gli autori di delitti contro l'umanità (ivi compresi gli autori dei delitti di persecuzione politica), così come non vige a favore degli autori di crimini di guerra, anch'essi immeritevoli di quelle mitigazioni che hanno fondamento nella presunta nobiltà del movente o nella protezione internazionale di cui abbia bisogno chi ha dovuto violare una legge nazionale per sottrarsi a un regime di oppressione o di ingiustizia (vi è stato anche un vasto movimento contro il divieto d'estradizione dei collaborazionisti, pur essendo costoro dei rei politici). È tuttavia da rilevare che questa categoria dei delitti di oppressione politica ha avuto un'elaborazione ancora insufficiente e in particolar modo non ha avuto nella sentenza conclusiva del processo di Norimberga quel completo riconoscimento che hanno invece avuto altri delitti contro l'umanità contenuti negli stessi capi di imputazione.

Nel campo del diritto penale interno dei varî paesi, ivi compresa l'Italia, la materia del delitto politico ha avuto negli ultimi anni un'elaborazione particolare. Nuove misure e nuove sanzioni sono state previste da alcune legislazioni, quali il campo d'internamento e simili; la confisca dei beni già storicamente caratteristica di tali delitti; la dichiarazione d'indegnità nazionale (prevista nelle leggi francesi per i "collaborazionisti"); e la privazione del diritto di elettorato attivo e passivo, alla quale ha fatto largamente ricorso anche la legislazione italiana. Sotto il punto di vista dommatico, è interessante rilevare, da un lato, come la nozione di delitto politico si sia allargata assai al di là dei limiti della definizione contenuta nell'art. 8, 2° capov. del cod. pen. e, dall'altro, come abbiano fatto ingresso nel sistema italiano anche delle contravvenzioni di natura politica.

Infatti secondo il codice del 1930 tuttora in vigore (art. 8) era politico soltanto il delitto avente per oggetto un interesse politico dello stato o un diritto politico del cittadino, nonché il delitto comune determinato in tutto o in parte da motivi politici. La legislazione successiva alla caduta del fascismo ha invece notevolmente ampliato tale nozione. Anzitutto, accanto al delitto che è politico in relazione alla natura dell'interesse o del diritto leso e al delitto che è politico in relazione al fine o motivo dell'agente, la legge italiana conosce ora il delitto politico in relazione alle circostanze nelle quali si è svolta e dalle quali è stata favorita l'attività del reo.

Due disposizioni di legge sono significative al riguardo. Una si riferisce ai reati politici antifascisti, l'altra ai delitti fascisti. L'art. 1 del decr. luog. 17 novembre 1945, n. 719 (amnistia per reati politici antifascisti) concede amnistia "per tutti i reati che, prima del 28 ottobre 1922 o durante il regime fascista, sono stati commessi in lotta contro il fascismo o per difendersi dalle persecuzioni fasciste o per sottrarsi ad esse": dove, accanto a categorie di reati nei quali si ha riguardo al fine dell'agente, compare il concetto di reati commessi in lotta contro il fascismo, espressione che va intesa in senso lato, come sinonimo di quella "in circostanze di lotta contro il fascismo". Più nettamente, la legge fondamentale contro il fascismo del 27 luglio 1944 aveva fatto riferimento alle circostanze dell'azione per definire una categoria di reati fascisti. In quella particolare categoria di delitti politici che sono i "delitti fascisti" rientrano infatti: a) i delitti di neofascismo preveduti dal decr. legisl. luog. 26 aprile 1945, n. 195; b) i delitti di collaborazione col tedesco invasore preveduti dall'art. 5 del decr. legge luog. 27 luglio 1944, n. 159, e dall'art. 1 del decr. legisl. luog. 22 aprile 1945, n. 142; c) i delitti di organizzazione di squadre fasciste, di direzione e organizzazione della marcia su Roma e del colpo di stato del 3 gennaio 1925 e di compimento di atti rilevanti per il mantenimento del fascismo al potere, preveduti dall'art. 3, primo comma, del decr. legisl. luog. 27 luglio 1944, n. 159: i quali sono tutti delitti oggettivamente politici; d) gli altri delitti, come dice il secondo comma del citato art. 3, commessi "per motivi fascisti" (delitti soggettivamente fascisti) "o valendosi della situazione politica creata dal fascismo". E che anche questi ultimi debbano oggi considerarsi delitti politici è confermato dalla circostanza che anche essi sono stati inclusi nell'amnistia del 22 giugno 1946 sotto la norma concernente i reati politici.

In secondo luogo - e questo rilievo è ancora più importante - la definizione del delitto politico si è trasformata nella legislazione italiana vigente in quella di reato politico, comprensiva cioè anche di alcune contravvenzioni. Sino ad oggi l'esistenza di "contravvenzioni politiche" non solo non aveva giuridica rilevanza (l'art. 8 capov. parlando solo di delitti), ma non aveva importanza pratica perché lo stesso art. 8 primo comma intendeva ed intende assicurare, sempre che intervenga la richiesta del ministro della Giustizia, la punizione dei soli delitti politici. Invece il recente decreto presidenziale di amnistia e indulto del 22 giugno 1946, n. 4, oltre a parlare in alcune disposizioni (art. 9, 11 ultimo comma) di reati e non solo di delitti politici, ha manifestamente voluto assicurare il beneficio della clemenza anche a quelle contravvenzioni che hanno per oggetto un interesse politico o che siano state commesse per motivi politici sino alla data del decreto: per es. le contravvenzioni in materia elettorale.

Queste contravvenzioni rientrano generalmente nell'amnistia elargita con l'art. 1 del decreto a tutti i reati per i quali la legge commina una sola pena pecuniaria o una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, perché, anche tenuto conto delle possibili circostanze aggravanti, la pena dell'arresto non può mai superare i cinque anni per tassativa disposizione di legge (art. 66 cod. pen.); ma, astrazion fatta da queste considerazioni particolari, non può escludersi l'intenzione del legislatore di amnistiare tutte le contravvenzioni aventi carattere politico (reati politici), quale che sia la misura della pena edittale.

Più decisivo ancora è poi il rilievo che può desumersi dal già ricordato decr. luog. di amnistia per reati politici antifascisti, n. 719 del 17 novembre 1945. È evidente come in questo atto di clemenza totale siano comprese tutte le contravvenzioni commesse durante l'attività svolta contro il fascismo o per sottrarsi alle persecuzioni di questo: e poiché la legge definisce tutti i reati in questione reati politici antifascisti, è evidente con questo che la categoria del reato politico in generale e della contravvenzione politica in particolare hanno fatto il loro ingresso ufficiale nel diritto italiano.

Deve infine notarsi che, mentre alla stregua del codice attuale il delitto oggettivamente politico coincide col delitto contro la personalità dello stato, questa coincidenza non avrà più luogo se il futuro legislatore accoglierà il suggerimento della commissione ministeriale per il cod. pen., la quale ha proposto di reintegrare come titolo a sé stante la vecchia categoria autonoma dei delitti contro le libertà politiche o costituzionali del cittadino, attualmente assorbita, in conformità della concezione politica fascista enunciata da Alfredo Rocco nel discorso di Perugia, nel titolo dei delitti contro la personalità dello stato (art. 294 cod. pen.). I delitti, cioè, contro i diritti politici del cittadino (elettorato, referendum, petizione, ecc.) non saranno più delitti contro la personalità dello stato, ma unicamente delitti politici ai sensi della definizione di cui all'art. 8 cod. pen.

Bibl.: V. Manzini, Tratt. di dir. pen., 2ª ed., IV, Torino 1942; G. Vassalli, I delitti contro la personalità internazionale dello Stato, Genova 1946; P. Nuvolone, La punizione dei crimini di guerra e le nuove esigenze giuridiche, Roma 1945; W. Lachs, War criminals, their prosecution and punishment, Londra 1945; H. Donnedieu de Vabres, Le jugement de Nuremberg et le principe de légalité des délits et des peines, in Revue de droit pénal et de criminologie, 1947; id., La répression de l'incivisme en Belgique, ibid., 1947; id., Extradition de personnes recherchées ou condamnées pour crime de guerre ou crime de collaboration avec l'ennemi, ibid., 1947; I. Dautricaurt, La définition du crime contre l'humanité, in Revue de droit international, 1948; K. Stillschweig, Der Schutz der Menschenrechte durch die United Nations, ibid., 1948.

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