DELINQUENZA

Enciclopedia Italiana (1931)

DELINQUENZA

Alfredo Spallanzani

Per delinquenza s'intende il complesso delle infrazioni (azioni e omissioni) alle leggi e ai regolamenti, le quali siano passibili di pena: tale termine comprende, quindi, non soltanto i delitti, ai quali più direttamente si riferisce, ma pure quelle infrazioni che alcune legislazioni (ma non l'italiana) chiamano crimini, e quelle denominate contravvenzioni. Di solito, e anche nel codice penale italiano, le varie specie d'infrazioni di cui si tratta vengono designate col termine generico di reati, mentre il termine reo viene usato soltanto per indicare l'autore di delitti gravi. Nello studiare, dal punto di vista statistico, la delinquenza di un determinato paese, si usa tener presenti le sole infrazioni la cui repressione è affidata alle magistrature ordinarie (delinquenza comune); si escludono cioè quelle giudicate da tribunali speciali o da tribunali militari o da autorità amministrative. Necessariamente sfuggono i reati non pervenuti a conoscenza della pubblica autorità (delinquenza latente). Sicché fonte delle ricerche statistiche circa la delinquenza sono, di solito, solo le pubblicazioni formate in base agli accertamenti delle autorità giudiziarie ordinarie.

La delinquenza può essere considerata da un punto di vista obiettivo, in rapporto cioè ai fatti passibili di pena e da un punto di vista subiettivo, in rapporto cioè alle persone che quei fatti hanno commesso. Le due serie di dati non possono coincidere, poiché la prima comprende tutte le infrazioni alle leggi penali e in essa ogni infrazione costituisce un'unità statistica, anche se più sono state le persone che la commisero; la seconda invece si riferisce alle sole infrazioni delle quali si sono scoperti gli autori, e in essa ogni persona costituisce un'unità statistica, anche se più sono le infrazioni commesse dallo stesso individuo. Le due serie si prestano poi a indagini in buona parte diverse, ponendo la prima in rilievo specialmente le circostanze di fatto dei reati, la seconda invece le caratteristiche personali dei delinquenti.

Le indagini sulla delinquenza obiettivamente considerata dànno una nozione quantitativa più completa, perché comprendono tutti i reati venuti a conoscenza dell'autorità giudiziaria; mentre le ricerche sulla delinquenza subiettiva non possono riferirsi che ai reati di autori noti o indiziati. La serie di dati da preferirsi per le indagini obiettive sarebbe quella desumibile dalle decisioni definitive e irrevocabili: il reato infatti è un ente giuridico, e come tale non dovrebbe ritenersi sussistente, se non dopo l'irrevocabile giudizio dell'autorità competente.

Gli accertamenti in base alle decisioni definitive e irrevocabili sono però difficili a compiersi. Per l'Italia l'unica serie continuativa per molti anni, comprendente tutte le specie di reati, è quella concernente i reati denunciati; essa fa conoscere la delinquenza quale appare all'autorità giudiziaria dopo i primi accertamenti compiuti dai pretori e dagli uffici del pubblico ministero, in base alle denunce, ai rapporti, ai referti loro pervenuti e alle indagini della pubblica sicurezza. Una parte di tali fatti viene successivamente riconosciuta come non costituente reato o diversamente definita dalla competente autorità giudiziaria; ciò non toglie però che la serie dei dati desunti dalle denunce costituisca un utile indice approssimativo per la conoscenza della delinquenza. Probabilmente anzi i dati complessivi annuali di questa serie (delinquenza apparente) si avvicinano più di quelli che risulterebbero dalle decisioni definitive e irrevocabili (delinquenza legale) al complesso annuale della delinquenza reale, che non è possibile conoscere, sfuggendo una parte di essa a ogni accertamento (delinquenza latente).

Molti dubbî sono stati elevati pure sull'attendibilità dei dati che compongono la serie suddetta, risultante dalle statistiche ufficiali, stante il modo come vengono raccolti (mercé iscrizioni che dovrebbero farsi giornalmente su appositi registri, ciò che darebbe luogo ad omissioni o a duplicazioni). Invero, e specialmente per i dati riferibili al periodo posteriore all'attuazione del codice di procedura penale del 1914, vi sono motivi per temere che siano intervenute duplicazioni a causa del metodo di registrazione introdotta rispetto ai reati di competenza prorogata; speciali indagini sono però state compiute per eliminare ogni errore al riguardo per i dati degli anni 1927-1928 e particolarmente del 1929. Ciò stante e in mancanza di altri elementi, si ritiene di poter ricorrere alla serie suddetta per avere una nozione almeno approssimativa sul movimento della delinquenza in Italia, partendo dai dati relativi al 1890, anno in cui si cominciò ad applicare il codice Zanardelli.

Il prospetto seguente espone i dati risultanti sino al 1929, riassunti, fino al 1925, per medie triennali. Di fianco alla serie complessiva, si riportano quelle concernenti le contravvenzioni e i delitti (questi distinti a seconda che sono o no previsti nel codice penale o nel codice di commercio), stante il diverso valore giuridico e sociale di queste due specie di reati.

La serie complessiva dei reati denunciati presenta di triennio in triennio, fino al 1926 un movimento ascensionale continuo, eccettuato il periodo 1917-19 in cui si verificò una notevole depressione, dovuta alla guerra. L'aumento da triennio a triennio si aggira di solito attorno al 10%, ma per alcuni periodi raggiunge percentuali molto maggiori, come per il 1896-98, per il 1920-22, per il 1923-25. Per spiegare tali eccessi, occorre pensare alle agitazioni politiche e sociali del 1898 e del dopoguerra; la completa cessazione di esse ha beneficamente influito sull'andamento della delinquenza degli ultimi tre anni, che presentano, rispetto al 1926, una progressiva diminuzione la quale ammonta nel 1929 al 13%. Se però si paragona il dato complessivo del 1929 con quello del triennio iniziale (1890-92) si dovrebbe dedurre che la delinquenza è quasi raddoppiata; ciò che può parere deprecabile ove si ricorra al confronto con lo sviluppo della popolazione. Questa non è aumentata, fra i due termini suddetti, che di un quarto: da circa 30 milioni a circa 41; di conseguenza i reati denunciati per 100.000 abitanti sarebbero stati circa 2136 nel 1890-92 e ben 2980 nel 1929 (+ 39%). Per un'esatta valutazione di queste cifre è però opportuno tener presente anzitutto che i dati, a partire dal 1923-25, comprendono anche i reati denunciati nelle terre redente, i quali è bene siano considerati a parte avendo un loro proprio sviluppo; perciò nel prospetto in esame sono riportati anche i dati con esclusione di quelli riferentisi alle terre redente. È poi da considerare che il numero complessivo dei reati denunciati non è il più esattto per determinare il movimento della delinquenza; esso infatti comprende, sia delitti previsti nel codice penale e nel codice di commercio, sia quelli previsti in altri codici e in leggi speciali, sia le contravvenzioni. Mentre la prima di queste tre specie di reati non ha subito alcuna alterazione nel suo contenuto per cause estranee al movimento della delinquenza, le altre due sono state influenzate dal movimento legislativo, che ha riconosciuto la sussistenza del reato per numerose azioni, le quali venivano commesse anche precedentemente, ma sfuggivano all'azione giudiziaria e quindi all'accertamento statistico. Ciò specialmente spiega come - entro i vecchi confini - le contravvenzioni siano fra il 1890-92 e il 1929 aumentate da circa 229.000 a circa 499.000 (+ 118%) e come i delitti previsti da leggi speciali siano passati da meno di 7000 nel triennio iniziale a oltre 40.000 negli anni della guerra e siano stati oltre 17.500 nel 1929 (+ 160%). Appare quindi l'opportunità di non tener presenti, per la determinazione dell'effettivo movimento della delinquenza, le due serie predette, specialmente poi quella concernente le contravvenzioni, la cui importanza giuridica e sociale è di molto inferiore a quella dei delitti.

Limitando dunque il confronto alla serie dei delitti previsti nel codice penale e nel codice di commercio, denunciati come commessi entro i vecchi confini, risulta, fra i periodi estremi considerati, l'aumento di poco più d'un quarto: da 405.000 a 533.000 circa; sicché per ogni 100.000 abitanti, entro gli stessi confini, si sarebbero avuti circa 1350 delitti denunciati nel 1890-92 e circa 1480 nel 1929: l'aumento in rapporto alla popolazione si riduce così al 9%. Questo aumento, per quanto lieve, costituirebbe un indizio non favorevole sullo stato quantitativo della delinquenza attuale, se ad annullarne o almeno ad attenuarne la portata non si considerasse che il numero dei reati appare anche maggiore per l'aumentata attività investigatrice e repressiva della pubblica sicurezza. Si aggiunga che, per lo sviluppo nel frattempo verificatosi in tutte le manifestazioni della vita sociale delle varie parti d'Italia, l'ambito della delinquenza latente (la quale un tempo costituiva una piaga sociale non meno pericolosa di quella causata dalla delinquenza accertata) è molto più ristretto in confronto di alcune decine d'anni prima. Per queste considerazioni forse non errerebbe chi affermasse che nel 1929 la delinquenza comune è meno intensa di quanto non risulti dalle cifre, rispetto a quella che si aveva nei primi anni di attuazione del codice del 1889, affermazione che troverebbe un appoggio dal punto di vista qualitativo nel fatto che i reati giudicati dalla Corte d'assise nel 1929 (indicanti la delinquenza più grave del triennio precedente), furono 4712, mentre nel 1893-95 (in relazione alla delinquenza del 1890-92) se ne ebbero 5789.

Per la completa conoscenza delle condizioni della delinquenza l'esame della parte quantitativa non ha invero un valore assoluto; occorre tener conto anche dell'intensità del fenomeno criminoso nei suoi varî aspetti, della prevalenza o meno delle specie di reati più gravi. Sotto questo punto di vista non risultano però che dati molto raggruppati. Confrontando quelli del 1929 con le medie del triennio 1890-92, appare come più numeroso il gruppo dei furti: esso presenta un aumento del 60% (da circa 109.000 a circa 177.000). Un aumento molto superiore offre il gruppo comprendente le truffe, le appropriazioni indebite, le bancarotte, ecc.: da circa 17.000 a circa 38.000. L'aumento di questo gruppo, notevole specialmente negli ultimi anni, è in parte non lieve dovuto alle bancarotte che risultano aumentate fra il 1912 e il 1929 da circa 3500 a oltre 12.000; è però da credersi che non si sarebbe raggiunta quest'ultima cifra se il minimo necessario per la dichiarazione del fallimento fosse stato, fin dall'inizio della svalutazione della moneta, adeguato al valore reale di questa; per buona parte dei fallimenti si sarebbe invero dovuto ricorrere alla procedura dei piccoli fallimenti, che consente l'azione penale per bancarotta soltanto per il titolo di bancarotta fraudolenta.

Una terza serie di reati contro la proprietà comprende le specie più gravi: rapine, estorsioni, ricatti; essa è andata aumentando lentamente prima della guerra mondiale, in modo più rapido negli anni immediatamente successivi: da 2500 nel 1890-92 a 4400 circa nel 1911-13 e a oltre 8000 nel 1920-22; col 1923-25 è cominciato il movimento discendente che ne ha ridotto il numero, nel 1929, a 2426; nel valutare questi dati è però da tener presente che il codice Zanardelli considera come rapine, fatti che, secondo altre legislazioni, rientrano tra i furti aggravati e come tali saranno giudicati secondo il nuovo codice penale (art. 625, n. 4).

Fra i delitti contro le persone, mentre le lesioni personali volontarie presentano nel 1929 dati più elevati di quelli del periodo iniziale, con tendenza però alla diminuzione (da circa 78.000 nel 1890-92 a 123.000 nel 1923-25 e a 87.000 nel 1929) appaiono in notevole diminuzione le diffamazioni e le ingiurie (da circa 65.000 a 50.000). Le forme più gravi (omicidî consumati e tentati, lesioni seguite da morte, infanticidî, ecc.) presentano nell'assieme una curva analoga a quella delle rapine, ma già nel 1926 risulta una cifra (3195) notevolmente inferiore a quella dal 1890-92 (3993), e la diminuzione si accentua nei tre anni successivi, sicché nel 1929 non risultano che 1989 omicidî denunciati. Si noti che poco meno della metà di tali cifre concernono omicidî tentati o mancati, poi definiti come semplici lesioni. La diminuzione avvenuta negli omicidî consumati è confermata dai dati risultanti dalle statistiche delle cause di morte: 988 nel 1928 di fronte a 1427 in media nel triennio 1890-92.

Delle altre tre serie di dati offerte dalla statistica giudiziaria, presentano nel 1929 un lieve aumento rispetto al 1890-92 quella comprendente le violenze, le resistenze e gli oltraggi all'autorità (da 4.000 a 16.000 circa), e quella dei reati contro la fede pubblica (da 14.000 a 5.000 circa). Grave è invece l'aumento per i delitti contro il buon costume e l'ordine della famiglia (da 5500 nel 1890-92 a 12.000 circa a partire dal 1923-25 e fino al 1929): la stasi fa sperare però in una futura diminuzione per questo gruppo di reati, che da alcuni anni attira particolarmente l'attenzione delle autorità, ciò che ha indubbiamente determinato un aumento di denuncie, di rapporti, ecc. Sicché può ritenersi che attualmente mostrano tendenza all'aumento specialmente i delitti contro il patrimonio mediante violenze contro le cose o mediante frode; invece, sia i delitti più gravi contro la proprietà (mediante violenza sulla persona), sia quelli contro le persone, sia gli altri gruppi, o presentano dati inferiori a quelli di quaranta anni addietro o manifestano negli ultimi anni la tendenza alla diminuzione od almeno a non aumentare. Il bilancio non appare sconfortante.

Dal punto di vista subbiettivo le statistiche giudiziarie italiane permettono di conoscere il numero delle persone sulle quali ebbero a provvedere i pretori e gli uffici del pubblico ministero per reati obbiettivamente accertati: da 673.610 in media nel 1890-92 tale numero è salito a 949.674 nel 1929 (escluse le nuove provincie), con un aumento del 64%, mentre contemporaneamente i reati di autori noti aumentavano del 62%,. Risulta pure, dalle stesse statistiche, quanti dei suddetti imputati furono condannati in primo grado, dai pretori, dai tribunali e dalla Corte d'assise, con decisione definitiva: il loro numero sale dalla media di 335.431 nel 1890-92 alla cifra di 606.970 nel 1929 e cioè da circa il 50% degl'imputati nel periodo iniziale, a circa il 64% negli ultimi anni. Tale notevole miglioramento nei risultati dell'attività giudiziaria è almeno in parte dovuto al maggior aumento proporzionale, già rilevato, nel numero delle contravvenzioni (che di solito dànno luogo a condanna, specie dopo l'adozione del decreto penale): risulta infatti che i condannati per delitti (soli o congiunti a contravvenzioni) furono in numero quasi identico nei due periodi in esame (183.328 in media all'anno nel 1890-92 e 185.972 nel 1929); mentre i condannati per sole contravvenzioni sono invece contemporaneamente aumentati del 133%: da 172.103 a 420.998.

Lo studio delle caratteristiche della delinquenza in Italia non può prescindere dalle ricerche concernenti le qualità personali dei condannati. Notizie al riguardo si hanno nelle statistiche giudiziarie per gli anni 1880-1889, in quelle complementari per gli anni 1890-1900, e poi nelle criminali per gli anni 1906-1923; soltanto queste ultime sono però desunte, come è necessario per l'esattezza dei dati, dalle decisioni definitive e irrevocabili, tenendo presente ogni condannato una sola volta, ancorché egli abbia formato oggetto di diverse decisioni nel corso dello stesso anno; perciò è opportuno ricorrere soltanto ad esse.

Per quanto concerne il sesso risulta che negli anni anteriori alla guerra mondiale, per ogni 100 condannati si avevano circa 81 maschi; durante la guerra la percentuale dei condannati di sesso maschile scese, come era ovvio, a 74 nel 1916, 68 nel 1917, 67 nel 1918, per risalire a 73 nel 1919; cessata la guerra si ritornò alla percentuale precedente, superandola lievemente, sia nel 1922, sia nel 1923 (83%). Le condannate presentano naturalmente un movimento inverso di percentuali; nel 1923 il numero effettivo delle donne condannate fu di 22.974 e cioè circa 141 ogni 100.000 abitanti maggiori di nove anni dello stesso sesso, mentre per gli uomini risulta la percentuale di 717. Fenomeno analogo a quello risultante per il sesso, presentano i rapporti fra i condannati minorenni (fino a 21 anno) e maggiorenni di sesso maschile: i minorenni, dal 26% circa rispetto al totale dei maschi condannati, nel periodo prebellico, sono saliti a circa il 30% durante la guerra, per ridiscendere al 24%, nel 1922 e al 21,59%, nel 1923. In rapporto alla popolazione della stessa età i minori dei 14 anni condannati nel 1923 furono circa 217 ogni 100.000 abitanti; quelli dai 18 ai 21 anni circa 707, i maggiorenni circa 493.

Riguardo allo stato civile risulta che (rispetto al totale dei condannati, esclusi i minori dei 14 anni) la percentuale dei condannati celibi o nubili, da circa 53 nel 1906-10 è scesa gradatamente a 51 nel 1918, per salire fino a 58 nel 1920 e ripresentare rapporti prossimi a quello iniziale nel 1922-23. Le percentuali dei coniugati presentano un movimento contrario attorno al 40%; i vedovi non assorbono che dal 3 al 4% del totale. In rapporto alla popolazione maggiore dei 14 anni e dello stesso stato civile, i celibi e le nubili condannati furono nel 1923 circa 649 ogni 100.000, i coniugati circa 388 e i vedovi circa 171.

Riguardo all'istruzione, prima della guerra mondiale si notava una lenta ma continua decrescenza nella percentuale dei condannati privi di essa (dal 55% nel 1906 al 48% nel 1915); durante la guerra si ebbe di nuovo una lieve prevalenza numerica d 'analfabeti (52% nel 1918); ma già nel 1920 la loro percentuale appare scesa al 43%; nel 1923 è ridotta al 37%; ciò che ha non lieve importanza, perché la mancanza d'istruzione importa una minore resistenza al delitto, come appare dai rapporti con la popolazione: così ancora nel 1923 (malgrado il minor numero effettivo) si avevano 529 condannati ogni 100.000 abitanti analfabeti e soltanto 367 ogni 100.000 forniti d'istruzione.

Non è permesso parlare delle qualità personali dei condannati senza accennare alla recidiva, per quanto essa costituisca una caratteristica che non ha corrispondenza nel complesso della popolazione, essendo di natura strettamente giuridica. Per l'Italia, da che si pubblicano le statistiche criminali, desumendole dal cartellino del casellario giudiziale, documento che dà piena garanzia d'esattezza, risulta che almeno un terzo dei condannati ha subito precedenti condanne; durante la guerra mondiale la percentuale è scesa al 28% (1918), per il vuoto lasciato dagli uomini e il maggiore afflusso di donne e di minorenni; ma già nel 1919 risulta la percentuale di 33, che sale a 35 nel triennio successivo e a 39,9 nel 1923, avvertendo che a questo ultimo aumento hanno contribuito speciali ricerche compiute al riguardo nei casellarî locali, oltre che nel centrale. Questa percentuale appare molto elevata, specie constatando che circa il 60% dei recidivi erano stati condannati precedentemente più di una volta e circa il 17% più di 5 volte: che questa percentuale risulta pure per i condannati più volte nel corso dello stesso anno; che per alcuni reati la media suindicata viene notevolmente superata: come per le violazioni alla vigilanza speciale, per le falsità in monete, per i furti aggravati e per le truffe e le altre frodi. È presumibile però che simili manifestazioni di delinquenza cesseranno dal verificarsi con l'applicazione del nuovo codice penale, stante le severe disposizioni introdottevi per i recidivi in genere e per i delinquenti abituali e professionali in specie, allo scopo di porli nell'impossibilità di ricadere nel delitto. Interessante è vedere come i varî gruppi sociali contribuiscono alla recidiva. Secondo i dati del 1923, per ogni 100 condannati aventi la stessa qualità personale, risultano come recidivi 43 per il sesso maschile, 25 per il femminile; 27 per i minorenni, 43 per i maggiorenni; 39 per i celibi (con le nubili), 43 per gli ammogliati, 41 per i vedovi; 40 per i figli legittimi, 45 per gl'illegittimi; 45 per gli occupati nelle industrie in arti e mestieri; 44 per gli occupati nei commerci, nei trasporti, ecc.; 44 per gli addetti ai bassi servizî; 40 per gli occupati nell'agricoltura, ecc.; 31 per il gruppo degl'impiegati, liberi professionisti, capitalisti, ecc.; 44 per gli analfabeti e 38 pe' forniti d'istrurione; 40 per i nati in Italia, 6 per i nati all'estero o in luogo ignoto.

Quanto si è esposto dimostra che, ove si prescinda dalla facilità con cui alcuni gruppi di condannati ricadono in certi reati e dalla non lieve partecipazione dei minorenni (fenomeni che si spera saranno attenuati col nuovo codice), le caratteristiche personali dei condannati in Italia non presentano note indicanti una speciale gravità.

TAG

Codice penale italiano

Bancarotta fraudolenta

Autorità giudiziaria

Pubblico ministero

Contravvenzioni