DEL CARRETTO, Alfonso, marchese del Finale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL CARRETTO, Alfonso, marchese del Finale

Giovanni Nuti

Nacque verso la metà del secolo XV da Giovanni, marchese del Finale, e da Viscontina di Barnaba Adorno. Ancora giovane, venne adoperato dal fratello Galeotto (II), cui toccò il feudo paterno, per missioni presso la corte sforzesca, alla quale il piccolo marchesato era legato da stretti rapporti politici. Nel 1476 fu inviato insieme con altri a Gambolate, dove ebbe colloqui con quella Signoria.

Morto suo fratello dopo il 1478 (dato che in questo anno viene ricordato ancora in vita nei Diari di Cicco Simonetta e negli atti del Consiglio segreto di Milano), il D. gli successe nel feudo in un momento in cui i rapporti col ducato milanese erano divenuti tesi. Infatti egli appoggiò la nomina di Roberto Sanseverino a capitano generale della Repubblica di Genova, per dirigere la lotta contro gli Sforza, dopo che Prospero Adorno si era impadronito del potere: nel luglio, probabilmente, accompagnò in città il condottiero, venutovi per guidare le operazioni militari. Inoltre una sorella del D., Caterina, era stata promessa in sposa a Giovanni Luigi Fieschi, capo del partito filofrancese a Genova: tale legame finì col mettere in difficoltà il D. che, ereditando dal padre Giovanni e dal fratello Galeotto saldi legami sia con la Francia sia col ducato di Milano, tentava di mantenere una posizione equidistante tra le due potenze.

Cacciati gli Sforzeschi da Genova nel 1478 e iniziata da parte dell'esercito genovese una vigorosa azione per riconquistare le Riviere, il D. preferì non intervenire: così si comportò quando Savona si trovò assediata dall'esercito genovese. Di fronte alle rimostranze milanesi, egli si scusò, adducendo la situazione interna del marchesato, dove Adorno e Fregoso contavano sostenitori; in realtà il D. non si sentiva in grado di sostenere una guerra contro Genova, e preferiva muoversi con grande circospezione nel complesso mondo di alleanze, per evitare gli errori di valutazione politica che erano costati il feudo allo zio Galeotto. Inoltre, il disegno del D. mirava ad approfittare delle difficoltà delle grandi potenze per ricavarne vantaggi territoriali o giuridici. In questa circostanza egli chiese che gli, venisse concessa la signoria su alcuni castelli della Riviera, compresa Savona, promettendo di restituirla a Milano in caso di bisogno; la proposta, tuttavia, fu accolta con diffidenza alla corte sforzesca. L'anno seguente lo si invitò ad espellere dal suo feudo gli Adorno, ma senza risultato; così pure egli rifiutò di aiutare l'esercito milanese per l'attacco al castello di Noli.

Questo stato di tensione modificava la stretta alleanza tra il Finale e Milano durata tutto il secolo XV, ma non provocò alcuna frattura perché il D. si riavvicinò in seguito a Genova, con cui i Carretteschi erano in lotta da decenni, senza giungere ad un legame troppo vincolante: infatti, ritornata Genova nel 1488 sotto il controllo di Gian Galeazzo Sforza (ossia del suo tutore Ludovico il Moro), il D. preferì riprendere i buoni rapporti con Milano. Morta nel frattempo la sua prima moglie, Bianca Simonetta, da cui non ebbe figli, il 16 nov. 1488 sposò, a Roma, Peretta, figlia di Teodorina Cibo e di Gherardo Usodimare, nipote di papa Innocenzo VIII. Le nozze divennero causa di un'altra protesta milanese, perché tale legame minacciava di sottrarre il Finale al controllo sforzesco. Nel 1496 il D., rompendo gli antichi vincoli feudali con Genova, si dichiarò vassallo dell'imperatore Massimiliano, che gli restituì il diritto di battere moneta, nominandolo proprio vicario. Quattro anni dopo, con la mediazione dell'imperatore, la Repubblica genovese riconobbe la nuova situazione giuridica del Finale.

Nel 1499, diventati più tesi i rapporti tra Genova, controllata da Ludovico il Moro, e la Francia, il D. fu invitato ripetutamente a restituire al marchese del Monferrato le terre a lui sottratte; infatti il commissario milanese a Genova, Francesco Fontana, temeva che l'ostinatezza del D. avrebbe potuto compromettere la situazione, dal momento che lo Sforza non intendeva arrivare ad una rottura con Luigi XII. Presso il D. intervennero il governo genovese e lo stesso duca di Milano, con dure pressioni perché egli ubbidisse all'ingiunzione. Nell'aprile le minacce di Gian Giacomo Trivulzio, luogotenente del re di Francia, contro Genova sembrarono sfociare in una guerra: la Repubblica si trovò isolata e non poté contare sull'aiuto del D., che preferì non pronunciarsi. Alcuni mesi dopo la situazione precipitò: il Moro chiese rapidamente al suo commissario Fontana di requisire i pezzi di artiglieria che si trovavano nel territorio genovese, compresi quelli affidati al D.; il Fontana, tuttavia, sconsigliò il Moro di insistere in questa richiesta per non allarmare il marchese - che, come notava il commissario, "li pare che ogni volta li nemici debbano far invasione adosso a lui".

Nel 1501, scoppiata una rivolta in Corsica sotto la guida di Gian Paolo di Leca, il D. venne inviato nell'isola per reprimerla insieme con Manuele Fieschi e Silvestro Giustiniani. Ammalatosi durante la campagna militare, fu costretto a cedere il comando al suo collega Ambrogio Di Negro anche a seguito di dissidi tra i due. In seguito fu scacciato dal suo feudo dal fratello Carlo Domenico, già arcivescovo di Cosenza, poi elevato alla porpora cardinalizia da papa Giulio II, ma riuscì a recuperare il territorio nel 1506, approfittando di un fortunato episodio.

Infatti il cardinale lasciò ad amministrare il feudo il fratello Luigi; nel settembre, in attesa della flotta catalana che doveva accompagnare Ferdinando il Cattolico a Napoli e che doveva sfilare davanti al porto, Luigi si premurò di compiere gli opportuni preparativi per accogliere i reali di Spagna, se avessero deciso di fermarsi nel borgo; il giorno dell'arrivo della flotta doveva essere il 27, ma giunse notizia che le navi sarebbero state al largo del Finale il giorno dopo. Approfittando della poca vigilanza che doveva esserci al castello a causa di questo ritardo, il D. tentò di attaccare il borgo di sorpresa. Arrivato nel cuore della notte, divise i suoi uomini in due gruppi, uno incaricato di occupare il borgo, l'altro, sotto il suo comando, diretto verso il castello, che poté essere preso senza difficoltà.

Nel frattempo Genova, caduta sotto il controllo dei popolari, si accinse a tentare la conquista di Monaco, sperando nella tolleranza di Luigi XII, che si sapeva in cattivi rapporti col signore monegasco, Luciano Grimaldi. Al D. vennero chiesti aiuti militari (novembre 1506); tuttavia, pur approvando l'impresa, egli si limitò a dare consigli al governo genovese, informandolo dei preparativi compiuti da Carlo di Savoia, legato da stretti rapporti col Grimaldi, ma si guardò dall'intervenire concretamente, anche perché consapevole che l'impresa si sarebbe scontrata contro l'ostilità francese.

Iniziatosi l'assedio di Monaco, il D. venne sospettato di mantenere rapporti con gli Adorno, banditi da Genova: infatti Agostino Castiglione, commissario presso l'esercito genovese a Monaco, ritornò in città, conducendo con sé un inviato del D., venuto al campo con alcune lettere del suo signore indirizzate a vari corrispondenti; il contenuto, secondo il Castiglione, avrebbe dato adito al sospetto che il D. mantenesse appunto rapporti con gli Adorno. In favore del D. intervenne un altro commissario genovese, Manuele Canale, che giustificò le lettere del marchese come la risposta ad una sua missiva, scritta alcuni giorni prima, per avvertire il D. che si stava preparando un esercito contro di lui; tuttavia, a Genova si preferì mantenere i sospetti sul marchese, tanto che il suo malcapitato messo fu torturato per conoscere i presunti segreti contenuti nelle lettere sequestrategli; a salvare il messo fu un intervento personale del D., che ribadì la sua fedeltà al governo genovese.

Nel 1512, trovandosi Genova sotto il controllo francese, al D. e ad altri fu dato il compito di arruolare 2.000 uomini per provvedere alla custodia della città; tuttavia, sospettato di favorire gli Adorno, egli fu sostituito da una commissione di otto cittadini, incaricata di mantenere la città sotto la protezione francese. Non abbiamo altre notizie sul D., che morì nel 1528.

Da Peretta Usodimare ebbe Giovanni, succeduto al padre nel marchesato, Marc'Antonio, adottato da Andrea Doria (che sposò la vedova del D.), Paolo, vescovo di Cahors e abate di Bonacomba, e Orlando, arcivescovo di Avignone. Morto Giovanni nell'impresa dell'imperatore Carlo V contro Tunisi nell'anno 1535, gli successe suo figlio Alfonso il quale, appena undicenne, fu affidato alla tutela di Andrea Doria; in seguito, resosi odioso per i suoi soprusi e la sua esosità, fu scacciato nel 1558 da una rivolta dei suoi sudditi appoggiati da Genova, che ne approfittò per occupare il territorio. Rifugiatosi alla corte imperiale, Alfonso ottenne sentenza a lui favorevole nel 1561; tuttavia la Spagna, chiamata come arbitra, ne approfittò a sua volta per controllare il marchesato (1571). Genova, cambiando indirizzo, difese i diritti di Alfonso e ottenne che essi venissero riconosciuti dalla Dieta imperiale nel 1582. L'anno seguente, tuttavia, la morte del marchese rese inoperante la sentenza; il suo successore, il fratello Alessandro, morì poco dopo; il Finale toccò a Fabrizio che nel 1596 lo cedette a Sforza Andrea. Due anni dopo, il marchese finì col vendere il Finale alla Spagna; solo nel 1713 la Repubblica di Genova poté riavere il piccolo territorio, acquistandolo dall'imperatore Carlo VI.

Fonti e Bibl.: A. Giustiniani, Castigatissimi annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. CCLVII, CCLXVIIv; U. Folietae Historiae Genuensium, Genuae 1585, cc. 274r, 293 r; G. B. Brichieri Colombo, Tabulae geneal. gentis Carrettensis..., Vindobonae 1741, p. 66 s. (a quest'opera si rimanda per una prima conoscenza della complessa genealogia della famiglia); L. G. Pelissier, Documents pour l'histoire de l'établissement de la domination française à Gênes (1498-1500), in Atti della Società ligure di storia patria, XXIV (1894), pp. 365 s., 374, 382, 409; Dispacci e lettere di G. Gherardi, a cura di E. Carusi, Roma 1909, ad Indicem; Istruzioni e relaz. degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, I, Roma 1951, ad Indicem; Acta in Consilio Secreto Mediolani, a cura di A. R. Natale, Milano 1963-69, ad Indicem; E.Pandiani, Un anno di storia genovese (giugno 1506-07), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVII (1905), pp. 55 ss., 89, 99, 124 s., 142 ss., 280, 333 s., 347, 350, 411, 480-83, 487; L. Staffetti, Il libro dei ricordi della fam. Cybo, ibid., XXXVIII (1908), ad Indicem; E. Marengo, A. D. marchese del Finale e la Repubblica di Genova, ibid., XLVI (1918), pp. 11, 68; G. A. Silla, Finale dalle sue origini all'inizio della dominaz. spagnola, Finalborgo 1922, ad Indicem; C. Argegni, Condottieri capitani tribuni, Milano 1936, p. 247; T. O. De Negri, Castel Gavone e il Finale in relaz. venete del 1571, in Boll. ligustico per la storia e la cultura regionale, III (1951), p. 19; A. R. Natale, I diari di Cicco Simonetta, in Arch. stor. lomb., LXXXIII (1957), p. 76; E. Armstrong, Il Papato e Napoli nel sec. XV, in Storia del mondo medievale, VII, Milano 1981, p. 750.

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