Deja-vu

Universo del Corpo (1999)

Déjà-vu

Bruno Callieri

Con l'espressione francese déjà-vu, "già visto", si indica nel linguaggio psicologico una paramnesia, cioè un disturbo qualitativo della memoria per il quale si ha la sensazione illusoria di aver già visto una certa immagine o addirittura di aver già vissuto una determinata situazione (déjà-vécu), anche se la circostanza può essere facilmente smentita per via razionale.

Il déjà-vu è stato definito anche 'falso riconoscimento', ma alquanto impropriamente, giacché quest'ultima nozione rientra piuttosto nell'ambito della qualità affettiva della 'familiarità', dell'esser-noto. La sensazione di riconoscimento che inerisce al déjà-vu viene per lo più intesa come un'errata generalizzazione di esperienze passate applicate a situazioni parzialmente somiglianti, o come l'emergere di uno stato emotivo precedentemente vissuto (quello che M. Raimiste, nel 1913, chiamava mnemotività), o come la riattivazione di fantasie inconsce.

Le esperienze di déjà-vu possono essere fugacemente avvertite anche da soggetti sani, in condizioni di stress, ma sono frequenti soprattutto in situazioni psicopatologiche, quali molte forme di epilessia temporale, non pochi stati crepuscolari psicogeni (isterici o anche indotti da farmaci) e, in particolar modo, stati di depersonalizzazione e di derealizzazione (depersonalizzazione). In tali condizioni anomale, l'esperienza di déjà-vu, sovente accompagnata da stato oniroide (o sognante) della coscienza, può protrarsi per ore e, a volte, anche per giorni.

Opposte a quella del déjà-vu sono le esperienze del "mai visto" (jamais-vu) e del "mai vissuto" (jamais-vécu), nelle quali situazioni ben note, ripetutamente vissute e quindi familiari, vengono percepite come nuove ed estranee, spesso con carattere perturbante o minaccioso. Tale abnorme condizione, mnestica ed emotiva a un tempo, può verificarsi in stati di coscienza alterati (o, come si dice, di eccezione), onirofrenici, schizofrenici, confabulatori, tossici (specialmente da acido lisergico, da mescalina, da psilocibina), o di forte emozione (stress post-traumatico, panico protratto) o, non raramente, epilettici.

Il jamais-vu è alla base della cosiddetta sindrome di Capgras, la quale viene anche denominata 'illusione di sosia' (Capgras, Reboul-Lachaux 1923), e che è stata rielaborata da W. Scheid (1937) e da B. Callieri e A. Semerari (1961). Essa consiste sia nel 'riconoscimento di sconosciuto', per il quale il soggetto afferma che persone estranee gli sono note e familiari, sia nel 'disconoscimento di conosciuto', per il quale, al contrario, il soggetto afferma che persone familiari gli sono estranee, in quanto hanno totalmente alterato la loro fisionomia.

Bibliografia

B. Callieri, A. Semerari, Contributo alla conoscenza della sindrome di Capgras, "Rivista sperimentale di freniatria", 1961, 85, pp. 3-12.

J. Capgras, J. Reboul-Lachaux, L'illusion des 'sosies' dans un délire systématisé chronique, "Annales Médico-psychologiques", 1923, 81, pp. 186-98.

W. Scheid, Über Personenverkennung, "Fortschritte für Neurologie und Psychiatrie", 1937, 1, pp. 157 e segg.

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