DEFLAZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

DEFLAZIONE

Claudio Sardoni

In statistica economica si chiama d. l'operazione mediante la quale si trasformano serie storiche relative ad aggregati economici (per es. reddito nazionale, investimenti, consumi, ecc.), espressi in prezzi correnti, in analoghe serie di valori espressi in prezzi costanti, con riferimento a un anno determinato.

Deflazione degli aggregati economici. - Il valore al tempo t di un generico aggregato A di n beni e/o servizi è

dove X1, X2, ..., Xi, ..., Xn sono gli n beni e/o servizi che lo compongono e p1, p2, ..., pi, ..., pn i rispettivi prezzi. L'indice t denota che sia i prezzi che le quantità sono riferiti al periodo t. Il valore di un aggregato così calcolato si dice espresso in prezzi correnti, cioè nei prezzi vigenti nel periodo considerato t.

La d. degli aggregati consiste in un insieme di operazioni tramite le quali il valore di un aggregato viene espresso non più in prezzi correnti bensì nei prezzi di un prescelto periodo di riferimento, chiamato periodo-base. Scelto il periodo b come periodo-base, l'aggregato A in t deflazionato rispetto al periodo b, indicato con At/b, è

Se si deflazionano rispetto allo stesso periodo-base tutti i valori correnti che un aggregato assume in più periodi, si ottiene una serie storica a prezzi costanti, in quanto il valore dell'aggregato è espresso in tutti i periodi negli stessi prezzi del periodo-base.

La d. è di grande importanza nei confronti intertemporali, quando si vogliano analizzare le variazioni reali (di quantità) subite da un certo aggregato. In concreto, le variazioni dei valori correnti degli aggregati fra diversi periodi sono il risultato di variazioni complesse che interessano sia i prezzi che le quantità. Mediante la d., le differenze di valore fra aggregati in periodi diversi sono ''depurate'' dalle variazioni dei prezzi esprimendo tutti gli aggregati negli stessi prezzi del periodo-base.

Si supponga per esempio che

A(t+j)At > 0

cioè che nel passaggio da t a (t + j) sia stato registrato un aumento del valore corrente dell'aggregato A. In generale l'aumento di A fra t e (t + j) sarà in parte dovuto ad aumenti di quantità e in parte dovuto ad aumenti di prezzo, ma il semplice confronto fra i due valori correnti non consente di separare le due cause dell'aumento. Però, deflazionando sia A(t+j) che At rispetto a uno stesso periodo-base b, si può calcolare una differenza, oppure un tasso di variazione, fra i due aggregati che è interamente imputabile a variazioni di quantità.

A(t+j)/bAt/b = S [Xi(t+j)Xit] pib

Se

A(t+j)/bAt/b > 0

ciò è certamente dovuto all'aumento di almeno una delle n quantità Xi (i = 1, 2, ..., n) fra t e (t + j).

Per effettuare la d. degli aggregati nei termini sopra descritti è necessario conoscere tutti i prezzi e tutte le quantità in ogni periodo, una condizione difficilmente soddisfatta in pratica. In genere è noto il valore dell'aggregato e dell'indice dei prezzi dei beni e/o servizi che lo compongono. Un generico indice dei prezzi dei beni o servizi di un aggregato al tempo t è un indicatore sintetico che misura la variazione dei prezzi in t rispetto a quelli del periodo-base b, utilizzando solo un campione rappresentativo dei beni o servizi (per maggiori dettagli, vedi numeri indici in questa Appendice). Normalmente la d. avviene dividendo i valori correnti degli aggregati per un appropriato indice dei prezzi (adeguato cioè a esprimere i prezzi dei beni e/o servizi appartenenti all'aggregato da deflazionare).

Noto il valore corrente in t di un generico aggregato A, esso è deflazionato rispetto al periodo-base b dividendolo per l'indice dei prezzi al tempo t con base b, it/b:

Esaminiamo ora il problema della d. degli aggregati economici dei Sistemi di contabilità nazionale (v. in questa App.), concentrando l'attenzione sul Prodotto interno lordo (PIL). Per semplificare l'esposizione, conviene riferirsi ad alcune identità fondamentali di contabilità nazionale estremamente semplificate.

Per un generico periodo t, vale la seguente relazione

Il PIL al tempo t è uguale alla somma del valore della spesa per l'acquisto di beni e servizi finali nello stesso periodo; più precisamente, la spesa per consumi Ct, più quella per investimenti, It, più la spesa per l'acquisto di beni e servizi finali da parte dell'estero (esportazioni), Et, meno la spesa per l'acquisto di beni e servizi finali dall'estero (importazioni), Mt. Gli aggregati C, I, E, M rappresentano flussi di beni e servizi.

In questo caso, la d. del PIL può essere effettuata deflazionando separatamente ognuno degli aggregati di beni e servizi che lo compongono mediante appropriati indici dei prezzi: dei beni di consumo, dei beni d'investimento, delle esportazioni e delle importazioni. Il PIL al tempo t deflazionato ai prezzi del periodo-base b è perciò

dove ct/b, it/b, et/b, mt/b sono gli appropriati indici dei prezzi al tempo t con base b.

Il PIL è anche esprimibile come somma dei valori aggiunti prodotti nei vari settori in cui è diviso il sistema economico. Considerando soltanto quattro settori produttivi, il valore corrente del PIL in t può essere scritto come

dove VAt denota il valore aggiunto del settore agricolo al tempo t, VIt quello del settore industriale, VSt quello dei servizi privati, e VPt il valore aggiunto della pubblica amministrazione.

Tenendo conto dell'identità [6] la d. del PIL si può effettuare deflazionando i valori aggiunti settoriali. Un metodo frequentemente usato a tale fine è quello detto della doppia deflazione.

Rammentando che il valore aggiunto è uguale alla differenza fra valore della produzione vendibile e valore dei beni e servizi intermedi (materie prime, ausiliarie e servizi) utilizzati per ottenere la produzione vendibile, la doppia d. consiste nel deflazionare separatamente la produzione vendibile con un indice dei prezzi dei beni prodotti e il valore dei beni e servizi intermedi con un appropriato indice dei loro prezzi; la differenza fra i due aggregati così ottenuti dà il valore aggiunto deflazionato.

Nell'uso dei criteri di d. illustrati sopra, entrambi basati sulla d. di flussi di beni e servizi, notevoli difficoltà sorgono nel deflazionare il valore corrente di beni o, soprattutto, servizi che, non avendo un prezzo di mercato (come, per esempio, i servizi della pubblica amministrazione), vengono valutati al loro costo. In tali casi, piuttosto che dividere il valore aggregato per un indice dei prezzi, si deflaziona utilizzando indici di quantità basati sulle caratteristiche del bene o servizio o sulla quantità di lavoro impiegato per la sua produzione.

Il PIL infine può essere espresso come somma dei redditi ai cosiddetti fattori della produzione. In modo semplificato si può scrivere

dove RKt indica l'aggregato dei redditi da capitale al tempo t, RLt i redditi da lavoro dipendente, RMt i cosiddetti redditi misti (da lavoro e capitale). In questo caso il PIL è espresso come somma di flussi monetari, cioè i redditi percepiti dai fattori che hanno concorso alla sua produzione. Tuttavia, a causa dell'insorgere di alcune difficoltà, i sistemi di contabilità nazionale in genere non effettuano la d. dei flussi monetari.

I flussi di reddito ai fattori possono essere considerati come il prodotto fra il numero di unità dei fattori impiegate nella produzione e i loro rispettivi ''prezzi'', cioè i vari saggi di remunerazione (saggi salariali, saggi d'interesse, ecc.). In linea teorica, perciò, la d. dei flussi potrebbe avvenire deflazionando ogni flusso con l'appropriato indice dei prezzi dei fattori. Il risultato così ottenuto dovrebbe fornire un valore deflazionato del PIL che, per l'identità di contabilità nazionale, deve coincidere necessariamente con il valore deflazionato del PIL ottenuto mediante la d. dei valori dei flussi di beni e servizi. In realtà ciò non avviene: la somma dei flussi di redditi dei fattori valutati a prezzi costanti è sistematicamente inferiore alla somma dei flussi dei beni e servizi anch'essi valutati a prezzi costanti. Questa divergenza si verifica perché, al variare delle quantità di fattori, il prodotto varia più che proporzionalmente in conseguenza delle variazioni di produttività dei fattori stessi.

I rapporti fra valori correnti del PIL e suoi valori deflazionati sono frequentemente utilizzati per misurare le variazioni del livello generale dei prezzi. Se PILt è il valore a prezzi correnti del Prodotto interno lordo in t e PILt/b è il suo valore deflazionato rispetto al periodo-base b, il rapporto fra i due valori dà un indice generale dei prezzi in t con base b, chiamato deflatore implicito del PIL

Perché il rapporto fra valore corrente e valore deflazionato del PIL rappresenti un indice dei prezzi è facilmente desumibile. Il PIL a prezzi correnti del periodo t può essere idealmente espresso come

dove le Xit denotano i beni e servizi finali inclusi nel PIL e pit sono i loro prezzi. D'altro canto, il PIL al tempo t deflazionato rispetto al periodo b può, sempre idealmente, essere espresso come

con pib che indicano i prezzi nel periodo-base. Pertanto il rapporto fra i due valori del PIL, il deflatore implicito, è

che è formalmente analogo a un indice dei prezzi del tipo Paasche, in quanto calcolato facendo il rapporto fra le medie dei prezzi al tempo t e b ponderate con pesi rappresentati dalle quantità dei beni relative al periodo corrente t (per maggiori dettagli, v. numeri indici in questa Appendice).

Bibl.: R. Stone, Quantity and prices indexes in national accounts, Parigi 1956; T. P. Hill, The measurement of real product, Bruxelles 1971; V. Siesto, La contabilità nazionale italiana, Bologna 1977.

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