Deficit pubblico

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

deficit pubblico

Gianpaolo Crudo

Fenomeno contabile che si realizza quando, in un esercizio finanziario, le uscite della pubblica amministrazione superano le entrate. Queste ultime sono generate dalle entrate tributarie ed extra tributarie, vale a dire dalle imposte dai corrispettivi pagati dai cittadini per i beni e i servizi offerti dagli enti pubblici economici. Le spese pubbliche sono prodotte dagli oneri finanziari sul debito pubblico (➔ p), dai servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, dagli acquisti e dagli investimenti effettuati per finalità pubbliche.

Avanzo e disavanzo primario

Il saldo tra entrate e uscite pubbliche, al netto degli oneri finanziari sul debito, prende il nome di avanzo primario (se positivo; ➔ avanzo) o disavanzo primario (se negativo; ➔ deficit). Il disavanzo primario può essere prodotto intenzionalmente, per favorire la fuoriuscita del tessuto economico da una fase di crisi (J.M. Keynes, The general theory of employment, interest and money, 1936), o accidentalmente, per via di una riduzione del gettito tributario associato a una diminuzione dell’attività economica o per l’accadimento di eventi straordinari non prevedibili (per es., calamità naturali che impongono interventi di spesa non programmati nel bilancio). Per assicurare la copertura finanziaria del disavanzo primario, lo Stato può incrementare le entrate fiscali, o procedere con operazioni d’indebitamento sul mercato finanziario. L’avanzo primario può venire accantonato per essere utilizzato nei periodi di rallentamento futuri o per ridurre lo stock del debito pubblico.

Il saldo tra entrate e uscite pubbliche, al lordo degli oneri finanziari sul debito, prende il nome di d. p. (se negativo) o avanzo pubblico (se positivo). Secondo alcuni, la regola ottimale della contabilità prescrive bilanci pubblici tendenzialmente in pareggio: infatti persistenti d. p. aumentano lo stock di debito pubblico, rendendo progressivamente più ostica la collocazione di nuove emissioni di debito sul mercato finanziario (V. Tanzi e L. Schuknecht, La spesa pubblica nel XX secolo: una prospettiva globale, 2007). Secondo altri, la regola d’oro della contabilità impone bilanci pubblici tendenzialmente in pareggio solo nella parte del conto corrente in quanto gli investimenti pubblici produttivi non creano oneri veri (R. Faini, La golden rule che serve all’Italia, www.la voce.info, 13 dic. 2004). Quando il d. p. non trova copertura finanziaria si determinano le condizioni d’insolvenza pubblica (default dello Stato sovrano).

Il deficit pubblico nella teoria economica

Secondo gli economisti classici (teorema dell’equivalenza riccardiana) l’aumento dell’indebitamento per finanziare la spesa pubblica induce nei cittadini la consapevolezza di maggiori imposte future; pertanto i privati tenderanno a risparmiare di più e a investire di meno. L’approccio keynesiano contesta questa visione, suggerendo il ricorso all’indebitamento pubblico per stimolare la domanda aggregata nelle fasi in cui la produzione è al di sotto del livello di pieno impiego (➔ anche moltiplicatore). La visione monetarista evidenzia come i d. p. persistenti possano rallentare il potenziale di crescita dell’economia. Il finanziamento in deficit della spesa pubblica fa aumentare il tasso d’interesse, con una riduzione degli investimenti e un afflusso di capitali esteri. Quest’ultimo determina l’incremento della base monetaria che, non accompagnato da un corrispondente aumento dell’attività economica, produce fenomeni inflattivi che deprimono i consumi e scoraggiano ulteriormente gli investimenti (R. Rubin, P. Orszag e A. Sinai, Sustained budget deficits: longer-run U.S. economic performance and the risk of financial and fiscal disarray, 2004). M.S. Feldstein ha dimostrato come il finanziamento della spesa pubblica in deficit possa, da un lato, deprimere il risparmio privato (Perceived wealth in bonds and social security: a Comment, «Journal of Political Economy», 1976, 84), dall’altro, produrre un elevamento dei tassi d’interesse (Budget deficits, tax rules, and real interest rates, NBER Working Papers n. 1970, 1986). Tali considerazioni spingono a ritenere auspicabile il finanziamento dei d. p. in sole ipotesi eccezionali e, principalmente, per finanziare investimenti pubblici produttivi. In tali ipotesi lo spiazzamento degli investimenti privati è compensato dall’investimento pubblico e il debito pubblico risulta sostenibile nel lungo periodo; nelle ipotesi contrarie i d. accrescono l’instabilità finanziaria dell’economia.

La sostenibilità del deficit pubblico

Per valutare la sostenibilità del d. p., piuttosto che fare riferimento ai valori assoluti, si rapporta il d. al PIL. Per escludere gli effetti prodotti dalle fluttuazioni economiche, al fine di valutare la sostenibilità dell’indebitamento nel lungo periodo, si fa ricorso al d. p. aggiustato per il ciclo. Questo indicatore rapporta il d. al PIL potenziale, ricostruendo il d. aggiustato per il ciclo e rapportandolo al PIL che può essere prodotto, dati i fattori economici (capitale, fattore umano e tecnologie), senza creare inflazione.

Il Patto euro plus

Con l’istituzione della Comunità Europea (CE) e dell’Unione Monetaria Europea (UEM) si è avvertita l’esigenza di coordinare le finanze pubbliche, imponendo una maggiore disciplina dei bilanci pubblici, al fine di preservare la stabilità finanziaria. I Paesi aderenti alla UEM devono impegnarsi a rispettare due parametri di bilancio (art. 121, par. 1 del Trattato che istituisce la Comunità Europea): il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL e il d. p. non deve superare il 3%. Qualora i Paesi membri dovessero eccedere tali parametri, la Commissione può avviare una procedura per d. eccessivo che può concludersi con l’irrogazione di sanzioni a carico del Paese (regolamento 1467/1997 CE). Nell’intento di arginare la crisi e di indirizzare l’economia europea verso la crescita sostenibile, il Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011 ha approvato il Patto euro plus, che impegna i Paesi che posseggono debiti pubblici eccessivi a ridurre annualmente i medesimi in misura pari al 5%. La sanzione, in caso di inadempienza e di apertura di una procedura d’infrazione, è pari allo 0,2% del PIL.

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