DEDALO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

DEDALO (Δαίδαλος, Daedalus)

A. de Franciscis*

Il mito di D. presenta nella tradizione varie versioni. Sostanzialmente D. è detto ateniese, di stirpe eretteide, artefice, come il nome stesso indica (δαιδάλλω, lavoro con arte). Uccide il nipote per gelosia di mestiere e fugge da Atene (in una versione, che pare più antica, perde nella fuga il figlio Icaro); va a Creta presso Minosse, costruisce il Labirinto ed una vacca di legno per Pasifae. Imprigionato da Minosse per aver aiutato Teseo nella uccisione del Minotauro o secondo una versione forse non anteriore ad Euripide, per aver costruito la vacca, fugge a volo fabbricandosi le ali; in questa fuga perde il figlio Icaro; secondo un'altra versione fugge invece con Teseo; Virgilio (Aen., vi, 14 ss.) lo fa giungere a Cuma. Si ferma in Sicilia presso Cocalo ove è ben accolto, Minosse lo raggiunge e vuole riprenderlo, ma viene trucidato dalle figlie di Cocalo o da Cocalo stesso. Una saga locale pone la morte di D. in Licia. Gli antichi gli attribuirono varie invenzioni tecniche e lo consideravano un famoso architetto e scultore del quale enumeravano varie opere; già nell'Iliade (xviii, 590) è ricordato il χορός da lui fatto a Cnosso. D. sarebbe stato il primo a dare vita alle statue con il movimento degli arti ed avrebbe avuto numerosi discepoli. Il mito di D. si è andato formando man mano. Ne è stato distinto uno strato più antico, già fissato nel VII sec. a. C., cui seguirono successive manipolazioni fino a Virgilio, e si è pensato che nel mito più antico D. fosse considerato piuttosto un artefice, un artigiano, anziché un artista, come avvenne in seguito. Altri suppone che il primitivo ciclo mitico riguardi D. in rapporto con Creta e con la Sicilia, mentre il mito attico si sarebbe formato in seguito. Con il vaglio della materia mitica è collegata l'interpretazione della figura di D., così si è pensato ad un doppione di Efesto, tenendo presente un cratere fliacico del IV sec. a. C. (Londra), ove è la figura di quel dio, ma con il nome iscritto di D., oppure vi si è ravvisato l'ipostasi dell'artefice primitivo ed a lui sarebbero state attribuite tutte le opere arcaicissime che gli antichi conoscevano. Che sia stato una persona reale, a parte i miti fioritigli intorno, non si può affermare, ma neppure respingere senz'altro. Certo la sua permanenza a Creta ed in Sicilia ed i suoi rapporti con Atene, in qualunque tempo si vogliano stratificare queste parti del mito, sembrano adombrare da un lato l'espansione minoica nel Mediterraneo e dall'altro l'influsso della cultura artistica cretese in Attica, il che può trovare conferma nei dati che fornisce l'indagine archeologica (v. greca, arte).

Oltre al già citato cratere fliacico, l'iconografia di D. nelle arti figurative è piuttosto abbondante. Già secondo Aristotele (De mir. asc., 81) D. avrebbe rappresentato se stesso in una statua, ma a parte questa notizia, troviamo nella pittura vascolare D. che attacca le ali ad Icaro (anfora àpula, Napoli), e D. che fugge in volo mentre Teseo uccide il Minotauro (vaso Rayet). Il mito di D. e Pasifae appare nella pittura pompeiana (Casa dei Vetti), su sarcofagi, urne etrusche e rilievi marmorei (Palazzo Spada) e fittili d'età romana. La figura di D. che attacca le ali ad Icaro appare sui noti rilievi di Villa Albani, mentre il suo avventuroso volo con la conseguente caduta del figlio (nelle rappresentazioni più antiche però manca Icaro) appare tra l'altro sopra un vaso italiota e soprattutto nella pittura pompeiana ed ercolanese. Ne abbiamo finora Otto esempi, i quali appartengono in maggior parte a decorazioni di III stile. In esse è comune la prevalenza della rappresentazione paesistica nella quale si inserisce l'episodio mitico, e tutte hanno stretti punti di contatto; è stato però rilevato che mentre in alcune D. si accorge della sciagura, in altre pare non avvedersene e proseguire il suo viaggio (vedi anche icaro).

Una singolare immagine vestita di chitone fittamente pieghettato, con ali e capelli cinti da tenia, che tiene una sega in mano si trova sbalzata su una grossa bulla aurea, forse da Spina, alla Wolters Art Gallery di Baltimora, dove è distinta dal nome etrusco Taitle e contrapposta a una simile immagine con il nome Vicare cioè Icaro; fine lavoro etrusco della prima metà del V sec. a. C.

D. era raffigurato anche, ci dicono le fonti, nello scudo della Parthènos fidiaca (vedi scudo Strangford). Lo stesso personaggio è stato, dubitativamente, riconosciuto dal Moebius in una statua virile proveniente dagli scavi di Amman in Transgiordania. Citiamo infine un vetro cristiano della Biblioteca Vaticana nel quale la certezza della identificazione è offerta dalla iscrizione che corre tutt'intorno al campo circolare: al centro campeggia la figura di D. con toga, volumen, scettro e daga; intorno a lui sono le figure degli artieri intenti a varî lavori e di dimensioni ridotte.

Bibl.: Per le fonti: J. Overbeck, Schriftquellen, nn. 74-142; in generale: T. Schreiber, in Roscher, I, p. 394 ss.; P. Hofer, ibid., II, 114 ss.; C. Robert, in Pauly-Wissowa, IV, c. 1994 ss., s. v. Daidalos; Heeg, ibid., IX, c. 985 ss.; E. Pottier, in Diction. Antiq., II, p. 4 ss., s. v.; C. Albizzati, in Enc. Ital., XII, p. 474, s. v.; Thieme-Becker, VIII, p. 280 ss., s. v.; G. Becatti, La leggenda di Dedalo, in Röm. Mitt., LX-LXI, 1953-4, p. 22 ss. Per la bulla: G. M. A. Hanfmann, Daidalos in Etruria, in Am. Journ. Arch., XXXIX, 1955, pp. 189-194; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, n. 316; Tav. LXXVIII. Per lo scudo fidiaco: B. Schweitzer, in Jahrbuch, LV, 1940, p. 237, fig. 23; Ph. Stavropoullos, ῾Η ῾Ασπὶς τῆς Αϑηνᾶς Παρϑένου τοῦ Φειδίου, Atene 1950, pp. 54 e 59. Per la statua di Amman: H. Moebius, in Jahrbuch, LXVIII, 1953, p. 96 ss., figg. 1-3. Per le urne etrusche: G. Körte, I rilievi delle Urne Etrusche, II, pp. 28-30. Per le pitture pompeiane: A. Maiuri, Monum. Pitt. Antica, III, Pompei, II, p. 10 ss. Per i sarcofagi: C. Robert, Sarkophagrel., III, p. 47. Per il vetro cristiano: R. Garrucci, Vetri ornati di figure in oro trovati nei cimiteri dei cristiani primitivi di Roma, Roma 1885, p. 63, n. 3, tav. XXXIII.