Débito pùbblico

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débito pùbblico In senso lato il debito diretto dello Stato, quello delle aziende statali autonome (come per es. l’ANAS), delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, delle imprese ed enti speciali che direttamente o indirettamente appartengono allo Stato. In senso specifico soltanto il debito contratto dallo Stato all’interno e all’estero e più spesso il solo debito interno.

2.1 Tipologie A seconda del grado di liquidità che caratterizza quest’ultimo si distingue: il debito fluttuante (detto anche di amministrazione), costituito dall’insieme dei debiti contratti per un periodo di tempo non superiore all’anno per far fronte a disavanzi di cassa che si sperano momentanei, e cioè dai Buoni del Tesoro Ordinari (BOT), dalle anticipazioni di biglietti di banca da parte dell’istituto di emissione e dalle aperture di conto corrente al Tesoro da parte di istituti finanziari; e il debito consolidato, costituito da debiti contratti per far fronte a necessità che superano le ordinarie possibilità di bilancio e quindi a lunga o indeterminata scadenza.

Il debito consolidato è detto anche debito iscritto (perché viene appunto iscritto nel Gran libro del debito pubblico e le somme necessarie al suo servizio vengono quindi assunte in via definitiva a far parte delle spese ordinarie dei bilanci futuri) o debito fondato (in ricordo del consolidamento del debito pubblico attuato in Inghilterra all’inizio del 18° sec., e poi altrove, con la riunione in un solo fondo delle entrate prima destinate al servizio dei vari debiti). Il debito consolidato si distingue in redimibile e irredimibile a seconda che lo Stato si sia assunto l’impegno di rimborsare il capitale a epoche e con modalità stabilite, oltre che di pagare gli interessi, oppure si sia impegnato soltanto a corrispondere questi ultimi a tempo indefinito, conservando in genere la facoltà di rimborsare il capitale qualora lo ritenga più conveniente. I titoli che rappresentano queste due forme di debito si chiamano rispettivamente obbligazioni e rendite.

Il debito redimibile può essere a scadenza fissa, oppure rimborsabile gradatamente mediante versamento annuale ai titolari di una somma comprensiva di interessi e di quota parte di capitale (debito ad annualità), oppure rimborsabile mediante l’acquisto in borsa da parte dello Stato ogni anno di un certo numero di cartelle al valore corrente, quando questo sia inferiore al nominale, o mediante l’estrazione a sorte ogni anno di un certo numero di cartelle che vengono pagate ai titolari al valore nominale (debito a obbligazioni ammortizzabili). Quest’ultima forma è la più gradita al pubblico perché evita il rischio insito nella prima per il sottoscrittore, di consumare quasi senza accorgersene il capitale che gli viene restituito un po’ alla volta, e nello stesso tempo conserva, per lo Stato, il vantaggio di diluire nel tempo l’onere del rimborso. Tutti e tre i tipi di debito redimibile possono essere a premio (in genere l’ammontare annuale dei premi è fissato in una somma inferiore all’ammontare degli interessi che altrimenti dovrebbero pagarsi), a interesse (per lo più equivalente, ma a volte anche superiore, al saggio corrente) o misti, cioè fruttiferi a un saggio minore di quello corrente e concorrenti all’estrazione di premi nello stesso tempo (forma molto accetta ai sottoscrittori). In Italia lo Stato emette come titoli del debito redimibile i buoni del Tesoro poliennali, i Certificati di Credito del Tesoro (CCT) e i Certificati del Tesoro con Opzione (CTO).

Il debito irredimibile offre allo Stato il vantaggio di poter non rimborsare il capitale (debito non denunciabile) o di rimborsarlo nel tempo e nella misura più convenienti (debito denunciabile). È rappresentato da rendite nominative (titoli intestati, i cui interessi sono riscuotibili solo dall’intestatario o da un suo rappresentante e il cui trasferimento non può avvenire senza concorso dell’amministrazione, che deve annotarlo nel Gran libro del debito pubblico) o da rendite al portatore (i cui interessi sono riscuotibili dietro presentazione delle sole cedole e il cui trasferimento avviene con la semplice consegna) o ancora da rendite miste, costituite da certificati nominativi di iscrizione nel Gran libro del debito pubblico e da cedole al portatore per la riscossione degli interessi. La stessa distinzione tra nominativi, al portatore e misti vale anche per gli altri titoli del debito pubblico; il loro taglio, o valore nominale, può essere vario. In Italia lo Stato emette soltanto titoli al portatore; è facoltà dell’acquirente richiedere poi la trasformazione dei debiti in titoli nominativi. La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori delle obbligazioni statali viene indicata come servizio del debito. Le controversie fra lo Stato e i suoi creditori circa l’interpretazione dei contratti di prestito sono attribuite alla competenza esclusiva del Consiglio di Stato.

2.2 Estinzione del debito Il debito pubblico, qualunque sia la sua forma (in genere gli Stati ricorrono a varie forme insieme), costituisce una necessità per quasi tutti gli Stati, qualora si trovino di fronte a spese eccezionali che superino le entrate ordinarie, e non possano o non vogliano ricorrere ad altre entrate straordinarie e cioè all’alienazione di parte del patrimonio, all’introduzione di nuove imposte o all’emissione di carta moneta. Con il diffondersi della teoria keynesiana del deficit spending (deficit), il debito pubblico è inoltre ormai concepito anche come importante strumento di intervento dello Stato nella vita economica e non soltanto in funzione anticiclica. Quel che è certo è che il servizio del debito pubblico (pagamento degli interessi, dei premi e parziali rimborsi di capitale) grava pesantemente sui bilanci degli Stati moderni i quali, quando possono, cercano di diminuire quest’onere ricorrendo o alla graduale estinzione del debito pubblico (naturalmente di quello irredimibile, poiché l’altro si estingue da sé), con destinazione a questo scopo di particolari somme o di avanzi di bilancio o con istituzione di un’apposita cassa di ammortamento, oppure alla riduzione degli interessi del debito, mediante conversione libera facoltativa, libera obbligatoria o anche forzosa dei titoli esistenti in nuovi titoli a diverse condizioni, o mediante l’assoggettamento degli interessi degli stessi a nuove imposte o la diminuzione del loro valore reale in conseguenza della svalutazione della moneta. Lo Stato può inoltre disconoscere i debiti precedentemente contratti, ma in genere ricorre a ciò soltanto in caso di radicali mutamenti di governo che gli permettano di rinnegare gli impegni del passato senza pregiudicare l’avvenire; d’altra parte anche la conversione forzosa, sia palese sia mascherata, è una larvata forma di ripudio. Nell’ordinamento italiano, il prestito deve essere autorizzato da leggi speciali.

Il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, divenuto operativo nel novembre 1993 tra i 12 paesi europei appartenenti alla CEE, ha stabilito che il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo dei paesi membri non possa eccedere il 60%. In realtà tale rapporto appariva troppo restrittivo per alcuni paesi, tra i quali l’Italia, ai quali fu consentito di derogare a tale indicatore con l’impegno formale di varare politiche economiche atte alla convergenza costante e stabile negli anni verso la soglia stabilita dal trattato.

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