DEAMBULAZIONE

Enciclopedia Italiana (1931)

DEAMBULAZIONE (dal lat. deambulare "camminare"; fr. démarche: sp. marcha o deambulación; ted. Gangart; ingl. gait)

Gioacchino Fumarola

Secondo la descrizione schematica dei fratelli Weber, nell'uomo, gli arti inferiori, nel cammino ordinario, sono alternativamente attivi, cioè, mentre l'uno, appoggiando sul suolo, sostiene tutto il peso del corpo e spinge in avanti il centro di gravità, l'altro compie un movimento pendolare. Ciascun passo del cammino verrebbe, così, ad essere considerato come un movimento di caduta in avanti, arrestata dall'appoggio dell'arto che da passivo si fa attivo.

Questa dottrina, invero troppo schematica, è stata opportunamente modificata da ulteriori indagini. L. Luciani, per esempio, fondandosi sulle osservazioni di A. B. Duchenne e sulle ricerche di J. Marey, ritiene inammissibile che l'arto sollevato dal suolo e oscillante dall'indietro in avanti resti completamente passivo durante la sua oscillazione: nel cammino regolare, difatti, è indispensabile, allo scopo di evitare il contatto col suolo dell'arto che oscilla, l'intervento attivo dei flessori della coscia (tensor fasciae latae, ileopsoas, sartorius). Quanto ai disturbi della deambulazione è innanzi tutto da notare che una serie di particolarità del cammino rientrano nel campo fisiologico, quindi prima di ammettere un'anomalia, si debbono prendere in considerazione le variazioni individuali. Quali che siano questi disturbi, tutti possono rientrare in uno dei tipi fondamentali seguenti: paretico, spastico, atassico.

a) Deambulazione paretica: il paziente cammina lentamente, a piccoli passi, per modo che il tallone del piede che avanza non sorpassa la punta del piede che sta fermo; flette poco le gambe; striscia di tanto in tanto ora l'uno ora l'altro piede sul suolo.

b) Deambulazione spastica: l'ammalato incede con grande difficoltà, senza quasi affatto piegare le gambe. Nel momento in cui il piede prende contatto col suolo esso viene a volte colpito da oscillazioni che si comunicano alla coscia e al tronco. Le cosce sono ravvicinate, quasi in contatto le ginocchia, il piede è in varoequinismo e non poggia sul suolo che per la faccia plantare delle dita (démarche digitigrade). Durante il cammino i piedi non lasciano il suolo, ma vi strisciano con la punta e col margine esterno, mentre il tallone e il margine interno rimangono a una certa distanza dal suolo stesso. Poiché i varî segmenti degli arti sono tenuti rigidi, questi non possono essere portati innanzi che mediante una inclinazione con rotazione del tronco dal lato opposto (démarche des gallinacés, di J. M. Charcot). Nei casi estremi la deambulazione non è possibile che con l'aiuto delle grucce: i piedi non prendono contatto col suolo che per permettere alle grucce di essere portate innanzi, onde il corpo oscilla come un pendolo avanti e indietro (démarche pendulaire).

c) Deambulazione atassica, che si distingue in atassica spinale e atassica cerebrale. Nell'atassia spinale (pura) l'alterazione della deambulazione è caratterizzata dall'eccesso di escursione dei movimenti: la coscia viene esageratamente flessa sul bacino e ruotata infuori bruscamente, la punta del piede sollevata oltre misura, la gamba lanciata in giù con violenza in modo da toccare il suolo col tallone, il ginocchio dell'altro lato fissato energicamente. Il passo è incerto: il paziente cammina a gambe divaricate, con lo sguardo fisso al suolo, e rischia di cadere appena guarda altrove. Nell'atassia cerebellare la deambulazione rassomiglia molto a quella dell'ubbriaco e a quella del bambino che impara a camminare: il malato, cioè, incede a gambe divaricate, e non tocca coi piedi il suolo sempre nella stessa maniera, ma ora li poggia a piatto, ora col tallone, ora con la parte anteriore, mentre le dita eseguono continui movimenti di flessione e di estensione. I piedi, inoltre, vengono sollevati poco da terra; il corpo ora va da un lato, ora dall'altro, offrendo a volte il quadro dell'uomo ebbro che tituba e descrive dei zig-zag. Nei casi più gravi il disturbo dell'equilibrio può essere tale da impedire al malato di serbare la stazione eretta, anche con appoggio. La chiusura degli occhi non pare che aumenti la instabilità, tranne nei casi di lesione grave del cervello, con compressione delle parti vicine.

Oltre a questi tipi fondamentali di deambulazione morbosa, ne esistono degli altri, i quali o rientrano in una delle categorie precedenti, o sono combinazioni delle stesse. Essi sono:

1. la deambulazione dell'emiplegico giunto al periodo di contrattura: il paziente, camminando, non flette il ginocchio né estende il piede, ma fa il passo muovendo esclusivamente l'anca. L'aumento relativo, in lunghezza, dell'arto, causa l'equinismo e la mancanza di flessione dei varî segmenti, fa sì che l'arto stesso non possa essere portato in avanti se non facendogli descrivere un arco di cerchio (deambulazione elicopode): l'ammalato marche en fauchant (Charcot) e il piede sfiora il suolo col margine interno e con la punta. L'emiplegico isterico, al contrario, marche en draguant (Charcot), cioè, strisciando direttamente la punta del piede sul suolo;

2. la deambulazione degli infermi affetti dal morbo di Parkinson: questi individui incedono con un movimento progressivamente accelerato, per modo da sembrare che essi corrano appresso al loro centro di gravità (Charcot);

3. lo steppage, per paralisi dei muscoli extensores pedis (nervus peronaeus profundus);

4. la deambulazione dei coreici e quella degli individui affetti da tic degli arti inferiori (arresti bruschi del cammino, genuflessioni, salti, cambiamenti del passo, ecc.);

5. la deambulazione nell'astasia-abasia isterica, che si traduce con l'impossibilità assoluta da parte del paziente di stare in piedi e di camminare, mentre gli altri movimenti sono ben conservati.

Bibl.: L. Luciani, Fisiologia dell'uomo, Milano 1923; J. Déjerine, Séméiotique du système nerveux, Parigi 1927.

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