DE ANDREIS, Francesco Tranquillo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE ANDREIS, Francesco Tranquillo (Tranquillus Andronicus Parthenius)

Silvano Cavazza

Nacque a Traù in Dalmazia da Giovanni e da Clara tra il 1490 e il 1495.

La famiglia era una delle più antiche della città e fin dal secolo XIII aveva mantenuto stretti rapporti con la Corona ungherese: in particolare nel 1493 Ladislao II Jagellone, re di Boemia e d'Ungheria e figlio di Casimiro IV di Polonia, aveva designato il dotrienicano Vincenzo De Andreis (1441-1523/24) alla diocesi croata di Otočac. Nel luglio 1502 Matteo De Andreis (Matthaeus Andronicus) pubblicò a Venezia un Epithalamium di 451 esametri in occasione delle nozze di Ladislao Il con Anne de Foix. Negli stessi anni un Tranquillo Andronico fu al seguito di Jan Lubrafiskil vescovo di Poznańi, e morì in Polonia agli inizi del secolo, dopo aver frequentato i circoli umanistici di quel paese.

Il D. dovette essere in stretti rapporti di parentela con questi personaggi, per quanto il padre probabilmente fosse sempre vissuto a Traù, dove rivestì cariche nell'amministrazione veneziana (fu sopracomito della galera della città nel 1488 e 1490). Non è facile ricostruire la carriera scolastica del giovane D.: forse dapprima studiò a Ragusa, di cui talvolta fu ritenuto originario; in seguito risiedette in vari centri universitari italiani, Padova, Bologna, Siena, Perugia, certo per accompagnare i suoi illustri protettori d'Oltralpe. In Italia non conseguì infatti alcun grado accademico. Intorno al 1514-15 lo troviamo a Roma, già provetto latinista, al seguito dell'arcivescovo di Gniezno e primate di Polonia jan Laski seniore, giunto in Italia per prender parte al concilio lateranense e per provvedere all'educazione letteraria dei nipoti. In questo periodo il D. partecipò con un'ode in onore del suo patrono alla raccolta di vari poeti polacchi De memorabili caede scismaticorum Moscoviorum per serenissimum ac invictissimum D. Sigismundum regem Poloniae, pubblicata forse a Cracovia nel 1515. Nel marzo dello stesso anno dedicava al Laski, firmandosi "Franciscus Andronicus", due carmi elegiaci d'argomento religioso, rimasti inediti.

Lasciato il servizio dell'arcivescovo, il D. frequentò le università d'Oltralpe: nell'aprile 1517 s'immatricolò a Vienna, come membro della nazione austriaca e sotto il nome di "Tranquillus Partenius Dalmata". Fu in relazione con Joachim von Watt (Vadianus), se inserì un epigramma nell'edizione di Pomponio Mela da questo curata (Vienna 15 18). Il soggiorno nella città austriaca fu breve: il 15 ag. 15 17, come "Tranquillus Parthenius Dalmatha poeta", era iscritto all'università di Ingolstadt, dove il Vadianus lo aveva raccomandato ad Urbanus Rhegius. Qui il D. tentò invano di tenere un ciclo di lezioni su autori latini. johann Eck, il potente professore di teologia di quell'università, accettò. di stampare alcuni suoi versi nella propria edizione del De mystica theologia di Dionigi (Augusta 1519): ma non apprezzò le critiche del dalmata ai maestri scolastici. Nella primavera del 1518 il D. s'immatricolava alla università di Lipsia, nella nazione polacca. Nello stesso anno pubblicò ad Augusta il poema Ad Deum contra Thurcas oratio carmine heroico, composto ad Ingolstadt in marzo. Il 25 maggio, in occasione della Dieta imperiale, dedicava a Massimiliano d'Asburgo l'Oratio contra Thurcas ad Germanos habita, sempre stampata ad Augusta in quell'anno. Il testo in versi e quello in prosa. esortavano i principi tedeschi a mettersi alla guida della riscossa cristiana contro i Turchi: Massimiliano doveva cingersi anche delle corone imperiali di Costantinopoli e Trebisonda.

A Lipsia il D. poté tenere lezioni su Cicerone e Quintiliano; in agosto pubblicava l'Oratio de laudibus philosophiae. Da Norimberga Willibald Pirckheimer gli dimostrò il proprio interessamento; Johann Reusch inseriva suoi versi nella Declamatio de vero Philosopho (Lipsia 1518). La situazione personale del giovane tragurino era tuttavia difficile: il 3 genn. 1519 scrisse a Pirckheimer lamentando la propria solitudine e l'ostilità di quanti lo circondavano, e si dichiarava tanto infelice da avere in odio la vita. A Lipsia in effetti s'era procurato non poche inimicizie: in una lettera ad Erasmo del 6 genn. 1519 Petrus Mosellanus lo definiva un perditempo, trascinato in quell'università dalla lontana Dalmazia da chissà quale vento dispettoso.

In primavera lasciò Lipsia alla volta di Lovanio per far visita a Erasmo, forse nella speranza di trovare impiego nel "Collegium Trilingue" da poco istituito. Erasmo però in quei giorni era ad Anversa ed egli deluso lasciò la città per Parigi, non senza aver fatto prima circolare versi mordaci nei confronti dell'umanista olandese e dell'istituzione da lui patrocinata. Erasmo gli scrisse il 28 giugno 1519, per giustificarsi del mancato appuntamento: la lettera è cortese nelle espressioni, ma non cela il risentimento e l'irritazione che le poesie satiriche avevano in lui provocato.

Da questo momento fino al 1527 non abbiamo più notizie del D.: ma si può supporre che egli abbia preso la via dell'Europa orientale. Nei mesi convulsi che seguirono la vittoria turca di Mohács si trovava infatti a Buda, tra i sostenitori di János Zápolya, contrastato nuovo sovrano d'Ungheria: un gruppo che godeva dell'appoggio di Hieronim Laski, nipote dell'arcivescovo di Gniezno, e che comprendeva anche il tragurino Giovanni Statilio, cappellano del re, e vari altri dalmati. Nel febbraio 1527 il D. era segretario dell'ambasciatore francese Antonio Rincon, sostenitore dello Zápolya in funzione antiasburgica; nei mesi seguenti, passando per la Polonia, si recava in missione a Parigi, dove giunse alla fine dell'estate. Qui dedicò il dialogo Sylla (stampato nel medesimo anno senza indicazioni tipografiche, forse a Strasburgo) al vecchio umanista greco janus Lascaris, che in quel periodo era occasionalmente nella città francese, impegnato in una dura polemica contro Erasmo.

L'operetta, sullo stile dei dialoghi di Luciano, forse riflette i recenti avvenimenti ungheresi in senso favorevole allo Zápolya: non la prepotenza dei tiranni, ma solo il favore dei sudditi conserva gli Stati. L'opposizione è tra Silla, che mantenne le libertà repubblicane, e Cesare che le conculcò per affermare la propria supremazia personale.

Il viaggio di ritorno dalla Francia fu particolarmente avventuroso: raggiunta Ragusa via mare, il D. fece un lungo giro per evitare i sostenitori degli Asburgo. In Transilvania incontrò Hieronim Laski e con lui proseguì alla volta di Costantinopoli, per chiedere l'intervento del sultano in aiuto dello Zápolya. Furono favorevolmente accolti da Alvise Gritti, il figlio bastardo del doge di Venezia Andrea Gritti, ricco appaltatore e consigliere potentissimo alla corte di Solimano il Magnifico. Da Costantinopoli i due emissari raggiunsero il sovrano ungherese in Polonia, dove s'era recato per trovare protezione, garantendogli l'appoggio dei Turchi.

All'inizio del 1529 il D. fu inviato ancora a Costantinopoli, per sollecitare una spedizione contro Ferdinando d'Asburgo. Giunti vittoriosi fin sotto le mura di Vienna, i Turchi posero il regno dello Zápolya sotto il loro protettorato e nominarono il Gritti governatore - e poi capitano generale - dell'Ungheria. Il D. venne assegnato al suo servizio come segretario, ma anche per spiarne le mosse e per difendere gli interessi ungheresi: egli seguì il nuovo signore sul Bosforo, nel suntuoso palazzo alla periferia di Pera., accompagnandolo nel 1530 e nel 1532 in due successive campagne militari contro gli Asburgo. Aveva raggiunto una posizione di tutto riguardo, anche perché era l'unico del seguito che sapesse usare un buon latino: ma attirò su di sé i sospetti della corte di Buda, in particolare del concittadino Statilio. Per i suoi servigi tuttavia lo Zápolya gli assicurò numerose rendite, tra le quali la ricca prepositura di Eger.

Nell'estate del 1534 il Gritti fu sorpreso in Ungheria dalla rivolta contro i Turchi: a lungo assediato nel castello transilvano di Medgyes, venne infine tradito dal voivoda di Moldavia che lo consegnò agli Ungheresi, dai quali fu ucciso (29 sett. 1534). Il D., che era con lui, riuscì a salvarsi perché Giovanni Statilio pagò ai Moldavi un riscatto di 500 fiorini. In quel periodo anche il Laski, per l'amicizia col Gritti, era caduto in disgrazia presso lo Zápolya, cosicché il D. si rifugiò nel castello di Radnót in Transilvania, dove sul finire dell'anno compose, dedicandola ad un magnate polacco, l'epistola De rebus in Hungaria gestis ab illustrissimo et magnifico Ludovico Gritti de que eius obitu, rimasta allora inedita. L'opera fa la cronistoria degli avvenimenti passati, difende la figura del Gritti e denuncia con forza il tradimento ungherese. Ormai tagliato fuori dalle antiche amicizie, il D.. passò in seguito a Nord, trovando per lunghi anni ospitalità a Késmárk (Keimarok), sul versante meridionale dei monti Tatra, feudo della famiglia Laski.

Nel 1538 il D. si mise nuovamente in contatto con i conterranei che vivevano alla corte ungherese: da aprile ad ottobre ebbe un fitto carteggio con Antonio Veranzio, di Sebenico, nipote di Statilio. A Buda lo si era dato per morto: congratulandosi con lui per lo scampato pericolo, il Veranzio si preoccupò anche che egli non divulgasse gli scritti ostili allo Zápolya composti nel rifugio di Késmárk. Il D. in effetti era stato coinvolto nei voltafaccia di Hieronim Laski che, dopo.aver riacquistato il favore del re ungherese, ora stava passando dalla parte di Ferdinando d'Asburg). Nel luglio 1539 il D. fu mandato in missione a Vienna, dove venne arrestato prima che arrivassero le commendatizie del Laski, nelle quali si chiariva la sua posizione: doveva essere impiegato, grazie alla conoscenza degli ambienti turchi, nelle trattative per assicurare agli Asburgo il dominio dell'intera Ungheria. In settembre il D. si recava, come rappresentante di Ferdinando, presso il voivoda di Moldavia. L'anno successivo seguì Laski nell'ambasceria a Costantinopoli: ma in estate lo Zápolya mori e Laski venne trattenuto come ostaggio dal sultano; nel corso del 1541 l'esercito turco occupava gran parte dell'Ungheria.

Il D. aveva potuto lasciare Costantinopoli: nel marzo 1541 era a Cracovia presso, Sigismondo I e la regina Bona Sforza per chiedere il loro intervento a favore di Laski (liberato solo mesi più tardi, poco prima di morire a Cracovia alla fine dello stesso anno). In settembre egli si recava in Italia, per illustrare a Carlo V la situazione ungherese. In quella circostanza compose l'Oratio ad Germanos de bello suscipiendo contra Thurcos, che pubblicò a Vienna in dicembre, insieme con l'oraziòne De Caesaribus Romanorum invictissimis Carolo et Ferdinando. In realtà Ferdinando contava di riacquistare l'Ungheria, più che con la guerra, con il pagamento di un altissimo tributo annuo a Solimano. Per intraprendere una trattativa in tal senso il D. venne nuovamente mandato a Costantinopoli, nel luglio 1542. La missione fallì completamen te: egli non fu nemmeno ricevuto dal sultano, anzi rischiò di essere imprigionato come spia. In novembre era già di ritorno.

Il 10 genn. 1543 il D. inviava a corte un'esauriente relazione su quanto era avvenuto, reclamando anche il pagamento di sedici mensilità di stipendio arretrato. L'anno prima Ferdinando gli aveva conferito quale ricompensa la prepositura di Pápóc: ma le rendite erano assai limitate, mentre si susseguivano ambascerie onerose. Nell'estate 1543 il D. era in Inghilterra, per chiedere la partecipazione di Enrico VIII all'alleanza antiturca; poi fu in Italia, da dove, sul finire del 1544, passò in Polonia, ospite della famiglia Laski. Il 16dicembre, a Poznaú, dedicava al ricco finanziere Sewerin Boner il Dialogus philosophandum ne sit, d'ispirazione plutarchesca, dove non mancano alcuni favorevoli accenni ai costumi turchi, specialmente nel campo educativo.

Il dialogo fu pubblicato nel 1549 a Cracovia insieme con l'orazione Ad optimates Polonos, dedicata il 2 maggio ad Andrzej Górka, capitano generale della Polonia: in essa i nobili polacchi sono esortati a lasciare le dispute intestine, che rischiano di mettere il paese nelle mani dei Turchi, com'era avvenuto per l'Ungheria. La Polonia è definita l'unico baluardo di libertà per i popoli slavi, per il resto interamente dominati dagli Ottomani.

È probabile che nel 1545 il D. non fosse più al servizio degli Asburgo. Degli anni seguenti non sappiamo nulla: forse si trattenne in Polonia. Alla fine del 1549 era tornato a Traù, da dove riprese la corrispondenza con Antonio Veranzio, ormai importante dignitario della Cancelleria austriaca. Il 12 marzo 1550 Veranzio gli scriveva da Vienna rallegrandosi ("O senex fortunate") della pace di cui poteva godere nella città natale. In realtà l'umanista non cessò d'intrattenere continui rapporti con gli ambienti ungheresi, compiendo ancora lunghi viaggi. Era titolare di vari benefici ecclesiastici, per godere dei quali rimase celibe e aveva preso gli ordini minori (ma un documento del 1565 lo definisce senz'altro laico): a suo dire però le rendite erano scarse e tardavano ad essergli pagate. Per migliorare le cose cercò l'appoggio di Miklós Oláh, che era primate d'Ungheria, al quale dedicò poesie latine. Tenne anche un fitto carteggio col magnate ungherese Tamás Nádasdy, cui non mancò di fare spesso visita nel possedimenti di Sárvár.

Il D. pensava ancora alla guerra contro i Turchi e alla liberazione dell'Ungheria occupata. Nel luglio 1564, ospite a Vienna di Veranzio, già vescovo di Pécs, fece circolare a corte un carmen invectivum, in cui erano condannati i cedimenti degli Asburgo sul confine orientale: lo scandalo fu notevole e solo il trambusto per la morte dell'imperatore Ferdinando gli consentì di ritornare a Traù senza conseguenze. Anche in patria, tuttavia, egli si lasciava andare a prese di posizione compromettenti. Giudicava con severità il pontificato di Pio IV, tanto che per i suoi discorsi fu addirittura sospettato d'eresia, sebbene l'inchiesta non provasse alcunché in merito. Il 23sett. 1565 in ogni caso venne costretto a una pubblica "purgatio canonica" dall'arcivescovo di Zara, che agiva in nome dell'assente titolare di Traù. Ancora nell'estate 1569 l'amico Veranzio, divenuto primate e luogotenente d'Ungheria, lo ammoniva a una maggior cautela nel condannare i mali del suo tempo. Il D. gli rispose in ottobre, usando toni ispirati: rivendicò la propria libertà di giudizio e la piena fiducia nella verità come manifestazione di Cristo stesso.

Agli inizi del 1570, le notizie della lega cristiana contro i Turchi suscitarono nel vecchio umanista gli antichi entusiasmi. Il 2 febbraio scriveva a Veranzio una lettera piena di elogi nei confronti di Pio V. Negli stessi mesi componeva una lunga epistola latina, un vero e proprio trattatello, indirizzata al pontefice, in cui esortava la Cristianità alla riunione nella comune lotta.

Lo scritto non manca di severe critiche all'operato di precedenti papi e in generale alla vita della Curia romana, accusata di venalità, di lusso, di corruzione: ai suoi costumi viene contrapposta la povertà evangelica della Chiesa primitiva. In quel difficile momento l'autore auspica però la riconciliazione di tutte le confessioni cristiane, sulla base dei principi comuni della fede. Andronico si preoccupò che l'epistola venisse consegnata a Pio V: riuscì a farla pervenire a Roma nelle mani del cardinal Morone, da cui tuttavia non ebbe risposta.

L'anno successivo egli si recò ancora nella capitale ungherese Pozsony (Bratislava), portando con sé i suoi scritti inediti: dalla città scrisse il 30 giugno a Veranzio, che era assente. Questi gli rispose l'8 luglio, invitandolo a fermarsi in Ungheria, per evitare i pericoli della guerra in corso. Il D. invece volle ritornare in patria. Il viaggio fu travagliato: a Lipa, in Croazia, dovette lasciare il bagaglio e i manoscritti. Raggiunta Traù, vi morì all'inizio dell'autunno 1571, in casa del nipote Francesco, tre giorni prima che i Turchi conquistassero la vicina località di Salona, affacciandosi sull'Adriatico.

Fino all'ultimo il D. aveva raccomandato che le sue opere fossero ricuperate e fatte conoscere, in particolare l'Epistola a Pio V: il fedele nipote esaudi questa volontà e fece circolare il testo in varie copie manoscritte. Nel febbraio 1576 un esemplare pervenne nelle mani del vescovo di Traù, che aprì un'inchiesta per possesso di libri contrari alla fede cattolica. Gli atti furono trasmessi al S. Uffizio veneziano, che il 28 genn. 1577 iniziò il processo a Francesco De Andreis e al suo copista. Alla fine di agosto gli imputati furono prosciolti: il De Andreis s'impegnò tuttavia a consegnare ogni carta sospetta che lo zio avesse lasciato. Nondimeno il 10 ottobre dello stesso anno egli dedicava sempre a Venezia, un'elegante copia in pergamena dell'Epistola de rebus gestis ab Ludovico Gritti al barone Albert Laski (l'attuale Ms. fol. lat. 3760 della Bibl. naz. Szechényi di Budapest). Il codice in cui il D. aveva raccolto tutti i suoi scritti in prosa, solo in piccola parte stampati, fu conservato in casa De Andreis fino all'Ottocento, tanto che il Ferrari Cupilli poté ancora descriverlo: ma ora non è più reperibile.

Opere le edizioni cinquecentesche sono descritte nell'Index Aureliensis, I,Baden Baden 1965, pp. 570 s. Il poema Ad Deum contra Thurcos e l'Oratio contra Thurcos del 1518 sono ristampati in E. Böcking, Ulrichi Huttem Opera, Lipsiae 1859-61, V, pp. 205-228. L'Epistola de rebus gestis ab Ludovico Gritti è edita, con importante prefazione, da F. Banfi in Arch. stor. per la Dalmazia, XVIII (1934), pp. 417-468. Versi per lo più inediti sono a Budapest, Bibliot. universitaria, ms. H 46: Olahi Nicolai carmina partim propria, partim aliena, e a Zara, Naučna Biblioteka, ms. 617: Varia Dalmatica, cc. 33r-52r.

Fonti e Bibl.: Le principali raccolte di lettere e docum. inediti si trovano a Budapest, Archivi nazionali magiari, Kamarai Lt., Nádasdy cs. It. (Archivio famiglia Nádasdy); Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio, busta 41, fascicolo De Andreis Tranquillo, con una copia dell'epistola a Pio V; Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Staatenabteilung Turcica, Fondo antico, ad annos 1539-1543. Lettere, documenti, testimonianze in J. Heumann, Documenta literaria varii argumenti, Altorfii 1758, pp. 321 ss.; A. von Gévay, Urkunden und Actenstücke zur Geschichte der Verhaltnisse zwischen Osterreich, Ungarn und der Pforte im XVI. und XVIII. Yahrhundert, Wien 1842, VIII, 2, pp. 12, 20-24, 27, 43 ss.; IX, pp. 83 s., 123 ss., 134 ss.; E. Charrière, Négociations de la France dans le Levant. I, Paris 1849, pp. 160, 554; A. Verancsics [A. Veranzio], Osszes Munkdi (Opere complete), Pest 1857-1875, in Monum. Hung. Hist., Script., VI, VII, X, XIII, ad Indicem; Letters and Papers, Foreign and Domestic, of the Reign of Henry VIII, London 1862-1910, V, p. 223; XVIII, I, pp. 383, 490, 500; XVIII, 2, p. 14; Vadianische Briefsalmmung, St. Gallen 1890-1908, I, p. 201; Suppl. III, pp. 163 ss.; Nuntiaturberichte aus Deutschland, s. 1, 1533-1559, V, Berlin 1909, p. 285; VII, ibid. 1912, pp. 162, 189, 385; P. S. Allen, Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, III,Oxford 1913, pp. 469, 621-624; Acta et epist. relat. Transylvaniae Hungariaeque cum Moldavia et Valachia, I, Budapest 1914, pp. 242 ss., 299 s.; Acta Tomiciana, XIII, Posnaniae 1915, pp. 323 ss.; Monum. Habsb. Regni Croatiae, III, Zagabriae 1917, p. 7. Per i repertori tradiz., di scarsa utilità, cfr. Index bio-bibliogr. notorum hominum, Osnabrück 1976, pars C, V, p. 44-58; J. von Hammer, Gesch. des Osmanischen Reiches, II, Pest 1834, pp. 167 s., 182 s.; G. Ferrari Cupilli, Cenni biogr. di alcuni uomini illustri della Dalmazia, Zara 1887, pp. 8-14; S. Hegedús, Analecta recentiora ad historiam renascentium in Hungaria litterarum spectantia, Budapest 1906, pp. 427 ss.; I. Lukinich, Tranquillus Andronicus életéhez (Biografia di T.A.), in Levèltári Közlemènyek, I (1923), pp. 179-186; G. Praga, Poesie di Pascasio da Lezze, Tranquillo Andronico e Marino Statilio in onore di patrizi di casa Cippico, in Arch. stor. per la Dalmazia, XXII (1936), pp. 283 s., 286; F. Banfi, Matteo Andreis da Traù per le nozze di Vladislao II re d'Ungheria con la regina Anna di Foix (1502), ibid., XXV (1938), pp. 19-33, M. Breyer, Fran Trankvil Andreis-Andriievic. Humanist, Diplomat iz Trogira, Zagreb 1941; B. Bolz, Literacka Spulcizna Andronika (De ignotis adhuc Francisci Andronici foliis manuscriptis), in Meander, XVII (1962), pp. 378-392; C. Bonorand, Aus Vadians Freundes-und Schúlerkreis in Wien, St. Galien 1965, pp. 66 ss.; M. Cytowska, Andronicus Tranquillus Dalmata: a Laski csaldd és ZápoIya Yános undvardnak familidrisa (Un umanista al servizio della famiglia Laski e della corte di re Giovanni Zápolya), in Tanulmdnyok a lengyel - magyar irodalmi kapciolatok kéirébéil, Budapest 1969, pp. 129-143; 1- N. Goleniséev Kutuzov, fl Rinascimento italiano e le letterature slave dei secoli XV e XVI, Milano 1973, I, pp. 72-79; M. Stoy, in Biographijches Lex. zur Geschichte Súdosteuropas, I,München 1974, pp. 71 s.; A. Ritóok Szalay, Andronicus Tranquillus Dalmata und die vita aulica, in Ziva Antika, XXV (1975), pp. 202-209; L. Szczucki, Filozofia i mysl spoleczna XVI wieku (Filosofia e pensiero sociale dei XVI secolo [in Polonia]), Warszawa 1978, pp. 12, 115-120; N. Kolumbié, Krvava rijeka. Franjo Trankvil Andreis (Il fiume di sangue. F. T. Andreis), Zagreb 1979 (biografia romanzata); N. Kolumbié. in Hrvatski biografski leksikon, I,Zagreb 1983, pp. 115-119 (con ulteriori riferimenti alla bibliografia croata); P. G. Bietenhoiz, in Contemporaries of Erasmus, I, Toronto 1985, pp. 56 s.

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