Darwinismo sociale

Dizionario di Storia (2010)

darwinismo sociale


Locuzione che apparve negli anni Ottanta dell’Ottocento per indicare l’applicazione dell’evoluzionismo allo studio delle società umane. La locuzione non acquistò mai, però, contenuti precisi, e ai primi del Novecento fu resa obsoleta da trasformazioni culturali quali la reazione antipositivista e la nascita dell’antropologia funzionalista, nonché dalla riscoperta delle teorie biologiche di Gregor Mendel. La prima applicazione sistematica del darwinismo in campo sociale fu attuata da Herbert Spencer in Inghilterra, il quale ebbe una vasta influenza sulla cultura dell’Ottocento. Con Spencer il darwinismo si trasformò da teoria probabilistica della mutazione in tassello di una metafisica naturalistica finalisticamente orientata a interpretare la storia umana. Il meccanismo della selezione naturale, ribattezzata da Spencer «sopravvivenza del più adatto», divenne così un principio con cui spiegare la causazione naturalistica delle istituzioni e individuarne il necessario percorso. Nel 1872 Walter Bagehot, uno dei più eminenti intellettuali vittoriani, pubblicò una serie di saggi in cui delineava lo sviluppo della società e dello Stato combinando sapientemente Darwin, Maine e Lamarck. Assunta la selezione naturale come principio guida e data per scontata l’analogia fra variazioni biologiche e innovazioni socioculturali, Bagehot vide nella capacità di queste ultime la via che ha condotto al passaggio da società dispotiche basate sulla forza a società come quella romana, fondata sul diritto, fino al government by discussion inglese, culmine evolutivo della libertà e della ragione. Nell’Europa continentale il polacco Ludwig Gumplowicz, alla fine dell’Ottocento, illustrò la sociologia come la scienza dell’interazione fra i gruppi e delineò l’evoluzione del processo interattivo dall’orda primitiva fino allo Stato, servendosi di un modello conflittuale fondato sulla lotta per l’esistenza. Influenzato da Comte e da Gobineau, oltre che da Darwin, negò l’inevitabilità del progresso e, individuando nello Stato una forma evolutivamente superiore, aderì a una visione ciclica della storia.

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