NICCODEMI, Dario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NICCODEMI, Dario

Salvatore Canneto

– Nacque a Livorno il 27 gennaio 1874, secondogenito di Antonio, orafo di scarsa fortuna (che morì suicida a 60 anni), e di Amalia Ceccherini.

Trascorse l’adolescenza in Argentina, a Buenos Aires, dove la famiglia era emigrata nel 1884. Dopo soltanto due anni di scuola, venne mandato a lavorare in una ditta di gioielli, ma la sua vera passione era la letteratura, in particolare quella teatrale, cui cominciò a dedicarsi con vivo interesse. Oltre a compiere un goffo quanto sfortunato tentativo di calcare le scene, scrisse, ancora giovanissimo, i suoi primi lavori: due mediocri ma applaudite commedie in spagnolo, Duda suprema (1897) e Por la vida (1898). Iniziò inoltre a esercitare l’attività giornalistica, divenendo presto collaboratore della cronaca teatrale di El País e del Diario de comercio. Nell’aprile 1901 fondò e diresse per qualche tempo un settimanale illustrato, El Teatro.

In quegli anni sposò la figlia di Alessandro Incrocci, anch’egli emigrato livornese, allora direttore amministrativo del teatro Politeama di Buenos Aires. La coppia ebbe tre figli, Mamè (scomparsa improvvisamente nel 1922), Amalita e Antonio (che si spense trentenne nel 1932).

Nel 1901 abbandonò definitivamente l’Argentina, stabilendosi a Parigi, dove divenne segretario della celebre attrice Gabrielle Réjane, conosciuta poco tempo prima a Buenos Aires, e del suo Nouveau Théâtre. Lavorò inizialmente come copiatore di testi teatrali; in seguito, divenuto amante dell’attrice, tradusse e adattò per lei alcune note opere del repertorio teatrale italiano, come La locandiera di Carlo Goldoni e La figlia di Jefte di Felice Cavallotti.

In Francia, dove rimase fino alla Prima guerra mondiale, mise in scena diverse commedie e alcune riduzioni che ottennero repliche e traduzioni, e che lo fecero acclamare come geniale uomo di teatro; inoltre strinse legami con i più attivi drammaturghi francesi dell’epoca (Victorien Sardou, Maurice Donnay, George de Porto-Riche, ma soprattutto Henry Bataille e Henry Bernstein), dai quali mutuò alcuni significativi espedienti di tecnica drammatica. Risalgono a quel periodo i suoi lavori in francese: L’hirondelle (1904), Suzeraine (1906), Le refuge (1909), La flamme (1910), L’aigrette (1912), Raffles (dall’opera di Ernest William Hornung) e Les requins (1913).

Trasferitosi in Italia, dove la fama dei suoi successi era già arrivata, compose e mise in scena alcune commedie in tre atti, tutte pubblicate a Milano dall’editore Treves: Il rifugio, L’aigrette (1912) e I pescicani (1914) dagli originali in francese; L’ombra (1915), la sua prima commedia italiana; Scampolo (1916), assai fortunata, dalla quale avrebbe tratto successivamente altre due opere (Il romanzo di Scampolo, 1917; e la commedia lirica Scampolo, pubbl. per Sonzogno, ibid. 1924). Costretto a prestare il servizio militare in ufficio presso il ministero della Guerra, a Roma, mentre avrebbe preferito trovarsi al fronte, proseguì l’attività di commediografo durante la fase più accesa della guerra, con Il titano (1917), La nemica (1917), Prete Pero e La maestrina (1918), mentre nel primo dopoguerra diede alle stampe La volata eAcidalia (1920). Del 1921 è poi un’altra fortunata commedia, L’alba - Il giorno - La notte, un esperimento che prevedeva la presenza in scena di due soli personaggi. Nel 1922 pubblicò un’edizione in tre volumi del suo Teatrino, che comprendeva nove atti unici, composti e rappresentati negli anni precedenti (La lettera smarrita, Il poeta e Festa di beneficenza nel primo volume; Fricchi, Le tre Grazie, L’incognita nel secondo; Scena vuota, La pelliccia, Natale nel terzo). Nel 1926 scrisse, in collaborazione con Yves Mirande, La piccina. Le sue ultime tre commedie (La casa segreta, 1924; La madonna, 1927; Il principe, 1929, per la quale il compositore Achille Schinelli stese alcuni commenti musicali) non aggiunsero molto alla sua fama.

Per tutti gli anni Dieci del nuovo secolo e oltre, Niccodemi ebbe il primato assoluto tra i commediografi più apprezzati e rappresentati sulle scene italiane. Era un maestro nel genere del teatro per committenza, costruito in base alle richieste della borghesia dell’epoca, su un dialogo ridotto a vuota declamazione e su personaggi scaduti a semplici elementi funzionali. Ogni lavoro trae origine da un nucleo drammatico su cui, con un processo di dilatazione e coloritura enfatica, l’autore intesse i vari momenti della commedia, predisponendoli in funzione di una grandiosa ‘scena madre’, prevista come momento centrale del congegno drammaturgico. La vicenda non si sviluppa per progressivi passaggi psicologici, ma attraverso sbalzi, confronti diretti tra personaggi antitetici, situazioni paradossali che stordiscono la platea, colpi di scena tanto più applauditi quanto più violenti, improvvisi e inverosimili. L’opera di Niccodemi appare inoltre specchio fedele della società borghese europea dell’epoca: vi si sfiorano i temi dell’affarismo e della corruzione nei testi risalenti alla vigilia della Grande guerra; dell’amor di patria, del fanatismo patriottico e dello spirito di sacrificio in quelli composti durante il conflitto; dello sfacelo morale e del traviamento degli spiriti negli anni immediatamente successivi.

Dalle sue commedie furono tratte diverse pellicole cinematografiche, ad alcune delle quali Niccodemi collaborò come soggettista e sceneggiatore: L’aigrette (1917, regia di Baldassarre Negroni); Scampolo (1928, di Augusto Genina); La maestrina (1942, di Giorgio Bianchi).

Nel primo dopoguerra affrontò anche la narrativa, con esiti anche in questo caso piuttosto soddisfacenti: il romanzo La morte in maschera (Milano 1919) giunse in pochi mesi alla tiratura di oltre 60.000 copie. Nel novembre 1919, inoltre, subentrò a Marco Praga nella carica di presidente della Società italiana degli autori (SIA), che detenne fino al 1925.

Nel 1921 decise di dare finalmente corpo a un progetto che vagheggiava da tempo: creare e dirigere una grande compagnia drammatica italiana. Si trattava – scrisse qualche anno più tardi – di un «tentativo, grave e pericoloso, di formare una compagnia che non avesse per unico scopo quello di far denari» (Tempo passato, 1928, p. 14). In realtà fu forse la più apprezzata e attiva, in Italia e all’estero, negli anni Venti del Novecento.

Fondata nel febbraio 1921 (ne fecero parte, tra gli altri, Luigi Almirante, Luigi Cimara, Giuditta Rissone, Vera Vergani, Sergio Tofano), la compagnia debuttò al teatro Valle di Roma il 4 marzo con Giulietta e Romeo di Shakespeare, tradotto e adattato dallo stesso Niccodemi. Il 9 maggio successivo, in prima assoluta e sempre al Valle andarono in scena i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello (originariamente promessi dall’autore alla compagnia di Ruggero Ruggeri): fu una rappresentazione che, com’è noto, sconcertò gli spettatori romani, non ancora abituati a un’azione teatrale che scardinava in profondità le regole della tradizione, ulteriormente impreziosita dall’ambiguità del testo. In veste d’impresario teatrale Niccodemi dimostrava dunque un’ampia disponibilità a sostenere e a diffondere testi ‘rivoluzionari’ e innovativi, benché potessero risultare di non immediata comprensione per il pubblico.

Oltre alla prosa, si dedicò occasionalmente anche al teatro musicale. Scrisse i libretti di due opere (La Ghibellina, musicata da Renzo Bianchi e andata in scena a Roma il 30 marzo 1924, e la già citata Scampolo, musicata da Ezio Camussi ed eseguita per la prima volta a Trieste il 22 febbraio 1925) e, in collaborazione con Giovacchino Forzano, i libretti di due operette in tre atti (Il Trust delle zitelle e Dinora).

Nel 1928 pubblicò un volume di ricordi, Tempo passato (MilanoTreves), nel quale ripercorreva la sua esperienza di uomo di lettere e la sua lunga carriera di uomo di teatro, dagli esordi in Argentina alla direzione della fortunata compagnia teatrale. Nel 1928-29 inviò al Corriere della sera, da Parigi, alcune corrispondenze di carattere letterario e teatrale, coronando così il desiderio, più volte espresso negli anni precedenti, di poter scrivere un giorno per la prestigiosa testata milanese.

Affetto dai postumi di un’encefalite letargica, nel 1929 fu costretto dalla famiglia a rientrare a Livorno.

Morì a Roma il 24 settembre 1934.

Fonti e Bibl.: E. Possenti, D. N., Milano 1919; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei…, Napoli 1922, p. 245; R. Simoni, Cronache della ribalta (1914-1922), Firenze 1927, pp. 133-145; Chi è? Diz. biografico degli Italiani d’oggi, 2a ed., Roma 1931, pp. 535 s.; M. Corsi, D. N., in Il dramma, X (1934), 196, pp. 30 s.; I. Sanesi, La commedia, II, Milano 1935, pp. 623-625; C. Antona Traversi, La verità sul teatro italiano dell’Ottocento, Udine 1940, pp. 177-184; L. Pescetti, Carteggio di D. N. con letterati viventi, in Liburni civitas, XIV (1941), 5-6, pp. 196-220; O. Vergani, Ricordo di D. N., in Il dramma, XXX (1954), 216, pp. 40-43; G. Lopez, Epistolario Sabatino Lopez - D. N., ibid., XXXI (1955), 226, pp. 35-48; R. Simoni, Venticinque anni dalla morte di D. N., ibid., XXXVI (1960), 281, pp. 39-52; C. Terron, N. D., in Enc. dello spettacolo, VII, Roma 1960, pp. 1143-1146; Diz. generale degli autori italiani contemporanei (Vallecchi), II, Firenze 1974, pp. 905 s.; P. Gobetti, Scritti di critica teatrale, Torino 1974, pp. 431-435, 557-560, 564-568, 601-605, 681 s.; P. Capecchi, D. N. capocomico e la “prima” dei «Sei personaggi», in Quaderni di teatro, III (1980), 10, pp. 142-155; G. Antonucci, D. N.: un ritratto critico, in Cultura e scuola, XXIII (1984), 90, pp. 172-175; P.D. Giovannelli, La società teatrale in Italia fra Otto e Novecento, III, Roma 1984, pp. 1441-1444; D. Niccodemi, Prete Pero. Uno scandalo teatrale sullo sfondo di Caporetto, a cura di G. Lopez - P.D. Giovannelli, Milano 1995, pp. 9-35, 37-80; D. Durbè, L’incontro di Renato Natali con D. N. e il soggiorno a Parigi (1913-1914), in F. Donzelli, Renato Natali. 1883-1979, I, Bologna 1998, pp. 49-74.

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