Dante Alighièri. - Poeta (
Appena una provvisione del 1295 consentì ai nobili, esclusi dal governo dagli Ordinamenti di giustizia di Giano della Bella (1293), di partecipare alla vita pubblica mediante l'iscrizione a un'Arte, D. s'iscrisse a quella dei medici e speziali, forse come cultore di studî filosofici, e dal 1295 al 1302 ebbe varî uffici; tra l'altro, dal maggio al sett. 1296 appartenne al più importante dei consigli cittadini, quello dei Cento, e, soprattutto, dal 15 giugno al 15 ag. 1300, fu tra i priori, eletti proprio col compito di opporsi alle intromissioni nella vita pubblica di Firenze di
Particolari sulle singole opere di D. il lettore potrà trovare in questo Dizionario negli articoli dedicati a ciascuna delle opere stesse, specie in quello, assai ampio, sulla Divina Commedia. Qui aggiungeremo alcuni rapidi cenni intesi ad agevolare la comprensione della personalità di D. nel suo complesso. Nella storia della spiritualità italiana egli è stato ed è sempre operante; l'immagine di D. "padre" non è espressione retorica e mitica, ma concreta realtà storica. Pertanto egli è stato ed è sempre operante anche nel corso della nostra letteratura: ma assai più come un lontano ispiratore ideale, che come vicino e determinante modello letterario. Gli imitatori diretti di lui sono, in tutti i secoli, pochi e di scarso rilievo; anche i maggiori tra essi, e i più vicini a lui nel tempo, come il Petrarca e il Boccaccio, non vanno oltre un'imitazione sporadica ed esterna, e traggono da ben altro che da essa le ragioni della loro grandezza; a distanza di mezzo millennio
L'ardua dialettica fra tale concezione universalistica e l'insopprimibile necessità e la suprema dignità della responsabilità personale è problema di fondo per D., che se lo pone di continuo, sotto le più diverse forme, nel suo poema. L'ideale uomo che nasce dalle sue pagine è colui che vive con pienezza, non rifugge da alcun dovere - spirituale, morale, pratico - che la vita gli impone, affronta fermamente ogni responsabilità, anche la più rischiosa: e tuttavia non pensa mai solo a sé stesso, sa che il suo pensiero e la sua azione sono la particella d'un ordine universale. Da questo punto di vista ci si chiariscono anche il pensiero e l'azione propriamente politici di Dante. Nessun poeta più fiorentino, più municipale di lui, da Firenze e dai suoi contemporanei trae la maggior parte, di gran lunga, dei suoi personaggi, a Firenze vanno costantemente il suo nostalgico amore e la sua cruda rampogna. Eppure nessun egoismo/">egoismo municipale alimenta l'amore e lo sdegno: rimprovera Firenze peccatrice nella sua vita interna, più ancora la rimprovera quando la vede recalcitrare a lasciar sommergere la sua libertà e fisionomia comunale nell'ordine imperiale. Vissuto nella piena maturità del comune, nel sorgere delle signorie, cioè in un'età d'intransigenti particolarismi, si può dire che D. non abbia occhi per quel che di fecondamente positivo pur era in quei particolarismi; giunge sino a sprezzare le nuove classi sociali borghesi, la gente intesa ai "subiti guadagni", che del comune erano il nerbo. Anche Firenze, ogni altro comune, ogni stato deve affrontare la propria responsabilità, in piena libertà, ma insieme sentirsi parte d'un tutto: e la meta ultima d'ogni particolare politica non può essere che il bene universale. "Nos cui mundus/">mundus est patria, velut piscibus equor", dice nel De vulgari eloquentia.
Dalla continuata lettura della Commedia il lettore trae un'impressione apparentemente in sé contraddittoria: quella d'un mondo spirituale e fisico sterminatamente vario e complesso, e insieme quella d'una salda e quasi lineare ed elementare unità. Più agevole rendersi conto di questa simultanea varietà e semplicità per quel che riguarda
D. è essenzialmente il poeta della certezza. Nessun dubbio turba mai il poeta, che pure sa e rappresenta la fragilità del cuore, il pericoloso pencolare della superba intelligenza degli uomini verso l'errore. Esamina e giudica, inflessibile, piccoli e grandi, i singoli e tutto il suo tempo; Impero e Chiesa: eppure il lettore non si domanda mai se quel giudizio così reciso sia legittimo, non ha mai l'impressione che sia pretensioso e fatuo e unilaterale, tanta è la saldezza della fede e delle convinzioni da cui deriva, che essa passa nel lettore, il quale avverte che a giudicare non è D., che egli è solo l'interprete sicuro d'una legge che diventa indiscutibile anche per noi. Nessuno più razionale, quadrato, consequenziale di lui: ma questa razionalità si fa passione di comunicarsi, diventa pietà o sdegno per chi pensa e opera al di fuori o contro di essa. La razionalità sbocca nel sentimento, si fonde con esso. Una volta raggiunta - quali che siano stati i travagli sentimentali e intellettuali della giovinezza - la persuasione ferma che Dio ha prescritto all'uomo come suo proprio fine il raggiungimento di una duplice perfezione, in terra e nel cielo, D. ha abolito in sé l'eterno dissidio umano, quello appunto tra l'attaccamento al mondo e l'aspirazione al sopramondo, tra il caduco e l'eterno. Il caduco è caduco: ma non per questo dev'esser reietto e aborrito. Annullato quel dissidio, ogni altro, che naturalmente ne deriva, in D. si placa sino ad annullarsi; ogni cosa si compone in unitario sistema. L'impero non è per lui uno stato, non è solo un'organizzazione politica: è il mezzo voluto ab aeterno da Dio perché l'uomo possa raggiungere il suo fine terreno; è, cioè, un istituto religioso. Per questo chi gli si oppone - sia egli anche un papa - non solo per D. è politicamente riprovevole, ma commette un gravissimo peccato, ed egli lo scaraventa inflessibile e sdegnato giù nell'inferno. Cioè la politica è per D. tutt'uno con la morale. Se la vita terrena è un dovere religioso, è naturale, e tipica di D., la concezione della dignità di essa, naturale e tipico/">tipico lo sprezzo per gli ignavi, per chi rifugge dall'assumersi la responsabilità della piena vita, delle decisioni supreme, cioè dell'azione. Sparisce dunque anche ogni dualismo tra contemplazione e azione, tra pensiero e attività pratica. A chiarire i problemi della scienza - e non solo di quella teologica, ma anche di quella fisica e naturale - D. si sofferma assai spesso, specialmente nel Paradiso; e può sembrare a noi moderni lusso di erudizione e di sottigliezza, senza impegno morale, ma la stessa scienza è per D. il pane degli angeli; chi non ne gusta almeno le briciole è un misero, è un infelice, il D. del Convivio e della Commedia ne ha pietà. La scienza è indispensabile alla felicità umana; e dunque lo sforzarsi di raggiungerla è, oltre che un istinto, un dovere. Di nuovo, scienza e morale e religione sono una sola cosa. Ancora: la salvezza spirituale s'identifica con la libertà individuale, cioè con la conquista piena di sé stesso, il dominio sicuro di sé nel turbinio delle tentazioni, nella stessa debolezza della carne, con l'animo che vince ogni battaglia, se col suo grave corpo non s'accascia; la rivelazione non esclude, anzi presuppone la ragione; Beatrice muove Virgilio, ma è da lui preceduta nell'opera di elevazione e di sublimazione di sé e di tutti gli uomini che D. canta nel suo poema. Ma il simbolo della stessa ragione è un poeta, pensiero e sentimento non cozzano tra loro, come presso tanti altri grandi poeti: costituiscono una salda unità; e la stessa poesia è concepita non come un sogno, ma come una battaglia, con precisi obiettivi pratici di ammaestramento e ammonimento, che D. ha cura di mettere esplicitamente in luce. Il poeta dell'Inferno, colui che ha osato rappresentare direttamente il disordine delle passioni umane, sa che, nonostante ogni apparenza, c'è un ordine supremo, che ogni creatura, navigando per il gran mare dell'essere, giunge, sì, a diversi porti; ma se i porti sono diversi, la riva è unica, e che la corda dell'arco divino porta ogni essere irresistibilmente al sito per lui decretato, che è di felicità e perfezione; e se taluno devia, ciò è solo per sua colpa, perché non ha fatto - nei diversi campi in cui Dio lo ha posto - il suo dovere. Da questa concezione dell'ordine dell'universo viene a D., esule immeritevole, colpito dall'ingiustizia, tradito dagli uomini per il suo amore per essi, spettatore lucido e angosciato del male, la sua virile certezza di giustizia. Una giustizia non solo oltremondana: un giorno, quando Dio nei suoi imperscrutabili disegni vorrà, ma sarà presto, l'ordine e la giustizia prevarranno anche nel mondo. Dante se ne fa profeta e garante. Cielo e terra ancora una volta si saldano. Il primo e più alto messaggio del poema è forse proprio questa certezza.