DANIELE da Monterubbiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 32 (1986)

DANIELE da Monterubbiano

Alberto Forni

Ignoti ci sono il luogo, gli anni di nascita e di morte di questo eremitano di S. Agostino, commentatore della Regula s. Benedicti, attivo nella prima metà del sec. XIV. Sconosciuta ci è anche la data del suo ingresso nell'Ordine. Il Vecchietti lo definì, nel 1795, "celebre professore di sacra teologia"; il Perini, nel 1931, lo disse maestro in teologia "in Sorbonica Universitate": aggettivo, titolo e istituzione sono del tutto immaginari. Emergono dal silenzio delle fonti solo notizie relative agli anni 1329 e 1334. Nel 1329 D. si trovava a Parigi, già in religione, presumibilmente studente in teologia e sicuramente coinvolto nell'ampia controversia che, dal 1327, divideva gli agostiniani a proposito della figura del baccelliere biblico Giacomo da Viterbo (da non confondersi con il noto discepolo di Egidio Colonna, morto nel 1308). Costui, condannato dal capitolo provinciale di Roma nel 1327 per motivi a noi non chiari, era stato imprigionato nonostante l'intervento del suo patrono Annibaldo da Ceccano, arcivescovo di Napoli. Nella vicenda era intervenuto il pontefice Giovanni XXII, che aveva ordinato di compiere un'inchiesta a due teologi dell'Ordine, Tommaso da Fabriano e Matteo da Toscanella. Sappiamo che questi ultimi avevano citato in giudizio alcuni frati, tra cui D., il quale, assieme agli altri, si era appellato a Roma, trovandosi coinvolto in numerosi processi. Finalmente il papa, revocati i due commissari, aveva rimesso la questione, il 20 marzo 1329, al priore generale Guglielmo da Cremona. La modesta figura di D. non viene neppure menzionata negli atti del capitolo generale di Parigi che, nello stesso 1329, riabilitò Giacomo da Viterbo.

Del 1334 è l'unica opera pervenutaci di D., il Commentarium super regulam s. Benedicti, in volgare. Scoperto - ed esaltato - nella seconda metà del secolo XVIII dal cardinale Stefano Borgia in un manoscritto beneventano, il Commentarium, molto mal edito alla fine del secolo successivo nello Spicilegium Casinense, è indirizzato a "Resergayta Piscizella", nobildonna e arcibadessa del monastero benedettino di S. Gaudioso di Napoli. La religiosa - di cui D. dimostra di conoscere molto bene la famiglia e la madre (e che viene elogiata dallo scrittore come la migliore delle "prelate" napoletane) - aveva personalmente richiesto il Commentarium a D., che si trovava in quell'anno - ed è, questa, l'ultima notizia che abbiamo su di lui -, sempre a Parigi, baccelliere biblico.

Che il Commentarium sia opera di uno studente dell'università parigina basterebbero a dimostrarlo le numerose citazioni desunte da testi fondamentali per un teologo del XIV secolo: frequenti i riferimenti alle Decretali, a Seneca, a s. Agostino, a s. Giovanni Crisostomo, a S. Gregorio Magno, a Boezio, a Isidoro, alle varie glosse. Altri se ne aggiungono tratti da Pietro Diacono, insieme con un esempio attinto da un predicatore - Jacques de Vitry -, e con accenni all'esperienza acquisita nel corso delle lezioni (i "savi magistri e docture"). Pervasa da un'ossessione argomentativa (D. spesso definisce s. Benedetto come colui che "argumenta", che "vole monstrare"), l'opera pone di frequente in rapporto dialettico il testo della Regula e le Decretali; adatta in funzione degli scopi specifici che si prefigge alcuni termini ("filglole" si sostituisce a "figli", "sorores" a "fratres"); ne travisa altri (Benedetto raccomandava di non preferire l'"ingenuus" al "servus" nell'ammissione allo stato monastico: D. traduce "ingenuus" con "nobile", e "servus" con "minu nobele"; ai templari i predicatori non avevano forse rinfacciato il disprezzo verso le origini modeste?); conosce (per quali tramiti ?) la Regula magistri (sul permesso concesso al "lector ebdomadarius" di mangiare prima di iniziare a leggere: l'argomento dello "sputum sacramenti" è rinnovato coll'introduzione del concetto di accidente); utilizza le "artes dictandi" (in relazione alle "licterae commendatitiae" scritte da un abate ad un altro per appoggiare la domanda di trasferimento di un monaco); si cimenta in paralleli con la regola agostiniana. Non tutto il testo è composto in volgare: la Regula è tradotta sempre, ma le "auctoritates" e le glosse inserite sono frequentemente in latino.

Ma la caratteristica principale dell'opera è la sua accentuazione tropologica, secondo la migliore tradizione mendicante. Per D. tutta la Regula è "morum institutoria": mira cioè a formare i costumi. La chiave di volta del Commentarium diviene pertanto il rapporto vizi-virtù, materia predicabile per eccellenza, consacrata dall'enorme fama della Summa di Guillaume Pérault. Su questa scia si pongono la raccomandazione di correggere i vizi secondo la qualità delle persone (influenza dei "sermones ad status"); l'applicazione alle norme benedettine concernenti l'abate di glosse riferite al prelato impegnato nella cura pastorale (l'attacco contro il clero secolare è un tema gradito agli omelisti); la sovrapposizione dell'enorme materiale delle Summae confessorum - tema determinante, in una predica - al concetto, presente nella Regula, di confessione all'abate. Il termine "iudicium", riferito alla potestà dell'abate, ad esempio, diventa in D. - filtrato attraverso i manuali per i confessori - "arbitrium", che deve tener conto di tutte le circostanze in cui è fatta la confessione. Anche la terminologia tradisce una cultura da predicatore: dovendo spiegare il termine "scurilitas" - che secondo s. Benedetto deve essere evitata nelle ore dell'ufficio - D. utilizza parole come "saltare" o "iocularia", che connotano un mondo frequentemente criticato dai pulpiti.

Fonti e Bibl.: H. Denifle-E. Chatelain, Chart. Univ. Paris., II, Parisiis 1891, nn. 875, 887; Spicilegium Casinense, IV, 1, Montis Casini 1895, pp. 37-130 (riporta il testo completo del Commentarium); F. Vecchietti, Biblioteca picena, IV,Osimo 1795, pp. 1 s.; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, Suppl.,Bologna 1929, p. 179; D. A. Perini, Bibl. augustiniana, II, Firenze 1931, pp. 229 s.

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