DAMOPHON

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

Vedi DAMOPHON dell'anno: 1959 - 1994

DAMOPHON (Δαμοϕῶν, Damophon)

D. Mustilli

Scultore di Messene, a detta di Pausania (iv, 31, 6 e 10) fu l'unico artista, nativo della città, degno di rilievo. Scolpì opere in marmo e nella tecnica dell'acrolito (v.), raffigurando quasi costantemente tipi di divinità. Per Messene, eseguì in marmo pario la statua della Madre degli dèi, due statue di Artemide, una delle quali era conservata nello Asklepieion, dove erano anche le statue di Asklepios e dei figli, la personificazione di Tebe e la Tyche, forse la personificazione di Messene. Probabilmente - non appare sicuro dalle parole di Pausania - erano anche opere sue il gruppo di Apollo, delle Muse e una statua di Eracle. Lavorò anche per Aigion in Acaia, scolpendo l'acrolito di Ilizia, le statue di Asklepios e di Igiea (Paus., vii, 23, 7); per Megalopoli eseguì la statua di Demetra e della figlia, l'una di marmo, l'altra, acrolito: dinanzi a queste due statue di grandi proporzioni, erano due statuette, raffiguranti due figure femminili, reggenti sulla testa un cesto di fiori, nelle quali alcuni riconoscevano Atena e Artemide, altri le figlie dello scultore. Inoltre, aveva scolpito per il tempio di Afrodite della stessa città l'acrolito della dea, una statua di Hermes e sembra anche una tavola, decorata con le figure delle Horai o Stagioni, di Pan suonante la siringa, di Apollo citaredo e la scena delle ninfe, che allevano Zeus infante (Paus., viii, 31, 1-6). Infine, restaurò lo Zeus di Fidia ad Olimpia. Delle sue opere, di alcune delle quali si crede di poter riconoscere lo schema, perché riprodotte su monete di età imperiale romana, ci sono pervenuti solo frammenti del gruppo che eseguì per il tempio di Despoina presso Licosura. Il gruppo rappresentava Demetra e la figlia Despoina (v.) sedute, la prima reggeva una face, l'altra si appoggiava allo scettro e recava nel grembo la cista mistica. Le due dee erano di proporzioni colossali: al fianco di Demetra era Artemide in abito da cacciatrice con il cane ai piedi e in mano una fiaccola, dall'altro lato era Anytos, un Titano, secondo la tradizione locale, tutore di Despoina nella sua fanciullezza, in completa armatura di guerriero e appoggiato con la mano alla lancia; sullo sgabello delle dee sedute erano figure di Cureti, sulla base del gruppo quelle di Coribanti (Paus., viii, 37, 1). Sono superstiti la testa di Demetra, quelle di Artemide e di Anytos (v.), alcuni frammenti del corpo delle due dee ed un frammento del manto di Despoina, lavorati in marmo delle cave di Dolianà, presso Tegea, e in più pezzi, non in un sol blocco, come afferma Pausania. Lo stile di queste figure, nelle quali non mancano accenti coloristici, è nel complesso di ispirazione classica, ma la tendenza alla grandiosità dell'insieme non è sorretta da una rinnovata ispirazione, sì che talvolta degenera in una euforia vuota e mancante di vita. Anche la tecnica mostra scarsa coerenza, unendo il modellato ampio di alcune parti ad una paziente minuzia nella riproduzione di particolari, specialmente nella decorazione del panneggio. Per tal motivo D. appare uno degli iniziatori della corrente artistica neoattica nella quale la critica classicheggiante vide, verso la metà del Il sec. a. C., la rinascita dell'arte (Plin., Nat. hist., xxxiv, 51). Infatti, lo scultore che prima delle scoperte di Licosura era di solito attribuito al IV sec. a. C. e che, dopo queste scoperte, fu da alcuni critici riportato all'età adrianea, in base a documenti epigrafici appare ora da collocare nella prima metà del sec. II: questi stessi documenti menzionano due suoi figliuoli, forse suoi collaboratori a Licosura, l'uno di nome Xenophilos, l'altro forse Straton se, in realtà, essi sono da identificare con due omonimi scultori, che lavorarono ad Argo (Paus., ii, 23, 4) e che insieme firmano due basi trovate in Argolide nelle quali, però, si dicono argivi.

Alcuni studiosi moderni ritengono opera di D. la stele trovata a Kleitor in Arcadia, riproducente l'immagine di Polibio (v.); ma l'attribuzione non sembra sicura, come non sono sicure altre attribuzioni proposte per l'artista.

Bibl.: J. Overbeck, Schriftquellen, nn. 1557-1564; C. Robert, in Pauly-Wissowa, IV, 1901, c. 2077 ss., s. v.; G. Dickins, in Annual Brit. School at Athens, XII, 1906-1907, p. 109 ss.; XIII, 1907-1908, p. 356 ss.; XVII, 1910-1911, p. 80; id., Hellenistic Sculpture, Oxford 1920, p. 60 ss.; Ch. Thallon, in Amer. Journ. Arch., X, 1906, p. 302 ss.; G. Guidi, in Annuario Atene, IV-V, 1924, p. 97 ss.; G. Becatti, in Riv. Ist. Arch. e Storia dell'Arte, VII, 1940, p. 40 ss.; M. Bieber, in Hommage à J. Bidez et Fr. Cumont, Parigi 1949, p. 39 ss. Per le basi di statue appartenenti ai supposti figli di D.: E. Loewy, I. G. B., nn. 261-262.