DADAISMO

Enciclopedia del Cinema (2003)

Dadaismo

Gianni Rondolino

Rapporti con il cinema: il cinema dadaista

Come scrisse nel 1948 Tristan Tzara in Le surréalisme et l'après-guerre, "Dada nacque da un'esigenza morale, da una volontà implacabile di attingere un assoluto morale, dal sentimento profondo che l'uomo, al centro di tutte le creazioni dello spirito, dovesse affermare la sua preminenza sulle nozioni impoverite della sostanza umana, sulle cose morte e sui beni male acquisiti. Dada nacque da una rivolta che era allora comune a tutti i giovani, una rivolta che esigeva un'adesione completa dell'individuo alle necessità della sua natura, senza riguardi per la storia, la logica, la morale comune, l'Onore, la Patria, la Famiglia, l'Arte, la Religione, la Libertà, la Fratellanza e tante altre nozioni corrispondenti a delle necessità umane, di cui però non sussistevano che delle scheletriche convenzioni, perché erano state svuotate del loro contenuto iniziale" (trad. it. in M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, 1959, pp. 152-53).

Il movimento fu fondato al Cabaret Voltaire di Zurigo nel 1916 da un gruppo di artisti capeggiati da Tzara, di cui facevano parte, fra gli altri, Hans Arp, Richard Huelsenbeck, Hugo Ball.

Nel 1918 Tzara pubblicò sul nr. 3 della rivista zurighese "Dada" il primo manifesto del movimento, in cui si enunciava il programma rivoltoso e trasgressivo che questi giovani avrebbero applicato nella loro attività artistica e letteraria: un programma che si può definire in sostanza antiartistico e antiletterario. Non si parlava di cinema in quel manifesto, né se ne sarebbe parlato in seguito esplicitamente. Ma non v'è dubbio che il cinema, per quegli artisti e intellettuali ‒ come lo sarebbe stato per i surrealisti ‒, costituiva un possibile linguaggio nuovo, una nuova forma di espressione antitradizionale, che avrebbe potuto anche minare alla base le regole delle arti figurative, della pittura in particolare.

Se ne accorsero, proprio in ambito dadaista, due pittori, uno tedesco, Hans Richter, e uno svedese, Viking Eggeling, che in quegli anni furono molto vicini al movimento e provenivano da precedenti in largo senso espressionisti.

Essi giunsero, separatamente ma congiuntamente, al superamento della cosiddetta pittura da cavalletto, cioè all'uso del cinema come mezzo per dare alle linee e alle forme un dinamismo interno (v. avanguardia cinematografica).

I loro primi film, nati dalla precedente esperienza dei 'rotoli', lunghe strisce di carta in cui i segni grafici si susseguivano nello spazio formando una specie di partitura visiva, furono in questo senso di grande interesse teorico e pratico: in Rhythmus 21 (1921) di Richter ci sono forme geometriche che si muovono sullo schermo; in Horizontal-Vertical Orchestra (1921) di Eggeling, andato perduto, sono invece le linee a muoversi. Questi risultati furono alla base dei film seguenti, Rhythmus 23 (1923) e Rhythmus 25 (1925) di Richter e Diagonal Symphonie (1925) di Eggeling, uno dei capolavori del cinema d'avanguardia. Ma il clima in cui era nato il D. era in parte cambiato, oltre tutto Eggeling morì proprio nel 1925 e Richter proseguì la sua carriera di cineasta avvicinandosi ad altri movimenti d'avanguardia e seguendo una sua propria strada che lo avrebbe portato lontano, lungo il versante di un eclettismo a volte provocatorio; ma certamente dadaista può considerarsi Vormittagsspuk (1927; Gioco di cappelli), in cui i personaggi si muovono sullo schermo come su un palcoscenico fittizio, in un divertente e divertito 'gioco di cappelli' che si librano nell'aria eseguendo un vero e proprio balletto di oggetti.

Più vicina alle istanze irrazionali e iconoclaste di Dada appare l'opera di Man Ray, anche nell'ambito del cinema, che egli, fotografo provetto e originale, frequentò nel corso degli anni Venti. I suoi film, soprattutto il primo, Retour à la raison (1923), che pare nato quasi per caso e contiene elementi cinematografici eterogenei, possono essere considerati a ragione dadaisti per quello spirito anarchico, rivoltoso, provocatorio che era connaturato con il movimento, e per quella forma adottata, libera dai vincoli della narrazione e della consequenzialità logica, che ne fa ottimi esempi di cinema 'alternativo', illogico, irrazionale. Si vedano in proposito, oltre al citato Retour à la raison (che già nel titolo contiene un gioco di parole evidentemente provocatorio), Emak Bakia (1926), L'étoile de mer (1929) ‒ illustrazione vagamente surrealista di una poesia di R. Desnos ‒ e soprattutto Le mystère du château de dés (1929), un gioco di forme architettoniche, di personaggi evocati, di immagini inusuali, pur entro la rappresentazione di una realtà concreta, una casa e i suoi abitanti.

Dadaista può essere considerato anche Anémic cinéma (1925) di Marcel Duchamp, uno degli artisti più significativi del movimento con i suoi ready mades e con altre opere anticonvenzionali, sebbene il film, basato sulle sue ricerche e sperimentazioni sulla cinetica delle forme, dai 'dischi' ai 'rotorilievi', appaia più un esperimento tecnico-formale che un'opera dichiaratamente eversiva; a differenza di Entr'acte (1924), diretto da René Clair su un abbozzo di scenario di Francis Picabia ‒ altro artista dadaista ‒, che fu considerato allora e in seguito l'esempio migliore di cinema dadaista. Esso fu presentato a Parigi come 'intermezzo' (entr'acte) di uno spettacolo dadaista intitolato Relâche ("riposo", anch'esso un gioco di parole, tanto da indurre gli spettatori a non sapere se lo spettacolo si sarebbe tenuto o no) e provocò una reazione non inferiore a quella suscitata dall'intero spettacolo. Il film, in cui compaiono Picabia, Duchamp, Man Ray, Eric Satie (che aveva composto la musica d'accompagnamento) e altri artisti amici, vicini al movimento, è un divertissement intelligente che contiene una serie di elementi assurdi, irrazionali, casuali, che ruotano attorno a un'esile vicenda narrativa, che subito si sfrangia e si spezzetta in una serie di situazioni grottesche.

Entr'acte rimase tuttavia un caso sostanzialmente isolato, non soltanto nell'ambito di un possibile cinema dadaista, ma anche nell'opera di Clair, un regista che, pur essendo agli inizi della carriera vicino ai movimenti d'avanguardia, sviluppò poi una sua propria poetica che lo avrebbe portato molto lontano.

D'altronde il Dadaismo ‒ a differenza del Surrealismo, che pure nacque in parte dal suo ceppo ‒ non poteva che esaurirsi nella sua portata rivoltosa, una volta raggiunto l'obiettivo di épater le bourgeois, di porsi come negatore assoluto di ogni forma d'arte. E così il cinema dadaista ‒ già di per sé esiguo, come il cinema d'avanguardia in generale, e circoscritto in ambiti ristretti e lontani dal grande pubblico e dalle sale di spettacolo ‒ non ebbe lunga vita, e i suoi prodotti sono quelli citati, con qualche eventuale spunto rintracciabile in altri film d'avanguardia.

Un cenno merita semmai il lavoro di Richter negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti e altrove, quando egli riprese alcuni temi dei suoi film precedenti e raccolse attorno a sé alcuni degli amici dadaisti, realizzando film in tutto o in parte legati al movimento di Tzara. Tra il 1944 e il 1946 egli produsse e coordinò Dreams that money can buy (uscito nel 1948), film a episodi fra i quali Ruth, roses and revolvers di Man Ray, Color, records and nudes descending a staircase di Duchamp e altri diretti da Max Ernst, da Alexander Calder e dallo stesso Richter. Nel 1956 diresse Dadascope, in cui compaiono Arp, Huelsenbeck, Yves Tanguy, oltre a Duchamp, e si sentono le voci di altri artisti dadaisti. Nel 1957 realizzò 8×8, con la partecipazione, fra gli altri, di Calder, Ernst e, nuovamente, Huelsenbeck, Arp, Tanguy. Ma il ciclo si era ormai compiuto. Questi film di Richter sono al tempo stesso la testimonianza di un movimento d'avanguardia e la sua commemorazione, la memoria di un'esperienza irripetibile e la sua consacrazione postuma. Molto interessanti sul piano della documentazione, meno su quello dell'invenzione e della provocazione.

bibliografia

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T. Tzara, Lampisteries: précédées des sept manifestes Dada, Paris 1963 (trad. it. Manifesti del dadaismo e Lampisterie, a cura di G. Posani, Torino 1964).

H. Richter, Dada. Kunst und Antikunst, Köln 1964 (trad. it. Milano 1966).

Dada. Eine literarische Dokumentation, hrsg. R. Huelsenbeck, Reinbeck bei Hamburg 1964.

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Dada Zurigo, Ball e il Cabaret Voltaire, a cura di L. Valeriani, Torino 1970.

R. Hausmann, An Anfang war DADA, Steinbach-Giessen 1972.

L'occhio tagliato, a cura di G. Rondolino, Torino 1972.

G. Rondolino, Appunti sul cinema e sulla teoria di Hans Richter, in "Bianco e nero", 1978, 39, 1, pp. 7-61.

Il cinema d'avanguardia 1910-1930, a cura di P. Bertetto, Venezia 1983.

A. Costa, Cinema e avanguardie storiche, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 1° vol., L'Europa, Torino 1999, pp. 325-57.

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