CURARO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CURARO (XII, p. 154)

Pietro DI MATTEI

Le conoscenze sulle origini botaniche e sulla preparazione del curaro, a lungo incerte per il segreto difeso dagli stregoni manipolatori, si sono di recente notevolmente accresciute, in seguito ad esplorazioni e più facili contatti con gli indigeni.

Secondo E. Biocca, che ha avuto la possibilità di assistere alla preparazione india e di raccogliere le piante usate, il veleno verrebbe preparato da cortecce di piante diverse (soprattutto di Menispermacee e di Loganiacee) seccate prima per due giorni a fuoco lentissimo e sottoposte, poi, a lunga decozione (3 giorni) a fuoco lento, con l'aggiunta, di tanto in tanto, di macerati ed infusi diversi. Il decotto assumerebbe lentamente consistenza pastosa mentre le proprietà biologiche, dapprima eccitanti del sistema nervoso centrale, evolverebbero gradatamente verso la classica azione curarica. Il procedimento agevolerebbe, pertanto, con tutta probabilità, la trasformazione dell'azoto trivalente degli alcaloidi in azoto pentavalente. La iodometilazione, infatti, degli estratti vegetali, non ancora sottoposti alla decozione, provocherebbe in essi elevate proprietà curarizzanti mentre non rinforza affatto le proprietà biologiche del curaro preparato dagli indî. L'azione curarica, in molti casi almeno, non dovrebbe ritenersi legata ad uno o più alcaloidi originarî ma, piuttosto, ad una proprietà acquisita in seguito al trattamento indio. In sede commerciale si preparano oggi dei curari, che potrebbero considerarsi "seminaturali", ottenuti, appunto, in laboratorio mediante operazioni chimiche sugli estratti di fusti e radici di Menispermacee (Chondrodendron tomentosum) e di Loganiacee (Strycnos toxifera). Essi sono titolati in "unità", con misura, cioè, biologica di attività. Dai diversi curari originarî (calabash curaro, potcuraro e tubocuraro) l'analisi chimica ha ottenuto differenti miscugli di alcaloidi, taluni ad azoto trivalente ed altri ad azoto pentavalente. Ciò spiegherebbe la loro azione incostante e impura.

Ma dal tubocuraro, il più attivo e rappresentativo, è stato ottenuto, fra gli altri, un alcaloide, la d-tubocurarina, dotata delle piene capacità curarizzanti della droga. La sua costituzione chimica è stata meglio definita da H. King (1937). Nel 1943 O. Wintersteiner e I. D. Dutcher hanno isolato dal curaro "crudo" preparato dal Chondrodendron tomentosum, oltre a numerose nuove basi terziarie convertibili in basi quaternarie fisiologicamente attive, un alcaloide che è risultato identico alla d-tubocurarina, in buona quantità, assoluta purezza e ben cristallizzabile. Si ha ora, pertanto, la disponibilità di una specie botanica sicura e di un prodotto purissimo, dosabile in mg., già entrato in commercio, ad attività costante. Utilizzando taluni riconosciuti rapporti fra costituzione chimica e azione curarica si preparano oggi, ugualmente, svariati tipi di "curari sintetici".

Farmacologia. - Dal lato biologico l'azione curarica si rìporta oggi ad un effetto antiacetilcolinico, nel senso che sotto l'azione del curaro, l'acetilcolina, regolarmente liberata dalle terminazioni nervose colinergiche, non agirebbe più al suo consueto punto di attacco muscolare, con conseguente inattività della muscolatura striata, per altro recettiva ad altri stimoli. Il curaro non svolgerebbe influenza alcuna sul sistema nervoso centrale, sull'apparato cardiovascolare, su quello respiratorio e su altri distretti. Quest'azione curarica, che pur fornendo alla fisiologia preziosi ragguagli, non era apparsa utilizzabile in terapia per l'incostanza dei prodotti disponibili e per il gravissimo pericolo di morte, dipendente dalla paralisi dei muscoli respiratorî, ha trovato recentemente impiego vantaggioso nell'anestesia chirurgica per il completo rilasciamento muscolare che si ottiene.

Azione antagonista al curaro svolgono l'eserina, la prostigmina, la nicotina, l'acetilcolina, il calcio, il potassio, ecc.

Bibl.: A. R. Mc Intire, Curare, Chicago 1947.

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