CUNIBERTO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CUNIBERTO

Giuseppe Sergi

La prima attestazione di C., uno dei più importanti vescovi di Torino del sec. XI, è relativa alla sua presenza in Pavia per una sinodo del 25 ott. 1046: doveva essere il primo anno del suo episcopato.

Un atto dell'11 maggio 1048 contiene nella datatio il riferimento al secondo anno dell'episcopato di C. e pare il più attendibile. Due carte posteriori indicano, invece, una diversa data per l'inizio dell'episcopato. Una colloca un atto del 1055 nell'ottavo anno del governo vescovile di C.: l'errore appare palese per il contrasto con la presenza alla sinodo di Pavia. La seconda carta, del 26 apr. 1075, fa riferimento al trentesimo anno dei suo episcopato: si dovrebbe anticipare di un anno la data iniziale, ma il 1046 appare.la data più probabile, essendo suggerita dal documento di minor tempo posteriore.

Secondo Anselmo il Peripatetico, C. apparteneva alla potente famiglia milanese dei da Besate, alcuni esponenti della quale erano pervenuti a responsabilità vescovili in Piacenza, Ravenna, Lucca. Nella zona di Piacenza C. doveva avere interessi speciali, probabilmente legati alla famiglia, come si arguisce da due presenze in placiti di quella città il 10 luglio 1065 e il 17 febbr. 1077. In particolare, è significativo il primo placito, che il vescovo torinese presiedette accanto a Dionisio, vescovo e conte di Piacenza, mentre il secondo si potrebbe ricondurre ai buoni rapporti di C. con l'imperatore Enrico IV, promotore del giudizio.

Nella diocesi di Torino C. raccoglieva l'eredità di Landolfo, combattivo vescovo orientato verso il potenziamento signorile pur all'interno dell'egemonia dei marchesi arduinici di Torino. Negli anni di C. i rapporti fra il vescovo e la contessa Adelaide, erede della potenza dinastica arduinica, non furono più ispirati ad una logica di concorrenza: i loro comportamenti - negli stretti rapporti con Enrico IV e nella contemporanea moderata disponibilità verso gli ambienti riformatori - furono fortemente omogenei. C. fu considerato interlocutore importante, anche se poco soddisfacente, da esponenti di entrambe le parti in conflitto. Il vescovo Benzone d'Alba, antiriformatore, lo esortò amichevolmente alla lotta contro i patarini, ma si dimostrò poi deluso dal temperamento di C., meno energico del suo predecessore e più versato in fatti di cultura e di poesia: evidentemente Benzone ne giudicava troppo blando il comportamento successivo alle sue esortazioni. Qualche anno dopo Pier Damiani indirizzò a C. una parte dei suoi interventi Contra intemperantes clericos, incitandolo alla lotta contro l'immoralità del clero: parallelamente, forse perché preoccupato dalla tolleranza del vescovo, faceva appello all'autorità della contessa Adelaide. I dati emergenti dalla documentazione confermano quest'immagine di equilibrio. C. non sembra essere passato dal campo riformatore a quello imperiale, come talora si è creduto: fu probabilmente portavoce di un tipo di riforma vescovile che, richiamandosi ad esperienze renane e ribadendo l'autorità della gerarchia ecclesiastica, era poco incline ad appoggiare quelle forze eversive come patarini e vallombrosani, considerate con simpatia negli ambienti della riforma romana.

Presenziò disciplinatamente, nel 1049 e nel 1057, a sinodi convocate da Leone IX e da Vittore II. In particolare, nel 1059 presenziò al concilio romano di Niccolò II in cui emersero orientamenti rigorosi contro la simonia e il concubinato. L'anno successivo, con i vescovi di Asti e di Novara, difese l'arcivescovo di Milano, Guido, dalle accuse del patarino Arialdo, assumendosi poi poco tempo dopo, e con altri vescovi della "Langobardia", l'impegno di combattere nella sua diocesi i matrimoni dei chierici e le ordinazioni simoniache: tuttavia dovette poi essere, secondo la testimonianza di Bonizone di Sutri, tra i vescovi cui mancò il coraggio di perseguire energicamente quegli obiettivi. Negli stessi anni, tra il 1061, e il 1065, nell'atto di ordinazione canonicale di Nantelmo, prevosto d'Oulx, C. espresse il suo intransigente favore verso l'istituzione di canoniche regolari riformate. Nel 1064 fu, inoltre, incaricato da Annone, arcivescovo di Colonia avverso a Cadalo, di una missione presso papa Alessandro II. Dunque ben più delle esortazioni di Benzone dovettero essere i toni violenti della lotta antivescovile a cancellare in C., non ostile alla riforma, ogni disponibilità verso i patarini.

La difesa delle prerogative vescovili fu alla base della sua violenta controversia con i monaci di S. Michele della Chiusa, che interpretavano in chiave autonomistica e antivescovile l'adesione alla riforma centralistica romana. C. non voleva riconoscere l'elezione dell'abate Benedetto (II), avvenuta nel 1066 senza la sua partecipazione e sosteneva che, trovandosi l'abbazia nella diocesi torinese, soltanto il vescovo aveva il potere di nominare l'abate. Benedetto era legato all'allora arcivescovo Ildebrando e, dopo un tentativo di risolvere la questione a Torino, decise di investire della stessa la Curia pontificia, recandosi a Roma. Qui lo raggiunse C., che difese le sue ragioni davanti al collegio dei cardinali, a Ildebrando e allo stesso pontefice Alessandro II. Ma il giudizio fu favorevole a Benedetto e C. dovette accettarne l'elezione. Non per questo, però, rinunciò a far valere i diritti vescovili sull'abbazia, assoggettandola a onerose esazioni. Il dissidio tra C. e Benedetto si riaccese. Divenuto papa, Ildebrando cercò di dirimere la controversia e nel 1074 convocò entrambi i contendenti a Roma, per il 30 novembre. Ma C. non si presentò. Il 12 dicembre dello stesso anno Gregorio VII si rivolse a lui con una lettera in cui lamentava la sua mancata partecipazione alla sinodo e lo convocava per una successiva riunione. L'ostinata assenza di C. anche a questa (febbraio 1075) causò la decisione papale di sospenderlo.

Nei mesi successivi il punto di vista di C. - soprattutto sui temi dell'appartenenza di S. Michele alla diocesi e sul carattere di allodio vescovile della terra su cui sorgeva l'abbazia - non mancò di essere tenuto in conto da Gregorio VII. Il papa, forse preoccupato dei rapporti di C. con la potente dinastia arduinica e con Enrico IV, rinunciò ad un atteggiamento severo e cercò la mediazione: il 9 apr. 1075, senza insistere sulla sospensione, convocò il vescovo per porre fine ai dissensi di cui faceva una misurata cronistoria, e minacciò di separare S. Michele dalla diocesi torinese. Il vescovo, appoggiato dal marchese di Torino Pietro, spinto dagli umori anticlusini dei Torinesi e non privo dell'appoggio di alcuni monaci di S. Michele - è lo stesso cronista della Chiusa, sostenitore acceso di Benedetto (II), ad ammettere queste circostanze - mise in atto una vera persecuzione contro l'abate, evidente in due spedizioni militari contro l'abbazia avvenute nella primavera del 1078 e illustrate in termini ovviamente accentuati e faziosi dal cronista clusino. La mediazione definitiva di Gregorio VII fu del 24 nov. 1078: i due contendenti erano stati chiamati a Roma e qui erano stati ascoltati dal papa che ad entrambi impose riparazioni, stabilendo, comunque, l'indipendenza del monastero dal vescovo di Torino. L'ultimo intervento papale e, forse ancor più, la morte dell'alleato marchese Pietro (9 ag. 1078) indussero C. a recedere dal suo atteggiamento repressivo. Il 3 nov. 1079 Gregorio VII gli affidò anzi un incarico di fiducia: doveva, insieme con i vescovi di Asti e di Alba, distogliere il marchese Bonifacio del Vasto dal proposito di sposare una cognata.

In quegli anni si accentuarono i legami di C. con Enrico IV. Fu al suo seguito nel 1077 a Piacenza e poi nel 1081 nel corso della nuova spedizione italiana dell'imperatore; il 20 luglio 1081 si trovava infatti a Lucca, dove sottoscrisse un diploma di Enrico IV in favore della Chiesa di Aquileia. Il 26 ott. 1078 aveva dato il suo assenso, in qualità di vescovo di Torino e di prevosto delle chiese pinerolesi di S. Donato e di S. Maurizio, ad una donazione di Adelaide al monastero di S. Maria di Pinerolo, confermando i buoni rapporti con la dinastia marchionale. Privo di ogni orientamento concorrenziale nei confronti dei poteri laici dovette essere il suo favore verso S. Solutore di Torino, S. Maria di Cavour e S. Lorenzo d'Oulx (ma si rammenti che il più noto diploma per quest'ultimo ente, datato 1065, è risultato falso).

Non si può precisare la data di morte di C., collocabile, comunque, con sicurezza dopo il 20 luglio 1081: è infatti dubbio il diploma datato 23 luglio 1082 che lo indica a Pavia al seguito di Enrico IV, così come è dubbia una prima attestazione (del 1082 0 1083) del successore Vitelmo, che operò poi sicuramente nel 1089, C. fu vescovo colto, vigorosamente impegnato negli eventi dei suoi anni, non radicale tuttavia nella scelta degli schieramenti: la sua adesione alla riforma fu convinta, ma moderata.

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