DE PREDIS, Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE PREDIS (Preda), Cristoforo

Franca Varallo

Scarse sono le notizie su questo miniatore. Sappiamo soltanto che era figlio di Leonardo e Margherita Giussani, che nacque, probabilmente a Milano, tra il 1440 e il 1450 (Biscaro, 1910), e che era sordomuto. Dei suoi fratelli e fratellastri, oltre al più noto Giovanni Ambrogio, furono artisti anche Evangelista e Bernardino.

I documenti pubblicati per la prima volta da G. Biscaro (1910) hanno permesso di far luce sul discusso luogo d'origine del D., che il Morelli-Lermolieff (1886), il D'Adda (1885) e di seguito il Carta (1891) avevano ritenuto modenese, male interpretando la sigla "mvt" - posposta al nome - per abbreviazione di Mutinensis. Il dubbio già avanzato dal Mongeri (1885), dal Salvioni (1891) e dal Motta (1893) che vi si dovesse leggere mutus e nella sigla "m[li]s", molto abrasa che completa la firma del codice dell'Ambrosiana di Milano, Mediolanensis, fu dunque confermato dalle carte d'archivio.

Il rinnovato interesse intorno all'attività di miniatore del D., iniziata presumibilmente tra il 1460 e il 1470 e svoltasi a Milano con probabili rapporti con Ferrara, lo ha fatto emergere come figura di rilievo nel panorama artistico padano di fine Quattrocento (Malaguzzi-Valeri, III, 1917; Wittgens, 1934 e 1956).

Formatosi nella tradizione figurativa che faceva capo a L. Belbello, derivò da questo la lirica del colore e la naturalezza delle forme, trascendendone quanto vi rimaneva delle seducenti suggestioni goticheggianti. Elaborò quindi una interpretazione originale delle novità visive che giungevano dal Nord (Francia e Fiandre), tale da rappresentare, insieme a Zanetto Bugatti e al Bergognone, il cosiddetto "momento fiammingheggiante", fondendola con suggerimenti di altra provenienza come la maniera raffinata e nervosa della scuola ferrarese con la quale gareggiò nell'accogliere i dettami delle istanze rinascimentali. La sua attenzione si rivolse al mutamento delle forme architettoniche e decorative avviato dal Filarete e dall'Amadeo, alle esperienze di luce e colore di Cristoforo De Mottis e Nicolò da Varallo, che realizzarono le vetrate del duomo di Milano, e soprattutto alla nuova sensibilità pittorica e plastica che si andava imponendo con il Bergognone e il Foppa.

L'"Offiziolo" interamente autografo della Biblioteca Ambrosiana, eseguito per una giovane sposa di casa Borromeo probabilmente intorno al 1474 (conviene qui ricordare che i libri mastri di casa Borromeo registrano tra il 1471 e il 1474 pagamenti per opere di miniatura a Giovanni Ambrogio e Cristoforo Preda: Biscaro, 1914), è un notevole esempio di come l'artista avesse assimilato e tradotto in schietta parlata lombarda lo stile fiammingo.

La prima parte, il calendario con i segni dello zodiaco, è un vero e proprio confronto con i rari libri d'ore, risolto in un narrare corsivo e delicato, nel quale elementi nordici e scene prese a prestito dalla realtà quotidiana convivono in un microcosmo di immagini che costituiscono uno spaccato di vita e di costume fresco e gioioso. Nella seconda parte, l'Officium, i bordi che incorniciano le vignette (quattro per ciascun verso figurato) sono un ricco repertorio di motivi ornamentali dove si alternano su fondi bianchi, blu e oro bizzarrie animali e fitomorfe, fili di perle, medaglioni, borchie gemmate e lavorate con vera passione di orefice, putti e candelabri di chiaro gusto rinascimentale che ricordano certi fregi a rilievo di portali lombardi coevi, o le campane vegetali che ornano la cappella Portinari (Wittgens, 1934, p. 358).

Nel Leggendario della Biblioteca reale di Torino, firmato e datato 1476, le suggestioni fiammingheggianti vanno via via cedendo il passo a un più sorvegliato senso pittorico e formale, pur riemergendo qua e là negli scorci paesaggistici di rara efficacia.

Il numero delle miniature, trecentoventitré per l'esattezza, e la dimensione di ognuna che ha permesso all'artista campiture di colore più ampie e uno svolgimento figurativo più armonioso, hanno fatto parlare la critica di capolavoro del De Predis. Realizzato per Galeazzo Maria Sforza, come dice lo stemma del frontespizio, giunse a Torino nel 1843, acquistato da D. C. Promis (Sclopis, 1874, p. 15). Nei riquadri che illustrano il testol spesso due o tre per pagina (un vero libro à images scriveva il Beltrami, 1896, p. 15), predominano, sapientemente accostati, i toni blu e verdi brillanti, i rosa e il giallo dorato, mentre i bei fondali architettonici alludono a palazzi e chiese milanesi. L'ideazione, sicuramente tutta del D., svela la sua indole di narratore incantevole, evidente soprattutto nella prima parte e nell'ultima dove, nelle scene dell'Apocalisse, si fa più fiabesca e divertita. Più debole la parte mediana, probabilmente affidata ad allievi che hanno ripetuto in modo un po' convenzionale lo stile del maestro.

Datato 1476 è pure il Corale miniato per il vescovo Marliani e da questo donato al santuario del Sacro Monte di Varese intorno al 1500. Il frontespizio, il solo interamente figurato, è un altro saggio di alta pittura, nel quale l'arte matura del D. esprime la sua adesione alle ricerche prospettiche e plastiche associando in maniera inedita momenti narrativi differenti.

La Wallace Collection di Londra possiede due frammenti che costituivano il frontespizio di un non ancora identificato codice miniato per Galeazzo Maria Sforza (sul frammento minore è lo stemma circondato da una rinascimentale corona d'alloro), firmato "Opvs.Xpofori. De. Predis.Mvti.Die ... Apr ... 147...".

La critica era sempre stata concorde nel completare la data in 1470, ritenendo che la scena di battaglia tra fanti e cavalieri che si svolge dietro a Galeazzo Maria genuflesso e orante dovesse riferirsi alla sua spedizione in Francia per aiutare Luigi XI nella guerra detta del pubblico bene del 1465. Nel 1974 lo studioso M.A. Jacobsen, in seguito a una attenta analisi iconografica, poteva proporre una data molto più tarda: 1477, sostenendo che l'animata battaglia dovesse alludere all'intervento del duca in Piemonte nel 1476 contro le truppe borgognone che avevano imprigionato la reggente Iolanda di Francia duchessa di Savoia. Il codice, il cui foglio superstite era forse accompagnato da un salmo, secondo quanto sostiene lo Jacobsen, che riconosce derivare la positura di Galeazzo Maria da una consueta iconografia del re David, quindi di chiaro intento idealizzante non estraneo alla cultura milanese, potrebbe essere stato commissionato nel 1476 e terminato nel 1477, dopo la morte del duca, per volere di Bona di Savoia.

Grande influenza esercitò il D. sulla miniatura e non solo lombarda: gli furono debitori, oltre al fratello Giovanni Ambrogio, che si formò nella sua bottega, Giovanni Pietro Birago che gli succedette nel favore della corte, Francesco da Castello, miniatore preferito da Mattia Corvino d'Ungheria, e numerosi altri emuli anonimi, i cui lavori indussero spesso gli studiosi a fare il nome del maestro. Oltre alle quattro opere autografe poc'anzi menzionate, gli vennero di volta in volta assegnati altri manoscritti che, pur tra conferme e smentite, non poterono aggiungersi al catalogo della sua produzione sicura, al momento ancora limitato a un breve arco di tempo.

La Wittgens, nel suo contributo del 1956, preferì considerare autografe solo le opere firmate. Si è invece astenuta dal dare un giudizio definitivo, a causa del cattivo stato di conservazione, sul Corale della cappella di Ercole I (Modena, Bibl. Estense) che lo Hermann (1900), in base alle evidenti affinità di impianto decorativo riscontrate con il Corale di Varese, aveva ritenuto di mano del D., trovando concorde la critica successiva (Malaguzzi Valeri, III, 1917; D'Ancona, 1925; Salmi, 1956), che semmai puntualizzava circa la presenza di una seconda mano (Arte lombarda dai Visconti..., 1958).

Fonti e Bibl.: F. Sclopis, Notizie della vita e degli studi di D. C. Promis socio residente della R. Accademia delle scienze, Torino 1874, App., p. 5; G. D'Adda, L'arte del minio nel Ducato di Milano dal sec. XIII al sec. XVI, a cura di G. Mongeri, in Arch. stor. lomb., XII (1885), pp. 344-348, 551 s.; J. Lermolieff (G. Morelli), Le opere dei maestri ital. nelle Gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna 1886, p. 426; W. von Bode, Ein Bildnis der zwetten Gemahlin Kaiser Maximilians, Bianca Maria Sforza von Ambrogio De Predes, in Jahrbuch der K. Preussischen Kunstsammlungen, II (1889), 10, p. 78; G. Coceva, rec. dell'articolo di von Bode, in Arch. stor. dell'arte, II (1889), p. 263; F. Carta, Codici corali e libri a stampa miniati della Bibl. naz. di Milano, Roma 1891, p. 38 n.; C. Salvioni, Notizia intorno ad un codice visconteo-sforzesco della Biblioteca di S. M. il re, Bellinzona 1891; E. Motta, Ambrogio Preda e Leonardo da Vinci (nuovi documenti), in Arch. stor. lomb., XX (1893), p. 985; R. von Schneider, Gian Marco Cavalli in Dienste Maximilians des Ersten, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, XIV (1893), p. 190; C. v. F. (Fabriczy), Ambrogio De Predes, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XVII (1894), p. 254; G. F. Warner, Miniatures and borders from the Book of hours of Bona Sforza, duchess of Milan, in British Museum, London 1894, Intr., p. XXXVII; L. Beltrami, Il Libro d'ore Borromeo, Milano 1896; Id., L'arte negli arredi sacri della Lombardia, Milano 1897, pp. 15, 33 tav.; G. Morelli, Della pittura ital. ..., Milano 1897, p. 187; H. J. Hermann, Zur Geschichte der Miniaturmalerei am Hofe der Este in Ferrara, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, XXI (1900), pp. 215 s.; L. Beltrami, Miniature sforzesche di C. D. nella National Gallery, in Rass. d'arte, I (1901) pp. 28 s.; C. 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Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, p. 370 (sub voce Predis, Cristoforo de); Diz. enc. Bolaffi dei pittori e degli incis. ital., IX, Torino 1975, pp. 220 s. (sub voce Predis, Cristoforo de).

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