CRISTALLI

Enciclopedia Italiana (1931)

CRISTALLI (dal gr. κρύσταλλος "ghiaccio"; fr. cristal; sp. cristal; ted. Krystall; ingl. crystal)

Ugo PANICHI
Carlo PERRIER
Ugo PANICHI

Pensando la materia dotata di costituzione particellare, osserviamo che, quando una sostanza, dapprima fluida, passa, per condizioni a ciò favorevoli, a quello stato che abitualmente si chiama solido, possono avvenire due casi distinti. O il cambiamento di stato è accompagnato da uno speciale ordinamente delle particelle, per cui ne risultano particolari proprietà (che studieremo a suo tempo) alla materia in tal modo irrigidita, e allora si dice che questa è cristallizzata, e taluni solo questo particolare stato chiamano stato solido; oppure la sostanza conserva dopo l'irrigidimento i caratteri particellari dei fluidi, e allora è amorfa (come sono amorfi in generale i fluidi) e si può, volendo, considserare come un fluido di grandissima viscosità. Per un fluido che cristallizza esiste un punto netto di solidificazione; invece l'irrigidimento amorfo si suole raggiungere gradatamente per stati intermedî. Ora, sebbene riteniamo che una sostanza amorfa non possegga alcun ordine nella distribuzione delle particelle che la costituiscono, essa può tuttavia apparire omogenea; p. es. può rivelare in ogni sua porzione la stessa composizione chimica, la stessa densità, lo stesso colore, ecc. Tale omogeneità non è evidentemente necessaria e non è neanche da intendersi in modo rigoroso.

Constateremo invece nella materia cristallizzata una omogeneità reale dipendente dal particolare, determinabile ordinamento delle particelle costituenti. Come manifestazione visibile di tale ordine troviamo che la materia cristallizzando suole individuarsi in porzioni (cristalli) generalmente limitate da facce piane; queste corrispondono, come vedremo, a piani individuabili nello scheramento particellare. Direzioni particolari di piani e di rette verranno rivelate nei cristalli esaminando molte loro priprietà, che perciò si presenteranno come proprietà vettoriali.

I cristalli sono porzioni di materia dotata di omogeneità reale e di particolari proprietà vettoriali. Noi studieremo i cristalli prima specialmente dal punto di vista morfologico, poi nelle loro proprietà strutturali e fisiche.

Morfologia dei cristalli.

Facce. - Le facce dei cristalli sono generalmente piane e la loro superficie è più o meno speculare. L'osservazione delle facce porta a riconoscsere su esse delle caratteristiche per le quali sopra uno stesso cristallo si possono avere facce tra loro somiglianti o differenti. Così vi sono facce striate con strie secondo particolari direzioni, facce lisce e speculari, facce scabre e pulite, ecc. Si possono artificialmente rendere più evidenti certi caratteri e certe direzioni (figure di corrosione, figure di percussione, ecc.; v. p. 939).

Forme semplici. - Facce con identici caratteri fisici appartengono ad una stessa forma semplice. Nella fluorite sono forme semplici: il cubo (fig. 1) l'ottaedro regolare (fig.2), il rombododecaedro (fig. 3), ecc. Vedremo come anche nella compagine del cristallo le direzioni corrispondenti alle facce di una stessa forma semplice si presentino con caratteri fra loro identici. Vedremo altresì (p. 931) una proprietà fondamentale delle forme semplici nel campo della simmetria.

Accrescimento parallelo. Costanza degli angoli. - Le facce corrispondono, come già si è accennato, a direzioni privilegiate. È naturale quindi: 1. che durante l'accrescimento del cristallo esse facce mantengano costante la direzione (accrescimento parallelo); il che non impedisce che le facce possano accrescersi con differenti velocità; 2. che fra le facce si abbiano angoli i quali, non solo siano costanti in un cristallo in via di accrescimento, ma si ritrovino identici su cristalli diversi d'una stessa sostanza.

Questo fatto costituì una scoperta impressionante quando nulla ancora si conosceva delle proprietà dei cristalli. La scoperta fu fatta nel 1540 da Vannuccio Biringuccio, di Siena. Fu riconosciuta nel 1669 da Nicola Steno e nel 1783 da Romé de l'Isle.

Cristalli proporzionati. Combinazioni di forme. - Ove la velocità di accrescimento fosse costante per tutte le facce d'una stessa forma semplice, pur potendo variare da forma a forma nello stesso cristallo, si otterrebbe un cristallo proporzionato. Sproporzionato invece se la velocità di accrescimento è diversa per le diverse facce. Una faccia con grande superficie rispetto ad altre coesistenti, si dice che ha maggiore sviluppo di quelle.

Se sopra uno stesso cristallo esistono facce con caratteri fisici differenti, avremo due o più forme semplici coesistenti, o, come si suol dire, una combinazione di forme. Se un cristallo è proporzionato, le facce d'una stessa forma semplice hanno superficie uguali in forma e grandezza; e ciò (in virtù delle propretà di simmetria che fra poco esamineremo) avviene non soltanto quando il cristallo presenta un'unica forma semplice, ma anche, per ciascuna forma, nel caso di più forme combinate. Se il cristallo è proporzionato sono possibili spigoli non esistenti nel cristallo proporzionato.

La fig. 4 rappresenta un cristallo proporzionato, in cui sono combïnati il cubo ed il rombododecaedro. La fig. 5 mostra un cristallo sproporzionato, combinazione di cubo e ottaedro.

Elementi di simmetria. - Piani, assi, centro di simmetria sono elementi di simmetria che si possono constatare anche nei cristalli. Ma in cristallografia le facce non sono piani geometrici, e nello studio della simmetria si tiene conto anche dei loro caratteri fisici; anzi si tiene conto di tutte le proprietà fisiche che, come vedremo, sono legate nei cristalli a determinate condizioni di simmetria; ma l'esperienza insegna che quando un elemento di simmetria è stato riconosciuto tale in riguardo ai caratteri fisici delle facce (e particolarmente alle figure di corrosione), esso rimane come elemento di simmetria anche per tutte le altre proprietà del cristallo.

Se ora, ad es., consideriamo un cubo (fig. 6), è evidente che, dal punto di vista geometrico, un piano P parallelo a due facce opposte e che passi per i punti di mezzo dei quattro spigoli normali a quelle facce, è piano di simmetria; e così pure un piano P′ che passi per due spigoli opposti (nel cubo abbiamo 3 P e 6 P′); ora in un cristallo cubico di galena (fig. 7 a) le facce sono striate secondo le due coppie di spigoli opposti che contornano ogni faccia; in tal caso tanto i piani P, quanto i piani P′ rimangono piani di simmetria anche in senso fisico; invece nei cristalli cubici di pirite (fig. 7 b) si hanno sulle facce strie solo secondo una coppia di spigoli opposti e si vede allora che, mentre i piani P sono piani di simmetria anche in riguardo alle striature, i piani P′ invece non lo sono più. S'intende che, parlando di simmetrie nel modo suddetto, dobbiamo riferirci a cristalli proporzionati.

Piani di simmetria. - Ora dunque un piano è di simmetria quando divide il cristallo proporzionato in due parti tali che, se il piano fosse uno specchio, coinciderebbero ognuna con l'immagine speculare dell'altra; ogni faccia coinciderebbe con l'immagine della sua simmetrica anche in riguardo alla giacitura delle striature o di altre caratteristiche fisiche di quelle facce.

Assi girici. - Un asse di simmetria esiste quando, assunto come asse di rotazione, il cristallo riprende più volte in un giro l'orientazione iniziale; e cioè al posto che ogni faccia ha inizialmente, viene a sostituirsi, dopo rotazione di un angolo α, un'altra faccia con uguale giacitura e con caratteristiche fisiche eguali ed egualmente orientate. Poiché sempre, dopo un giro intero, ciò si verifica, α è un sottomultiplo di angolo giro; U = 360°/n; e l'asse si dice girico di ordine n.

Assi giroidici. - Talora si può avere il ritorno alle condizioni iniziali mediante una duplice operazione e cioè rotazione intorno a un asse e riflessione speculare rispetto a un piano normale all'asse. Consideriamo, ad esempio, un romboedro (fig. 8) e assumiamo come asse di rotazione la direzione egualmente inclinata rispetto ai tre spigoli, convergenti in un vertice, che sono costole di angoli diedri eguali fra loro. Questo asse è evidentemente girico di ordine 3; e quindi U = 120°. Ma se, dopo rotazione di α/2, facciamo riflettere rispetto a uno specchio piano, normale al detto asse, la forma ruotata, otterremo un'immagine che si trova nelle condizioni iniziali della forma data. Potremo allora chiamare assespecchio l'insieme dell'asse e del piano; ma si suole anche chiamare asse giroide o giroidico l'asse (pensato insieme col piano) oppure chiamare piano di simmetria alterna il piano (pensato insieme con l'asse). L'asse giroide del romboedro si può indicare con A3(6). In generale An (2n).

Centro - Supponiamo 1. che le facce d'un cristallo siano a due a due parallele; 2. che le due facce d'ogni coppia abbiano eguali caratteri fisici; 3. che le caratteristiche fisiche d'una faccia siano invertite rispetto a quelle della faccia parallela, come sarebbe una figura piana rispetto alla sua immagine sul vetro spulito di una camera oscura (disposto parallelamente al piano della figura) quando l'apertura del diaframma divenisse estremamente piccola.

Allora uno stesso punto può corrispondere all'apertura del diaframma in riguardo a tutte le coppie di facce (essendo le facce trasportabili parallelamente); tale punto viene chiamato centro d'inversione o centro di simmetria.

Per una stessa forma semplice si possono avere contemporaneamente più piani di simmetria, più assi girici o giroidici; naturalmente non più di un centro. Evidentemente tutte le facce di una stessa forma semplice si trovano nelle identiche condizioni rispetto al complesso degli elementi di simmetria esistenti. Se non ci fossero elementi di simmetria, ogni faccia costituirebbe una forma.

Elementi di singonia. - La fig. 7 b mostra che trascurando i caratteri fisici delle facce, potrebbero apparire elementi di simmetria che in realtà non esistono. Tali elementi che riguardano solo il solido geometrico senza tener conto delle proprietà della materia di cui è formato, si chiamano elementi di singonia.

Legge di simmetria. - Considerando ora le varie forme semplici che possono coesistere in un cristallo, o trovarsi nei varî cristalli d'una stessa sostanza, l'osservazione ci porta ad affermare che gli elementi di simmetria verificati sopra una forma semplice, si ritrovano su tutte le altre forme semplici presenti nei cristalli della stessa sostanza e si ritrovano anche nelle combinazioni delle forme semplici, le quali perciò si combinano in modo da avere a comune i loro elementi di simmetria. Così, ad es., i 3 P6 P′ che abbiamo già constatato in un cubo di galena (fig. 6) si ritrovano nell'ottaedro e nel rombododecaedro (figg. 9 e 10) e anche nella combinazione di tali forme (fig. 11). Dunque si può enunciare la legge che: tutti i cristalli di una data sostanza sono dotati degli stessi elementi di simmetria.

Ma, sebbene ad ogni sostanza cristallizzata competano particolari elementi di simmetria, vedremo che i diversi possibili aggruppamenti di elementi di simmetria sono in numero piuttosto limitato, e perciò lo stesso insieme di elementi si può ritrovare in sostanze diverse. Così nascono le classi di simmetria (pag. 931).

Parametri, indici, simbolo di una faccia. - Riferendo ad una terna di assi coordinali le facce di un poliedro, avremo per ogni faccia tre valori OH, OK, OL, corrispondenti ai segmenti intercettati sugli assi (fig. 12). Considerando due facce e facendo i rapporti

osserviamo che, ove le due facce si trasportassero parallelamente a sé stesse, nei detti rapporti varierebbero i numeratori secondo uno stesso coefficiente m quando si sposta la prima faccia, e i denominatori secondo uno stesso coefficiente n quando si sposta la seconda faccia. Ma è facile vedere che i rapporti fra i detti rapporti, cioè

non cambieranno finché non cambia la giacitura delle facce. Infatti

cost. e così per gli altri due rapporti.

Si abbia ora un cristallo e prendiamo (per comodità) l'origine nell'interno di esso; prendiamo poi gli assi secondo tre direzioni diverse che siano rispettivamente parallele a tre spigoli del cristallo reali o possibili. Chiameremo parametri di una faccia i segmenti OH, OK, OL corrispondenti; riferiamo i parametri delle singole facce a quelli (fondamentali) OA, OB, OC di una faccia (fondamentale) scelta una volta per tutte; avremo:

= h: k: l dove h, k, l sono valori suscettibili d'essere moltiplicati o divisi per uno stesso fattore; questi valori chiameremo indici della faccia H K L. Il loro insieme (h k l) in parentesi tonda si chiama il simbolo della faccia.

Legge degli indici semplici (di Haüy). - L'esperienza dimostra che le direzioni delle facce dei cristalli sono tali che, riferite ai loro spigoli, ne risultano indici esprimibili da numeri interi, generalmente piccoli. Questa tendenza a valori semplici è d'importanza fondamentale, come vedremo meglio fra poco. Vedremo pure come tali valori si ricavino dalle misure di alcuni degli angoli formati dalle facce: piccole oscillazioni sono possibili, anzi abituali; ma i valori ottenuti per gl'indici sono prossimi a valori (interi o frazionarî, cioè razionali) semplici; questi, mediante un conveniente fattore, si possono sempre ridurre a numeri interi.

Scelta degli assi. Simoolo di una forma semplice. - Si può domandare se la scelta degli assi, cioè degli spigoli è indifferente; la risposta richiede nozioni sulla struttura (pp. 938 e 952). Intanto osserviamo che si sogliono avere spigoli dominanti per grandezza o frequenza, rispetto ai quali la legge della semplicità degl'indici trova la miglior conferma. Sono quei medesimi spigoli che spesso ci dànno, con le loro direzioni, sole o combinate, le direzioni di assi e di piani di simmetria. Allora si verifica altresì che le facce d'una data forma semplice si possono tutte esprimere con simboli somiglianti fra loro, per questo: che i loro indici sono gli stessi in valore assoluto e solo differiscono per l'ordine e per il segno. Perciò è possibile parlare di simbolo di una forma. Il simbolo di una sua faccia (convenientemente scelta, come vedremo) viene assunto come simbolo della forma, scrivendolo in parentesi a graffe { }.

Costanti cristallografiche. - È chiaro che la semplicità degl'indici non riguarda per nulla i rapporti fra parametri di una data faccia. Scrivendo, ad esempio, OA : OB : OC = a : b : c, i valori dei rapporti espressi nel secondo membro non sono in generale semplici e nemmeno razionali. I rapporti fra i parametri della faccia assunta come fondamentale sono chiamati rapporti parametrici fondamentali, e si sogliono esprimere ponendo b al denominatore, cioè

il che è quanto esprimere a e c, ove si ponga b = 1. Questi due valori, e quelli dei tre angoli fatti dalle direzioni degli assi cristallografici due a due (α = yz, β = xz, γ = xy), si chiamano le costanti cristallografiche di una data sostanza cristallizzata (fig. 13).

Goniometri. - Goniometro di Carangeot. - Col goniometro di Carangeot (o di applicazione) si può misurare direttamente l'angolo piano corrispondente al diedro formato da due facce. Due alidade (A e B, fig. 14) girevoli in un piano e applicabili sulle due facce, debbono esservi appoggiate in modo che il piano passante per le due rette di contatto sia perpendicolare allo spigolo. L'angolo fra le alidade è misurato sopra un mezzo disco graduato (C, fig. 14). L'apparecchio è solo usabile per misure non di precisione e su cristalli abbastanza grossi.

Goniometro di Wollaston. - Il goniometro di Wollaston (o a riflessione) serve per cristalli anche abbastanza piccoli ma con facce speculari (fig. 15). Consta di tre corti cilindretti metallici coassiali: il primo (esterno) è fisso (con asse orizzontale) e solidale col sostegno, o base, che porta tre viti di appoggio; il secondo e il terzo sono girevoli; il secondo porta un disco o lembo (perpendicolare all'asse), che è graduato e gira, col cilindro, davanti ad un nonio fisso; il terzo cilindretto (interno) porta un prolungamento nel senso dell'asse e articolato in modo da poter aggiustare la posizione di un cristalletto, attaccato con cera alla sua estremità, così che lo spigolo da misurare risulti disposto secondo l'asse di rotazione.

Il lembo (verticale) deve essere perpendicolare alla fronte dell'osservatore, che, fisso e guardando nelle facce dello spigolo, mentre il cristallo gira, vede ora nell'una, ora nell'altra riflettersi un dato oggetto che si trovi davanti a lui.

L'angolo di rotazione occorrente per il passaggio dalla prima alla seconda immagine, è l'angolo delle normali alle due facce, e quindi supplementare all'angolo che si misura.

Goniometro a cannocchiale. - È fondato sullo stesso principio della riflessione della luce sulle facce, ma con l'aggiunta di altri accessorî. In quello di Babinet (fig. 16) il lembo è orizzontale, e quindi l'asse di rotazione verticale. La luce d'un lume entra per la fenditura (mira) e poi per la lente di un collimatore C (fenditura nel piano focale della lente), talché arriva al cristallo un fascio di raggi paralleli e orizzontali. Un cannocchiale L (orizzontale e rivolto verso l'asse dell'apparecchio) è sostenuto da un braccio B, il quale è solidale con un anello che circonda il lembo ed è girevole intorno all'asse verticale. L'anello porta due nonî diametralmente opposti. Il cannocchiale ha l'obiettivo modificabile per l'aggiunta d'una lente: con questa permette di vedere il cristallo (ingrandito e capovolto); senza questa vede gli oggetti lontani e, se i raggi riflessi dalla faccia entrano per l'obiettivo diretti secondo l'asse del cannocchiale, l'occhio vede l'immagine ingrandita della fenditura. Il cristallo s'imposta attaccandolo sopra un piccolo porta-cristalli u il quale, a sua volta, è mobile mediante un sistema di quattro slitte (due piane m, m′ e due cilindriche r, r′) che permettono di centrare il cristallo (slitte piane), e rendere verticale lo spigolo da misurare (slitte cilindriche).

Un buon goniometro permette di misurare angoli con l'approssimazione di 10″. Non sempre però i cristalli permettono di raggiungere tale approssimazione.

Goniometri teodoliti. - Per fare tutte le possibili misure in un cristallo, occorrono molte e successive impostazioni: cosa assai scomoda se il cristallo è ricco di facce, piccolo e magari anche fragile. Si può dare allora una maggiore mobilità o al porta-cristalli o al cannocchiale, mediante l'aggiunta di altri lembi, e si passa così ai goniometri teodoliti a due o a tre lembi: apparecchi assai complessi, e perciò poco usati nelle misure correnti. Essi però presentano dei vantaggi poiché forniscono comode correlazioni tra le giaciture di tutte le facce. La figura 17 mostra il goniometro a tre lembi di Smith.

Zone. - Bene spesso, nei cristalli, si osservano spigoli paralleli fra loro, e perciò facce tutte parallele ad una medesima direzione. Si dice allora che queste facce appartengono ad una medesima zona, e la direzione, a cui tutte sono parallele, si chiama asse della zona. È utile, come vedremo, mettere in rilievo l'esistenza di tali zone, e anche, come generalmente si verifica, la coesistenza di più zone. I goniometri a riflessione servono utilmente in questa ricerca; infatti, portato che sia uno spigolo parallelamente all'asse di rotazione, lo saranno anche gli altri della stessa zona; e, con un giro completo del lembo, si osserveranno tante immagini della mira quante sono le facce in zona (ma se il cristallo è troppo grosso, occorrono movimenti di traslazione mediante le slitte piane).

Rappresentazione grafica dei cristalli. - Prospettiva parallela. Nel riprodurre sul piano del disegno l'effige d'un cristallo, si suole, piuttosto che la prospettiva centrale, usare quella parallela, cioè supporre il punto di vista all'infinito. Ciò, oltre a dare maggiore uniformità, fornisce anche il vantaggio che gli spigoli fra loro paralleli vengono riprodotti in tratti pure fra loro paralleli: cosicché il disegno mostra a colpo d'occhio l'esistenza delle diverse zone. Come ad es. un cristallo di anglesite (v. anglesite). Nello studio morfologico dei cristalli, si suol dare a questi un'orientazione convenzionale; allora anche gli assi cristallografici ne risultano orientati; cosi, p. es., nel caso che gli assi siano ortogonali fra loro, si sogliono disporre in modo che due siano orizzontali; e di questi il primo (delle x) si suppone normale alla fronte dell'osservatore, il secondo (delle y) parallelo; quindi il terzo (delle z) sarà verticale. Questa posizione però non sarebbe comoda per riprodurre gli assi in disegno; e, in tal caso, si suppone di vederli in scorcio, dopo aver segnato sugli assi stessi un segmento arbitrario (a partire dall'origine) che rappresenti l'unità. Sui versi positivi degli assi si fissano i valori OA, OB, OC relativi alla faccia fondamentale; eguali segmenti OA′, OB′, OC′ si staccano sui versi negativi (la fig. 13 indica i versi abitualmente considerati come positivi o negativi); si suol porre convenzionalmente OB = 1 : quindi si segnano sugli assi i parametri delle altre facce; ogni faccia che non sia parallela a uno o a due degli assi, risulta rappresentata da un triangolo i cui lati esprimono le sue intersezioni coi piani assiali. Se due facce (fig. 18) formano uno spigolo, le loro intersezioni coi piani assiali s'incontreranno due a due (piano per piano) secondo tre punti L, M, N, che saranno in linea retta; questa nel disegno rappresenterà lo spigolo. La rete dei varî spigoli ci dà l'effige del cristallo.

Proiezione stereografica. - Schematicamente si rappresenta un cristallo supponendo che esso si trovi in una sfera; dal centro di questa si tirino i raggi rispettivamente normali alle facce; abbiamo così sulla superficie sferica altrettanti punti (poli delle facce).

Il punto di vista O sia l'estremo inferiore del diametro verticale (figura 19); il piano del disegno sia il piano diametrale orizzontale. Le visuali condotte dall'occhio ai poli P, P... , dell'emisfero superiore tagliano il piano del disegno in altrettanti punti M, M′..., e questi rappresentano le facce del mezzo cristallo corrispondente all'emisfero superiore.

Occorrerebbe un altro disegno per l'altro mezzo cristallo, capovolgendo il cristallo, o portando il punto di vista all'estremo opposto del diametro verticale.

Le facce appartenenti a una stessa zona hanno i loro poli distribuiti sopra una stessa circonferenza di circolo massimo. Ora una proprietà notevole e comoda della proiezione stereografica è questa: che un arco di circonferenza, tracciato sulla superficie sferica, corrisponde, anche sul piano del disegno, a un arco di circonferenza.

esprimibile anche per mezzo degl'indici, e cioè:

Considerando ora i poli P, Q, R di tre facce di una stessa zona, e i triangoli sferici ottenuti congiungendoli con i punti d'incontro degli assi cristallografici con la superficie sferica, si giunge, mediante considerazioni trigonometriche, e applicando la (1) per due dei poli dati (p. es.: per P ed R, essendo P polo della faccia hkl ed R della faccia mnp), alla seguente espressione:

ossia, chiamando D1 D2 D3 i determinanti,

I valori D1, D2, D3, dedotti dagl'indici di due facce della zona data, si chiamano indici della zona e, chiusi in parentesi quadra, ci dànno il simbolo della zona. La relazione (2) lega dunque gl'indici della zona coi coseni direttori della normale a una qualsiasi altra faccia della zona medesima.

Se il polo Q appartiene contemporaneamente a due zone di simboli [D1D2D3], [D1D2D3′], si hanno due relazioni come la (2), e da queste, eliminando successivamente i tre coseni, si ottiene:

dove

e qrs sono gl'indici della faccia comune alle due zone.

Dalle formule (2) e (3) si ricava poi l'altra:

formula che esprime le condizioni affinché una faccia di simbolo (qrs) appartenga a una zona di simbolo [D1D2D3].

Gli stessi risultati si potevano ottenere considerando le equazioni dei piani di due facce MNP, MNP′. Sia

l'quazione ridotta di un piano. Considerando che una faccia si può trasportare parallelamente a sé stessa, sostituendo nel secondo membro all'unità un valore K, avremo, col variare di K, tutti i piani aventi una medesima giacitura; in particolare, per K = 0, avremo un piano passante per l'origine.

Ciò premesso, ed esprimendo i parametri u, v, w in funzione degl'indici m, n, p; m′, n′, p′ delle due facce date, avremo rispettivamente:

o anche

da cui:

e perciò:

Questa è la condizione a cui obbediscono i punti xyz dell'intersezione di due piani, ossia dello spigolo delle due facce. I tre determinanti D1, D2, D3 si chiamano gl'indici dello spigolo. Ma lo spigolo di due facce esprime la direzione comune a quelle due facce, e a quante altre con esse fossero in zona; per la qual cosa [D1D2D3) si può dire anche il simbolo di quella zona.

Come due facce determinano uno spigolo, così anche due spigoli determinano una faccia. Operando sui simboli degli spigoli in modo analogo al precedente si ottiene il simbolo della faccia.

Siano ora date tre facce (mnp), (mnp′), (mnp″), appartenenti a una stessa zona: avremo tre equazioni come le (5); e, riflettendo che i tre piani, in quanto tutti e tre passano per l'origine e sono paralleli a una stessa direzione, appartengono a uno stesso fascio, riconosciamo che deve essere:

o anche, sviluppando il determinante del 3° ordine:

ossia:

la quale è precisamente la relazione fra gl'indici della zona e quelli di una faccia che vi appartenga.

Da quel che si è detto, risulta anche una comoda regola pratica. Date due facce (mnp), (mnp′), si scrivono per ciascuna i tre indici per due volte consecutive, formando il quadro seguente:

Svolgendo i determinanti minori indicati dalle croci, avremo gl'indici della zona.

Analogamente, dati gl'indici di due zone, si ottengono, applicando la stessa regola, gl'indici della faccia comune.

Queste operazioni mostrano anche che, come soddisfanno alla legge di Haüy gl'indici delle facce, così vi soddisfanno quelli delle zone.

Relazioni fra elementi di simmetria. - Un asse di simmetria An nei cristalli non può essere di ordine qualunque. Se prescindiamo dal caso n = 1, che è sempre possibile in ogni figura, i soli ordini che si verificano nei cristalli sono 2, 3, 4, 6. Ciò è in accordo con la legge di Haüy. Infatti una faccia comunque inclinata sull'asse, sarà in generale accompagnata da altre n − 1 per formare una piramide di n facce; solo se essa fosse normale all'asse potrebbe soddisfare da sola alle condizioni di simmetria imposte dall'asse. Sia ABCD... tale faccia e siano VAB, VBC, VCD..., le n facce della piramide (fig. 23). Assumiamo per assi cristallografici (come è possibile) le direzioni OA, OB, OV, per faccia fondamentale ABV; sarà OA = OB; ora osserviamo che due spigoli determinano una faccia possibile; così ACV sarà una faccia possibile; essa ha per parametri OA, OB′, OV, ossia OA, OA cos α, OV; ora gl'indici

devono stare fra loro come numeri interi semplici e ciò è solo possibile quando cos α sia esprimibile razionalmente. Escludendo il caso α = 0, ciò si verifica solo per α = 60°, 90°, 120°, 180°.

Corrispondentemente sarà n = 6, 4, 3, 2.

Fra gli elementi di simmetria coesistenti in un cristallo potranno intercedere correlazioni di mutua dipendenza; così si hanno varî teoremi che sarebbero facilmente dimostrabili, ma che qui ci limiteremo a enunciare.

Se di assi di simmetria ne esiste uno solo, possono esistere piani di simmetria solo normalmente o parallelamente ad esso.

Se esiste un asse An e un piano di simmetria passante per esso, per esso passeranno n piani di simmetria.

Se esiste un asse An e, normalmente ad esso, un asse binario, esisteranno normalmente ad esso n assi binarî.

Se due piani di simmetria fanno tra loro un angolo

la loro intersezione corrisponde a un asse di simmetria An, e passeranno per questo asse non due, ma n piani di simmetria.

Se esistono due assi binarî facenti fra loro un angolo α, deve esistere anche un terzo asse normale al piano dei primi due e di grado

e inoltre di assi binarî normali ad An ne esisteranno non due, ma n.

Se esistono due assi Am e An di ordine > 2 (e quindi esistono n Am e m An) devono esistere anche assi binarî nelle direzioni delle bisettrici degli angoli fatti da coppie di assi di eguale ordine. (Questo teorema in cristallografia si verifica per il caso di m = 4 ed n = 3).

Se coesistono un piano di simmetria e un asse di simmetria d'ordine pari normale al piano, esiste anche il centro di simmetria; e se comunque di questi tre elementi ne esistono due, esiste anche il terzo (sempre essendo asse e piano normali fra loro).

Classi di simmetria. - I teoremi precedenti permettono di ricercare quali siano tutti gli aggruppamenti di elementi di simmetria possibili in cristallografia; ma è da notare che è anche possibile il caso che esista un solo elemento, e anzi esiste altresì la possibilità di cristalli totalmente privi di elementi di simmetria.

La discussione porta a ritenere possibili 32 casi e corrispondentemente ad ammettere l'esistenza di 32 classi di simmetria, intendendo che ogni classe sia caratterizzata da determinati elementi (una anche dalla mancanza di elementi di simmetria), e rappresentata da tutte le sostanze, naturali o artificiali, i cui cristalli obbediscono alle condizioni imposte da quell'insieme di elementi.

In varî modi si può giungere alla conclusione dell'esistenza di 32 classi; generalmente questa proprietà viene enunciata col nome di teorema di Hessel. L'esame effettivo dei cristalli ha portato a riconoscere che alcune classi sono più frequentemente rappresentate; si è andato sempre assottigliando il numero di quelle classi che da prima apparivano prive di rappresentanti, talché oggi pressoché tutte sono state riconosciute esistenti. Ad ogni modo l'osservazione dei cristalli comunque ottenuti, non ha portato mai a verificare casi diversi dai trentadue previsti dalla teoria.

Classi oloedriche e meroedriche. - Abbiamo già visto che degli elementi di singonia verificabili in un cristallo, alcuni possono sparire dal punto di vista della simmetria reale. Insistiamo su questo concetto con un semplice esempio. Nell'ottaedro regolare della geometria esistono, fra gli altri elementi di singonia, tre piani, fra loro ortogonali due a due, passanti ciascuno per quattro dei dodici spigoli. Se ora consideriamo un ottaedro reale, p. es. un ottaedro di fluorite, constatiamo che in esso tutte le facce presentano i medesimi caratteri fisici e che nessun fatto fisico viene a distruggere l'esistenza di quei tre piani, che perciò ora chiameremo piani di simmetria.

Ma se consideriamo un cristallo di blenda, che sia, come si può verificare, geometricamente corrispondente all'ottaedro regolare, troviamo invece quattro delle otto facce con caratteri fisici uguali fra loro e differenti da quelli delle altre quattro, e precisamente a facce adiacenti corrispondono differenti caratteri fisici; quattro facce analoghe corrispondono a quelle di un tetraedro regolare (fig. 24), e così pure le altre quattro.

Qui dunque i tre piani di singonia non sono piani di simmetria. Aggiungiamo anche che, mentre nella fluorite l'ottaedro rappresentava una forma semplice, nel caso della blenda non esiste la forma semplice ottaedro, ma esiste invece la combinazione di due forme semplici che sono due tetraedri distinti.

Se ora da questo esempio ristretto passiamo al caso più lato dell'esame di tutti i cristalli di fluorite e di blenda, troviamo che tutti gli elementi di singonia nella fluorite sono anche elementi di simmetria, mentre nella blenda solo una parte degli elementi di singonia rimangono come effettivi elementi di simmetria. Perciò la blenda appartiene a una classe diversa da quella della fluorite.

Ci sono classi come quella cui appartiene la fluorite, in cui tutti gli elementi di singonia sono elementi di simmetria; queste classi chiameremo oloedriche; meroedriche invece le classi che, come quella cui appartiene la blenda, conservano, dal punto di vista della simmetria, una parte soltanto degli elementi di singonia.

Sistemi. - Abbiamo dunque visto che ci sono classi diverse, ma con gli stessi elementi di singonia. Di queste una sola potrà essere oloedrica, ma si potranno invece avere classi meroedri che in modi diversi. Tutte le classi obbedienti alle medesime condizioni di singonia si possono riunire in un sistema. D'ora in poi chiameremo prima classe di un sistema la classe oloedrica. Le 32 classi possono, nel concetto su esposto, formare sei sistemi diversi (cubico, esagonale, tetragonale, rombico, monoclino e triclino). Vedremo come si possa, volendo, scindere in due il sistema esagonale e così avere in tutto sette sistemi.

Gruppi. - Vedemmo che i rapporti parametrali fondamentali

possono variare da sostanza a sostanza; ma per tutte le classi di uno dei sei sistemi (cubico) abbiamo a = b = c. Quindi per tutte le sostanze del sistema cubico, i detti rapporti sono sempre eguali a 1; per altri due sistemi (esagonale e tetragonale) vi è un solo rapporto variabile che possiamo indicare con

negli altri tre sistemi (rombico, monoclino e triclino) i due rapporti

sono ambedue variabili da sostanza a sostanza.

Per queste ragioni si possono pensare tre gruppi detti, nell'ordine sopra descritto, monometrico, dimetrico, trimetrico.

Nella pagina seguente diamo il quadro di tutti i gruppi, sistemi e classi, e degli elementi di simmetria proprî di ciascuna classe. I nomi dati alle classi corrispondono al nome che in ogni classe è dato alla forma semplice più generale per quella classe, come ora vedremo.

La descrizione delle singole forme semplici possibili in una classe può farsi comodamente, partendo dall'insieme degli elementi di simmetria proprî di quella classe, e cercando quali sono tutte le facce che, in virtù di tali elementi, debbono coesistere con una faccia che supponiamo data, e che può essere presa in una giacitura arbitraria. L'insieme di tutte le facce coesistenti, costituisce una forma semplice; se la giacitura della faccia data non obbedisce a particolari condizioni, avremo la forma più generale possibile; altrimenti potremo esaminare le condizioni particolari imponibili, e, corrispondentemente, troveremo altre forme. È evidente che il simbolo della faccia considerata sarà, nel caso generale, costituito da indici qualunque, differenti fra loro; come casi particolari avremo l'uguaglianza di due o tre indici, oppure uno o due indici nulli.

Sistema cubico. - Classe esacisottaedrica. - I nove piani di simmetria di questa classe, pensati tutti come passanti per un punto (centro di simmetria), dividono lo spazio in 48 compartimenti; e, se immaginiamo una sfera col centro nel centro di simmetria, sulla superficie sferica avremo 48 triangoli sferici. Se considerassimo soltanto i tre piani ortogonali fra loro, indicati con 3 P, lo spazio e quindi la superficie sferica, resterebbero divisi in 8 compartimenti, cui si dà il nome di ottanti. Poiché a una faccia corrisponde un polo sulla superficie sferica, immaginato un polo qualunque entro uno dei detti triangoli sferici, si dovrà avere, per simmetria, un polo anche in ciascuno degli altri triangoli; e così 48 poli, ossia 48 facce. (Mezza superficie sferica è rappresentata in proiezione stereografica dalla fig. 25. Le tracce dei 3 P sono segnate in grosso; quelle dei 6 P′ in sottile). I piani tangenti alla sfera nei poli considerati costituiranno allora una forma semplice di 48 facce; e questa è la forma più generale possibile, cui daremo il nome di esacisottaedro (fig. 26).

Se il polo preso dapprima cadesse sui lati o sui vertici di un triangolo sferico, la stessa cosa avverrebbe per tutti gli altri; si passa così a casi particolari, e corrispondentemente ad altre forme semplici. Se un polo cade sopra uno dei lati corrispondenti ai piani 6 P′, avremo 3 poli per ogni ottante: e quindi in tutto 24 poli. Ma qui sono possibili due casi: considerando in ogni ottante i sei lati convergenti (fig. 25) in uno stesso vertice (M), solo su tre di essi, alterni, giaceranno i poli; e come qui abbiamo due terne di lati, così abbiamo due forme semplici, ambedue di 24 facce, che sono il triacisottaedro (fig. 27) e l'icositetraedro (fig. 28). Se poi i poli giacessero sui lati corrispondenti ai 3 P, si avranno ancora 24 poli, e corrispondentemente la forma di 24 facce, chiamata tetracisesaedro (fig. 29). Se poi un polo cade sul vertice (N), corrispondente (fig. 25) all'incontro di un P con un P′, allora i poli coesistenti si riducono a 12, e la forma semplice che corrisponde a questo caso ha 12 facce e si chiama rombododecaedro. Finalmente, i vertici come M, in cui s'incontrano tre piani P′, sono uno per ottante; e, considerati come poli, vi corrispondono 8 facce che sono quelle dell'ottaedro. I vertici poi, come O, dove s'incontrano 4 piani (2 P e 2 P′) sono 6 e corrispondono alle 6 facce dell'esaedro o cubo.

Considerando ora i simboli delle predette forme, e supponendo da prima m > n > p, l'esacisottaedro avrà per simbolo {mnp}; la faccia di esacisottaedro che ha per simbolo (mnp) sarà quella che incontra gli assi xyz nei loro versi positivi, in modo che sia OM ON OP. I simboli di tutte le altre facce dell'esacisottaedro si deducono dal primo, facendo tutte le possibili permutazioni degl'indici, e tutti i possibili cambiamenti di segno.

Se ora due indici sono eguali, o sarà m = n, oppure n = p; corrispondentemente abbiamo i simboli {mmp} e {mnn}, i quali rappresentano le forme triacisottaedro e icositetraedro. Se tutt'e tre gl'indici sono eguali, il simbolo diventa {111}, e corrisponde all'ottaedro.

Se ora un indice è eguale a zero (cioè ogni faccia è parallela a un asse), avremo come simbolo della forma {mno}, cioè il tetracisesaedro.

Per m = n questo simbolo diviene {110}, e abbiamo il rombododecaedro. Finalmente se ogni faccia è parallela a due assi, il simbolo della forma diviene {100}, cioè abbiamo l'esaedro o cubo.

Notiamo che i simboli {111}, {110}, {100} corrispondono a forme definite e invariabili; mentre gli altri simboli sopra indicati corrispondono ciascuno a tante forme, quanti sono gl'indici numerici semplici sostituibili, caso per caso, agl'indici letterarî. Così ad esempio i simboli {211}, {311}, {322}, {411}, ecc. sono tutti icositetraedri, differenti fra loro, e caratterizzati ciascuno da particolari valori angolari.

Molte sono le sostanze che appartengono a questa classe, che è la classe oloedrica del sistema cubico. Abbiamo già nominato la fluorite (CaF2) e la galena (PbS). Altro esempio è lo spinello (MgAl2O4); così pure l'oro, il rame, l'argento. Ecco (fig. 30) la combinazione del rombododecaedro con l'icositetraedro {211} abituale nei granati.

Classe icositetraedrico-pentagonale. - Degli elementi di simmetria presenti nella prima classe, qui rimangono tutti gli assi, cioè tre assi quaternarî, quattro assi ternarî e sei assi binarî. Non più piani né centro. In queste condizioni un polo, comunque preso in uno dei 48 triangoli sferici della fig. 25, dovrà coesistere con altri 23 poli in altrettanti triangoli a due a due non adiacenti. La forma generale {mnp} qui ha dunque 24 facce corrispondenti come posizione a 24 delle 48 di un esacisottaedro. Di quest'ultimo le altre 24 corrispondono a un'altra forma obbediente alle stesse condizioni di simmetria della precedente. Queste due forme si chiamano icositetraedri-pentagonali (fig. 31 a, b). Quello dei due che contiene la faccia (mnp) ha per simbolo {mnp}, l'altro ha per simbolo {nmp}. Queste due forme si dicono coniugate: esse possono coesistere, formando insieme una combinazione di 48 facce che, naturalmente, non è un esacisottaedro, inquantoché le 24 facce di una delle due forme differiranno per caratteri fisici dalle 24 facce dell'altra; altrimenti si ricadrebbe nella prima classe. Questi due icositetraedri-pentagonali non sono sovrapponibili, ma uno può essere portato a coincidere con l'immagine speculare dell'altro. Quando si verifica questo fatto, che ritroveremo anche in altre coppie di forme, le due forme si dicono enantiomorfe.

In questa classe si ritrovano poi tutte le altre forme osservate nella prima classe, salvo, s'intende, la diversità di caratteri fisici.

Appartiene a questa classe la cuprite (Cu2O).

Sezione quaternaria e sezione binaria. - Le due classi ora considerate sono dotate di assi quaternarî corrispondenti alle direzioni degli spigoli del cubo. Ora nelle altre tre classi del sistema cubico queste stesse tre direzioni le troviamo trasformate in assi binarî; e così distingueremo nel sistema cubico una sezione quaternaria comprendente le due classi ora descritte, e una sezione binaria comprendente le altre tre che ora brevemente descriveremo.

Classe esacistetraedrica. - Con procedimento analogo a quello esposto nella prima classe, troviamo che in questa classe la forma generale è un esacistetraedro {mnp} forma di 24 facce (fig. 32 a) corrispondenti come giacitura a quelle di un esacisottaedro {mnp}, situate in quattro ottanti alterni; le altre 24 facce poste negli altri quattro ottanti alterni corrispondono a un secondo esacistetraedro (fig. 32 b) coniugato del precedente con simbolo {mnp}; questi due esacistetraedri sono tali che uno può portarsi in coincidenza con l'altro (per rotazione intorno a un asse binario); quando ciò avviene le forme si chiamano congruenti.

Con simbolo {mnn} si ha in questa classe un triacistetraedro (fig. 33) le cui 12 facce corrispondono per giacitura a 12 (giacenti tre a tre in quattro ottanti alterni) delle 24 di un icositetraedro {mnn}; le altre 12 di questo corrispondono a un altro triacistetraedro coniugato e congruente del precedente, e con simbolo {mnn}.

Analogamente col simbolo (mmp) si ha in questa classe una forma di 12 facce (fig. 34 a) chiamata deltoide-dodecaedro; il suo coniugato e congruente (fig. 34 a′) ha per simbolo {mmp}; le facce di ambedue corrispondono, come giacitura, a quelle di un triacisottaedro di egual simbolo {mmp}.

Finalmente abbiamo anche due tetraedri coniugati (fig. 34 b, b′); uno (destro) ha per simbolo {111}; l'altro (sinistro) ha per simbolo {111}: e le loro facce corrispondono come giacitura a quelle dell'ottaedro, cosa che già osservammo a p. 930.

Alle altre forme della prima classe, tetracisesaedro, rombododecaedro, esaedro, non corrispondono qui, come per le precedenti, coppie di forme coniugate; ma le forme stesse possono qui esistere, s'intende con caratteri fisici obbedienti alla simmetria di questa classe.

La fig. 34 c mostra una combinazione che si può osservare in cristalli di blenda (ZnS).

Classe diacisdodecaedrica. - Qui si hanno coppie di forme coniugate solo in corrispondenza dell'esacisottaedro e del tetracisesaedro. Nel primo caso abbiamo (fig. 34 d) un diacisdodecaedro (o diploedro) di simbolo {mnp} con un coniugato congruente di simbolo {nmp} (fig. 34 d′). Nel secondo caso abbiamo due pentagono-dodecaedri (fig. 34 e, e′) rispettivamente di simboli {mno} e {nmo}. A questa classe appartengono la pirite (FeS2), la cobaltite (Co AsS), ecc. La fig. 34 f rappresenta un cristallo di pirite.

Classe pentagono-dodecaedrico-tetraedrica. - In corrispondenza dell'esacisottaedro troviamo anche qui forme coniugate; ma, invece che due, come nelle tre classi precedenti, qui le forme coniugate sono 4, di 12 facce ciascuna; le quali, ove coesistessero, formerebbero una combinazione geometricamente corrispondente all'esacisottaedro. I quattro pentagono-dodecaedri tetraedrici hanno i simboli seguenti: {mnp}, {nmp}, {mòp}, {nmp}; scr−1ivendo nel detto ordine questi simboli ai vertici successivi di un quadrato, le coppie poste agli estremi di ogni lato corrispondono a forme enantiomorfe; quelle situate agli estremi delle diagonali corrispondono a forme congruenti. (Una coppia di forme congruenti è rappresentata dalla fig. 35 a, b).

La ullmannite (NiSbS) appartiene a questa classe.

Forme emiedriche e tetartoedriche. - Le coppie di forme coniugate che abbiamo trovato nelle classi precedenti avevano un numero di facce, che era la metà di quello delle forme di egual simbolo trovate nella prima classe; perciò vengono anche chiamate forme emiedriche, s'intende in relazione alle loro corrispondenti della prima classe, le quali perciò possono dirsi forme oloedriche. Nell'ultima classe però abbiamo trovato non una coppia ma una quaderna di forme, il cui numero di facce era la quarta parte di quello della forma corrispondente della prima classe. Perciò tali forme possiamo chiamarle tetartoedriche. Complessivamente le forme suddette possono essere chiamate meroedriche.

Sistema esagonale: Sezione senaria e sezione ternaria. - In tutte le classi del sistema esagonale esiste una direzione dominante, che è asse di simmetria, il cui ordine in alcune classi è 6, in altre è 3. Il fatto somiglia a quello già constatato nel sistema cubico in riguardo agli assi quaternarî; e anche qui faremo due sezioni: la senaria che comprende 5 classi, e la ternaria, che ne comprende 7.

La fig. 36 (bipiramide esagonale) ci dà esempio di simmetria senaria; la fig. 37 (bipiramide trigonale) dà esempio di simmetria ternaria. Altro esempio ne abbiamo (fig. 38) nel romboedro.

Alcuni autori invece considerano queste due sezioni come due sistemi distinti; la senaria è il loro sistema esogonale, la ternaria è il sistema trigonale (in tal caso però il sistema trigonale non ha una classe oloedrica). Altri staccano dalle 7 classi del sistema trigonale le due classi (bipiramidali) che vedremo possedere un piano P di simmetria normale all'asse ternario (come avviene nella fig. 37); mentre le altre 5, che tale piano non posseggono (come nella fig. 38), possono formare il sistema trigonale (o romboedrico) che allora viene a possedere una classe oloedrica (classe scalenoedrica). Le due classi separate vengono annesse al sistema esagonale (che allora può tornare a considerarsi diviso in due sezioni: senaria, con 5 classi, e ternaria con 2).

Quanto agli assi cristallografici, ricordiamo che la terna di assi adottata nel sistema cubico era offerta dagli spigoli del cubo e corrispondeva a direzioni di assi di simmetria.

Nel sistema esagonale viene spontaneo di assumere come asse cristallografico verticale l'asse di simmetria di ordine = 6,0 = 3. Nel piano orizzontale poi è comodo riferirci non a due, ma a tre direzioni egualmente inclinate fra loro (come sono ad es. offerte nella fig. 36, dalle tre coppie di spigoli orizzontali); in tal caso abbiamo in tutto quattro assi e perciò quattro indici per individuare una faccia.

I simboli a quattro indici (mnpq) vengono specialmente usati nelle classi della sezione senaria.

Nelle classi ternarie dove è possibile il romboedro è anche comodo assumere tre assi cristallografici secondo gli spigoli di un romboedro e quindi usare simboli a tre indici (hkl). Per passare dai simboli a tre indici e quelli a quattro, o viceversa, valgono le seguenti relazioni: dati hkl: i valori di mnpq sono rispettivamente proporzionali a h-k, k-l, l-h, h + k + l; dati mnpq: i valori di hkl sono rispettivamente proporzionali a q + 2m + n; q − m + n; q − m − 2n.

Così noi faremo rispettivamente nelle due sezioni; e ciò permetterà di conoscere meglio ambedue i metodi.

Sezione senaria: Classe bipiramidale diesagonale. - In questa classe troviamo un asse girico di ordine 6, per il quale passano sei piani di simmetria; supporremo verticale l'asse, e quindi anche i piani; esiste inoltre un piano di simmetria normale all'asse e anche, normalmente all'asse senario, 6 assi di simmetria di ordine 2. Una terna di questi ultimi assi (presi alternativamente) insieme con l'asse senario, saranno assunti come assi cristallografici. È prevedibile una relazione fra gl'indici che corrispondono ai tre assi orizzontali; la relazione esiste infatti, ed è semplicissima; se immaginiamo questi tre assi, coi loro versi positivi e negativi, in modo che versi di egual segno formino fra loro a due a due angoli di 120°, una faccia qualunque che incontri il piano orizzontale non potrà mai incontrare di questi assi né tutt'e tre i versi positivi, né tutt'e tre i versi negativi (fig. 39). Sarebbe ora facile dimostrare la detta relazione che si enuncia così: "la somma dei due indici di egual segno è eguale al terzo indice cambiato di segno"; ossia: "la somma algebrica dei tre indici è eguale a zero".

Si orientino ora questi assi in modo che uno di essi sia parallelo alla fronte dell'osservatore: lo considereremo come secondo asse, e positivo il verso a destra; chiameremo poi primo asse quello che si avanza verso la sinistra dell'osservatore (positivo in questo verso); il terzo asse sarà positivo nel verso che si allontana dall'osservatore; quanto al quarto asse, riterremo positivo il verso in alto.

Sia ora una faccia qualunque che in generale incontri gli assi a distanze differenti fra loro; il simbolo sarà {mnpq}, indicando con le lettere i valori algebrici degl'indici (e quindi m + n + p = 0). Per l'esistenza dei 6 piani verticali dovremo avere allora 12 facce costituenti una piramide (superiore, se q è positivo), e altrettante in virtù del piano orizzontale, che formeranno una piramide (inferiore); ma tutte e 24 le facce insieme costituiranno un'unica forma semplice (fig. 40) che sarà detta bipiramide diesagonale, e che sarà la forma più generale della classe col simbolo {mnpq}.

Se ora la faccia data incontrasse due assi orizzontali a distanze eguali, ma in versi contrarî (fig. 39 a), e quindi fosse parallela all'altro asse, il simbolo diverrebbe {1 o −1 q}, se parallela al secondo asse; allora basterebbero 6 facce superiori e 6 inferiori a costituire una forma semplice. Avremo in tal caso la bipiramide esagonale di primo ordine (fig. 41); il suo simbolo è {1 0 −1 q}. Se poi due assi sono incontrati dalla faccia data, ancora a distanze eguali, ma in versi di ugual segno (fig. 39 b) allora anche il terzo asse sarà incontrato a distanza finita; e precisamente il parametro relativo ad esso sarà la metà, in valore assoluto, di quelli corrispondenti agli altri due assi. Il simbolo della faccia, se ad esempio gli assi incontrati a distanze eguali sono i primi due, sarà {1 1 −2 q}; considerando poi tutte le facce coesistenti in virtù delle condizioni di simmetria, avremo ancora una forma di 12 facce, 6 superiori e 6 inferiori, geometricamente identica (salvo sempre il maggiore o minore sviluppo delle facce) alla precedente, ma orientata diversamente, cioè ruotata di 30° rispetto alla prima intorno all'asse verticale. Questa forma di simbolo {1 1 −2 q} è chiamata bipiramide esagonale di secondo ordine (fig. 36).

È evidente che si possono avere tante diverse bipiramidi, assegnando diversi valori all'indice q. Se per convenzione scegliamo una bipiramide esagonale di primo ordine, per la quale si ponga q = 1, allora resteranno fissati i valori dei parametri fondamentali per la sostanza che, caso per caso, si considera.

Ove i punti d'incontro con l'asse verticale, cioè i vertici superiore e inferiore si trasportassero all'infinito, si passerebbe dal caso delle bipiramidi a quello dei prismi; avremo così, in corrispondenza alle tre forme sopra nominate, un prisma diesagonale {mnpo}, un prisma esagonale di primo ordine {1 0 −1 0}, e un prisma esagonale di secondo ordine {1 1 −2 o} (figg 42, 43, 44).

Ma i prismi non possono sussistere da soli, essendo forme aperte; possono sussistere in combinazione con bipiramidi, ma possono anche sussistere in combinazione con un'altra forma propria di questa classe, semplicemente costituita da due facce normali all'asse senario, e quindi parallele fra loro: la forma si chiama pinacoide e ha per simbolo {0 0 0 1}.

Anche qui dunque, come nella prima classe del sistema cubico, abbiamo 7 tipi di forme. Per un modo di presentarsi di cristalli di berillo, metasilicato di alluminio e berillio, v. berillo.

Classe trapezoedrica esagonale. - Ecco una classe quasi priva di rappresentanti; tutti gli assi di simmetria della classe precedente sono anche qui presenti, e solo essi. In queste condizioni, data una faccia in posizione arbitraria, dovremo averne 6 intorno all'asse senario; che supporremo superiori e, per via degli assi binarî, altre sei inferiori, le quali con le 6 superiori formano spigoli non orizzontali, ma obliqui. La forma è detta trapezoedro esagonale (fig. 45 a). Esisterà un'altro trapezoedro esagonale coniugato del primo (fig. 45 b); i due coniugati sono enantiomorfi.

Classe piramidale diesagonale. - In questa classe, mancando il piano orizzontale di simmetria e gli assi binarî, il semi-cristallo superiore si presenterà in generale con forma diversa da quella del semi-cristallo inferiore. Qui non avremo bipiramidi, ma piramidi superiori e piramidi inferiori, come forme semplici distinte. Analogamente non avremo il pinacoide, ma la faccia superiore e la faccia inferiore costituiranno ciascuna una forma semplice a sé, forma che prende il nome di pedio. Quando, come in questo caso, esiste una direzione (qui corrispondente all'asse senario) rispetto alla quale il cristallo appare diversamente conformato alle due estremità; o quando, se anche non vi sia diversità in senso geometrico, esiste però differenza nei corrispondenti caratteri fisici, l'asse considerato prende il nome di asse polare. La figura 46 rappresenta un cristallo di greenockite (CdS).

Classe bipiramidale esagonale. - La mancanza dei piani verticali e degli assi orizzontali fa sì che la forma semplice generale della classe abbia l'aspetto di una bipiramide esagonale, ma diversa per orientazione da quelle che abbiamo chiamato di primo e di secondo ordine, e che qui sono pure possibili. In quelle l'orientazione era fissa, in questa è variabile; essa prende il nome di bipiramide esagonale di terzo ordine, e ha per simbolo {mnpq}. E chiaro che avremo corrispondentemente anche prismi esagonali di terzo ordine con simbolo {mnpo}. Anche qui abbiamo coppie di forme coniugate e congruenti. Un bell'esempio di cristalli di questa classe ci è dato da quelli di apatite (v. apatite).

Classe piramidale esagonale. - La forma semplice generale di questa classe è una piramide esagonale di terzo ordine. L'asse senario è asse polare; non c'è pinacoide, ma pedio superiore, pedio inferiore. I cristalli di nefelina, mediante le figure di corrosione, si rivelano appartenenti a questa classe.

Sezione ternaria: Classe scalenoedrica ditrigonole. - Abbiamo già detto di adottare ora i simboli a tre indici; assumiamo tre assi secondo gli spigoli di un romboedro che concorrono in un vertice formando fra loro angoli eguali; essi fanno angoli eguali anche con l'asse verticale (ternario) che ora non è più cristallografico. Si considerano positivi i versi diretti in alto, e gli assi si chiamano ordinatamente primo, secondo, terzo nell'ordine corrispondente a quello delle tre dita, pollice, indice e medio della mano destra, quando le tre dita sono aperte in alto secondo le direzioni dei detti assi, e in modo che l'indice sia il più lontano dalla persona.

Allora il simbolo generale {hkl} rappresenta una forma di 6 facce superiori e 6 inferiori chiamata scalenoedro ditrigonale (fig. 47 a); le sue facce corrispondono come giacitura a 12 facce di una bipiramide diesagonale; e di questa le altre 12 corrispondono a quelle di un altro scalenoedro coniugato del primo e congruente (figura 47 a′). Il primo si chiama diretto e il secondo inverso.

Un'altra forma tipica di questa classe è il romboedro; possiamo immaginare una bipiramide esagonale di 1° ordine; tre facce alterne superiori e tre alterne inferiori non corrispondenti alle prime, ci dànno la giacitura delle facce di un romboedro. Anche qui abbiamo due forme coniugate e congruenti (fig. 48). Per le condizioni di simmetria esiste la bipiramide egagonale di 2° ordine. Sono poi possibili prismi esagonali di 1° e di 2° ordine, prismi diesagonali e il pinacoide. Questo avrà per simbolo {111}. Il simbolo {hkl} rappresenta uno scalenoedro diretto o inverso, oppure una bipiramide esagonale di 2° ordine, a seconda che la media fra i valori del primo e del terzo indice è maggiore, minore o uguale al valore del secondo indice. Se poi la somma dei tre indici è uguale a zero, abbiamo il caso di un prisma diesagonale. Se due indici sono eguali, abbiamo romboedri diretti con simbolo {hll}, o inversi, con simbolo {hhl}. In rappresentanza di questa classe abbiamo la calcite (CaCo3), l'ematite (Fe2O3), il corindone (Al2O3), ecc.

Classe romboedrica. - La forma generale è un romboedro di terzo ordine {hkl}; se la somma degl'indici è uguale a zero, si passa a un prisma esagonale di 3° ordine. Si hanno poi anche romboedri e prismi di 1° e di 2° ordine. Sono di questa classe il dioptasio (H2CuSiO4; fig. 47 b: s = romboedro di 3° ordine), la ilmenite (FeTiO3). Anche la dolomite, sebbene molto somigliante alla calcite, si rivela, mediante le figure di corrosione, della classe romboedrica.

Classe bipiramidale ditrigonale. - La presenza del piano orizzontale di simmetria permette l'esistenza di bipiramidi. La bipiramide ditrigonale (fig. 47 c) ha 6 facce superiori e 6 inferiori. Esempio: benitoite (BaTiSi3O9).

Classe trapezoedrica trigonale. - La forma generale possibile in questa classe è un trapezoedro trigonale, poiché le sue facce (fig. 47 d, d′) corrispondono, come giacitura, a 6 delle 24 facce di una bipiramide diesagonale; sono possibili 4 forme coniugate: abbiamo due trapezoedri destri (positivo e negativo), e così due sinistri. Quando la media fra il primo e il terzo indice eguaglia il secondo, si passa al caso di una bipiramide trigonale. Sono pure possibili romboedri di 1° e di 2° ordine. Si distinguono anche prismi (trigonali e ditrigonali) destri e sinistri. In questa classe figurano il cinabro (HgS) e il quarzo (fig. 47 e, e′, in cui m è il prisma esagono {−2−1−1}, r il romboedro diretto {100}, r′ l'inverso coniugato {22−1}, s la bipiramide trigonale {41−2}, x il trapezoedro trigonale positivo {4−1−2}).

Classe piramidale ditrigonale. - L'asse ternario è polare; non si hanno qui né romboedri, né scalenoedri, ma solo piramidi trigonali e ditrigonali e prismi (trigonali, ditrigonali ed esagonali di 2° ordine), poi pedio (superiore, inferiore). La fig. 47 f rappresenta un cristallo di tormalina,

Classe bipiramidale trigonale. - Sono possibili bipiramidi trigonali (fig. 37), prismi trigonali e pinacoide.

Classe piramidale trigonale. - Qui abbiamo piramidi trigonali e pedio (superiore, inferiore); l'asse è evidentemente polare.

Sistema tetragonale: Sezione quaternaria. - Sostituendo all'asse senario un asse quaternario, si possono ora ritrovare casi analoghi a quelli offerti dalle 5 classi della sezione senaria. I nomi stessi delle classi si corrispondono sostituendo alla parola "esagonale" la parola "tetragonale".

Classe bipiramidale ditetragonale. - Qui gli assi coordinati tornano a essere tre, ortogonali fra loro; il terzo corrisponde all'asse quaternario (verticale). Al simbolo {mnp} corrisponde una bipiramide ditetragonale (figura 48). Per m = n si passa alla bipiramide tetragonale di 1° ordine (fig. 49); se m o n è uguale a zero, si passa a una bipiramide tetragonale di 2° ordine (fig. 50). Abbiamo poi i prismi ditetragonali e tetragonali (1° e 2° ordine) e il pinacoide. Esempî: cassiterite (SnO2; v. fig. 51 a); rutilo (TiO2), zircone (ZrSiO4; v. fig. 51 b), ecc.

Classe trapezoedrica tetragonale. - La forma generale è un trapezoedro (fig. 51 c) col suo coniugato enantiomorfo (fig. 51 c′).

Classe piramidale ditetragonale. - Abbiamo piramidi ditetragonali superiori e inferiori; pedio (superiore, inferiore); asse quaternario polare.

Classe bipiramidale tetragonale. - Il caso più generale è quello della bipiramide tetragonale di ordine; avremo perciò anche prismi tetragonali di 3° ordine, nonché bipiramidi e prismi di 1° e di 2° ordine. La fig. 51 d rappresenta un cristallo di scheelite (CaWO4).

Classe piramidale tetragonale. - Il solo asse quaternario permette forme di 1°, 2° e 3° ordine che saranno piramidi tetragonali e prismi tetragonali, nonché pedio (superiore, inferiore). Esempio: wulfenite (PbMoO4; v. fig. 51 e).

Sezione binaria. - Nelle due classi seguenti l'asse verticale non è più quaternario; ma come asse girico è binario. Il piano orizzontale non è piano di simmetria, ma è piano di simmetria alterna; ossia l'asse verticale è giroide {A2(4)}.

Ora, come nei sistemi precedenti la suddivisione in sezioni si riferiva agli assi girici, così qui possiamo considerare come binaria la sezione formata dalle due classi seguenti.

Classe scalenoedrica tetragonale. - Al simbolo generale {mnp} corrisponde lo scalenoedro tetragonale (fig. 51 f) col suo coniugato congruente {mnp}. Se m = n si passa ai due bisfenoidi tetragonali coniugati e congruenti (fig. 51 g, g′). Vi appartiene la calcopirite (CuFeS2). Un cristallo di calcopirite è rappresentato nella fig. 51 h.

Classe bisfenoidale tetragonale. - Unico elemento di simmetria, l'asse giroide; forma generale, bisfenoide tetragonale.

Sistema rombico. - Alle direzioni dei tre assi binarî di singonia, ortogonali fra loro, si fanno corrispondere gli assi cristallografici. La faccia fondamentale incontra i tre assi a distanze differenti, e i due rapporti

variano in generale da sostanza a sostanza.

Classe bipiramidale rombica. - La forma generale è una bipiramide rombica {mnp} (fig. 51 i). Si hanno poi prismi rombici, paralleli rispettivamente al primo, al secondo e al terzo asse; poi tre coppie di facce, ossia tre pinacoidi, rispettivamente paralleli a due assi. Molte sostanze appartengono a questa classe: antimonite (Sb2S3), marcasite (FeS2), anglesite (PbSO4), baritina (BaSO4), celestina (SrSO4), olivina (FeMg)2SiO4, ecc. A un cristallo di olivina corrisponde la fig. 51 l.

Classe bisfenoidale rombica. - Forma generale, bisfenoide rombico (fig. 51 m); con bisfenoide coniugato enantiomorfo. È di questa classe l'epsomite (MgSO4•7H2O).

Classe piramidale rombica. - Un asse binario, che è polare (verticale), e intersezione dei due piani di simmetria. Forma generale, piramide rombica. Il prisma rombico verticale {mn0} è pure possibile, ma gli altri prismi no; una faccia parallela al primo o al secondo asse, sarà accompagnata soltanto da un'altra faccia simmetrica rispetto a uno dei piani verticali. L'insieme delle due facce si chiama doma (fig. 51 n). Si ha poi il pedio (superiore, inferiore). La fig. 51 o rappresenta un cristallo di calamina (silicato basico di zinco).

Sistema monoclinco: Classe prismatica. - Un solo asse binario e, normalmente, un solo piano di simmetria (perciò anche il centro). Supposto il piano di simmetria verticale e normale alla fronte dell'osservatore l'asse binario (orizzontale) sarà assunto come secondo asse; il primo e il terzo asse cristallografico sono scelti fra spigoli paralleli al piano di simmetria. L'angolo β = ???zx è differante da 90° mentre abbiamo α = γ = 90°. Si orienta il cristallo in modo che l'asse z sia verticale, e il verso positivo dell'asse x scenda verso l'osservatore. La forma più generale è un prisma, cioè una forma di quattro facce parallele a una medesima direzione; in particolare questa direzione può coincidere con quella di uno dei tre assi; se poi una faccia è parallela a due dei tre assi, essa, con la sua parallela, formerà un pinacoide.

È di questa classe il gesso (CaSO4•2H2O), l'augite (pirosseno), la wolframite [(Fe, Mn) WO4] che è rappresentata dalla fig. 51 p; molti altri minerali vi appartengono.

Classe sfenoidale. - Esistendo il solo asse binario, una faccia è in generale accompagnata da un'altra faccia, in modo che ognuna prende la giacitura dell'altra per rotazione di 180° intorno all'asse. L'insieme delle due facce costituisce una forma semplice chiamata sfenoide (fig. 51 q). Una faccia normale all'asse è un pedio.

Classe domatica. - Esistendo il solo piano, una faccia è in generale accompagnata dalla sua simmetrica rispetto al piano; le due facce insieme costituiscono un doma. Una faccia normale al piano è un pedio.

Sistema triclino: Classe pinacoidale. - Man mano che si riducono di numero gli elementi di simmetria e gli assi di ordine, le forme generali delle singole classi divengono sempre più povere di facce. Come nei casi ora osservati, di un solo asse binario o di un solo piano, si avevano forme semplici costituite al più da due facce, così anche nel caso del solo centro troviamo ogni faccia accompagnata dalla sua parallela a costituire un pinacoide che dunque rappresenta la forma più generale. Tre spigoli qualunque possono essere assunti come assi cristallografici: avremo dunque in generale α, β, γ differenti fra loro, e da 90°; i loro valori, insieme con quelli dei rapporti

costituiscono le 5 costanti che nel sistema triclino sono variabili da sostanza a sostanza. L'albite (NaAlSi3O8), l'anortite [CaAl2(SiO4)2], (rappresentata nella fig. 51 r), l'acido borico sono in questa classe.

Classe pediale. - La mancanza di elementi di simmetria fa sì che ogni faccia da sola rappresenti una forma semplice; perciò ogni faccia è un pedio.

Geminati. - Nella cristallizzazione di una data sostanza spesse volte i singoli cristalli nascono gli uni vicini agli altri, e talora anche si compenetrano, ma senza che esistano, o almeno che siano visibili, particolari correlazioni tra le rispettive orientazioni. Talvolta invece si hanno aggruppamenti cosiddetti paralleli, nei quali cioè tutti i cristalli hanno la medesima orientazione. Un caso poi di particolare interesse è quello nel quale i cristalli si presentano concresciuti due a due o, come suol dirsi, geminati; e allora l'orientazione dei due gemini è soggetta a un determinato vincolo che si trova identicamente ripetuto in tutte le coppie. La condizione che lega la mutua orientazione di due gemini suole chiamarsi legge di geminazione. È evidente che due gemini non possono essere in posizione parallela, il che cristallograficamente equivarrebbe ad avere un solo cristallo. Molto spesso due gemini hanno giaciture simmetriche rispetto a un piano, detto piano di geminazione.

Si verifica anche che esiste un asse di rotazione, il quale permette di portare uno dei gemini in posizione parallela rispetto all'altro, e l'asse prende allora il nome di asse di geminazione. Talvolta esistono insieme il piano e l'asse, e allora l'asse è perpendicolare al piano.

La tendenza a presentare geminazioni è collegata con la natura della sostanza; ma dipende altresì dalle condizioni imposte alla cristallizzazione. Ecco ora alcuni esempî assai noti di geminazioni: geminato di spinello (fig. 52 a), secondo (1 1 1); geminato di diamante (fig. 52 b), secondo (1 1 0); geminato di calcite (fig. 52 c), secondo (0 0 0 1) = (1 1 1); geminato di quarzo del Brasile (fig. 52 d′), secondo (1 1 −2 0) = (1 0 −1); geminato di quarzo del Delfinato (fig. 52 d) con asse secondo [0 0 0 1] = [1 1 1]; geminato di cassiterite (fig. 52 e), secondo (1 0 1); geminato di augite (fig. 52 f), secondo (1 0 0); geminato di ortoclasio (fig. 52 g), secondo (1 0 0) = secondo l'asse [0 0 1]; geminato di albite (fig. 52 h), secondo (0 1 0).

In quest'ultimo esempio troviamo un caso di poligeminazione: cioè: un primo cristallo si unisce in geminazione con un secondo, questo a sua volta con un terzo, il terzo con un quarto, e così di seguito. Se due facce parallele fungono da piani di geminazione e altresì da superfici di contatto, la successione può prolungarsi indefinitamente, fino a che cioè non manchi la materia prima e non cambino le condizioni di ambiente.

Altri esempî di poligeminazione si hanno nella cerussite (fig. 52 i), nell'aragonite (fig. 52 l), nella phillipsite (fig. 52 m), ecc. È da notare la tendenza verso complessi di simmetria più elevata.

Azioni direttive fra cristalli di sostanze diverse. - Cristalli di sostanze diverse possono nascere insieme o successivamente, avendo a comune qualche direzione di spigoli o di facce. Un bell'esempio è dato dalla formazione di cristalletti di topazio sopra un cristallo di granato come nella fig. 52 n.

Sfaldabilità. - Oltre alle facce che limitano un cristallo, si possono spesso osservare in esso piani particolari, secondo i quali esso può: scindersi in parti. Quando ciò avviene si dice che il cristallo è sfaldabile; e piani di sfaldatura si chiamano le giaciture secondo le quali il cristallo è separabile in parti. Diciamo subito che questi piani corrispondono sempre a facce reali o possibili del cristallo, di guisa che, come, data una faccia, coesistono con essa le altre, appartenenti a una medesima forma semplice, così dato un piano di sfaldatura, debbono coesistere gli altri piani che, col primo, corrispondono rispettivamente a tutte le facce di una medesima forma semplice.

Questa sfaldabilità più o meno evidente, sia da sostanza a sostanza, sia anche in diverse direzioni di uno stesso cristallo, è però ugualmente sensibile in tutte le direzioni che corrispondono a facce di una stessa forma semplice. Se questa, per brevità, chiamiamo forma di sfaldatura, possiamo dire che la coesistenza di direzioni in cui la sfaldatura avviene con differente facilità, corrisponde alla coesistenza di più forme di sfaldatura.

Si sfalda molto bene secondo le facce di un romboedro la calcite, secondo quelle di ottaedro la fluorite, secondo quelle di cubo la galena, secondo il pinacoide {0 1 0} il gesso, secondo il pinacoide {0 0 1} la muscovite, ecc.

Accenno alla struttura dei cristalli. - Le condizioni di simmetria che abbiamo studiato nei cristalli, e i caratteri fisici delle loro facce, si presentano evidentemente a noi come una delle manifestazioni dell'interiore struttura. Anche la sfaldabilità è senza dubbio una proprietà connessa con la struttura. Quando, come spesso avviene (galena, anidride, calcite), si hanno tre diverse direzioni di sfaldatura, viene spontaneo il concetto di parallelepipedo elementare; in ogni caso poi sorge l'idea che l'ordine sovrastante alla cristallizzazione consista essenzialmente in uno schieramento di particelle. Uno studio più accurato conduce a concepire nei cristalli uno spazio punteggiato, i cui punti (nodi) siano distribuiti in guisa che a ogni direzione corrisponda un valore costante per la distanza fra nodi consecutivi, mentre i nodi stessi costituiscono altrettanti centri di adunamento, in modo identico per tutti, della materia cristallizzata. Un modo semplice rispondente a tale concetto è quello di pensare che, date tre direzioni principali, alle quali corrispondano tre valori abc per le distanze internodali, e quindi ne risulti lo spazio diviso in parallelepipedi elementari aventi per lati rispettivamente a, b, c (fig. 53), i vertici dei parallelepipedi siano occupati da altrettante particelle materiali, fra loro identiche, p. es. atomi. Questo schieramento di punti prende il nome di "reticolato spaziale semplice" se i punti sono pensati in senso geometrico (nodi); se poi si pensa ogni nodo sostituito da un atomo, abbiamo un reticolato spaziale semplice materiale. Una fila è l'insieme dei nodi (o degli atomi) allineati sopra una stessa retta. Piano reticolare è l'insieme di tutti i nodi (o atomi) giacenti in un piano; due file, o parallele, o aventi un nodo (o atomo) a comune, determinano un piano reticolare.

Le proprietà dei reticolati saranno studiate a parte (v. cristalli: Struttura, p. 952 segg.), come pure i metodi per determinarne la reale esistenza e natura. Intanto qui possiamo limitarci alla constatazione che i cristalli realmente o corrispondono al caso di reticolati spaziali materiali semplici, o a quello di più reticolati semplici coesistenti. Se p. es. nei centri di tutti i parallelepipedi elementari di un reticolato atomico semplice, corrispondente a un elemento A, si trovassero altrettanti atomi, i quali appartenessero a un altro elemento B, i punti occupati dagli atomi di B costituirebbero a loro volta un reticolato atomico semplice. Il complesso dei due reticolati, ove sia realizzabile, esprimerà la struttura dei cristalli del composto AB.

L'accenno ora fatto alla struttura reticolare dei cristalli può già bastare a far comprendere come le facce dei cristalli corrispondano ad altrettanti piani reticolari; e così pure gli spigoli corrispondano a file; esisteranno dunque file e piani privilegiati. Se ora assumiamo tre file passanti per uno stesso nodo come assi coordinati, possiamo rilevare che tutti i piani reticolari passanti per tre nodi rispettivamente appartenenti a quelle tre file, intercetteranno su queste segmenti che sono multipli delle rispettive distanze internodali. Se le tre file sono quelle cui corrispondono le distanze abc, i parametri dei detti piani reticolari saranno espressi da ha, kb, lc, dove h, k, l, sono numeri interi. E allora, confrontando i parametri di due di tali piani reticolari, avremo, asse per asse, valori che sono multipli di a o b o c, e quindi i rapporti fra parametri corrispondenti saranno esprimibili con numeri razionali. Questa proprietà non deve affatto confondersi con quella espressa dalla legge di Haüy, per la quale, se i piani considerati corrispondono a facce reali o possibili, i rapporti suddetti, oltre che razionali, devono stare fra loro come numeri interi semplici.

Legge di Bravais. - Nasce allora la domanda: a quali piani reticolari corrispondono le facce reali o possibili di un cristallo? Risulta che, quanto più i nodi distribuiti sopra un piano reticolare sono vicini tra loro, e quindi quanto maggiore è il loro numero in una data unità di superficie, ossia quanto è maggiore la densità del piano, tanto più è probabile, almeno in generale, che quel piano corrisponda a una faccia del cristallo; in altre parole, la semplicità degl'indici è generalmente legata alla densità; le facce più frequenti sono quelle cui corrisponde una maggior densità; e quindi anche gli spigoli più frequenti sono quelli lungo i quali si hanno minori distanze internodali. L'enunciato di questa proprietà costituisce la legge di Bravais, la quale perciò è così collegata alla legge di Haüy, che si puo considerarla una forma espressiva diversa di una medesima legge.

Sviluppi di facce e di forme. - Riferendoci dapprima, per comodità, alla proiezione stereografica, ricordiamo che, date due facce, ossia due poli, si può tracciare l'arco passante per i due poli e rappresentante la zona cui appartengono le facce date; la direzione dell'asse di zona è quella dello spigolo formato dalle due facce. Se poi, con altri due poli, si traccia un'altra zona, il punto d'incontro, nell'emisfero considerato, dei due archi di zona, ci dà un'altra faccia; tracciando allora nuovi archi fra un polo della prima coppia e uno della seconda, si determinano nuovi punti d'incontro, e quindi nuovi poli di facce. L'operazione allora si può continuare indefinitamente.

Con procedimento diverso si può partire da quattro facce, non parallele fra loro due a due; esse formano un tetraedro; gli spigoli opposti, due a due, determinano nuove facce; queste nuovi spigoli e così via.

Analoghe operazioni si potrebbero eseguire in proiezione, sia gnomonica, sia lineare. Qualunque però sia il procedimento, è facile persuadersi che, assumendo tre delle quattro facce iniziali come piani assiali, e la quarta come faccia fondamentale, le facce ottenibili nelle successive fasi di ciascuno sviluppo, corrispondono in generale a indici via via più complessi.

Principio delle complicazioni. - D'altra parte abbiamo già visto come la scelta degli assi cristallografici nei cristalli venga generalmente suggerita dalle particolari condizioni di simmetria del cristallo, e concordemente anche dalle condizioni di maggiore sviluppo di certe facce. A queste facce allora competono i più semplici indici. Se ora immaginiamo di partire appunto da 4 di tali facce per procedere a uno sviluppo di facce nel senso sopra descritto, troveremo che tutte le possibili facce del cristallo faranno parte dello sviluppo. Questa proprietà di poter dedurre dalla giacitura e dai simboli di alcune facce date, la giacitura e il simbolo di tutte le altre, presenti e possibili in un cristallo, costituisce ciò che può chiamarsi il principio delle complicazioni (Goldschmidt).

Sviluppi reali. - Anche durante l'accrescimento di un cristallo può verificarsi il fatto che il numero delle facce vada aumentando, e che in corrispondenza si passi successivamente a facce con indici più complessi. Avviene allora che una nuova faccia venga a troncare o uno spigolo o un vertice, e spesso si verifica che essa abbia simbolo tale che i suoi indici corrispondano, asse per asse, alla somma degl'indici delle facce formanti lo spigolo o il vertice.

Principio delle forme armoniche. - Se consideriamo gli assi cristallografici come assi di omologia con centro nell'origine, e, date due facce, mediante i loro punti d'incontro con gli assi, le pensiamo come omologicamente corrispondenti, basterà sopra ogni asse costruire il quarto armonico rispetto ai due punti d'intersezione e all'origine, per avere, nei tre punti costruiti, le intersezioni del piano di omologia con gli assi. (Ricordiamo che quattro punti ABCD formano un gruppo armonico se

per costruire un gruppo armonico si può utilizzare la proprietà del quadrilatero completo, che cioè ogni sua diagonale incontra due lati e due diagonali rispettivamente in quattro punti che formano un gruppo armonico. Dati n raggi uscenti da un punto O e un piano π che li tagli, ogni altro piano α che li incontri è coniugato di un altro piano α′ che li incontra determinando sopra ogni raggio r il quarto armonico; cioè i quattro punti O, πr, αr, α′r formano un gruppo armonico. Allora si dice che O è centro d'omologia e π piano d'omologia; αα′ una delle infinite coppie legate in tale omologia).

Ora, questo piano di omologia corrisponde a una nuova faccia, anzi è facile dedurre dalle dette proprietà armoniche che se (h, k, l) e (h′, k′, l′) sono i simboli delle facce date, la faccia corrispondente al piano di omologia ha per simbolo (h + h′, k + k′, l + l′). Tale è dunque il caso della faccia che talora vediamo come troncatura sullo spigolo fra due facce in un dato cristallo. Questa faccia la chiameremo armonica rispetto alle altre due. E poiché, per simmetria, potremo pensare facce analogamente formatesi su tutti gli spigoli analoghi in un cristallo, il complesso di tali facce costituirà una forma che diremo armonica di quella sui cui spigoli è nata la faccia. Così per esempio nella figura 30 possiamo considerare l'icositetraedro {211} come armonico del rombododecaedro.

È chiaro che tale procedimento potrà di nuovo pensarsi applicato agli spigoli della nuova forma, e potremo così avere una successione di forme, che diremo appartenenti a un medesimo sviluppo armonico. Ne risulta che le forme semplici possibili in un cristallo appartengono a uno sviluppo armonico, in un sistema omologico che ha per centro l'origine degli assi cristallografici. Questo può dirsi il principio del quarto armonico o anche principio delle forme armoniche (Panichi).

Omogeneità e anisotropia. - Siamo ora in grado di comprendere quanto dicemmo in principio sulla reale omogeneità verificabile nei cristalli. Infatti la regolarità della distribuzione delle particelle costituenti un reticolato cristallino ci permette di asserire che due parallelepipedi, staccati da uno stesso cristallo, in modo che le loro facce corrispondano per giacitura ai medesimi tre piani reticolari, e i loro spigoli siano rispettivamente equimultipli delle tre distanze particellari proprie delle direzioni di tali spigoli, contengono realmente ugual numero di particelle.

L'esame dei reticolati ci spiega l'esistenza di direzioni privilegiate corrispondenti a quelle di facce reali o possibili, e in particolare a piani di sfaldatura; perciò la struttura reticolare è essenzialmente anisotropa; si tratta pero d'una anisotropia, non qualunque, ma legata alla natura reticolare del cristallo. Spiegare la natura di tale anisotropia è spiegare la struttura del cristallo.

È chiaro che tanto l'omogeneità quanto l'anisotropia sono proprietà inerenti a porzioni sperimentabili di materia; l'omogeneità cesserebbe di esistere, confrontando ad esempio un nodo con un qualsiasi punto internodale; parimenti l'anisotropia, nei riguardi almeno di quelle proprietà (che studieremo tra poco) dalle quali essenzialmente è derivato a noi questo concetto di anisotropia, cesserebbe di manifestarsi entro spazî le cui dimensioni fossero piccolissime, in confronto a quelle di un parallelepipedo elementare.

Fisica dei cristalli.

Proprietà fisiche del cristallo. - Tutto quanto è stato detto fin qui rivela una mirabile corrispondenza tra forma e struttura di un cristallo. La struttura poi si riconnette anche con quella molecolare e atomica.

Vediamo ora come le proprietà di struttura e di simmetria dei cristalli imprimano particolari caratteristiche ai fenomeni fisici che possono aver sede nei cristalli stessi.

I fenomeni fisici possono a loro volta considerarsi come i rivelatori delle proprietà dei cristalli. Ma se, come spesso avviene, sia nei fenomeni, sia nelle loro cause, sono già insite determinate condizioni di simmetria, allora la simmetria particolare del mezzo in cui il fenomeno si produce, pur influendo a sua volta sull'andamento del fenomeno, può non coincidere con quella che il fenomeno ci manifesta. In generale l'azione del mezzo è un'azione riduttrice rispetto al numero e all'ordine degli elementi di simmetria del fenomeno; ma il complesso di questi non può mai scendere al disotto del complesso di simmetria proprio del mezzo.

Le proprietà che qui c'interessano e di cui vogliamo parlare succintamente, sono proprietà vettoriali; l'unica proprietà scalare che ci limitiamo semplicemente a ricordare, è il peso specifico. Il peso specifico c'interessa non solo in quanto esprime un valore caratteristico per ogni sostanza, ma anche perché questo valore è vincolato con quelli dei lati del parallelepipedo elementare e dei pesi atomici presenti.

Caratteri fisici delle facce. - Sull'eguaglianza di caratteri fisici fra due o più facce di un cristallo abbiamo fondato il concetto di forma semplice; la legge di simmetria poi ci ha detto che alle facce di una stessa forma corrispondono identiche condizioni di simmetria. A queste condizioni devono obbedire le caratteristiche fisiche delle facce, le quali consistono in striature, cavità, sporgenze, specularità, scabrosità, ecc. E si possono esaminare in più modi. Talora sono visibili ad occhio nudo; talora al microscopio o al goniometro, illuminando le facce convenientemente, si rendono evidenti (figg. 54 e 55 nella pirite) e si possono avere particolari figure luminose (fig. 56 e 57 rispettivamente nella barite e nella calcite). Con l'azione prolungata di liquidi o di aeriformi che attacchino debolmente la superficie, si possono ottenere nette figure di corrosione (fig. 58 a nella calcite, 58 b nella dolomite e 59 nell'apatite). Si possono anche produrre incrinature mediante un colpo prodotto da una punta posta normalmente alla faccia e percossa con un martello, e si hanno figure di percussione (fig. 60 a nella mica), cioè incrinature che s'irraggiano obbedendo alle condizioni di simmetria.

Infine, nel caso si operi con una punta arrotondata su una lamina posta su una superficie elastica, si hanno le figure di pressione (v. fig. 60 b; figura di pressione nella mica).

Durezza. - È la resistenza che presenta una superficie piana solida, a essere scalfita da una punta che non sia consumata dalla superficie, e che vi scorra su con una determinata pressione. Il solco inciso dalla punta è più profondo a pari pressione in una sostanza meno dura; ma solchi eguali si possono ottenere in sostanze di differente durezza variando opportunamente la pressione. Il primo caso suole utilizzarsi nel vecchio metodo per cui si ricorre a punte di varia durezza; così nacque la scala delle durezze, dovuta a Mohs. Ecco i dieci termini da lui proposti: il numero d'ordine viene considerato come espressione della loro durezza: 1. talco; 2. gesso; 3. calcite; 4. fluorite; 5. apatite; 6. ortoclasio; 7. quarzo; 8. topazio; 9. corindone; 10. diamante.

Il secondo caso si utilizza negli sclerometri. In quello di Seebeck (fig. 61), la punta (acciaio o diamante), attaccata a un estremo di un giogo di bilancia, vien fatta scendere, abbassando il giogo, fino al contatto con la superficie piana (p. es. una faccia di cristallo), che è disposta orizzontalmente e scorrevole sotto la punta, perché fissata a un disco girevole attorno a un asse verticale e sostenuto da un carrello mobile lungo un binario. Al disopra della punta è un piattello su cui si mette il peso necessario per ottenere una scalfittura, riuscendo a determinare la durezza in ogni direzione. La durezza è una proprietà vettoriale. Essa dipende dalla densità delle facce e dall'orientazione di queste rispetto ai piani di sfaldatura; le facce di sfaldatura presentano durezza minore delle altre facce; sopra una faccia normale a un piano di sfaldatura, le tracce di sfaldatura corrispondono a durezza minore che in direzione normale alle tracce stesse. Se poi la faccia è obliqua rispetto a un piano di sfaldatura nella direzione normale alle tracce, la durezza è differente nei due versi opposti.

Si può rappresentare la durezza nelle singole direzioni con un segmento; la curva vettoriale si chiama curva delle durezze. Le figg. 62-65 mostrano tali curve su facce di barite, fluorite, calcite, mica. Quando si desidera avere la durezza media si può ricorrere al mesosclerometro, che produce sulla superficie un'incisione circolare o anche al metodo dell'abrasione sopra un disco girevole nel proprio piano.

Elasticità dei cristalli. - Le proprietà elastiche che si mettono in luce mediante deformazioni prodotte per compressione, trazione, flessione, ecc., vengono per solito ricercate su prismi o cilindri il cui asse corrisponde a determinate direzioni scelte nel cristallo (p. es. assi di simmetria). La sfaldabilità spesso ostacola tali ricerche; talora i limiti di elasticità sono raggiungibili molto facilmente per la fragilità, o anche per la plasticità di alcuni cristalli. Le componenti delle forze elastiche, riferite a tre assi coordinati, possono, nel caso dei cristalli, riferirsi agli assi cristallografici; il numero delle costanti elastiche che figurano nelle espressioni di dette componenti, e che sono 21 nel caso generale di un cristallo triclino, si riduce negli altri sistemi via via fino ad essere 3 nel sistema cubico. I fenomeni elastici sono centrici, e perciò essi corrispondono, nelle 32 classi, a 11 casi possibili.

Piani di scorrimento. - La struttura reticolare dei cristalli permette, in alcuni casi, che una pressione esercitata a lungo in una certa direzione, provochi non frattura, ma un vero scorrimento di piani reticolari, sicché una parte del cristallo si sposta dalla primitiva orientazione, assumendone un'altra. L'esempio tipico è quello della calcite: premendo con una lama di coltello normalmente a uno degli spigoli ottusi del romboedro di sfaldatura, si può fare scorrere una parte, in guisa che essa assuma la posizione e i caratteri di gemino, rispetto al resto del cristallo (fig. 66).

Questo fatto ben si spiega, ammettendo un graduale scorrimento, gli uni sugli altri, di piani reticolari normali al piano della lama premente. L'importanza del fenomeno da lungo tempo conosciuto è duplice: 1) esso costituisce una delle migliori prove dirette dell'esistenza di piani reticolari; 2) mostra che è possibile cambiare assettamento reticolare senza distruzione dell'edificio.

Dilatabilità termica. - Veniamo ora a considerare alcune proprietà vettoriali, nelle quali la superficie vettoriale è rappresentabile mediante un ellissoide.

Se scaldiamo un cristallo uniformemente e consideriamo una qualsiasi direzione in esso, in generale si constata una variazione di lunghezza che spesso è un allungamento, in quella direzione alla quale perciò corrisponde un determinato coefficiente di dilatazione lineare. La dilatazione avviene egualmente nei due sensi opposti di una medesima direzione: il fenomeno è perciò centrico. Cambiando però direzione, può cambiare il valore del coefficiente di dilatazione. Ciò non si verifica nei cristalli cubici, i quali, sotto questo punto di vista, si comportano come un solido omogeneo, isotropo, amorfo. Se perciò a ogni possibile direzione leghiamo il valore del coefficiente di dilatazione e lo rappresentiamo con un segmento, questo sarà il raggio di una sfera la cui superficie può considerarsi come la superficie vettoriale rappresentativa del fenomeno, sia nel caso di un solido amorfo, omogeneo isotropo, sia nel caso di cristalli monometrici.

I cristalli del gruppo dimetrico (esagonale e tetragonale) non si dilatano ugualmente in tutte le direzioni. L'asse di simmetria di ordine superiore è una direzione particolare cui corrisponde o la massima dilatazione (come ad esempio nella calcite), oppure la minima (quarzo, berillo). Il coefficiente di dilatazione varia in ogni caso come i raggi vettori di un ellissoide di rotazione il cui asse di rotazione coincida col detto asse di simmetria. L'ellissoide di rotazione sarà dunque allungato nel caso della calcite, e schiacciato nel caso del quarzo o del berillo.

Nei cristalli del gruppo trimetrico infine, la superficie vettoriale è un ellissoide a tre assi. Ora questi tre assi coincidono rispettivamente coi tre assi di singonia binaria, nel caso dei cristalli rombici; nei monoclini un asse dell'ellissoide coincide con l'unico asse di singonia binaria; nessuna regola generale si può stabilire in quanto alla direzione degli assi dell'ellissoide, nel caso del sistema triclino.

Qualche volta, nella direzione di minima dilatazione, si può anche constatare una dilatazione pressoché nulla, o addirittura una contrazione. Così ad esempio nel caso della calcite, si avrebbero, secondo il Kohlrausch, i seguenti valori per il coefficiente di dilatazione lineare:

La determinazione del coefficiente di dilatazione si può fare con un apparecchio di gran precisione quale è il dilatometro di Fizeau, perfezionato da Abbe. Il cristallo deve possedere (naturali o artificiali) due facce parallele normalmente alla direzione che si esamina. Una delle due facce si appoggia sul centro di un disco provvisto intorno di tre viti calanti (fig. 67), sulle quali a sua volta riposa una lastra di vetro a facce piane e parallele. Si regola l'altezza delle viti in modo che la lastra di vetro si trovi quasi in contatto della faccia superiore del cristallo. Disco e viti sono di una lega (invar, constantana) a coefficiente di dilatazione pressoché nullo. Il tutto vien posto in un recipiente cilindrico, e questo a sua volta in una stufa; dall'alto, lungo il cilindro, si fa arrivare sulla lastra di vetro un fascio di raggi paralleli e monocromatici, che giungono al cristallo attraversando il sottile strato d'aria interposto fra lastra e cristallo, e si riflettono interferendo coi raggi incidenti. A ogni variazione di altezza del cristallo, e perciò dello strato d'aria, passano nel campo di un cannocchiale opportunamente disposto un certo numero di frange d'interferenza, talché è possibile misurare la dilatazione in lunghezze d'onda.

Conducibilità termica. - Si suole determinare la conducibilità termica sopra una faccia, o piano artificiale, spalmando il piano con sottile, uniforme strato di cera, oppure, meglio, con acido elaidinico che fonde verso i 45°, e nel solidificare cristallizza; si appoggia normalmente al piano una punta metallica portata elettricamente a temperatura costante, e superiore a quella di fusione della sostanza spalmata; raggiunto che sia l'equilibrio, si forma intorno alla punta una regione di fusione, il cui contorno rimane nettamente visibile anche dopo il raffreddamento. La linea di contorno corrisponde alla sezione, secondo il piano esaminato, della superficie vettoriale cercata; l'operazione si deve ripetere su varie facce (o piani); è bene osservare subito che questo metodo non dà quel risultato di alta precisione, che può fornire il metodo di Fizeau pcr la dilatazione. Ma qualitativamente il fenomeno permette di riconoscere che anche qui, come nel caso della dilatazione, la superficie vettoriale è in generale un ellissoide a tre assi per le sostanze del gruppo trimetrico, e di rotazione (schiacciato o allungato) per le sostanze del gruppo dimetrico; è poi una sfera per le sostanze del gruppo monometrico. Anche qui l'orientazione degli ellissoidi segue le stesse norme indicate nel caso della dilatazione.

Conducibilità elettrica. - Si hanno, anche fra i cristalli, buoni conduttori (come i metalli e molti solfuri, arseniuri, ecc.) e cattivi conduttori (come molti metalloidi, ossidi, solfosali, ecc.). Per determinare la conducibilità nei dielettrici cristallizzati si può ad esempio esaminare come una lamina coperta di polvere di licopodio ed elettrizzata per contatto in un punto, respinga la polvere stessa in modo diverso, in generale, secondo le diverse direzioni. La superficie vettoriale, come nei casi precedenti, è sferica o ellissoidica, con le stesse norme riguardo all'orientazione.

Piro- e piezo-elettricità. - Già notammo nello studio morfologico dei cristalli l'esistenza di assi polari. Una proprietà caratteristica di tali assi consiste in ciò: che, riscaldando il cristallo, si manifesta un'elettrizzazione alle due estremità del cristallo (piroelettricità) in corrispondenza di tale asse, e le due zone sono elettrizzate di segno contrario; se poi si diselettrizza il cristallo caldo, toccandolo, avviene che, durante il raffreddamento, si manifestano di nuovo le elettrizzazioni delle due zone, ma di segno contrario a quello che ciascuna aveva acquistato nel riscaldamento. Ciò appare chiaramente stacciando sul cristallo una mescolanza di polveri di zolfo e minio, che si separano nel depositarsi rispettivamente sulle due estremità elettrizzate.

Anche per compressione uniforme si ha un fenomeno analogo (piezo-elettricità) sempre in direzione dell'asse polare, il quale, come già sappiamo, corrisponde a un asse di simmetria in cristalli privi di centro, nonché di piano o assi di simmetria di ordine pari, normali a quell'asse.

Sono in tale condizione i cristalli di calamina e di tormalina rappresentati nelle figg. 51 o e 47 f; anche i tre assi binarî nel quarzo si comportano come polari (fig. 47 e, e′).

Para- e dia-magnetismo. - Se una sostanza è posta fra i poli di una calamita, e la sua permeabilità magnetica Pm è superiore a quella Pa dell'ambiente, essa viene attratta dai poli. Un'assicella di tale sostanza, sospesa a un filo, si dispone nel senso delle linee di forza; se Pm Pa la sostanza è respinta.

Se l'ambiente è l'aria (il che corrisponde quasi al caso del vuoto) si considera Pa = 1.

Secondo che è Pm > 0 〈 1, la sostanza è para- o dia-magnetica. Sono paramagnetici: magnetite, pirrotina, siderite, tormalina, smeraldo. Sono dia-magnetici: zolfo, zircone, topazio.

Nei cristalli si possono tagliare prismi o cilindri secondo determinate direzioni, o anche (per eliminare l'influenza della forma) delle sferette. Risulta che la superficie vettoriale è una sfera nei cristalli cubici, un ellissoide di rotazione nei cristalli del gruppo dimetrico; un ellissoide a tre assi in quelli del gruppo trimetrico.

Proprietà ottiche. - La grande importanza che lo studio delle proprietà ottiche dei cristalli ha, sia per la scienza pura, sia per le applicazioni pratiche, specialmente nel campo della microscopia minerale, fa sì che nei trattati di cristallografia il capitolo dedicato a tali proprietà abbia uno speciale sviluppo. Qui, per non invadere il campo dell'ottica pura, saranno specialmente messe in rilievo le proprietà più utilizzate dai cristallografi.

Birifrazione. - Per quanto sia nota l'esperienza fondamentale delle due immagini fornite da un romboedro di calcite limpida (spato d'Islanda), è forse opportuno prender le mosse da questa esperienza. Segnando un punto nero sopra un foglio di carta, e interponendo fra il punto e l'occhio un solido di sfaldatura di calcite limpida, che abbia due facce parallele al foglio, si vedono due immagini del punto, tanto più distanziate fra loro, quanto maggiore è lo spessore della lamina di calcite; e se facciamo compiere alla calcite un giro completo mantenendo le dette facce parallele al foglio, vediamo che delle due immagini una sta ferma e l'altra compie un giro intorno alla prima. Possiamo perciò pensare che un raggio luminoso, penetrante per la faccia inferiore della calcite, si scinda in due raggi distinti, emergenti poi dalla faccia superiore, e dei quali uno conserva invariata la direzione durante il giro compiuto dalla calcite, e rimane nel piano individuato dal raggio incidente e dalla normale alla faccia (fig. 68); l'altro raggio invece gira intorno al primo col girare della calcite; delle due immagini fornite da questi raggi, chiamiamo ordinaria quella che corrisponde al raggio fisso, straordinaria quella che corrisponde al raggio girevole. Ma la descrizione dell'esperienza non è ancora completa; ora mostreremo che i due raggi ottenuti presentano caratteri che li differenziano dal raggio incidente. I raggi ottenuti per birifrazione sono polarizzati.

Polarizzazione. - Un'intima spiegazione dei fenomeni luminosi, e, in particolare, della rifrazione, birifrazione, polarizzazione, richiede sempre di risalire ai concetti fondamentali riguardo alla natura della luce. Non essendo questo il luogo per trattare una così grave e dibattuta questione, ci limitiamo a considerare un raggio come un trasmettitore di energia a velocità dell'ordine di 300.000 chilometri al secondo, con un processo rappresentabile mediante un moto vibratorio trasversale; parleremo perciò di vibrazioni in piani perpendicolari alla direzione di propagazione del raggio, astraendo dall'ente vibrante e dalla natura elettromagnetica del movimento periodico.

Ciò premesso, diremo che un raggio è polarizzato quando il fenomeno (vibrazione) che si compie in ogni piano normale all'asse e si propaga da piano a piano, è identico in tutti i piani; e cioè, che non solo ne è costante il periodo, ma è identica e identicamente orientata la curva vettoriale che lo rappresenta. Secondo che tale curva è un segmento rettilineo o un'ellisse, o una circonferenza, si dice che il raggio è polarizzato rettilineamente, o ellitticamente, o circolarmente. Nel caso di un raggio polarizzato rettilineamente, la direzione del detto segmento si chiamerà d'ora in poi direzione di vibrazione del raggio.

I due raggi ottenuti per birifrazione nella calcite sono ambedue polarizzati rettilineamente, e le rispettive direzioni di vibrazione sono fra loro ortogonali. Per convincerci di questo fatto possiamo utilizzare una lamina di tormalina, tagliata parallelamente all'asse ternario da un cristallo intensamente colorato (preferibili i cristalli verdi); questa lamina, come spiegheremo più tardi, ha la proprietà di lasciar passare un raggio polarizzato rettilineamente, quando la direzione di vibrazione del raggio sia parallela all'asse ternario; ma se, girando la lamina nel proprio piano, la direzione di vibrazione passa gradatamente da parallela a perpendicolare all'asse ternario, il raggio viene assorbito di più in più fino a estinguersi. Se ora poniamo questa lamina davanti all'occhio, mentre si osservano le due immagini fornite, come abbiamo visto, dalla calcite, ruotando la lamina nel proprio piano, vedremo estinguersi alternativamente le due immagini per ogni 90° di rotazione (fig. 69).

Questa esperienza ci fa inoltre conoscere quali sono, rispetto al cristallo di calcite, le direzioni di vibrazione dei due raggi rifratti; una di queste, corrispondente all'immagine straordinaria, giace in un piano passante per l'asse ternario della calcite; l'altra (immagine ordinaria) è conseguentemente normale a quel piano.

Cristalli mono- e birifrangenti. - L'esperienza dimostra che i cristalli del sistema cubico non sono birifrangenti; s'intende che ciò si può verificare quando il mezzo è trasparente rispetto ai raggi adoperati. In tal caso dunque abbiamo monorifrazione come in un mezzo isotropo, amorfo.

La birifrazione si manifesta con magg; ore o minore evidenza nei cristalli di tutti gli altri sistemi. Possiamo quindi trattare il fenomeno da un punto di vista generale.

Cristalli uniassici: superficie d'onda. - I cristalli dei gruppi dimetrico e trimetrico si possono considerare, dal punto di vista ottico, come anisotropi. Infatti in essi avviene che la velocità di propagazione della luce cambia in generale con la direzione. Più precisamente, la velocità di propagazione è legata alla direzione di vibrazione del raggio: raggi aventi egual direzione di vibrazione posseggono anche egual velocità di propagazione; non sempre però a differenti direzioni di vibrazione corrispondono differenti velocità. Consideriamo infatti i cristalli del gruppo dimetrico. In essi avviene che tutte le direzioni di vibrazione, normali all'asse di simmetria di ordine superiore, sono equivalenti; e cioè tutti i raggi che posseggono una qualunque di tali direzioni, come direzione di vibrazione, hanno la stessa velocità. Ora, per ciascuna direzione di vibrazione, esiste un'infinità di raggi, e cioè tutti i raggi propagantisi nelle infinite direzioni del piano normale alla data direzione di vibrazione; e poiché ciò si ripete per tutte le direzioni di vibrazione normali all'asse di simmetria superiore, ne risulta una superficie vettoriale sferica, i cui raggi vettori rappresentano la velocità (eguale in tutti) di tutti i raggi le cui direzioni di vibrazione sono normali all'asse di simmetria superiore. Questi raggi li chiameremo ordinarî; sono essi che forniscono quella delle due immagini prodotte dalla calcite, che appunto abbiamo chiamato ordinaria.

Se consideriamo uno degli infiniti piani passanti per l'asse di simmetria superiore, in esso giace una delle infinite direzioni di vibrazione normali all'asse; passiamo ora da questa direzione a quella dell'asse, percorrendo l'intero angolo retto con una direzione mobile: le infinite direzioni che ora successivamente si trovano, pensate come direzioni di vibrazione, non sono più equivalenti fra loro, come erano quelle del piano normale all'asse; e si constata invece, nei cristalli del gruppo dimetrico, che, nelle successive direzioni, fino a quella dell'asse di simmetria superiore, si hanno corrispondentemente raggi la cui velocità cambia gradatamente in un dato senso. E cioè due casi sono possibili: o la velocità cresce fino a raggiungere un massimo nella direzione dell'asse di simmetria; oppure diminuisce fino a un minimo. I cristalli che si trovano nel primo caso si chiamano positivi; gli altri negativi: la calcite ad esempio è negativa. Possiamo ripetere il ragionamento per tutti gl'infiniti piani passanti per l'asse di simmetria: risulta allora che la superficie vettoriale, avente per raggi vettori le velocità dei raggi qui considerati, è un ellissoide di rotazione, il cui asse coincide con l'asse di simmetria superiore. Questo ellissoide sarà allungato per i cristalli positivi, e schiacciato per i negativi. Tutti i raggi rappresentati da questi ellissoidi si chiamano straordinarî.

Abbiamo dunque due distinte superficie vettoriali: una sfera e un ellissoide; in quanto i raggi vettori di ambedue rappresentano velocità (nelle loro direzioni), possiamo chiamarle ambedue superficie d'onda; la sfera è la superficie d'onda dei raggi ordinarî, l'ellissoide di quelli straordinarî (figg. 70 e 71). Risulta chiaramente che nella direzione dell'asse di simmetria la birifrazione si annulla; corrispondentemente i due punti opposti dell'ellissoide, appartenenti all'asse di rotazione, devono essere punti di tangenza dell'ellissoide con la sfera, la quale sarà interna o esterna all'ellissoide secondo che la sostanza è negativa o positiva; ossia secondo che della variabile velocità dei raggi straordinarî è il valore massimo, oppure il minimo, che coincide con quello della velocità costante degli ordinarî.

La direzione dell'asse di simmetria superiore, e al tempo stesso dell'asse di rotazione dell'ellissoide, è dunque anche direzione di monorifrazione, e perciò questa unica direzione prende anche il nome di asse ottico; le sostanze del gruppo dimetrico si possono quindi chiamare uniassiche.

Ellissoide delle velocità. - Il fenomeno ottico nei cristalli uniassici si può anche rappresentare attribuendo alla stessa direzione di vibrazione di un raggio un valore numerico, che esprima la velocità comune ai raggi aventi quella direzione di vibrazione. La superficie vettoriale che ne risulta è ancora un ellissoide (ellissoide diretto di Fresnel, ellissoide delle velocità) che per i cristalli uniassici è di rotazione. Ogni sezione dell'ellissoide, essendo in generale un'ellisse, individua due direzioni ortogonali fra loro, corrispondenti all'asse maggiore e all'asse minore dell'ellisse. Ora queste due direzioni possiamo pensarle tracciate sopra una lamina di cristallo uniassico, che sia tagliato dal cristallo secondo la detta sezione; le direzioni segnate indicheranno, per la lamina che si considera, le due direzioni di vibrazione proprie (o l'una o l'altra) dei raggi attraversanti la lamina. Così abbiamo in generale quanto già osservammo per la calcite: che i raggi ottenuti per birifrazione sono polarizzati rettilineamente, e che in una direzione qualsiasi del cristallo (p. es., normalmente a due facce parallele), si possono propagare due raggi polarizzati aventi direzioni di vibrazione ortogonali fra loro. L'unica direzione di eccezione è quella dell'asse ottico.

Ellissoide degl'indici. - Se, invece di attribuire alle direzioni di vibrazione i valori delle velocità dei corrispondenti raggi, attribuiamo i valori degl'indici di rifrazione dei raggi stessi, si costruisce ancora un ellissoide di rivoluzione (ellissoide inverso di Fresnel, indicatrice ottica) che pure può servire a rappresentare il fenomeno ottico.

Cristalli biassici: superficie d'onda. - Nei cristalli del gruppo trimetrico il fenomeno è più complesso.

Le due immagini di un punto, fornite da una lamina di un cristallo, in generale (salvo cioè alcune direzioni), girando la lamina, si spostano tutt'e due, e quindi sono ambedue immagini straordinarie. Non esistono più due superficie d'onda distinte (per i raggi ordinarî e straordinarî), ma abbiamo una superficie complessa di quarto grado. Basterà qui considerarne tre sezioni (sezioni principali che sono ortogonali fra loro). Le figg. 72, 73, 74 indicano appunto le tre sezioni; le quali corrispondono a piani di simmetria della superficie vettoriale. Nel caso dei cristalli rombici esse corrispondono ai piani di simmetria del cristallo. I valori o a, o c della terza sezione corrispondono alla massima e alla minima velocità; il semiasse o b, normale alle prime due, fornisce un valore intermedio, che in generale non è la media fra gli altri due. Le direzioni o U, o U′ della fig. 74 ci indicano che i due raggi propagantisi lungo esse hanno eguale velocità; queste direzioni somigliano, sino a un certo punto, a quella dell'asse ottico dei cristalli uniassici; la superficie d'onda ce le indica perché i punti U U, UU′, corrispondono a quattro rientranze (ombelichi) della superficie stessa (fig. 74); le direzioni U U, UU′, prendono il nome di assi ottici secondarî.

Il piano che contiene le direzioni U U, UU′, si chiama piano degli assi ottici; le direzioni a a′, c c′ sono le bisettrici dei due angoli formati dagli assi ottici. La bisettrice dell'angolo acuto si chiamerà brevemente 1ª bisettrice, quella dell'angolo ottuso 2ª bisettrice. Quando si dice senz'altro angolo degli assi ottici s'intende l'angolo acuto. La direzione perpendicolare al piano degli assi ottici si chiama normale ottica. Ora, si possono presentare i due seguenti casi: alla direzione di maggiore velocità può corrispondere sia la 1ª bisettrice, sia la 2ª. Nel primo caso la sostanza si chiama positiva, nel secondo negativa. La figura 75 corrisponde al primo caso.

Ellissoide delle velocità. - Con lo stesso concetto esposto per i cristalli uniassici, abbiamo anche qui un ellissoide il quale però è a tre assi; i tre piani assiali corrispondono alle tre sezioni principali della superficie d'onda; anche qui una sezione arbitraria ci indica, con gli assi dell'ellisse, le direzioni di vibrazione di una lamina del cristallo, tagliata secondo quella sezione.

Ora, in ogni ellissoide a tre assi esistono due serie di sezioni circolari; osserviamo che tali sezioni in quest'ellissoide sono normali alle direzioni degli assi ottici secondarî (fig. 76).

Ellissoide degl'indici. - Costruendo, come precedentemente, la superficie vettoriale degl'indici, risulta un ellissoide a tre assi. Le sezioni circolari di quest'ellissoide non coincidono con quelle del precedente; le normali a queste sezioni sono dette assi ottici primarî.

Fra l'angolo degli assi ottici primarî e quello dei secondarî esiste una relazione molto semplice: il rapporto fra le tangenti dei due semi-angoli è eguale al rapporto fra il massimo e il minimo indice di rifrazione; e perciò quanto più debole è la birifrazione (e quindi il detto rapporto si avvicina all'unità), tanto più gli assi ottici primarî tendono a coincidere coi secondarî.

Segno ottico. - Quando il valore di β sia molto vicino ad α o a γ, l'ellissoide diviene poco diverso da un ellissoide di rotazione, con asse rispettivamente secondo γ od α; e come le sostanze uniassiche si dividono in positive e negative secondo che la direzione dell'asse di rotazione dell'indicatrice corrisponde all'indice massimo o minimo, così possono chiamarsi anche le biassiche positive o negative, secondo che l'asse quasi di rotazione sia γ o α. Più propriamente si possono dire positive o negative secondo che sia γ o α che corrisponde alla prima bisettrice dell'angolo degli assi ottici.

Orientazione degli ellissoidi-dispersioni. - Tutte le superficie ellissoidiche considerate fin qui obbediscono alle seguenti condizioni: nei cristalli uniassici l'asse di rotazione è sempre coincidente con l'asse di simmetria superiore. Ora, un determinato ellissoide corrisponde a una determinata qualità di raggi. Ma se cambia il valore della lunghezza d'onda, variano corrispondentemente i valori degl'indici e delle velocità, quindi anche negli ellissoidi cambieranno in generale i valori dei semiassi.

Quanto ai cristalli biassici, osserviamo che nei cristalli rombici i tre assi dell'ellissoide corrispondono ai tre assi di simmetria (o di singonia) binarî; nei cristalli monoclini uno degli assi dell'ellissoide coincide con l'asse binario; nulla si può dire a priori per i cristalli triclini.

Se poi cambia la lunghezza d'onda della luce, avremo anche qui deformazioni nei rispettivi ellissoidi, e ciò porterà in generale a far variare l'angolo degli assi ottici; e qui, nei riguardi dello spettro visibile, può accadere che l'angolo vada aumentando nel passare per i colori successivi dal rosso fino al violetto, oppure che vada diminuendo. Si dice in ambedue i casi che esiste dispersione degli assi ottici; questa brevemente s'indica nel primo caso con ρ 〈 v; nel secondo caso con ρ > v. Queste due dispersioni possono ad esempio verificarsi o l'una o l'altra nel caso dei cristalli rombici, ma sempre simmetricamente rispetto alle bisettrici, le cui direzioni restano fisse.

Se poi passiamo al caso di cristalli clinoedrici, allora, oltre alla dispersione degli assi ottici, può verificarsi anche quella di due assi degli ellissoidi per i cristalli monoclini, e di tutti tre per i cristalli triclini. Consideriamo ad esempio l'ellissoide delle velocità: due dei suoi assi corrispondono alle bisettrici, prima e seconda, dell'angolo degli assi ottici secondarî; il terzo asse allora coincide con la normale ottica. Se ora ci mettiamo nel caso di un cristallo monoclino, due dei tre assi giaceranno nel piano di simmetria (o singonia), e il terzo asse coinciderà con l'asse binario. Cambiando ora la lunghezza d'onda, potranno disperdersi, sempre restando fra loro normali, i due assi dell'ellissoide che giacciono nel piano di simmetria; e il terzo no. ora, si possono dare tre casi: o nel piano di simmetria giacciono le due bisettrici (e quindi anche gli assi ottici), e allora avremo in generale, oltre alla dispersione degli assi ottici, quella delle due bisettrici (dispersione inclinata); o vi giace la normale ottica con la prima bisettrice, e sono queste due direzioni che si disperdono (dispersione orizzontale); o finalmente si disperdono la normale ottica e la seconda bisettrice (dispersione incrociata o girata).

Nel caso dei cristalli triclini avremo, in generale, la contemporanea dispersione, sia dei due assi ottici, sia dei tre assi dell'ellissoide (dispersione triclina).

Polarizzatori. Analizzatori. - I cristalli dunque, eccetto i cubici, sono polarizzatori, in quanto producono luce polarizzata. Questa si può produrre anche in altri modi; basti qui ricordare la legge di Brewster, per la quale sappiamo: 1. che un raggio di luce comune, incidendo sopra un mezzo trasparente, in parte si riflette in parte si rifrange, dando luogo a raggi parzialmente polarizzati; 2. che vi è un angolo d'incidenza per il quale si raggiunge il massimo di polarizzazione, contemporaneamente, per il raggio riflesso e per quello rifratto, i quali allora sono ad angolo retto fra loro; 3. che le direzioni di vibrazioni dei raggi riflesso e rifratto sono fra di loro perpendicolari; nel piano d'incidenza quella corrispondente al raggio rifratto, normale l'altra.

Ma la lamina di tormalina, citata nell'esperienza della birifrazione, ci ha servito altresì per riconoscere che i due raggi provenienti dalla calcite erano polarizzati: di qui la possibilità di usare i cristalli anche come analizzatori. Come avvenga l'assorbimento di un raggio nella tormalina sarà detto più oltre; intanto vediamo un altro artifizio, ora comprensibile, per eliminare uno dei due raggi prodotti in un mezzo birifrangente, il quale pure potrà allora servirci da analizzatore. Serve a ciò un romboedro di sfaldatura di calcite limpida, nel quale si creano artificialmente due facce parallele fra loro, una d'incidenza e l'altra di emergenza per la luce, e che viene inoltre tagliato in due parti che, spianate accuratamente, sono poi di nuovo incollate insieme con balsamo del Canada o con collolite. Lo scopo di queste operazioni, che si possono compiere in vario modo, e secondo varî metodi, è principalmente questo: che dei due raggi formatisi per birifrazione, quando un raggio arrivi sulla faccia d'incidenza, uno possa venir deviato, per riflessione totale, dalla collolite, e poi assorbito dal nero-fumo di cui sono state coperte le facce laterali. Il tutto è simmetrico rispetto a un piano perpendicolare a quello di saldatura delle due parti; l'apparecchio prende il nome di Nicol e il piano di simmetria si chiama sezione principale del Nicol (fig. 77). Ora l'indice di rifrazione della collolite o del balsamo è circa 1,54, e l'indice di rifrazione dei raggi straordinarî nella calcite può variare da circa 1,48 a 1,65 (valore in coincidenza con l'indice costante dei raggi ordinarî); d'altra parte la direzione di vibrazione del raggio straordinario giace nella sezione principale del Nicol, mentre quella del raggio ordinario le è normale; in queste condizioni il raggio straordinario passerà attraverso la collolite e uscirà dalla faccia di emergenza, mentre il raggio ordinario giunge alla collolite con angolo d'incidenza maggiore dell'angolo limite, e devia lateralmente. Il Nicol, qui brevemente descritto, ha, rispetto alla lamina di tormalina su ricordata, il gran vantaggio di essere incoloro, e di non mascherare quindi altri colori che vedremo formarsi nei fenomeni luminosi dei cristalli.

Anche il Nicol, come la tormalina, può servire da polarizzatore e da analizzatore; infatti un raggio di luce polarizzata rettilineamente che arrivi ad esso, in modo da avere la direzione di vibrazione nella sezione principale del Nicol, lo attraverserà come raggio straordinario; mentre, se la direzione di vibrazione sia normale alla sezione principale del Nicol, il raggio si comporta nella calcite come ordinario; subisce perciò la riflessione totale e non giunge alla faccia di emergenza. Se invece ora giungesse al Nicol un raggio di luce comune, comunque si ruoti il Nicol intorno al raggio incidente, si avrà sempre una componente straordinaria che giungerà all'occhio dell'osservatore.

Apparecchi polarizzanti. - L'insieme di un polarizzatore e di un analizzatore costituiscono la parte essenziale di un apparecchio polarizzante. La vecchia pinzetta a tormaline costituisce un apparecchio polarizzante assai semplice; una delle due lamine di tormalina gira davanti all'altra; quando i loro assi ternarî (che ora possiamo chiamare anche assi ottici) sono paralleli, la luce polarizzata dalla prima passa anche dalla seconda lamina; quando invece sono incrociati, come suol dirsi, cioè ad angolo retto, la seconda lamina intercetta totalmente la luce, e abbiamo oscurità. Questa oscurità potrà essere eliminata, interponendo tra le due tormaline una lamina di cristallo birifrangente, come vedremo. L'apparecchio polarizzante a Nicol è schematicamente rappresentato dalle figure 78 a, b. La luce, come nei microscopî, giunge dal basso all'alto mediante uno specchio, entra nel primo Nicol (polarizzatore), e trova poi una lastra di vetro su cui si porrà la lamina da studiare, e che perciò è girevole nel proprio piano; finalmente arriva all'altro Nicol (analizzatore) e all'occhio. A queste parti essenziali occorre aggiungere alcune lenti, con lo scopo di far attraversare la lamina, sia da raggi normali a essa, sia da raggi convergenti. Nel primo caso (fig. 78 a) l'apparecchio è detto ortoscopio; nel secondo caso (fig. 78 b) abbiamo il conoscopio. Il Nicol polarizzatore è fisso, ma l'analizzatore è girevole: avremo luce a Nicol paralleli, oscurità a Nicol incrociati.

I Nicol possono applicarsi anche al microscopio; e abbiamo allora il microscopio polarizzante, tanto usato, specialmente in petrografia.

Esame ottico dei cristalli. Indici di rifrazione. - La determinazione può esser fatta sia su prismi, sia su lamine; in ogni caso nelle sostanze birifrangenti si trovano in generale, per ogni luce monocromatica adoperata, due valori per gl'indici. Nelle sostanze uniassiche si suole indicare con ω il valore dell'indice che non cambia con la direzione, e si suole indicare con ε il valore più distante possibile da quello dell'ordinario; nelle sostanze positive sarà ε > ω, nelle negative sarà ω > ε. Nelle sostanze biassiche si sogliono indicare con α, β, γ (dove α 〈 β 〈 γ) i valori (principali) degl'indici, osservabili nelle direzioni corrispondenti agli assi dell'indicatrice ottica.

La determinazione degl'indici mediante un prisma può essere fatta comodamente col goniometro di Babinet, sostituendo per la misura dell'angolo di deviazione minima, alla mira ordinaria, una fenditura rettilinea. Per le sostanze uniassiche si ottengono i valori ω ed ε con un prisma che abbia lo spigolo parallelo all'asse ottico. Per le sostanze biassiche, se disponiamo di tre prismi, ognuno dei quali abbia rispettivamente lo spigolo parallelo a uno degli assi dell'ellissoide e il piano bisettore del diedro parallelo a uno dei piani assiali, ogni prisma ci darà due dei tre valori α, β, γ; perciò sono sufficienti due qualunque dei tre prismi suddetti.

La determinazione con lamine sufficientemente grandi si può fare mediante la determinazione dell'angolo limite, sia per il raggio ordinario sia per lo straordinario. All'uopo si opera molto opportunamente ponendo la lamina sulla mezza sfera del totalrefrattometro di Pulfrich, o comunque determinando l'angolo limite per ogni raggio.

Per lamine, o anche per frammenti piccolissimi, si sogliono determinare gl'indici per confronto con quelli di liquidi in cui la lamina o il frammento vengono immersi. Occorre una serie di liquidi (essenze) con indice di rifrazione via via crescente; si confronta il valore dell'indice al microscopio, stringendo l'iride posta sotto il tavolino, e osservando una sottile linea luminosa che si forma sul contorno dell'oggetto (linea di Becke), la quale si sposta, sollevando leggermente il tubo portaobiettivo, verso la sostanza a indice maggiore.

Osservazioni ortoscopiche. - Se la lamina in esame è tagliata da una massa isotropa, sia amorfa, sia di un cristallo cubico, che sia interposta fra i Nicol, rimane la luce o l'oscurità secondo che i Nicol erano paralleli o incrociati; la stessa cosa avviene, in generale (v. oltre, Polarizzazione rotatoria, p. 947), per una lamina tagliata da una sostanza uniassica normalmente all'asse ottico.

Ma se ora consideriamo il caso generale di una lamina tagliata comunque da un cristallo, sia uniassico, sia biassico, avremo che il raggio straordinario, proveniente dal Nicol polarizzatore, si scinde, nella lamina, in due raggi aventi direzioni di vibrazione ortogonali fra loro; questi due raggi, passando dalla lamina al Nicol analizzatore, dànno ciascuno origine a un raggio ordinario e a uno straordinario: e allora avremo due raggi ordinarî, i quali subiscono la riflessione totale sulla collolite e si eliminano; passano invece i due raggi straordinarî. Si osservi che questi, a differenza dei due raggi usciti dalla lamina, hanno direzioni di vibrazione parallele. Se i Nicol sono incrociati (ad angolo retto), e se la lamina gira nel proprio piano, le direzioni di vibrazione dei due raggi emergenti dalla lamina ruotano insieme con essa; e quando queste corrispondono (di 90° in 90°) alle sezioni principali dei Nicol, il campo ritorna oscuro, mentre si va illuminando gradatamente, e raggiunge la massima luminosità dopo altri 45° di rotazione. Questo fatto spiega perché le direzioni di vibrazione riferite alla lamina vengano chiamate anche direzioni di estinzione.

Per la determinazione delle direzioni di estinzione è necessario che, oltre al tavolino girevole, il microscopio sia fornito anche (nel tubo oculare) di un crocifilo.

Oltre alle dette variazioni d'intensità luminose, abbiamo contemporaneamente un fenomeno cromatico. Se consideriamo una lamina di spessore s, e ai due raggi emergenti da essa corrispondono gl'indici nnn″, i tempi t′, t″ impiegati da questi raggi ad attraversare la lamina, saranno rispettivamente:

da cui, chiamando τ il ritardo t′ − t″,

Perciò il ritardo è proporzionale allo spessore e alla differenza fra gli indici. Ora, poiché dal Nicol analizzatore emergono raggi con direzioni di vibrazione parallele, questi sono in condizioni d'interferire.

Operando a luce bianca, per ogni colore, avremo un ritardo, il cui valore potrà apportare o indebolimento o rinforzo, e complessivamente ne risulterà una luce colorata, la quale, ruotando la lamina nel proprio piano, cambierà solamente d'intensità, raggiungendo il suo massimo punto quando le direzioni di vibrazione sono a quarantacinque gradi dalle sezioni principali dei Nicol; girando invece il Nicol analizzatore, il colore cambierà passando da quello avuto a Nicol incrociati, fino al colore complementare a Nicol paralleli.

Se le due facce della lamina non fossero parallele, ma formassero un piccolo angolo, si avrebbe per ogni spessore un colore: ciò può vedersi bene con una bietta di quarzo (fig. 79 a). Se la luce adoperata è monocromatica, si osserva un solo colore con strie nere (fig. 79 b) che si succedono a eguali intervalli, man mano cioè che lo spessore corrisponde a differenze di fase di

o multipli dispari di

a luce bianca si succedono i colori col crescere dello spessore e, dopo una prima serie fino al violetto (la quale costituisce il 1° ordine di Newton), si ha una seconda serie (2° ordine) che, passando per il verde-giallo, arriva al rosso-viola; segue poi un 3° e 4° ordine; ma i colori del primo ordine sono i più nitidi e vivi; oltre il 3° ordine si vanno fondendo verso un colore unico grigiastro. Consideriamo ora due lamine e siano α′ e γ′ con α′ > γ′ gl'indici di rifrazione corrispondenti nella prima alle direzioni di estinzione; α″ e γ″ gl'indici analoghi nella seconda. Sovrapponendo le due lamine in modo che le direzioni di estinzione si corrispondano, se α′ corrisponde ad α″ (e quindi γ′ ad γ″), ciò corrisponderà al caso di una lamina unica, la quale produca per una data luce un ritardo ϑ = τ′ + τ″, essendo τ′ e τ″ i ritardi prodotti da ciascuna delle due lamine sovrapposte. Se invece α′ corrisponderà a γ″ (e quindi γ′ ad α″), le due lamine sovrapposte produrranno nell'apparecchio polarizzante un ritardo ϑ = τ′ − τ″. E perciò nei due casi considerati avremo, a luce bianca, due colori diversi, come se per una delle due lamine fosse rispettivamente aumentato o diminuito lo spessore.

Se dunque è stato determinato quale dei due indici sia maggiore per una delle due lamine ma non per l'altra, la detta esperienza potrà servire per determinarlo. Su ciò è fondata la determinazione del segno ottico riferendoci a una lamina conosciuta, la quale, per solito, è una lamina di sfaldatura di mica, di tale spessore da produrre, per la luce del sodio, un ritardo di

Per minerali poco birifrangenti si adopera anche una lamina di sfaldatura di gesso, di tale spessore da fornire, a Nicol incrociati, il colore rosso di 1° (o anche di 2°) ordine. Nel tubo del microscopio, al disopra dell'obiettivo vi è un'apertura laterale dove si può introdurre una delle dette lamine.

Se di una lamina birifrangente è stato determinato lo spessore s, la formula (1) ci permette di determinare la differenza degl'indici n′ −n″ anche senza conoscere i loro valori, purché si misuri il ritardo τ prodotto dalla lamina per una data luce. Se la lamina è tagliata in modo da darci la massima differenza tra gl'indici (ω − ε; ε − ω; γ − α) allora questa differenza ci fornisce la potenza birifrattiva per quella sostanza.

Molti sono i metodi per determinare il ritardo, e gli apparecchi ideati a tale scopo. Nei compensatori si compensa mediante un ritardo noto quello da misurare. Tali sono i compensatori di Babinet e di Berek. In quello di Babinet si hanno due cunei di quarzo (figura 80) uno dei quali ha lo spigolo parallelo all'asse ottico, l'altro normale; uno è fisso, l'altro, disposto in senso inverso rispetto al primo, è scorrevole mediante una vite micrometrica, in modo che i loro spigoli si mantengano paralleli.

Il tutto si può introdurre, come un oculare, nel tubo di un microscopio polarizzante; il Nicol analizzatore deve trovarsi al disopra dei cunei; si opera a Nicol incrociati e col sistema dei cunei girati in modo che i loro spigoli siano a 45° sulle sezioni principali dei Nicol. Allora compare una riga nera dove i due cunei si sovrappongono con eguale spessore. Un crocifilo permette di portare questa riga nel mezzo del campo. Ma se introduciamo una lamina birifrangente, la riga si sposta da una parte o dall'altra, e occorrerà un determinabile numero di giri della vite micrometrica per riportarla nel centro. Se conosciamo il ritardo corrispondente a un giro della vite, si trova subito il ritardo dovuto alla lamina. Nel compensatore di Berek (fig. 81) una laminetta di calcite tagliata parallelamente alla base, con contorno circolare e spessore di mm. 0,1, è incastonata in un piccolo anello girevole, mediante una vite e relativo tamburo, entro un sostegno metallico rettangolare che si può introdurre nell'apertura laterale del tubo del microscopio, destinato anche ad altri scopi (pagina 944). Sul tamburo si legge la rotazione necessaria alla lamina per compensare il ritardo.

Un altro accessorio che può accompagnare un buon microscopio polarizzante, è il tavolino di Fedorow, che è sovrapponibile al tavolino usuale e che permette alla lamina di prendere qualsiasi orientazione, mediante rotazioni determinabili con appositi lembi (fig. 82). È allora possibile riconoscere la giacitura della lamina rispetto all'ellissoide di Fresnel.

Osservazioni conoscopiche. - Al conoscopio si possono osservare interessanti figure d'interferenza. Le lamine che specialmente si adoperano sono quelle normali all'asse ottico nelle sostanze uniassiche, e quelle normali alla prima bisettrice oppure a uno degli assi ottici, nelle sostanze biassiche. Già con la pinzetta a tormalina, interponendo ad esempio una lamina di calcite tagliata normalmente all'asse ternario, si era osservato, guardando molto da vicino per raccogliere anche i raggi più inclinati sull'asse, una serie di anelli concentrici tagliati da una croce nera. La figura si vede nel suo pieno effetto cromatico osservando a Nicol incrociati e con luce bianca (v. tav. a colori, n. 1). Gli anelli allora appaiono tutti iridati; si vedono invece neri se si osserva con luce monocromatica (fig. 85 a).

Possiamo renderci conto di questo fenomeno immaginando il fascio conico luminoso che investe la lamina scomposto in tante superficie coniche, e considerandone una. Lungo una qualunque generatrice di questa superficie conica possiamo pensare sovrapposti due raggi polarizzati con vibrazioni fra loro ortogonali. Nel piano della fig. 83, cioè in sezione, una vibrazione appare tangente alla circonferenza, l'altra nel senso del raggio. Ma poiché i raggi incidenti sulla lamina hanno tutti le vibrazioni parallele alla sezione principale del polarizzatore, queste dovranno in generale decomporsi. Così nei punti M, N, O, P, Q della figura, mentre le vibrazioni secondo le tangenti passano senza decomporsi in M, e successivamente si osservano componenti via via minori fino ad annullarsi nel punto Q, le vibrazioni secondo i raggi, invece, passano senza decomporsi in Q, e si hanno componenti via via minori fino all'annullamento nel punto M. Ora poi le vibrazioni di M e Q si annullano totalmente attraverso l'analizzatore, cosicché la luce rimane estinta sia in M (e quindi anche in M′), sia in Q (e quindi anche in Q′). Ripetendo il ragionamento per le successive superficie coniche della luce, i punti, come MM′, QQ′ si ripetono allineandosi in due bracci di croce.

Quanto poi alla formazione degli anelli, notiamo che in ogni direzione si hanno due raggi sovrapposti, e perciò anche un certo ritardo; ora, per raggi via via più inclinati sull'asse, il ritardo varia gradatamente, e ogni volta che raggiunge il valore di

o di un multiplo dispari di

si avrà totale interferenza. Ciò si ripeterà tutto intorno all'asse; e avremo gli anelli neri. Si spiega poi facilmente perché questi siano sempre più fitti, per raggi crescenti; e anche come essi ingrandiscano a mano a mano col crescere dello spessore della lamina (confrontare la fig. 85 a, b).

Dal fenomeno ora descritto si passa a un altro fenomeno che può dirsi complementare del primo, quando i Nicol, che erano incrociati, divengano paralleli.

Più complesso è il fenomeno nel caso delle sostanze biassiche; la figura d'interferenza che si ottiene a Nicol incrociati, con una lamina tagliata normalmente alla prima bisettrice, cambia d'aspetto col ruotare della lamina nel proprio piano; ciò non si verificava nel caso precedente. Ricordiamo che nella lamina ora in esame, una delle due direzioni di vibrazione corrisponde al piano degli assi ottici; e supponiamo dapprima che le direzioni di vibrazioni si trovino in corrispondenza delle sezioni principali dei Nicol. La figura d'interferenza, a luce monocromatica, avrà in generale un aspetto analogo a quello della fig. 85 c, dove si osserva ancora una specie di croce nera, di cui però un ramo è notevolmente allargato, e si osserva altresì come uno sdoppiamento del centro degli anelli visti nelle sostanze uniassiche, e una corrispondente deformazione degli anelli stessi. Si avverta però che la distanza fra questi due centri è variabile da sostanza a sostanza, e talora anche, come vedremo, per una stessa sostanza. La retta che passa per i detti centri corrisponde al piano degli assi ottici, la distanza fra i due centri aumenta con l'aumentare dell'angolo degli assi ottici.

Se ora si ruota la lamina nel proprio piano, sino a che le direzioni di estinzione siano a 45° sulle sezioni dei Nicol, si vede gradatamente scindersi in due parti il grosso braccio della croce primitiva, e poi formarsi due bracci simmetricamente disposti rispetto alle direzioni di vibrazione della lamina (fig. 85 d), bracci che si possono schematicamente rappresentare con i due rami di un'iperbole, che ha per asse la traccia del piano degli assi ottici. I piccoli anelli intorno ai due vertici (o apici) dell'iperbole, sono pressoché ovali, e un anello intorno a un vertice ha il suo corrispondente nell'altro; ma aumentando la grandezza, i due anelli si fondono in un unico anello; la prima coppia che si unisce può dar luogo a una curva a ∞, che è una lemniscata; successivamente si hanno curve non incrociate, che a poco a poco tendono a diventare ovali.

Se, nel caso della fig. 85 d, la lamina venga fatta ruotare di un certo angolo di qua e di là intorno a un asse normale al piano degli assi ottici, si vedranno i due rami d'iperbole, ora l'uno, ora l'altro, avvicinarsi al centro del campo; e misurando l'angolo necessario perché dalla coincidenza di un apice col centro del crocifilo si passi alla coincidenza dell'altro apice, questo angolo, che chiameremo angolo apparente degli assi ottici, ci servirà poi alla misura dell'angolo vero.

Infatti (fig. 84), un raggio che attraversi la lamina nella direzione di uno degli assi ottici, all'emergenza dalla lamina verrà deviato, e siccome l'indice di rifrazione corrispondente alla direzione degli assi ottici è l'indice β, è facile vedere dalla figura che, tra l'angolo apparente 2E, e l'angolo vero 2V, esiste la relazione:

formula che serve appunto per la determinazione dell'angolo degli assi ottici.

Le dette figure d'interferenza acquistano, a luce bianca, iridazioni tanto più sfumate e appariscenti quanto più è sensibile il fenomeno della dispersione degli assi ottici e degli assi dell'ellissoide. La distribuzione dei colori può dirci se siamo in presenza di dispersione rombica, o inclinata, o orizzontale, o incrociata, o triclina. Per ogni luce monocromatica dunque l'angolo degli assi ottici ha un valore determinato, e già vedemmo che talvolta abbiamo ρ > v, talaltra ρ 〈 v. Ciò, oltre che dalla misura diretta dell'angolo degli assi ottici, risulta anche dalla figura d'interferenza a luce bianca. Se i due rami d'iperbole sono iridati in modo che i margini convessi siano rossi, e quelli concavi siano violetti, ciò significa che appare il rosso o il violetto ove si avrebbero iperboli nere, a luce rispettivamente violetta o rossa; e perciò, nel nostro caso avremo ρ > v.

Oltre che da luce a luce l'angolo degli assi ottici può cambiare anche, in una data sostanza, col cambiare della temperatura. Un aumento di temperatura può produrre sia un aumento, sia 1ma diminuzione dell'angolo; se l'angolo diminuisce può ridursi a zero per una data luce, ma non si ha mai la trasformazione al caso delle sostanze uniassiche, le quali sono tali per ogni luce; man mano che si annullano gli angoli per le luci successive, gli angoli prima annullati si riaprono in un nuovo piano normale al primo. Se il passaggio avviene per tutte le luci, avremo contemporaneamente cambiamento del piano degli assi ottici, e cambiamento del tipo di dispersione; ma se il riscaldamento rendeva minore l'angolo degli assi ottici nel primo piano, lo rende via via maggiore nel secondo: in ogni caso un colore precede gli altri nel movimento. Segnando con un apice il colore che precede, si trova per talune sostanze ρ′ ≷ v, per altri v′ ≶ ρ (dispersioni termocroiche).

Anche a temperatura ambiente possono presentarsi per una stessa sostanza ambedue i casi espressi da ρ > v e ρ 〈 v; ma anche allora ai due casi corrispondono, per il piano degli assi ottici, due piani distinti; e si tratta per solito di quelle stesse sostanze per le quali è più sensibile la variabilità dell'angolo degli assi ottici in funzione della temperatura.

Può anche capitare il caso, come ad esempio per la brookite (v. tav. a colori, n. 3), che esistano contemporaneamente due piani degli assi ottici, uno dei quali corrisponde a una parte dei colori dello spettro, l'altro all'altra parte.

Polarizzazione rotatoria. - Se una lamina di quarzo è tagliata perpendicolarmente all'asse ottico, dovremmo avere l'estinzione quando i Nicol sono incrociati; invece ciò non avviene per il fenomeno della polarizzazione rotatoria. Operando con una determinata luce monocromatica si osserva che, a Nicol incrociati, per avere oscurità si deve girare il Nicol analizzatore di un certo angolo dipendente dallo spessore della lamina. Ciò si spiega supponendo che la direzione di vibrazione del raggio vada continuamente ruotando, con movimento elicoidale. Dunque, affinché il raggio si estingua, bisogna ruotare il Nicol analizzatore di un angolo uguale a quello di cui ha ruotato la direzione di vibrazione. Cambiando luce si osserva che, a parità di spessore, l'angolo di rotazione dipende dalla lunghezza di onda della luce adoperata, e se si opera a luce bianca è evidente che per ogni angolo di rotazione si ha la luce complementare di quella che in quel momento si estinguerebbe. Se, ruotando il Nicol nel senso delle lancette dell'orologio, si vedono succedersi i colori nell'ordine dello spettro dal rosso verso il violetto, la sostanza si dice destrogira, se in verso opposto levogira. Nel quarzo sono possibili ambedue i casi. Il fenomeno è connesso con le proprietà strutturali dei cristalli; infatti i cristalli che cristallograficamente sono destri (trapezoedro destro) sono anche destrogiri, mentre quelli che sono sinistri sono anche levogiri. E allora si capisce come il fenomeno non debba essere esclusivo del quarzo; esso infatti è proprio anche di altre sostanze cristallizzate, come ad esempio del cinabro, che appartiene alla stessa classe del quarzo. Il fenomeno si constata abitualmente collegato con l'esistenza di forme enantiomorfe. Anche le due rotazioni elicoidali, destra e sinistra della direzione di vibrazione, sono enantiomorfe. Corrispondentemente anche i reticolati devono possedere assi elicoidali destri o sinistri (v. cristalli: Struttura, p. 952 segg.).

Per la polarizzazione rotatoria resta modificata anche la figura d'interferenza fornita dal conoscopio. Nel quarzo si osserva che la croce manca entro l'anello più piccolo (fig. 85 e; tav. a colori, n. 2) nel quale, invece, ruotando l'analizzatore, si succedono tutti i colori come abbiamo visto per l'ortoscopio; gli anelli intanto vanno via via ingrandendosi o impiccolendosi, a seconda che si tratti di quarzo destrogiro o levogiro.

Uno speciale fenomeno si suole osservare quando si sovrappongono due lamine, una destrogira e una levogira; le due figure d'interferenza si sommano allora in una speciale figura che si dice spirale di Airy, la quale si presenta con senso di rotazione secondo le lancette dell'orologio, oppure in senso opposto, secondo che la lamina inferiore è destrogira oppure levogira.

Oltre che nelle sostanze uniassiche il fenomeno della polarizzazione rotatoria si riscontra in lamine di alcune sostanze biassiche, tagliate perpendicolarmente a uno degli assi ottici; anche qui il fenomeno è connesso con l'esistenza di forme enantiomorfe. Abitualmente si vede, invece di anelli concentrici oblunghi, un'unica spirale, il cui verso rivela quello della polarizzazione rotatoria. Questo fenomeno (fig. 85f) fu osservato da Pocklington nello zucchero di canna. Anche il Dufet lo osservò in varie sostanze.

Oculare stauroscopico di Bertrand. - Esso utilizza la polarizzazione rotatoria del quarzo.

Per la determinazione esatta delle direzioni di estinzione di una lamina, esistono varî metodi, che sogliono chiamarsi stauroscopici, perché il più antico consisteva nel sovrapporre alla lamina da esaminare una lamina di calcite tagliata normalmente all'asse ottico. Ruotando il tavolino, si vedeva al conoscopio la croce (σταυρός) della figura d'interferenza della calcite apparire non deformata, solo quando, ogni 90°, le direzioni di estinzione della lamina coincidevano con le sezioni principali dei Nicol incrociati.

Molto più sensibile e comodo è l'oculare di Bertrand che può sostituirsi nel microscopio al comune oculare. In esso si trova una lamina di quarzo formata da quattro settori (figura 86), di cui due opposti al vertice sono di quarzo destrogiro, gli altri due di quarzo levogiro; tutti tagliati normalmente all'asse ottico e di uguale spessore. Le linee di sutura dei quattro settori corrispondono alle sezioni dei Nicol incrociati. Il Nicol analizzatore deve stare al disopra dell'oculare, e solo quando i Nicol siano perfettamente ad angolo retto il campo appare di un solo colore, mentre basta una piccola rotazione dell'analizzatore perché i settori destri si differenzino nettamente per colore dai sinistri. A campo uniforme introducendo ora la lamina in esame, si avranno differenze di colore fra i settori destri e sinistri durante la rotazione del tavolino, che si annulleranno solo per la coincidenza, ogni 90°, delle direzioni di estinzione con le sezioni dei Nicol.

Pleocroismo. - Quando la luce attraversa un cristallo colorato subisce un assorbimento che è soggetto a variare nelle diverse direzioni, in correlazione col fenomeno della birifrazione.

In una sostanza trasparente e colorata del sistema cubico, a parità di spessore e per una luce determinata, il colore è lo stesso in tutte le direzioni; nelle sostanze del gruppo dimetrico si hanno due colori principali, uno dei quali si osserva (unico) lungo l'asse ottico, mentre perpendicolarmente a questo si osservano due colori diversi per i raggi ordinario e straordinario, dei quali il primo corrisponde a quello osservato lungo l'asse ottico.

Nelle direzioni intermedie il colore per il raggio straordinario passa sfumando per i gradi intermedî fra i due colori principali. Nelle sostanze trimetriche si hanno tre colori principali, nelle direzioni degli assi dell'ellissoide, in modo che in ciascuna delle tre direzioni si hanno due raggi, i quali presentano rispettivamente due dei tre colori principali.

Nel caso delle sostanze dimetriche il fenomeno si dice dicroismo; nelle trimetriche tricroismo; in generale pleocroismo.

Il fenomeno, che ha importanza anche per la diagnosi dei minerali, si può osservare, con lamine sufficientemente grandi, mediante il dicroscopio di Haidinger, che essenzialmente permette di osservare la lamina posta dietro uno schermo con un piccolo foro, interponendo tra l'occhio e lo schermo un romboedro di sfaldatura di calcite. Le due immagini appaiono, se la sostanza è pleocroica, diversamente colorate.

Si riconosce pure il pleocroismo anche in lamelle microscopiche, col metodo di Tschermak. Il preparato, ad es. una sezione sottile di roccia, è posto sul tavolino del microscopio, dal quale viene tolto il Nicol analizzatore; ruotando il tavolino, una lamina pleocroica presenta due colori diversi successivamente, quando l'una o l'altra delle direzioni di estinzione viene in corrispondenza della sezione principale del polarizzatore.

Particolarità ottiche. - Sogliono indicarsi come anomalie ottiche alcuni fenomeni ottici presentati da cristalli in modo non conforme ad altri loro caratteri; spesso si tratta di cristalli il cui comportamento ottico non è quello inerente al gruppo o al sistema cui quei cristalli appaiono morfologicamente riferibili. Così la boracite e la lencite si presentano in cristalli con facies cubica; ma all'ortoscopio si rivelano costituiti da lamelle birifrangenti. Però la boracite sopra a 265° e la leucite sopra a 620° divengono monorifrangenti. Si spiega questo fenomeno ammettendo per l'una e per l'altra due modificazioni eteromorfe stabili a differenti temperature.

Talora il fenomeno è dovuto a geminazioni e alla tendenza già notata verso complessi di simmetria più elevata. Così un cristallo di aragonite, con apparenza di prisma esagonale e formato, in realtà, di prismi rombici in geminazione, mostra, naturalmente, il comportamento ottico delle sostanze biassiche.

Talora si tratta di cristalli in via di trasformazione, i quali dànno luogo a prodotti nuovi (pseudomorfosi) pur conservando la facies del cristallo originario. Così un cristallo di olivina, può, in sezione, mostrare plaghe coi caratteri ottici del serpentino.

Anomalie ottiche possono apparire in cristalli in seguito a deformazioni prodotte o meccanicamente o per cambiamenti di temperatura. Così, per pressione, si può rendere birifrangente un cristallo di fluorite. Anche sostanze amorfe (un vetro, un opale) possono essere resi in tal modo localmente birifrangenti.

Abbiamo così succintamente descritto alcune proprietà fisiche dei cristalli. In esse la simmetria ha la sua parte. Generalmente constatiamo che la simmetria inerente alle cause dei fenomeni aventi sede nei cristalli, viene modificata e spesso diminuita nelle modalità del fenomeno dalla simmetria insita nella struttura reticolare dei cristalli. Lo studio di tale struttura perciò contribuirà a lumeggiare le proprietà qui esposte e rimandiamo quindi alla trattazione apposita (v. p. 952 segg.).

Ma intanto abbiamo constatato come armonicamente si completino fra loro le proprietà morfologiche e fisiche; altrettanto nella cristallografia chimica risulterà per le proprietà chimiche dei cristalli.

Chimica dei cristalli.

La chimica dei cristalli si occupa delle relazioni fra la costituzione chimica di una sostanza e la sua struttura cristallina, nonché delle relazioni tra cristalli di sostanze diverse. Fino a non molti anni fa (prima che il Laue dimostrasse la vera esistenza dei reticoli cristallini, e confermasse la geniale intuizione di Sohnke-Groth, secondo la quale i punti materiali pesanti dei reticoli cristallini sono costituiti dagli atomi stessi e non dalle molecole), il cristallo, pur sapendosi essere in realtà un mezzo discontinuo era però sostanzialmente considerato come un mezzo continuo, così che dei fenomeni ci sfuggivano sempre le ragioni ultime. Posta ora su solide basi la natura discontinua delle sostanze cristalline, la cristallografia chimica non può più contentarsi di esaminare le relazioni tra la costituzione chimica e alcuni pochi caratteri morfologici o qualche proprietà fisica, ma deve invece, con più profondo esame, ricercare le relazioni tra la costituzione chimica e la natura dei reticoli cristallini e, conseguentemente, la natura fisica e chimica delle masse che occupano i nodi di questi reticoli, i leptoni. In questa branca della mineralogia due scienze - la chimica e la fisica - trovano un campo dove assai finemente si anastomizzano e degradano insensibilmente l'una nell'altra.

Prima di passare a esaminare queste relazioni conviene, però, precisare due punti fondamentali. Un primo punto da precisare è quello che si riferisce alla natura della molecola di un corpo cristallizzato di fronte alla natura della molecola dello stesso corpo allo stato di soluzione o gassoso. Una risposta generale non è possibile darla in modo assoluto, dipendendo essa dal tipo di reticolo che si considera e dalla sostanza in questione. Nel caso dei reticoli ionici (ne vedremo più sotto la spiegazione) noi dobbiamo accettare l'opinione del Groth, nettamente espressa nelle sue osservazioni al classico lavoro di Friedrich e Knipping (nel quale per la prima volta si misero in evidenza i fenomeni d'interferenza dei raggi Röntgen nei cristalli), secondo la quale la molecola di una sostanza allo stato cristallino più non esiste come individuo chimico e fisico a sé, ma deve invece identificarsi addirittura con lo stesso cristallo. I cristalli, però, con reticolo ionico tipico, appartenenti, quindi, a sostanze con carattere schiettamente eteropolare, come NaCl, KCl, MgO, CaO, CaF2, ecc., non sono i soli, forse non sono neppure i più numerosi, tanto più che alcune sostanze con apparenza eteropolare, come NaNO3, CaCO3, K2SO4, è dubbio che lo siano effettivamente, o almeno è dubbio che tutti gli elementi siano in esse collegati in quella stessa maniera con cui avviene il loro concatenamento nelle sostanze schiettamente eteropolari. D'altra parte, però, è prevedibile che molti complessi di molecole a concatenazione omeopolare debbano ancora sussistere dopo il passaggio della sostanza allo stato solido, perché già a priori si può escludere che dei complessi così stabili come quelli che la chimica organica c'insegna a conoscere nel benzolo, nella naftalina, ecc., possano distruggersi per il solo effetto della cristallizzazione; in questi casi la molecola deve conservarsi sostanzialmente inalterata nel reticolo cristallino. Queste sostanze possederanno quindi un reticolo dove come masse leptoniche dovranno considerarsi le stesse molecole: questi reticoli si usa ora chiamare reticoli molecolari. Cose analoghe si potranno dire di alcuni raggruppamenti, che talora esistono nella molecola, come (SO4)″, (PO4)‴, (PtCl6)″, ecc., e le ricerche röntgenografiche sono in pieno accordo con questo modo di vedere; in altri termini, anche questi raggruppamenti conserveranno nel cristallo la fisionomia che è loro propria e che già posseggono, sostanzialmente, quando la sostanza si trova, per es., allo stato di soluzione.

Un cristallo è però costituito, secondo la classica definizione del Groth, da un insieme di reticoli elementari (gruppi di traslazione) identici e con lo stesso periodo, congruenti, corrispondenti ognuno a una specie atomica (talvolta a una specie atomica possono corrispondere più gruppi, sempre identici, di traslazione) e in conseguenza tutti gli atomi di una molecola devono trovarsi sul reticolo che è loro proprio; ora, poiché i varî reticoli sono disposti l'uno rispetto all'altro in modo da soddisfare le leggi della simmetria del gruppo spaziale in cui viene a cadere la sostanza, così anche la molecola dovrà presentare un certo numero di elementi di simmetria, che non è però necessario siano tutti quelli del gruppo spaziale stesso. Si avrà quindi la possibilità di separare nel cristallo alcuni raggruppamenti con un certo numero di elementi di simmetria, cosa che potrà verificarsi non solo nel caso dei reticoli molecolari tipici (urotropina), ma anche in qualche reticolo ionico (K2PtCl6, per ione [PtCl6]″), nonché nel caso di reticoli che potremmo chiamare misti, dove si ha un ione complesso, dentro al quale la concatenazione non avviene per forze elettrostatiche, com'è presumibile avvenga fra lo ione Pt.... e i 6 ioni Cl′ nel complesso (PtCl6)″, ma è presumibile avvenga, invece, per mezzo di forze di natura elettrodinamica ([SO3]″, [CO4]″). Resta così giustificata la separazione nel reticolo di aggruppamenti o isole, come propose il Weissenberg e venne accettato da varî autori, come il Niggli e l'Ewald. Riassumendo: si può dire che anche nel caso in cui si conservano alcuni complessi della molecola, questa più non si conserva come tale, salvo nel caso dei reticoli molecolari, e conseguentemente la molecola chimica perde il suo significato classico quando entra a far parte di un reticolo cristallino; molti dei raggruppamenti che in essa già esistevano, permangono, ma molti altri nuovi se ne formano, così che le formule di struttura che noi diamo per i varî composti non ci rappresentano altro che le strutture di alcuni degli aggruppamenti, evidentemente i più stabili, o almeno, capaci di sussistere anche in stato di soluzione o gassoso.

Un secondo punto da chiarire è quello che si riferisce alla natura delle forze che tengono insieme riuniti i leptoni nel reticolo cristallino, forze che corrispondono a quelle di valenza. Ora questa valenza non viene più interpretata come manifestazione di una forza misteriosa, sconosciuta, ma semplicemente come un fenomeno elettrico, con due manifestazioni ben distinte, almeno nei casi estremi, e cioè: fenomeno elettrostatico: tra gli ioni; fenomeno elettrodinamico: avverrebbe nell'interno delle molecole o di certi gruppi atomici, e sarebbe dovuto al fatto che elettroni periferici di un atomo verrebbero a far parte contemporaneamente dell'involucro di un altro atomo, o della stessa specie, oppure di specie diversa. Si può pensare a qualche cosa di analogo al modo di concatenarsi dei due atomi di H nell'interno della molecola H2. La prima concatenazione corrisponde ai composti eteropolari tipici e si chiama concatenazione eteropolare; la seconda corrisponde ai composti omeopolari e si chiama quindi concatenazione omeopolare. Non è difficile, ora, immaginarsi come stiano uniti insieme i leptoni in un reticolo ionico: l'azione elettrostatica di un ione si può esercitare anche, fuori della molecola chimica, su altri ioni ed è appunto per mezzo di tali forze elettrostatiche che i varî ioni starebbero uniti nel reticolo cristallino. Ad es.: un ione Cl′ esercita la sua azione elettrostatica in tutte le direzioni; se gli si può avvicinare un ione Na lo attrae e forma la molecola chimica NaCl. La sua azione attrattiva non è però con ciò esaurita; esso può ancora attrarre ad es. altri 5 ioni Na•, che si disporranno a eguale distanza sopra i tre assi di un cubo e più precisamente sui vertici dell'ottaedro di cui il Cl′ occupa il centro. Le stesse cose valgono per il ione Na• e così ne risulta il reticolo del NaCl, reticolo cubico a facce centrate. Poiché intorno a ogni ione stanno disposti ottaedricamente 6 ioni, il numero di coordinazione sarà 6 (v. fig. 87); nel caso invece del CsCl, reticolo cubico semplice, il numero di coordinazione sarà 8 (v. fig. 88); nel caso della fluorite (CaF2) avremo 8 per il Ca.. e 4 per lo F′ (v. fig. 89); e nel caso della blenda (ZnS) 4 per lo Zn.. e 4 per lo S″ (v. fig. 90). La teoria werneriana dei numeri di coordinazione trova, così, nelle ricerche sulle strutture cristalline, più che una conferma, notevole ampliazione. Data la forte energia di attrazione degli ioni si comprende come l'energia di reticolato, utile concetto introdotto nella scienza dal Born, sia molto grande; le sostanze a reticolo ionico hanno, infatti, alto punto di fusione e bassa tensione di vapore.

Posseggono un reticolo molecolare, oltre molte sostanze organiche, anche molti corpi, normalmente gassosi, come N2, H2, O2, gl'idracidi, ecc.; pel resto le forze di coesione del Wan der Waals sarebbero da attribuirsi a queste forze bipolari. I gas rari posseggono allo stato solido un reticolo monoatomico, ma anche qui l'impalcatura del reticolo è assicurata da forze bipolari. Carattere dei reticoli ora esaminati è questo, che gli elettroni periferici fanno sempre parte tutti di una stessa molecola o atomo. Esistono, però, reticoli atomici in cui pare che gli elettroni periferici di un atomo vengano a far parte dell'involucro periferico di atomi vicini, che non formano, però, tra loro nessun complesso di natura speciale; questa concatenazione si estenderebbe, in conseguenza, di atomo in atomo, per tutto il reticolo; qualche volta gli atomi di questi reticoli sono tutti della stessa natura (diamante, grafite), tal'altra di natura diversa (blenda, wurtzite, AlN). Pare un carattere costante di questi reticoli, che in essi ogni atomo sia circondato tetraedricamente da altri quattro; e perciò questo concatenamento fu chiamato tetraedrico da Grimm e Sommerfeld.

Nel reticolo di molti metalli pare si abbia un reticolo ionico-elettronico; così secondo Haber, nel reticolo del Na, cubo a facce centrate, i leptoni sarebbero gli ioni Na•, gli elettroni rimasti liberi avrebbero la stessa posizione, che nel reticolo del NaCl occupano gli ioni Cl′. Così si spiegherebbe la conducibilità metallica.

Polimorfismo. - Per lungo tempo regnò indiscussa in mineralogia e in chimica, che con la prima ebbe, e del resto ha, tante relazioni, l'idea del Haüy, che ad ogni sostanza competesse una e una sola forma cristallina, pur avendo però egli escluso già da questa sua ipotesi le sostanze cristallizzanti nel sistema cubico (monometrico). Solamente nel 1788, quando il Klaproth, analizzando quella che il Werner riteneva apatite aragonese (ora aragonite), dimostrò essere questa costituita da Ca CO3, cominciarono a sorgere dubbî contro l'asserzione del Haüy.

La scoperta del Klaproth fece nascere tosto appassionate ricerche e animate discussioni, alcuni mantenendosi tenacemente fedeli alle idee del Haüy, mentre altri, da esse allontanandosi, pensavano potere una sostanza assumere anche diverse forme cristalline. Parve, per un momento, che i primi dovessero ripigliare il sopravvento, perché lo Stromeyer, avendo analizzato alcune aragoniti (1813), e rinvenuto dello Sr, che interpretò giustamente come dovuto a stronzianite (SrCO3) rombica, espresse l'ipotesi che una sostanza, con fortissimo potere di cristallizzazione (qui SrCO3), "possa obbligare altre sostanze, con le quali essa si combina, ad assumere forma cristallina", e questa spiegazione soddisfaceva molti. Nuove analisi però, se confermarono in molte aragoniti la presenza dello Sr, sfuggito alle precedenti ricerche, stabilirono altresì che in parecchie lo Sr non era affatto presente, sicchè il principio del Haüy ne restava sempre più scosso; tanto che lo stesso autore, insoddisfatto delle spiegazioni avanzate da Stromeyer, Hausmann e altri, preferiva lasciare insoluta la questione, in attesa che fatti più precisi meglio servissero a definirla.

E la definizione non tardò a venire, avendo il Mitscherlich poco dopo scoperto che una sostanza chimicamente pura, il Na2HPO4•H2O, poteva cristallizzare in due forme incompatibili fra loro, e che anche un elemento, lo S, poteva presentare questo fenomeno, che ricevette il nome di dimorfismo. Chi abbia proposto questo nome non si sa: certo il Mitscherlich nelle sue memorie non lo usa; nelle opere di Berzelius compare la prima volta nel 1828. Si riconobbe poi che il fenomeno era molto più generale di quanto in un primo tempo non apparisse, e inoltre si riconobbe che una sostanza poteva assumere più forme diverse, così che il nome di dimorfismo venne cambiato in polimorfismo (Dumas).

Il Lehmann, considerando che in chimica esistono isomeri e polimeri (isomeria e polimeria) e che il fenomeno del polimorfismo è collegato con lo stato cristallino della materia e quindi (così si riteneva in quel tempo) con un diverso grado di polimerizzazione in questo stato, propose il nome di isomeri fisici, nome che sotto questo punto di vista non avrebbe ora più grande significato, ma, diversamente definito, potrebbe essere ancora opportunamente usato. Il nome di allotropia fu dato da Berzelius per rappresentare lo stesso fenomeno nei corpi semplici, ma esso può, forse, considerarsi come inutile a questo scopo, avendo ormai subito, per parte dei chimici, qualche deformazione di significato: per es., quando si parla dell'ossigeno e dell'ozono come di due stati allotropici. Ad ogni modo, comunque si chiami il fenomeno, è omai universalmente riconosciuto che una sostanza può comparire in più modificazioni polimorfe o fasi solide, ciascuna delle quali è stabile solo in un determinato intervallo di temperatura e di condizioni esterne, cioè in certe condizioni termodinamiche, e instabile in altre. Quando una modificazione è trasportata dal suo campo di stabilità in quello dell'altra, tende a trasformarsi in questa, e questa trasformazione si compirà al punto, o temperatura, di trasformazíone, a cui alcune proprietà fisiche delle due fasi saranno diventate eguali; ciò succederà, ad es., della solubilità e della tensione di vapore, mentre fuori di questo punto la fase instabile ha solubilità e tensione di vapore più elevata di quella stabile; mostrano un fenomeno inverso, per la solubilità, le modificazioni polimorfe dei sali idrati. Ora può darsi che la temperatura di trasformazione di due modificazioni, cioè il punto a cui esse hanno la stessa tensione di vapore, sia più bassa della temperatura di fusione di entrambe le fasi (a questo punto fase solida e fase liquida hanno la stessa tensione di vapore), oppure può darsi che la temperatura di fusione di ciascuna fase sia più bassa della temperatura di trasformazione. Nel primo caso noi potremo, con opportune variazioni di temperatura, metterci in condizioni che l'una o l'altra sia stabile, cioè potremo realizzare la trasformazione nei due sensi (enantiotropia), nel secondo caso ciò non potrà mai ottenersi, così che solo una di esse, e sempre la stessa, sarà stabile, l'altra sarà costantemente instabile: la trasformazione potrà verificarsi solo e sempre nello stesso senso (monotropia).

Tralasciando però qui queste questioni, che sono piuttosto compito della chimica-fisica, ci occuperemo essenzialmente delle relazioni strutturali nel discontinuo delle varie modificazioni polimorfe. L'esistenza di varie fasi di una stessa sostanza significa che il modo col quale le varie particelle stanno distribuite nel reticolo può essere diverso, e ciò può essere determinato da diverse cause, fra le quali, secondo il Niggli, si potrebbe ricordare:

1. Come nell'isomeria chimica, pur avendosi nel grosso della molecola sostanziahnente la stessa struttura, si verifica che alcune delle specie elementari occupano posizioni diverse, così si possono avere delle modificazioni polimorfe, nelle quali è conservato lo stesso tipo strutturale con la sola differenza che in esse alcuni leptoni occupano posizioni di equilibrio diverse.

2. La polimerizzazione delle molecole è in relazione con la tendenza di esse a dare aggregati di ordine superiore, a detemminare la comparsa di nuovi centri di attrazione: appare quindi possibile che le molecole così polimerizzate diano, nel campo della loro esistenza, origine a tipi di reticoli cristallini diversi da quelli dati dalla molecola semplice o altrimenti polimerizzata. Inoltre, la struttura degli atomi, degli ioni, in linea generale, dei leptoni, dipende dalle condizioni a cui essi sono sottoposti; ciò ha per conseguenza una variazione dell'azione che essi esercitano sulle particelle circostanti e, quindi, una possibile comparsa di reticoli cristallini diversi: le varie modificazioni polimorfe di un metallo devono essere frequentemente attribuite a fenomeni di questa natura. Del resto, la diversità di struttura elettronica può, già di per sé, determinare polimorfismo, anche quando non riesce a far variare la disposizione dei leptoni nel reticolo, come, probabilmente, succede nel caso del Fe-β, non magnetico, e del Fe-α, magnetico, entrambi con lo stesso reticolo (cubo centrato) e con le stesse costanti parametriche.

Con un esempio abbastanza semplice possiamo tratteggiare le relazioni esistenti tra i reticoli cristallini di alcune modificazioni polimorfe (fig. 91). Tra 860° e 1400° la fase stabile del Fe, il Fe − γ, ha un reticolo cubico a facce centrate, che a 1100° ha un lato di 3,63 Å, il quale a 1425° diventa di 3,68° Å. Sopra 1400° questa fase è instabile, stabile è, invece, il Fe − δ, reticolo cubico centrato, con un lato di 2,93 Å, alla stessa temperatura di 1425°. È facile vedere che il rapporto 3,68 : 2,93 = 1,256 è ben corrispondente alle deformazioni che devono intervenire nel passaggio dal reticolo cubico a facce centrate a quello centrato. Consideriamo una porzione del reticolo del Fe − δ, costituito da 4 cellule elementari, cioè 4 cubi centrati accostati. Se immaginiamo, ora, 4 piani verticali passanti per il centro di ciascuno di questi cubi e in modo da isolare un prisma a base quadrata, il reticolo risultante sarebbe, geometricamente, tetragonale. Supposto eguale a 1 il lato del cubo originario, il lato della cellula tetragonale sarà √2, e il volume (√2)2 × 1 = 2. Se questa cellula si deve trasformare in una cellula cubica, fermo restando il volume 2, deve avvenire una dilatazione secondo l'asse verticale e una contrazione secondo i lati basali. Il lato di un cubo avente lo stesso volume 2 è ³√2, e in conseguenza il rapporto fra il lato di questo cubo, ora a facce centrate, con il lato del cubo del Fe − δ, cubo centrato, dovrà essere ³√2/1 = 1,2599. Che questa trasformazione sia proprio quella che avviene, lo prova il fatto che il rapporto dei lati dei cubi del Fe − γ e del Fe − δ è precisamente 1,256. A ogni modo, prescindendo da questo esempio speciale, le relazioni generali esistenti fra i reticoli cristallini di due modificazioni polimoorfe, possono essere assai facilmente tratteggiate in modo schematico, come segue. Nella fig. 92 siano A e B due masse leptoniche a simmetria sferica: il reticolo delle particelle A possiede, da solo, un centro di simmetria (direzione e controdirezione, rispetto a quel punto, sono eguali); aggiungendovi il reticolo di B (identico geometricamente a quello di A), come indicato in I, il centro di simmetria scompare. Le posizioni indicate per A e per B rappresentano le posizioni medie di equilibrio intorno alle quali A e B compiono le loro oscillazioni in I. Col crescere della temperatura l'ampiezza delle oscillazioni diventa sempre maggiore, così che a una certa temperatura T l'ampiezza delle oscillazioni di B potrà diventare improvvisamente tale, che esso sarà obbligato a oscillare intorno a una nuova posizione media, come è indicato in II. Ma il reticolo corrispondente a II possiede, ora, un centro di simmetria, e la fase II è quindi cristallograficamente diversa dalla fase I; alla temperatura T noi avremo quindi realizzata la trasformazione polimorfa di I in II. Si capisce che questi fenomeni saranno poi ancora facilitati, se la disposizione elettronica delle varie specie elementari subirà delle improvvise mutazioni, in quanto che queste faranno variare bruscamente la risultante delle mutue azioni delle varie specie, e in conseguenza potrà variare pure bruscamente la posizione relativa delle masse sulle quali il suo effetto si esercita.

È facile comprendere come modificazioni polimorfe che presentino delle relazioni molto semplici tra i loro reticoli cristallini devono possedere, se stanno in relazione di enantiotropia, un punto di trasformazione molto netto, di guisa che a temperatura ordinaria difficilmente ci sarà dato di poter conservare la fase stabile a temperatura elevata. In questo gruppo devono quindi cadere le modificazioni del quarzo, della tridimite, della cristobalite, della leucite, della nefelina, cubica ed esagonale (la fase triclina, la carnegieite, non è ancora nota con sicurezza, almeno da sola), ecc. In un altro gruppo di modificazioni polimorfe le relazioni devono essere sicuramente più complicate; la trasformazione deve essere accompagnata da spostamenti più forti dei reticoli congruenti, spostamenti che non potranno avere luogo che molto più difficilmente; occorrerà, quasi sempre, che il reticolo sia prima distrutto, poi ricostituito, cosa che potrà avvenire allo stato di soluzione o di vapore. L'azione dei catalizzatori, sempre invocata come un'azione solvente, appare quindi completamente giustificata. In questo gruppo possiamo ricordare le varie trasformazioni del SiO2, quarzo ⇆ ⇆ tridimite ⇆ cristobalite, le quali, come si sa, non si trasformano mai spontaneamente l'una nell'altra (all'opposto, ad es., delle modificazioni α e β del quarzo, che si trasformano rapidissimamente l'una nell'altra a 575°), la grafite e il diamante, ecc.

Le varie modificazioni polimorfe di una stessa sostanza mostrano spesso una notevole analogia nei valori angolari (forme limiti di Pasteur) pur variando, naturalmente, il significato fisico delle forme corrispondenti: così nell'aragonite rombica, l'angolo (110) : (1ī0) è 63° 44′, mentre nella calcite, trigonale, l'angolo del prisma esagonale è, evidentemente, di 60°, ecc. Una grande analogia si ha pure, spesso, in molte proprietà fisiche, come densità, durezza e molto più frequentemente nelle proprietà ottiche: così nella calcite 2V è, evidentemente, eguale a 0°, mentre nell'aragonite è di circa 18°. È facile comprendere che quanto minori saranno le differenze nei reticoli cristallini delle varie fasi polimorfe di una sostanza, tanto maggiore potrà essere l'analogia delle varie proprietà fisiche. Per quanto si riferisce alla solubilità e alla tensione di vapore, la fase più stabile ha sempre solubilità minore e tensione di vapore più bassa della fase meno stabile: un'eccezione, per la solubilità, la dànno i sali con acqua di cristallizzazione.

Isomorfismo. - Come per effetto del polimorfismo una sostanza può assumere forme cristalline diverse, così possono sostanze diverse avere forme cristalline molto vicine e, in qualche caso, addirittura identiche (sostanze cubiche), se ci si contenta del solo esame esteriore del cristallo, cioè se lo si considera come un continuo. Queste sostanze con valori angolari vicini sono chiamate omeomorfe e il corrispondente fenomeno omeomorfismo; se esse però hanno anche possibilità di cristallizzare insieme, si dicono isomorfe e il fenomeno corrispondente si chiama isomorfismo. Simile proprietà di sincristallizzazione di sostanze diverse è nota da lunghissimo tempo: forse il primo a riconoscerla fu il Kopp, verso la metà del sec. XVIII, ma sicuramente la notò Romé de Lisle al principio del sec. XIX nel caso dei vetrioli di Fe e Cu. Questo fenomeno fu studiato e confermato, poi, da moltissimi altri sperimentatori e il Beudant, per primo (1818), interpretando questi cristalli formati da due o più sostanze come "mescolanze chimiche o associazioni non meccaniche", esprimeva un concetto abbastanza prossimo a quello odierno. Le relazioni, però, fra la forma cristallina di sostanze diverse e la loro capacità di dare cristalli misti, restarono per lungo tempo nel buio, nonostante che molte precise osservazioni si venissero man mano facendo, come dal Wollaston, che aveva notato che i cristalli misti del vetriolo di Fe erano alquanto diversi da quelli del corrispondente sale puro, e nonostante che il Berthier e altri avessero osservato che calcite e siderite, che già si sapeva aver costanti cristallografiche assai vicine, non sono mai pure, contenendo quasi sempre la prima Fe, Mn, Mg, e la seconda Ca, Mg, Mn. È assai probabile che ciò dipendesse dal fatto che in chimica si oscillava allora tra la concezione delle proporzioni definite e quella delle proporzioni indefinite, sostenuta fortemente dal Berthollet, che proprio nella variabile composizione dei cristalli misti trovava un formidabile appoggio sperimentale, mentre d'altra parte l'idea del Haüy, della costante composizione di ogni singola specie cristallina, contribuiva a impedire la scoperta delle varie cause del fenomeno. E che il principio del Haüy dovesse agire sfavorevolmente in questo senso, lo si comprende molto bene pensando che esso non era per nulla in contrasto con quello del Berthollet, ma di esso era piuttosto la necessaria conseguenza e l'espressione cristallografica, in quanto permetteva di spiegare la differenza di forma cristallina dei cristalli misti, riportandola a composti diversi.

Il principio del Berthollet perdeva però sempre più terreno, mentre se ne avvantaggiava quello del Gay-Lussac delle proporzioni definite. L'interpretazione di Beudant della natura dei cristalli misti, sempre in accordo coi fatti sperimentali, la dimostrazione data dal Fuchs, per quanto l'esempio non fosse dei più felici, che nella gehlenite la legge delle proporzioni definite fosse rispettata e potesse essere rispettata, qualora il Fe venisse considerato come "vicariante" del Ca, osservazioni analoghe di Bernhardi, Stromeyer, Hausmann, Gay-Lussac stesso, contribuivano a scuoterne sempre più la validità, e avrebbero ormai dovuto permettere a tutti questi ricercatori di formarsi una più chiara e profonda visione del fenomeno.

Per un fatto assai curioso doveva invece uno, che non conosceva affatto i precedenti lavori in argomento, e, quasi ignaro di cristallografia, non poteva essere influenzato dalle idee del Haüy, il geniale Mitscherlich, scoprire l'interpretazione vera del fenomeno, quando trovò che parecchi fosfati e arseniati dello stesso metallo avevano forme cristalline vicine (in un primo momento le aveva ritenute identiche) e potevano dare dei cristalli, dove P e As comparivano in svariatissimi rapporti funzionando così da vicarianti nel senso indicato dal Fuchs.

Da principio molti, fra cui naturalmente lo stesso Haüy, si dichiararono nettamente contrarî alle idee del Mitscherlich, ma tutte le obiezioni dovevano fatalmente a poco a poco cadere e il fenomeno dell'isomorfismo restò inquadrato nella precisa concezione datagli dall'insigne chimico, e come tale rese alla scienza notevolissimi servigi. Le nostre progredite conoscenze röntgenografiche hanno portato alcune modificazioni al primitivo modo di vedere, consigliando di scindere il fenomeno dell'isomorfismo generale in quelli dell'omeomorfismo e dell'isomorfismo propriamente detto o speciale; anzi, ora si tende a considerare il capitolo generale dell'isomorfismo come un capitolo della morfotropia; però esso resta sempre inquadrato sostanzialmente nella concezione di Mitscherlich, specie, poi, se di questo fenomeno non si considera altro che quella parte che più ha attinenza col continuo, la parte chimico-fisica.

D0vendo però noi dal punto di vista cristallo-chimico considerare l'isomorfismo specialmente in relazione alla struttura discontinua del cristallo, dobbiamo, e del resto ormai possiamo, esaminare un po' più profondamente questo fenomeno così importante alla luce delle recenti ricerche sulle strutture delle sostanze cristalline.

Quando due sostanze hanno in due o più zone valori angolari vicini, e in alcuni casi anche identici, esse, come si disse, si chiamano omeomorfe; ma non è ancora detto con ciò che esse siano pure isomorfe. Perché esse possano essere considerate tali, occorre precisare alcune condizioni che ci sono determinate specialmente dalla natura discontinua dei cristalli. Una prima condizione si ha nel fatto che, come isomorfe, possono essere considerate solamente sostanze che. avendo analogia di forma cristallina, presentano contemporaneamente analogia di formula di struttura. L'analogia della formula di struttura ha però un senso un po' lato; col Goldschmidt si può ritenere che due sostanze hanno la stessa formula di struttura, quando, avendo la stessa formula bruta, hanno anche lo stesso numero di costituenti positivi e negativi (atomi o radicali). Sotto questo punto di vista hanno perciò la stessa formula di struttura, non solo ad esempio, K Cl, Rb Cl, NH4Cl, ma anche CaAl2Si2O8 (anortite) e NaAlSi3O8 (albite), ZrF7K3 e TiF5O2K3, ecc. Per quanto si riferisce all'analogia di forma cristallina, noi dobbiamo andarla a ricercare nell'intima struttura cristallina, cioè nella posizione e distribuzione nel reticolo dei varî leptoni. Si avrà analogia di forma cristallina quando le sostanze posseggono un parallelepipedo elementare geometricamente simile, nel quale egual numero di atomi sono disposti in maniera geometricamente simile e in modo tale che i segni delle cariche dei singoli elementi si corrispondano l'uno all'altro nelle due strutture. Anche qui gli atomi possono essere sostituiti da radicali (Rb, NH4). Le mutue azioni delle cariche elettriche degli ioni, col loro effetto polarizzante, devono avere certo una forte influenza, come forte influenza devono esercitare i diametri relativi dei leptoni. Alle due condizioni suddette si potrà quindi ancora aggiungere, che si ha isomorfismo se la grandezza relativa dei leptoni e la loro polarizzabilità nelle due sostanze resta compresa entro certi limiti.

Questi sono però ancora caratteri dell'isomorfismo generale, ché nel caso dell'isomorfismo vero o speciale bisogna aggiungere anche la condizione che le due sostanze possano sostituirsi reciprocamente nel reticolo cristallino, possano dare cioè dei cristalli misti, nei quali, quindi, la sostituzione avverrebbe atomo per atomo. Come già riconobbe per primo lo Zambonini nel caso dell'isomorfismo dell'albite e dell'anortite, ha a questo riguardo una forte importanza la grandezza assoluta dei leptoni (diametri apparenti o sfere d'azione, non i diametri reali che qui interessano poco): l'isomorfismo vero, al contrario di quello generale, non dipende quindi solamente dalla grandezza relativa dei leptoni. Nel caso di composti del tipo AX o AX2 si può ritenere che isomorfismo vero, e quindi miscibilità isomorfa in notevole misura e a una distanza non troppo piccola dalle curve di fusione, si abbia quando i diametri dei leptoni sostituentisi non differiscano più del 15% (rispetto al diametro del leptone più piccolo) l'uno dall'altro.

Le dimensioni del parallelepipedo elementare di un cristallo misto sono ben spesso comprese, secondo la regola del Vegard, tra le dimensioni di quelli dei costituenti; questa regola ha la sua analoga in quella più vecchia del Beudant, secondo la quale i valori angolari di un cristallo misto sono compresi tra i valori angolari delle forme omologhe dei due costituenti, e in conseguenza i rapporti parametrici stanno pure tra quelli dei componenti: entrambe le regole soffrono delle eccezioni.

Può darsi poi il caso che un elemento possa sostituire in un cristallo misto un altro elemento avente due posizioni non equivalenti: le proprietà fisiche e chimiche del cristallo misto risultante devono, allora, essere diverse, a seconda che la sostituzione avviene nell'una o nell'altra delle due posizioni non equivalenti: questi cristalli misti saranno allora isomeri nello spazio o stereoisomeri. Simile caso fu messo per la prima volta in evidenza dallo Zambonini nella serie clinozoisite-epidoto. La clinozoisite ha la formula

nell'epidoto abbiamo sostituzione dell'Al col Fe... (al massimo 1/3 circa); gli atomi di Al del gruppo Al2 e del gruppo Al•OH non sono, evidentemente, equivalenti, e la sostituzione dell'Al col Fe produrrà perciò effetti diversi, secondo che la sostituzione avviene nel gruppo Al2, oppure nel gruppo Al•OH. Nei cristalli misti normali la sostituzione avverrebbe nel gruppo Al•OH.

Tutti questi cristalli misti sono quelli del I tipo, cioè quelli nei quali del resto la sostituzione avviene caoticamente, atomo per atomo. Se ne hanno però di quelli, nei quali ciò più non si verifica: essi si chiamano del II tipo, e sarebbero caratterizzati dal fatto che in essi alcuni atomi occuperebbero i vuoti lasciati dagli altri nel reticolo. In questo tipo cadrebbero certi acciai al Mn e C, dove gli atomi di C occuperebbero gl'interstizî di un reticolo normale di un cristallo misto di Fe e Mn. Qualche dubbio si potrebbe sollevare riguardo a questa interpretazione, data l'esistenza di composti come Fe3C e Mn3C, ma è certo che in altri casi ciò succede, ad es., tra CaMoO4 e La2(MoO4)3, e per spiegare la loro formazione si potrebbe invocare l'ipotesi sopra prospettata. In altri termini si può supporre che il reticolo fondamentale del cristallo misto sia quello corrispondente alle parti in comune, dei due componenti; gli atomi che su di esso non trovan posto si distribuirebbero negl'interstizî. Mutatis mutandis, questa concezione corrisponde a quella dell'isomorfismo di massa. Il Klein, per spiegare l'isomorfismo constatato dal Marignac tra certi eteropoliacidi e alcuni loro sali, nei quali l'anione veniva ad avere una massa e un volume preponderante su quella del catione, ammise che la forma cristallina fosse essenzialmente dovuta alla parte in comune della molecola, il resto non avrebbe avuto che un effetto trascurabile. Questo fenomeno fu chiamato dal Klein isomorfismo di massa. S'intende che, come non tutti i composti i quali hanno la stessa formula bruta schematica possono dare cristalli misti, dovendosi verificare anche le condizioni prima indicate per la miscibilità isomorfa, così non si può dire, né in realtà avviene, che tutti i composti che hanno una gran parte della molecola in comune diano poi cristalli misti. Del resto, che nei vani del reticolo di un cristallo possano stare nascoste delle particelle, è cosa ormai ammessa da molti, e se ne hanno numerosi esempî (piromorfiti, zeoliti, ammoniacati, ecc.). La formazione di cristalli misti tra sostanze organiche (quasi sempre reticoli molecolari) talora molto diverse, è cosa abbastanza facilmente spiegabile, dovendosi avere qui sostituzione molecola per molecola, ma la scarsità di studî röntgenografici a questo riguardo non permette ancora di stabilire regole abbastanza sicure.

Così concepito, l'isomorfismo assume più un significato fisico che un significato chimico, in accordo con quanto il Brögger aveva asserito molti anni fa, essere l'isomorfismo più una proprietà fisica della struttura della molecola, che una proprietà chimica della composizione di essa. Tutto ciò è in pieno accordo con le recenti ricerche e con le recenti vedute, e il Grimm ha potuto dimostrare con numerosi esempî, che composti con analoga formula stechiometrica, ma con diversa disposizione delle valenze (cioè con ioni non equivalenti), possono essere isomorfi (in sostanza un allargamento delle vecchie idee del Hjortdahl), e che sulla somma dei raggi (apparenti), che è specifica per la miscibilità isomorfa, hanno una azione decisiva la vera grandezza degli ioni, la carica ionica e la distribuzione degli elettroni nelle orbite. L'isomorfismo dell'albite e dell'anortite, di fluosali e di fluo-ossisali è in pieno accordo con tutto ciò, ma è interessante ricordare come per questa via si sia potuto prevedere l'isomorfismo tra il KMnO4 e il BaSO4, confermato poi dall'esperienza.

Per quanto si riferisce alle proprietà fisiche dei cristalli misti esse sono assai frequentemente comprese fra quelle dei costituenti (si ricordino le sopra citate regole del Beudant e del Vegard). Così gl'indici di rifrazione sono compresi fra quelli dei componenti, ma non sempre variano linearmente con la composizione. Una proprietà che varia, invece, sempre linearmente con la composizione è il peso specifico (quindi anche il volume specifico), ed è appunto in base a questa semplice funzione lineare che noi possiamo determinare la composizione di un cristallo misto, conoscendo il suo peso specifico e quello dei composti puri che lo costituiscono (regola di Retgers).

dove V = vol. spec. del cristallo misto, a è la percentuale in peso del componente a1; v1, v2 i volumi specifici dei componenti a1 e a2.

Morfotropia. - Molti anni fa, per iniziativa del Groth, si cominciarono a fare degli studî alquanto sistematici per vedere quale effetto portava nella forma cristallina di un composto la sostituzione in esso di alcuni atomi o gruppi, con altri atomi o gruppi, e i confronti si fecero, opportunamente, dietro consiglio del Muthmann, considerando, oltre che, s'intende, gli angoli degli assi, i cosiddetti parametri topici. Questi sarebbero i parametri di un parallelepipedo, costruito con gli stessi angoli assiali, avente un volume uguale a quello di una mole della sostanza, e lati proporzionali ai rapporti parametrici. Il cambiamento di forma del cristallo, determinato dalla variazione prodotta nella sua molecola, fu chiamato effetto morfotropico e il fenomeno morfotropia. Il movimento scientifico prodotto da quest'iniziativa di Groth fu veramente notevole; parve da principio che qualche risultato interessante si sarebbe potuto ottenere, ed è rimasta classica la previsione della formula del trinitrobenzolo simmetrico, fatta dal Friedländer puramente in base a relazioni cristallochimiche. Lo svilupparsi delle ricerche non tardò però a provare che, se l'effetto morfotropico era talvolta sufficientemente costante, più spesso, invece, era assai mutevole e dipendeva non solo dal gruppo sostituente, ma anche dal gruppo in cui esso entrava. Con le concezioni attuali della dinamica del reticolo cristallino e della dinamica atomica noi possiamo facilmente convincerci che così doveva essere. Un gruppo che entra a far parte di una molecola o di un reticolo cristallino non può essere considerato come un mattone rigido e indeformabile (per quanto può esserlo), che entra a far parte di un edificio, ma piuttosto come un insieme suscettibile di subire o determinare anche delle profonde modificazioni, a seconda delle condizioni in cui si trova: queste deformazioni saranno in relazione, sia con la natura sua, sia con quella dell'ente fisico di cui entra a far parte e, conseguentemente, l'effetto morfotropico risultante dovrà risentire di queste deformazioni.

Il Goldschmidt sta ora cercando di avviare queste ricerche secondo un nuovo indirizzo, ma, all'opposto di quelle antiche che erano fatte prevalentemente nel campo della chimica organica, queste sono state fatte, almeno finora, nel campo della chimica inorganica. Egli parte dal concetto che se, ad es., in una combinazione di tipo ABX3 noi sostituiamo l'elemento A con l'elemento A′, o l'elemento B con l'elemento B′, noi determiniamo nella cellula elementare del composto ABX3 una certa variazione nelle sue costanti, determiniamo cioè un certo effetto monotropico. Questo effetto potrà essere solo di tale entità, che l'isomorfismo dei composti resti conservato ed essi siano ancora capaci di sincristallizzazione; oppure l'effetto potrà essere tale che i due composti non possono più essere considerati come isomorfi, cioè i limiti dell'isomorfismo vengono superati. Così nella perowskite (CaTiO3), con struttura perowskitica tipica, se si sostituisce il Ca con lo Sr, si arriva al composto SrTiO3 pure con struttura perowskitica, e quindi isomorfo con il CaTiO3 (il CaTiO3 non possiede a temperatura ordinaria struttura veramente perowskitica, non essendo cubico che a temperatura elevata; non ne differisce, però, che pochissimo). Se invece che con lo Sr la sostituzione si fa con il Mg, arriviamo alla geikilite, che ha struttura analoga a quella del corindone, e quindi non è più isomorfa con la perowskite. Così pure non si ha più isomorfismo tra CaTiO3 e CaSiO3; anche qui i limiti dell'isomorfismo, nel senso prima indicato, sono superati e il composto risultante ha una struttura completamente diversa. In conseguenza il Goldschmidt definisce come morfotropia quella variazione della struttura cristallina, che è determinata da sostituzioni chimiche, la quale superi i limiti dell'isomorfismo.

Ciò rende evidenti le relazioni strettissime che corrono fra i fenomeni di polimorfismo e d'isomorfismo e la morfotropia che, in senso lato, li comprende tutti.

Le ricerche morfotropiche fatte in questo indirizzo hanno, di fronte alle antiche, basi più solide, in quanto che qui si studiano le variazioni che avvengono effettivamente nel discontinuo ed è presumibile che ricerche eseguite in quest'ordine di idee, anche nel campo della chimica organica, possano servire a chiarire meglio le varie relazioni morfotropiche.

Struttura dei cristalli.

Cenno sullo stato delle ricerche. - Il fatto che molti cristalli possono col martello ridursi in piccoli frammenti che conservano contorno poliedrico, come pure il fatto che alcuni cristalli si possono scindere in lamine anche sottilissime (sfaldatura) lascia pensare un cristallo come costituito di minute particelle dotate esse pure di caratteristiche proprie dei cristalli. Il Haüy fu il primo che in proposito formulò la teoria delle molecole integranti, le quali sono appunto particelle estremamente piccole ma poliedriche, riunite ordinatamente a costituire un edificio maggiore: il cristallo. Nulla però disse il Haüy riguardo all'intima struttura delle particelle integranti. Egli si limitò a spiegare come mediante particelle di forma determinata si potessero ottenere edifici poliedrici corrispondenti a quelli che si riscontrano nei cristalli di una data sostanza (teoria dei decrescimenti). Ciò spiegava anche la diversità di caratteri fisici nei differenti tipi di facce.

Ma la natura particellare della materia, messa ormai in evidenza dall'esame dei fenomeni fisici e chimici, portava a considerare particelle di un ordine di grandezza molto minore di quella che può attribuirsi alle molecole integranti di Haüy; ed era naturale che il concetto di molecola chimica entrasse anche a spiegare la struttura degli edifici cristallini. Questo concetto, introdotto dal Delafosse, portò allo studio dei reticolati spaziali, studio che in parte fu condotto in senso geometrico, cioè considerando un insieme ordinato di punti (nodi), i quali erano, non in contatto come le molecole integranti di Haüy, ma distanziati come vuole l'ipotesi molecolare; d'altra parte poi si sostituirono ai punti geometrici massecole materiali; queste furono dal Bravais identificate con le molecole chimiche.

Nasceva spontanea la domanda quali tipi di reticolati fossero quelli esistenti o possibili nei cristalli. Il primo studio in proposito è dovuto al Frankenheim e, poco dopo, il Bravais portò un notevole contributo a tale questione. In un reticolato spaziale semplice particelle identiche e identicamente orientate sono schierate secondo rette (file) e piani (piani reticolari), in modo che il reticolato può pensarsi scomposto in parallelepipedi elementari (fig. 93). Le particelle situate sopra una stessa fila o su file parallele si succedono quindi a una distanza costante, distanza che invece può variare passando ad altre file con direzioni diverse. Evidentemente allora, oltre che nelle tre direzioni secondo i lati del parallelepipedo elementare, si possono pensare file particellari anche in direzioni diverse, e così pure si dica per i piani reticolari. Alle diverse direzioni delle file, alle diverse giaciture dei piani, possono pensarsi corrispondenti i diversi spigoli e le diverse facce osservabili nei cristalli (figg. 94 e 95).

Il Bravais trovò i tipi di parallelepipedi elementari che possono caratterizzare reticolati spaziali conciliabili con le condizioni di singonia tipiche dei varî sistemi cristallini; in uno stesso sistema si possono avere più tipi di parallelepipedi elementari; il Bravais in tutto considerò 14 casi (modi), che sono rispettivamente rappresentati dalle fig. 96-109.

Il caso più generale (fig. 96) di un parallelepipedo obliquangolo con lati diversi fra loro, i cui vertici sono nodi del reticolato, corrisponde al sistema triclino. Se una coppia di facce opposte del parallelepipedo elementare diviene normale alle altre due coppie (fig. 97) si passa a una maglia propria del sistema monoclino. Se il parallelepipedo è rettangolo (fig. 98) il reticolato appartiene al sistema rombico. Se inoltre due lati sono uguali (fig. 99) si passa al sistema tetragonale; se sono eguali tutti e tre si passa al sistema cubico (fig. 100). Se poi, essendo eguali tre lati, sono anche eguali fra loro (ma diversi da 90°) tre angoli concorrenti a un vertice, la maglia diviene un romboedro (fig. 101) e il reticolato è romboedrico.

Quanto al sistema esagonale, non esiste un parallelepipedo la cui ripetizione per pura traslazione porti a un reticolato esagonale. Si può però pensare una maglia che sia un prisma avente per base un triangolo equilatero (fig. 102); 6 di tali prismi formano un prisma complesso a base esagonale.

Oltre a queste maglie, altre se ne ottengono per coesistenza, cioè per compenetrazione, di due o più reticolati identici (cioè congruenti), appartenenti a uno dei tipi suddetti. E cioè: il reticolato monoclino della fig. 97 con altro identico i cui nodi occupino i centri delle facce superiore e inferiore di ogni maglia del prisma, forma un reticolato monoclino con maglia come nella fig. 103. Analogamente il reticolato rombico della fig. 98 con altro identico i cui nodi siano ai centri delle facce superiore e inferiore delle maglie del primo, forma un reticolato rombico con maglia come nella fig. 104. Lo stesso reticolato della fig. 98 con altro identico i cui nodi siano ai centri delle maglie del primo, forma un reticolato rombico come nella fig. 105. Il reticolato rombico della fig. 104 con altro identico i cui nodi siano ai centri delle sue facce, forma un reticolato con maglia come nella fig. 106. Il reticolato tetragonale della fig. 99 con altro identico che abbia i nodi ai centri delle maglie del primo, forma un reticolato tetragonale con maglia come nella fig. 107. Il reticolato cubico della fig. 100 con altro identico che abbia i nodi al centro delle maglie del primo, forma un reticolato cubico con maglia come nella fig. 108. Lo stesso reticolato cubico della fig. 100 con altri tre identici, i cui nodi siano rispettivamente ai centri delle tre coppie di facce delle maglie del primo, forma un reticolato cubico con maglia come nella fig. 109. Il Bravais considerò pure che nei diversi piani reticolari col variare delle distanze internodali variava la densità del piano reticolare, ossia il numero di nodi contenuti in una prefissata unità di superficie. Così dunque potrà ammettersi che a facce diverse possano corrispondere densità diverse. Il fenomeno della sfaldabilità, più o meno evidente nei cristalli, ma sempre in direzioni determinate per ogni sostanza, si spiega considerando le facce di sfaldatura come dotate in generale di forte densità, mentre in direzione normale è relativamente grande la distanza fra piano e piano reticolare.

Ma i reticolati del Bravais corrispondono soltanto ad alcuni gradi di simmetria, non a tutti quelli delle 32 classi. Era naturale che seguissero studî più completi. Intanto si è cercato di ottenere tutte le possibili condizioni di simmetria, immaginando che intorno ai nodi di un reticolato si avessero costellazioni di particelle, il cui modo di aggruppamento si ripete identicamente intorno a tutti i nodi; ciò in fondo equivale a sostituire al reticolato semplice un complesso di reticolati identici variamente compenetrati (sovrapponibili mediante convenienti operazioni, cioè traslazioni, rotazioni intorno a una fila, riflessione rispetto a un piano, ecc.); e così si è progressivamente aumentato il numero dei tipi conciliabili con quelli dei reticolati reali dei cristalli. Il numero dei tipi fu, dal Sohncke, portato a 65; poi dallo Schoenflies e dal Fedorowai 230, che possono essere riuniti in 32 gruppi corrispondenti alle 32 classi.

Quanto ai reticolati reali, si discusse lungamente sulla natura delle costellazioni circumnodali; chi vedeva in esse massecole materiali separate fra loro (Wallerant), chi invece riteneva sì la materia discontinua, ma dotata di una variabilità periodica in ogni direzione, e quindi non una massecola che si ripete, ma un motivo periodicamente ripetuto (Friedel). Il Groth aveva giustamente previsto che i punti nodali fossero occupati da atomi.

Una grande luce in questi studî, prettamente teorici, fu apportata da un risultato sperimentale. Venne al Laue l'idea di cercare se fenomeni di diffrazione fossero ottenibili con raggi Röntgen attraverso a lamine di cristalli; la riuscita dell'esperienza avrebbe da un lato dimostrato la natura vibratoria dei raggi Röntgen, dall'altro la reale esistenza dei reticolati cristallini i quali, in tal caso, fungevano da reticoli di diffrazione. L'esperienza, suggerita dal Laue ed eseguita da Friedrich e Knipping, riuscì perfettamente, e aprì la strada a una nuova e feconda serie di ricerche. Da un lato si migliorarono le condizioni di produzione dei raggi Röntgen; riconosciutane la natura vibratoria, era possibile ottenerli di una sola lunghezza d'onda (raggi monocromatici); col diminuire di questa aumenta la penetrazione (raggi duri); ciò si ottiene mediante grandi tubi (Coolidge) con particolare anticatodo; d'altro lato si modificarono le condizioni dell'esperienza. Il Laue faceva cadere il fascio normalmente alla lamina attraverso alla quale si diffrangevano i raggi, che poi andavano a impressionare una lastra fotografica. W. H. e W. L. Bragg (padre e figlio), ruotando il cristallo, facevano variare l'angolo d'incidenza dei raggi sui piani reticolari. Risultavano in ogni caso direzioni privilegiate corrispondenti a massimi di intensità dei raggi diffratti. Questa intensità veniva determinata dai Bragg mediante l'effetto prodotto dai raggi in una camera di ionizzazione: effetto misurato con apposito elettrometro.

I metodi di Polanyi, Schiebold e Seemann, compresi sotto il nome di metodi del cristallo girevole, sono un'estensione del principio di Bragg, modificato sperimentalmente sostituendo alla camera di ionizzazione una lastra fotografica. Con questo dispositivo si può raccogliere oltre lo spettro principale, quello cioè fornito dai piani reticolari in zona con l'asse di rotazione, anche lo spettro dei piani reticolari inclinati su detto asse (v. fig. 110; diagramma di quarzo) che nel metodo di Bragg viene invece opportunamente eliminato.

Si possono anche far subire al cristallo determinate rotazioni, il che permette di aumentare il numero dei piani reticolari che mandano raggi sulla lastra fotografica; e di ottenere perciò fotogrammi più completi (metodi di Rinne, Schiebold, Seemann).

Le esperienze röntgenografiche forniscono il più importante insieme di recenti notizie sulla struttura dei cristalli. Si hanno però anche altri ordini di ricerche. In fondo tutti i fenomeni fisici offerti dai cristalli ne lumeggiano le proprietà strutturali. È da ricordare che anche con radiazioni sia dell'ultravioletto, sia dell'infrarosso, si possono osservare massimi di riflessione corrispondenti a particolari angoli d'incidenza sui piani reticolari.

Così abbiamo, per i raggi dell'infrarosso, le esperienze di Schäfer, Schubert, Rubens, Liebisch, sul quarzo, sulla barite e altri solfati, sulla calcite e altri carbonati.

I fenomeni di diffrazione nei cristalli. - Il principio su cui si fondano le esperienze röntgenografiche consiste in ciò, che, sotto l'azione dei raggi Röntgen, gli elettroni dei livelli superficiali degli atomi possono essere eccitati e compiere vibrazioni obbligate compatibili col campo elettromagnetico prodotto dai raggi che l'investono; il complesso delle vibrazioni elettroniche, propagandosi in ogni direzione, produce allora un campo di diffrazione, il quale, come hanno mostrato Wulff e Bragg, si presenta come se le interferenze avvenissero fra raggi riflessi dai piani reticolari del cristallo pensati come piani speculari.

Immaginiamo un fascio di raggi paralleli, incidente (fig. 111), siano ϕ e ϕ′ due piani reticolari paralleli successivi e sia d la loro distanza. Il fascio incidente darà luogo a raggi di ritorno provenienti in parte dalle particelle del piano ϕ, in parte da quelle di ϕ′. Siano le particelle P e P′ (rispettivamente in ϕ e ϕ′) investite da un raggio di lunghezza d'onda = λ. P e P′ saranno centri di diffusione; ma potremo apprezzare un'onda riflessa PQ quando nella direzione normale a questa si verifichi che la differenza di cammino PP′ − PQ corrisponda a un numero intero di lunghezze d'onda. D'altra parte

e perciò:

Perciò, quando sia noto λ e misurato α, si può ricavare il valore della distanza fra due piani reticolari paralleli consecutivi.

Ogni fotogramma Laue presenta una macchia centrale, o primaria, intorno a cui stanno distribuite le macchie prodotte dai singoli piani riflettenti (v. fig. 112: Laue, diagramma del berillo; fig. 113: Laue, diagramma del KCl, secondo (100); fig. 114: Laue, diagramma del gesso, secondo (010).

Osserviamo che, dal punto di vista geometrico, un fotogramma Laue può considerarsi come un nuovo tipo di proiezione cristallografica, che può chiamarsi proiezione per riflessione; infatti i raggi provenienti da piani reticolari in zona appartengono a uno stesso fascio conico e quindi le zone sono rappresentate in proiezione da sezioni coniche; e queste passano tutte per il punto d'incontro del raggio incidente col piano del diagramma (lastra fotografica) supposto normale al raggio. Esistono correlazioni trigonometriche molto semplici fra le posizioni che le proiezioni dei differenti piani assumono in proiezione stereografica, gnomonica e lineare (Quenstedt) e quelle fornite da questa proiezione per riflessione. Sia infatti F O il raggio (primario) incidente in O (figura 115) sopra un piano reticolare ϕ (normale al piano del disegno) e in N sulla lastra fotografica, ossia sul piano normale in N al raggio e tangente alla sfera di raggio R = O N. Allora R è la distanza dalla lastra fotografica al cristallo. Il raggio F O formi col piano reticolare ϕ un angolo α. Il raggio riflesso da questo piano inciderà il piano tangente in M e supponiamo che α sia tale da permettere che in M si formi una macchia d'interferenza. La normale al piano ϕ tocca la sfera nel punto C e il piano di proiezione nel punto G (proiezione gnomonica). La congiungente F C attraversa il piano di proiezione in S (proiezione stereografica). Prolungando la traccia del piano essa passerà per Q (proiezione di Quenstedt). Ora:

Per mezzo di queste relazioni e con la misura di α si può facilmente trasportare un diagramma Laue in un altro tipo di proiezione e quindi passare alla determinazione degl'indici dei piani riflettenti con i soliti metodi cristallografici. Il trasporto in proiezione gnomonica è quello più usato.

Il metodo di Laue, utilizzando uno spettro continuo, fornisce diagrammi più ricchi di macchie, e perciò molto adatti a dare una immagine complessiva della struttura e della simmetria del cristallo. Per determinazioni quantitative giova il metodo di Bragg, sia in quanto si adoperino raggi monocromatici, sia in quanto le intensità dei raggi diffratti possano essere determinate elettrometricamente.

In tutte le esperienze coi metodi di Laue, di Bragg, di Schiebold, ecc., occorrono laminette di cristalli non troppo piccole. Ma si è trovato poi che, ove manchino buoni e grandi cristalli, anche una polvere cristallina può dare risultati utili. In tal senso si hanno i metodi di Debye e Scherrer, e di Hull. Tutti i piani reticolari che si trovano sotto convenienti angoli rispetto al fascio incidente dànno simultaneamente raggi diffratti; e ci sarà sempre un certo numero di granuli che offriranno al raggio incidente (monocromatico) piani reticolari con inclinazioni adatte. Per ogni piano (h k l) possiamo avere un cono di raggi diffratti; e affinché tutti i fasci conici (che sono concentrici, essendo asse comune la direzione del raggio incidente) possano impressionare lo schermo fotografico, si usano pellicole piegate in superficie cilindrica; ne risultano frange di diffrazione arcuate (fig. 116, Debye-Scherrer del quarzo), le cui posizioni e intensità servono a darci una idea della struttura del cristallo; ma più che altro sono utili per lo studio delle proprietà degli atomi costituenti il reticolato.

È da tenersi presente che il metodo delle polveri richiede pose molto lunghe.

Maglie. - Consideriamo ora alcuni esempî semplici di reticolati. Sono tipi di maglie cubiche quelli che corrispondono ai tre tipi cubici di Bravais e cioè: maglia cubica semplice (fig. 100); cubica centrata (fig. 108), cubica a facce centrate (fig. 109). In queste maglie si possono avere atomi tutti eguali, cioè corrispondenti a un unico elemento: così la fig. 108 può rappresentare la maglia del litio o quella del sodio; la fig. 109 quelle del rame, o dell'argento, o dell'oro. Nella fig. 117 abbiamo poi due specie di atomi (per esempio cloruro di cesio); così pure nella figura 118 (per es. salgemma) in cui si osservano due reticolati cubici a facce centrate coesistenti.

Il lato della maglia corrispondendo alla distanza fra piani reticolari equivalenti e consecutivi, paralleli alle facce del cubo, può essere determinato mediante la relazione λ =2 d sen α. D'altra parte la maglia in genere può contenere un numero m di molecole (nella fig. 117 m = 1; nella fig. 118 m = 4). Se indichiamo con M il peso molecolare della sostanza, il peso in grammi della maglia sarà dato da mMH, dove H indica il peso atomico dell'idrogeno che è uguale a gr. 1,66•10-24. Allora, dividendo per il valore della densità ρ della sostanza, se ne deduce il volume d3 della maglia, ossia:

Conoscendo la distanza d100 tra piani reticolari consecutivi secondo {100}, si possono facilmente calcolare quelle tra piani reticolari secondo altre direzioni. Così in un reticolato a maglia cubica semplice si ha:

I valori di tali distanze sono dell'ordine di 10-8; così ad esempio per il salgemma molte determinazioni fatte conducono al valore d100 = 5,628 Å (essendo 1 Å = 10-8 mm.). Ma la maglia del reticolato del salgemma (fig. 118) comprende 4 molecole; ora

valore che corrisponde alla densità del salgemma.

La fig. 119 rappresenta la maglia della fluorite; 8 atomi di calcio costituiscono una maglia cubica semplice, altre 2 maglie identiche costituite da atomi di fluoro sono compenetrate rispetto alla prima per traslazione lungo la diagonale della medesima. La fig. 120 rappresenta la maglia attribuita al diamante.

Vi sono atomi (C) costituenti una maglia a facce centrate di lato a; considerando poi i centri degli otto cubi di lato

in cui può scomporsi la maglia, si trovano 4 atomi (C′) in 4 dei detti centri in modo da costituire i vertici di un tetraedro; la maglia viene a rassomigliare, come architettura, a quella della blenda (fig. 121).

Nella fig. 122 è rappresentata una maglia esagonale (tipo esagonale compatto) di cui abbiamo esempio nei cristalli di zinco. La fig. 123 mostra la maglia romboedrica della calcite. Il romboedro di tale maglia non corrisponde a quello di sfaldatura, ma la correlazione riesce evidente dalla figura.

Molti fra gli elementi sono cubici; hanno maglia cubica centrata Li, Na, K; maglia cubica a facce centrate Cu, Ag, Au, Al, Pb, Pt; il ferro ha varie modificazioni cubiche; hanno maglia esagonale compatta Be, Mg, Ca, Zn, Cd; ha maglia romboedrica Sb. Fra i composti binarî esaminati molti sono cubici, come gli alogenuri dei metalli alcalini; AgCl e AgBr; blenda, pirite, cuprite, ecc.; poi trigonali come quarzo, ematite, corindone; tetragonali come cassiterite, rutilo, ecc.

Le strutture meglio determinabili sono quelle più ricche di elementi di simmetria. Ma molte sono ormai le sostanze studiate e il loro numero cresce ogni giorno. La finezza di molti risultati dà ragione di varî fenomeni connessi con la struttura; così nella fig. 124, abbiamo due diagrammi Laue, di cui uno (A) fatto con lamina di sfaldatura di calcite, l'altro (B) analogo per la dolomite; essi confermano la più bassa simmetria della dolomite rispetto alla calcite già accusata dalle figure di corrosione.

Per la struttura del quarzo viene confermata l'ipotesi di una disposizione elicoidale (destrogira o levogira) di particelle, a ritmo ternario, in accordo con la proprietà di ruotare elicoidalmente la direzione di vibrazione dei raggi luminosi propagantisi nella direzione dell'asse ottico. Questo appare evidente dalla fig. 128. Essa rappresenta la proiezione sulla base della maglia esagonale del quarzo. Le molecole SiO2 non tratteggiate hanno il centro di equilibrio sul piano del disegno, quelle a debole e a forte tratteggio rispettivamente sui piani passanti per

(C0 è l'altezza del prisma).

Anche gli studî sul polimorfismo ricevono luce dalle ricerche röntgenografiche, stabilendo correlazioni fra i tipi di maglie proprî di modificazioni eteromorfe di uno stesso composto. Nella fig. 126 si possono confrontare i reticolati della blenda (cubica, A) e della wurtzite (esagonale, B).

Simmetrie. - Le simmetrie dedotte dai fotogrammi di Laue non permettono di stabilire la classe di simmetria cui la sostanza appartiene, e ciò per il fatto che il fenomeno di diffrazione è un fenomeno centrico e perciò i fotogrammi non manifestano l'eventuale mancanza di centro per parte del cristallo che si esamina. Così avviene che invece di 32 classi si possono soltanto avere 11 gruppi di classi. Indicando brevemente queste classi col numero d'ordine ad esse assegnato nell'elenco di pag. 931 (v. cristalli: Morfologia; Fisica), i gruppi sono i seguenti:

Sono più ricchi di elementi di simmetria in generale i cristalli di sostanze a composizione chimica più semplice. La molecola più complessa corrisponde anche per lo più a reticolati assai complessi e meno simmetrici; naturalmente in tal caso anche l'esame röntgenografico della struttura offre maggiori difficoltà.

La corrispondenza fra complessità di struttura e complessità di formula chimica viene spiegata dalla natura dei reticolati, i quali, in fondo, invece di essere composti di molecole separate fra loro, come un tempo si supponeva, possono, se mai, pensarsi come una unica polimolecola, o anche considerarsi come un complesso di atomi nel quale vediamo sparita l'individualità della molecola e constatiamo invece la realtà delle leggi fondamentali della chimica che assegnano valori costanti ai rapporti ponderali di combinazione e fissano rapporti semplici fra i varî pesi con cui un elemento può unirsi a una determinata quantità di un altro elemento.

Se ora esaminiamo gli elementi di simmetria di un reticolato semplice, è chiaro anzitutto che ogni atomo rappresenta nel reticolato, supposto illimitato, un centro di simmetria. Possono poi esistere assi di simmetria di prima o di seconda specie, assi elicoidali, piani di simmetria. Ma nel reticolato semplice non si possono constatare le caratteristiche delle classi meroedriche; la meroedria potrà risultare dal diverso modo di coesistenza di più reticolati semplici: modo, la cui intima ragione di essere dovrà naturalmente essere ricercata nella natura degli atomi presenti. La simmetria rivelata dalle strutture reticolari è più sicuramente definita che non con l'esame morfologico soltanto.

Fattore di struttura. - L'ampiezza delle radiazioni diffuse dipende dal numero degli elettroni che circondano i nuclei atomici, e d'altra parte l'intensità si può ritenere proporzionale al quadrato dell'ampiezza; perciò: 1. i piani reticolari di maggiore densità riflettono raggi di maggiore intensità; 2. a pari densità, la maggiore intensità corrisponde ai piani reticolari costituiti da atomi più ricchi di elettroni circumnucleari. I raggi più intensi producono macchie più spiccate sul diagramma fotografico.

In una determinata direzione, che supponiamo corrisponda a riflessioni d'ordine n dovute a un certo piano reticolare, l'ampiezza si avrà componendo le singole ampiezze che in quella direzione provengono dai diversi tipi di atomi; e la modalità della diffrazione dipenderà dalla posizione di tali atomi nel reticolato e perciò dalla struttura del cristallo. La conoscenza di questa permette di definire le condizioni di fase relative a quella direzione e perciò l'ampiezza risultante, il cui valore (fattore di struttura) si accorda coi risultati dell'esame elettrometrico e con le caratteristiche del fotogramma.

Forze. Equilibrî. - Le forze che tengono uniti gli atomi di un reticolato e fissano le correlazioni di posizione fra reticolati coesistenti, e quindi le dimensioni della maglia e la forma del motivo, determinano uno stato di equilibrio che, se è causa della grande coesione propria della materia cristallizzata, impedisce d'altra parte il contatto fra gli atomi. È logico ritenere che ciò dipenda dall'esistenza di due sistemi di forze antagoniste: forze attrattive da un lato, repulsive dall'altro. La natura di tali forze non è ancora pienamente accessibile. Generalmente si ammette l'esistenza di forze elettrostatiche. Ciò appare logico ogni qualvolta vi è motivo di ritenere che i costituenti dei reticolati non siano atomi neutri, ma ioni. Si chiamano eteropolari i composti che si ritengono appartenere a questa categoria. Tale è il caso degli alogenuri dei metalli alcalini. Si osserva in prova di ciò che i rapporti fra le intensità delle frange di 1° e di 2° ordine corrispondenti a un determinato angolo d'incidenza soddisfanno all'ipotesi degli ioni meglio che a quella degli atomi neutri. Così ad es. considerando i piani reticolari secondo la fig. 118 nella maglia cubica dell'alogenuro M X (piani che sono alternativamente costituiti da particelle dell'elemento M e dell'elemento X) da essi si propagheranno vibrazioni in opposizione di fase nella direzione corrispondente alla riflessione di 1° ordine e vibrazioni in concordanza di fase in corrispondenza a quella di 2° ordine. Le rispettive ampiezze saranno dedotte dai numeri degli elettroni periferici e cioè saranno proporzionali rispettivamente alla differenza e alla somma di questi numeri; il che dal caso degli atomi a quello degli ioni darà risultati diversi, poiché nel caso degli ioni un elettrone periferico sarà passato da M a X. Dal rapporto fra le ampiezze si ottiene poi, elevando a quadrato, quello fra le intensità e la determinazione sperimentale di queste è in accordo con l'ipotesi che si tratti di ioni.

Vi sono però molti casi nei quali la questione diventa molto più complessa, sia per la maggiore complessità degli ioni, sia perché è dubbio che si tratti di ioni.

Sembra che la tendenza degli atomi a raggiungere nel livello esterno il numero di 8 elettroni, o, come suol dirsi, a costituire un ottetto, abbia la parte essenziale nel raggiungimento di un equilibrio col quale restano determinate la struttura e le caratteristiche del reticolato.

Tale tendenza può favorire lo scambio di elettroni quando si raggiunga un equilibrio ionico; può anche provocare legami interatomici dipendenti da elettroni periferici. In questo caso i legami di valenza si verificherebbero per coppie di elettroni, cioè un legame semplice, doppio, triplo corrisponderebbe a una, due, tre coppie di elettroni a comune.

Sembra anche possibile il caso di reticolati atomici così costituiti da individuare le singole molecole, tra le quali esisterebbero forze non più di tipo ionico e non molto intense, ma sufficienti a tenere insieme il reticolato.

Nel campo delle ipotesi la fantasia può prender la mano alla rigorosa deduzione dai dati sperimentali; questi sono e saranno la via maestra per progredire nell'interpretazione degli equilibrî interparticellari e per la conoscenza della natura e dell'entità delle forze attive nei reticolati cristallini.

Bibl.: P. Niggli, Geometrische Kristallographie des Diskontinuums, Lipsia 1919; R. W. G. Wyckoff, The Structure of crystals, New York 1924; P. P. Ewald, Kristalle und Röntgenstrahlen, Berlino 1923; H. Mark, Die Verwendung der Röntgenstrahlen in Chemie und Technik, Lipsia 1926; W. L. e W. H. Bragg, X rays and crystal structure, Londra 1918.

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