CRESPI, Giuseppe Maria, detto lo Spagnolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

CRESPI, Giuseppe Maria, detto lo Spagnolo

Renato Roli

Figlio di Girolamo, mugnaio, e di Ippolita Cospi, probabilmente imparentata con il senatore Ranuzzi Cospi, nacque a Bologna il 14 marzo 1665 (Bologna, Arch. Curia arciv., Registro battes., ad a. 1665, c. 73; Bologna, Bibl. comunale, ms. B 869: B. Carrati, Cittadini maschi battezzati in S. Pietro), deve il soprannome "lo Spagnolo" alla foggia degli abiti che egli era uso indossare quando era ancor giovane.

Suo primo maestro fu il mediocre Angelo Michele Toni, ma ben presto egli passò con D. M. Canuti, indi con il Cignani per circa due anni. Trasferitosi il Cignani a Forlì nel 1686, l'atelier fu rilevato da G. A. Burrini e il C. stette con lui per più di due anni, in una colleganza che lo aiutò a raggiungere una completa emancipazione e autonomia espressiva. Decisivo fu il rapporto con l'agiato cittadino G. Ricci, presentatogli dal Burrini, che gli acquistò molti dipinti e gli procurò anche di venderne altri. Ma soprattutto i finanziamenti del Ricci consentirono al C. di soggiornare a Parma per studiare il Correggio, a Pesaro e Urbino per studiare il Barocci, a Venezia per proficui approfondimenti dei capolavori soprattutto cinquecenteschi di quella scuola. Ancora nel 1690 risulta frequentare l'Accademia del nudo che si teneva in casa Ghisilieri, mentre il 24 maggio di quell'anno fu accolto come membro di una compagnia di pittori (Bologna, Cassa di Risparmio, ms. 38, n. 11: Pajes Merriman, 1980, p. 195). A questa data aveva già dipinto, oltre l'arcaizzante Sacra Famiglia con Gesù in gloria della parrocchiale di Bergantino (Rovigo) del 1688 (Crespi, 1769, p. 204), le due telette, già alla Certosa di Bologna ed ora nella Pinacoteca nazionale, con la Vergine in gloria e santi e la Trinità e santi;le Nozze di Cana dell'Art Institute di Chicago, "che molto grido diede allo Spagnolo" (Zanotti, 1739, 113 p. 36), la Madonna e santi della parrocchiale di Veggio (Bologna), il piccolo Noli me tangere della coll. D. Mahon di Londra e il S. Giovanni Battista della sacrestia di S. Salvatore a Bologna, che ha un pendant nel Davide eseguito dal Burrini. Si tratta di opere in cui le suggestioni correggesche e baroccesche, assorbite anche attraverso lo studio su Ludovico Carracci, si stemperano all'interno degli apporti veneti cui il C. appare subito estremamente sensibile, anche per la mediazione di opere guercinesche, sulle quali conduce un assiduo, appassionato studio.

In quello stesso 1690 (Arfelli, 1957), eseguì, su commissione del canonico C. C. Malvasia, il S. Antonio tentato dai demoni per la chiesa di S. Nicolò degli Albari, testo fondamentale per intendere la sua maturazione e la sua capacità di padroneggiare una soluzione che può ben definirsi "barocca" e in tal senso atta a gareggiare con le più libere soluzioni del Canuti (morto già da sei anni), mentre utilizza con persuasiva potenza modelli ben più antichi, da Ludovico al Cavedoni. Altrettanto potrebbe dirsi di altri importanti dipinti databili a questo momento, come la Madonna del Carmine ancora per la parrocchiale di Bergantino(Rovigo), di superbe qualità veneteggianti. Il 24 ag. 1691 fu scoperto al pubblico un suo affresco, con quadratura di M. A. Chiarini, dipinto in S. Francesco di Paola a Pistoia (Crespi, 1769, p. 207), oggi non più esistente.

Per l'ultimo decennio del secolo la documentazione è gravemente carente e occorre giungere sino al 1698 per trovare un dipinto datato (Pastorella, New York, coll. R. Manning), tra l'altro nonmolto significativo, dato il suo formato ridotto. Nella prima parte di tale decennio può prendere posto l'Adorazione dei Magi del Credito romagnolo di Bologna; successivamente l'Allegoria della pittura, scultura e musica della Gall. Schönborn a Pommersfelden, mentre alla fine del decennio vanno collocate le due tele per Eugenio di Savoia (Achille e Chirone, Enea e la Sibilla, entrambe a Vienna, Kunsthistorisches Museum).

Altre importanti opere collegabili alle precedenti sono Ecuba che acceca Polimnestore, del Musée des Beaux-Arts di Bruxelles, e Lucrezia e Tarquinio, della National Galiery di Washington, nonché il Giacobbe che lotta con l'angelo che lo Zanotti (1739, II, p. 44) menziona nel pal. Caprara a Vienna ed è ora nel palazzo reale di Stoccolma. Si tratta di una serie di quadri materiati di corposa fisicità pittorica, già carica di quella sapida ironia che resta tratto peculiare del C. sino alle ultime prove.

Intorno al 1699 è databile il Ritratto di Virginia Sacchetti Caprara, già nella coll. Carnacini a Bologna (Gnudi, 1935, p. 30, n. 1), mentre del 1701, su commissione del principe Ferdinando de' Medici, è l'Estasi di s. Margherita ora nel Museo diocesano di Cortona (cfr. Chiarini, 1973, pp. 385 s.), forse la più alta espressione dell'arte del C. in una pala d'altare.

L'opera corona una fase felicissima del pittore, in cui si possono collocare molti altri dipinti di minor formato ma di livello qualitativo altrettanto sostenuto, come molte "mezze figure" o piccoli dipinti mitologici. Problematica è invece la collocazione nel tempo degli affreschi nei soffitti di due sale in palazzo Pepoli Campogrande a Bologna (Ercole sul carro tirato dalle Ore; Convito degli dei), che il Crespi (1769, p. 207) asserisce eseguiti subito dopo i perduti affreschi di Pistoia (1691), mentre lo Zanotti (1739, II, p. 44) li colloca all'aprirsi del nuovo secolo. La seconda ipotesi sembra poter ragionevolmente prevalere, confortata da convincenti riscontri stilistici.

Intanto il C., sul finire del sec. XVII, aprì una scuola cui aderirono più di trenta allievi. L'Autoritratto del Museo dell'Ermitage di Leningrado, databile a quest'epoca, ci documenta sull'aspetto di un personaggio ben sicuro di sé e consapevole del proprio valore, in rapporto con importanti committenti (Ritratto del generale Pallfy, Dresda, Gemäldegalerie) e deciso, nel 1705, a dettare condizioni al principe di Liechtenstein, che lo aveva invitato a recarsi a Viennaper affreschi in quel palazzo. Se quella trattativa rimase senza esito, ben presto si aprì per il C. un rapporto proficuo con Ferdinando de' Medici, cui il pittore recò personalmente in omaggio sino a Livorno, nel febbraio del 1708 (cfr. Haskell, 1966, pp. 390 s.), la Strage degli innocenti (Firenze, Uffizi), cui lavorava già nel 1706 (Griudi, 1935, p. 3 n. 1). In quel breve soggiorno eseguì la Natura morta, ora agli Uffizi, assieme ad un perduto pendant. Rientrato entro il 1708, inviò a Ferdinando l'Autoritratto e successivamente il piccolo rame con La famiglia del pittore, entrambi agli Uffizi (cfr. la lettera del C. a Ferdinando, in Crespi, 1769, p. 203). Nel 1709 fu di nuovo ospite di Ferdinando nella villa di Pratolino, dove soggiornò dal febbraio all'ottobre (cfr. Gnudi, in Mostra celebrativa ..., 1948, pp. 30 s.), eseguendo tra l'altro la grande tela della Fiera del Poggio a Cajano (Firenze, Uffizi) e le due telette con Lavandaie alla fonte e Fanciulli al giuoco del cappelletto (Pisa, Museo di S. Matteo).

Ma altre opere sono verosimilmente assegnabili a quell'anno, come il Cupido e Psiche e la Pulce, entrambe agli Uffizi. La Fiera è repertorio denso di vitalissime invenzioni, in parte maturate anche sull'esperienza della pittura fiamminga e olandese conosciuta nelle collezioni medicee, che è anche la segreta radice delle interessantissime riprese dal vero concentrate nelle tele, di collezione privata a Roma, con la Lavorazione dei bachi da seta e la Manipolazione della seta alla caldaia.

Intanto prendeva corpo in Bologna l'attività preliminare alla costituzione dell'Accademia Clementina, cui anche il C. partecipò. L'Accademia fu inaugurata nel gennaio del 1710 e sia nel 1712 sia nel 1714 il C. ottenne la carica di direttore nei corsi di pittura. La più importante commissione di questi anni gli venne dal card. Pietro Ottoboni, che, entusiasta per il dipinto della Confessione (Dresda, Gemäldegalerie) donatogli dal C., gli commissionò altri sei quadri, al fine di completare la serie dei Sacramenti (ibid.), di cui il Battesimo reca la data del 1712.

Sono commosse scene di una religiosità popolare che traduce il simbolismo rituale nella trama di più terreni, se non meno devoti, affetti e sensi; espressioni di volti e gesti esprimenti una potente, fisica concretezza, solo eguagliata dalle coeve invenzioni per la serie incisoria delle Storie di Bertoldo (utilizzate, con varianti, da L. Mattioli per illustrare una edizione in versi redatta da vari letterati bolognesi, dell'opera di G. C. Croce). Infatti, nella successiva serie di dipinti "per un signore inglese" relativi alla "vita di una cantatrice" (Zanotti, 1739) di cui la Pulce, nelle sue varie versioni (Birmingham, Chicago, Pisa, Parigi, Napoli, ecc.) è l'episodio più noto, prevale la descrizione ambientale sulla forza della figura, modificandosi il rapporto tra figura e ambiente a favore del secondo termine. Tra le commissioni del secondo decennio sono due dipinti per il card. Ottoboni: la Morte di s. Giuseppe (Leningrado, Museo dell'Ermitage) e il pendant con la Sacra Famiglia (Mosca, Museo Puškin). Intorno a questi anni sono collocabili dipinti come la Latona eseguita per i Buonaccorsi di Macerata (Bologna, Pinacoteca) e le due tele con Musici eContadini della coll. Malion di Londra. La lettera scritta da Düsseldorf al C. dall'elettore palatino Giovanni Guglielmo il 16 giugno 1715 (Bologna, Bibl. comunale, ms. B 15, n. 3) ci suggerisce di riconoscere, nel dipinto di sua "intera soddisfazione", la Strage degli Innocenti ora a Monaco di Baviera (Bayerische Staatsgemäldesammlungen), ove stupisce come il C. abbia saputo evitare la benché minima ripetizione a confronto con la versione offerta nel quadro degli Uffizi (lo stesso vale per quello, ben più tardo, nella National Gallery di Dublino).

Nel 1716 il C. risulta attivo per Amedeo di Savoia (Bologna, Biblioteca comunale, ms. B 15, nn. 4-5). Databile al 1717-18 è l'Incontro al fiume Panaro di Giacomo Stuart con il principe Albani (Praga, Národni Galerie), commissionato dal papa Clemente XI in occasione dell'entrata dello Stuart negli Stati pontifici, soffuso di sottile ironia. L'anno 1717 è segnato a tergo della Natura morta con volatili (Parigi, coll. Leeb) che, assieme al dipinto degli Uffizi, è l'unico quadro dei genere assegnabile con certezza al C., che l'anno dopo eseguì la singolare tela raffigurante un gigantesco Aloe, ancor oggi nella villa Benacci (ora Rossi di Medelana) al Moglio (Bologna), fatta eseguire a ricordo della improvvisa, straordinaria crescita della pianta, come illustra la scritta esplicativa, che reca la data del 1718.

Al 1722 è datata la tela per la cattedrale di Sarzana (Annunciazione e ss. Giovanni Battista, Giuseppe e Lorenzo), che segna il ritorno del C. alla pala d'altare di molto impegno, mentre seguita la produzione di soggetti biblici e mitologici, di scene di genere e di ritratti.

I due dipinti oggi nel Museo di palazzo Venezia a Roma, garbati idilli di tema biblico (Ritrovamento di Mosè; David e Abigail), furono commissionati dal card. Tommaso Ruffò, con ogni probabilità durante la sua legazione bolognese (1721-27), mentre attorno al 1725 può collocarsi la Continenza di Scipione della coll. Chrysler di New York, opera di una sontuosità pittorica pregevolissima. Nel 1728-29 dipinse Giove tra i coribanti (Stoccarda, Staatsgalerie) per il mercante Stefano Conti di Lucca (Haskell, 1966, pp. 355 s.; Pajes Merriman, 1976, pp. 464 s.), di notevole rilevanza qualitativa e suggestione nel tema mitologico. Rispettivamente del 1727 e del 1729 sono le pale per la chiesa del Gesù di Ferrara: Comunione di s. Stanislao Kostka e S. FrancescoSaverio risuscita un morto (cfr. Riccomini, 1971, n. 30), mentre intorno agli stessi anni è databile la pala per i gesuiti di Modena (chiesa di S. Bartolomeo), con i Ss. Ignazio, Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka: tutte di una qualità di pittura assottigliata e più forbita, che tende a rinunziare ad impasti troppo materiati, inseguendo finezze stilizzanti di nuovo esperimento. La produzione chiesastica del C. si andò sempre più intensificando: ne sono testimonianza le quattro tele con Il Martirio di s. Giovanni Evangelista; Il martirio dei ss. Fermo e Rustico; S. Alessandro condotto al martirio; Il martirio di s. Andrea, per i benedettini di S. Paolo d'Argon (Bergamo), del 1728-29 (documenti dell'Arch. dell'Ospedale di Bergamo: cfr. Modigliani, 1923), e la pala dei Sette santi fondatori per i serviti di Guastalla del 1730 (ms. della Bibl. Maldotti, Guastalla: cfr. Mezzetti, 1975, p. 45), cui si può accostare quella omonima per i serviti di Bologna. Databile al 1730 circa è anche l'Assunzione della Vergine, ora nella chiesa del Crocifisso de' Bianchi a Lucca, in cui ricorre persino una figura tratta dalle tele bergamasche. Vi compare inoltre il ritratto del figlio Antonio.

Il 13 sett. 1733 accadde un episodio sintomatico del carattere focoso del C., così come ce lo descrivono del resto anche le fonti: il C. aggredì, ferendolo alle mani e al capo con la spada, un bottegaio di fronte a casa sua, certo Carlo Antonio Utini, perché faceva stendere cordami ad asciugare nella via (cfr. Pantanelli, 1930, pp. 124 s.); quello stesso carattere che gli impedì, probabilmente, di avere stretti collaboratori se non i propri figli e che lo distolse dal frequentare l'ambiente dell'Accademia Clementina, di cui criticava aspramente la struttura così come si era venuta cristallizzando nel tempo.

Nel novembre 1737 il C. ricevette la commissione per la vasta tela con Giosuè che ferma il sole, per la cappella Colleoni a Bergamo (Invent. degli oggetti d'arte..., A. Pinetti: cfr. Provincia di Bergamo, Roma 1931, p. 1) e in quello stesso anno pagato per il Martirio di s. Pietro d'Arbues nella cappella del Collegio di Spagna in Bologna (Bologna, Arch. del Collegio di Spagna, Mastro 175, c. 346 e Giornale 176, c. 416: cfr. Winkelmann, 1979, p. 253), il cui bozzetto è nella Pinacoteca.

A riconoscimento della larghissima fama guadagnata, ormai settantacinquenne, il C. ricevette nel giorno di Natale del 1740, durante una solenne cerimonia in duomo, una croce d'oro e il titolo di cavaliere conferitogli da Benedetto XIV. Il 22 luglio 1741 donò all'oratorio di S. Maria della Mascarella in Bologna, di cui era membro, i due ovali con l'Annunciata e l'Angelo annunciante, terminati in aprile (cfr. Gnudi, in Mostra celebrativa ..., 1948, p. 44; per il possibile intervento del figlio Luigi nel secondo dipinto e per la sua collaborazione nella bottega paterna, si rimanda alla voce biografica a lui dedicata in questo Dizionario).

Il C. continuò ad essere pienamente attivo sino a quando, nei due ultimi anni di vita, la vista gli venne a mancare. Morì d'apoplessia il 25 marzo 1746 nella sua casa di Bologna (Bologna, Accad. di belle arti, Atti d. Accad. Clementina, I, c. 130).

Una circostanziata biografia è nella Storia dell'Accademia Clementina di Bologna (1739) dello Zanotti, in cui la posizione sostanzialmente moderata dell'autore non impedisce l'apprezzamento degli aspetti che fanno del C. un pittore autonomo rispetto al contesto clementino, e di gran lunga più "moderno" anche in ordine ai contenuti della sua arte. La biografia redatta dal figlio Luigi (1769) apporta nuovi dettagli e arricchisce la definizione del personaggio specie in chiave psicologica. La fortuna critica del C. declinò vistosamente, com'era inevitabile, a partire dall'età neoclassica (già dalle pagine del Lanzi, 1809, risulta una sostanziale incomprensione), per riaffiorare soltanto nel nostro secolo, negli interventi in chiave di appassionata assaporazione dei valori pittorici, di M. Marangoni (1911, 1920), mentre ad un conoscitore come H. Voss spetta il merito di aver per primo stabilito un catalogo delle opere del pittore (1913, in Thieme-Becker), perfezionato poi nella monografia del 1921. Di qui l'avvio ad una folta messe di interventi filologici e l'approfondimento interpretativo, soprattutto di Modigliani (1923-24), Lazareff (1928-29, 1934), Longhi 0935, 1948), Gnudi (1935, 1948), Arcangeli (1948, 1952, 1962, 1970), Volpe (1957, 1961, 1973), Calvesi (1959), Miller (1960, 1965, 1970), Roli (1961, 1964, 1974, 1977, 1981), Bean (1966), Liebmann (1967), Rosenberg (1971, 1972), Emiliani (1973), Pajes Merriman (1968, 1976, 1980), Mezzetti (1975), Riccomini (1979).

Da tale letteratura emerge una sostanziale contraddizione dei modi crespiani rispetto al clima più proprio all'establishment culturale cittadino. Il modo spregiudicato con cui il C. intende la pittura aderisce adeguatamente ai contenuti che sceglie di approntare, mentre introduce angolazioni più spregiudicate nella interpretazione delle iconografie tradizionali. Caso emblematico è quello dei Sacramenti, che avrebbero potuto esser meglio intesi da Diderot che non dai Bolognesi del primo Settecento (dell'interesse del C. per il problema religioso è indice la sia pur breve lettera a L. A. Muratori del 1744: cfr. Campori, 1866). Il loro rituale attinge nel C. una familiarità che è concretezza di vita, fiducia e speranza, presa di coscienza dei significati e valori dell'ethos cristiano. Inoltre il suo dipingere all'impronto, i suoi interessi per il ritratto feriale (sintomatico, più di ogni altro, quello di un Postino, Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle), la scena di genere (memorabili i Cantinieri di Leningrado e la Sguattera degli Uffizi), la natura morta (eccezionali, in tutta l'area europea, le due Librerie del Conservatorio musicale di Bologna, che forse appartenevano all'illustre musicologo bolognese G. B. Martini) sono inclinazioni che contrastano con l'importanza che l'Accademia continuava a conferire alla pittura di "storia". Eppure inizialmente il C. condusse la sua polemica all'interno di quella istituzione, convinto che la genialità di cui era consapevole possessore gli consentisse strappi alle regole (che non divennero mai dolorose lacerazioni), strappi che i suoi contemporanei dovevano poter tollerare. Quanto alle sue qualità di pittore "diretto", è da credere che il gusto bolognese non fosse così impreparato ad accettarle, visto il grande favore che la pittura veneziana aveva sempre goduto nella città pontificia.

Presso i committenti stranieri, per lo più principi tedeschi, non mancò di giovargli quell'aria "rembrandtiana" che aveva riportato dalla Toscana, a contatto con gli esemplari pittorici olandesi delle raccolte medicee. È gran merito non solo di forestieri principi illuminati, ma anche di concittadini del ceto nobiliare, ecclesiastico e borghese, di aver privilegiato il C. nelle proprie scelte, dimostrando una notevole disponibilità ad accettarne le concrete aperture a interessi nuovi e diversi, che collocavano la pittura bolognese di primo Settecento in posizione di particolare rilievo, assieme a quella lombarda (Ghislandi, Ceruti) e veneziana (P. Longhi), per la pregnanza sociologica degli argomenti toccati e per la conseguente interpretazione fattuale. Nonostante il suo moderatismo di fondo, occorre dare atto allo Zanotti (1739) di avere ben inteso le novità del C.: "tutto quello, che fa il ritrae dal naturale, ma con una pittoresca libertà, che aggiugne un non so ché all'opere sue, che affascina e diletta, e però tutto quello, che ne' suoi quadri introduce è così vero, e così ben fatto, che innamora qualunque. Dà per lo più gran lumi alle figure, e i campi tiene mortificati, ed oscuri quanto più può e fin gli stessi paesi, che più tempestosi pajono, che sereni; ma ricevono da questo le figure un tale risalto, che par ch'escano fuori della tela" (p. 70). A proposito del luminismo crespiano nonsono da tacere le applicazioni della ricerca sugli effetti della camera oscura, di cui sono testimonianza in special modo i due dipinti, oggi in collezione privata a Roma, dedicati alla lavorazione della seta. Che il C. abbia sperimentato tale procedimento, fa testo il figlio Luigi, che minutamente lo descrive (1769, p. 218), mentre già lo stesso Algarotti (1762) ne aveva fatto particolare titolo di merito dello Spagnolo.

L'attività incisoria del C. (il Bartsch, 1819, elenca 42 stampe) è a tutt'oggi non completamente acclarata nei suoi termini, per le perplessità che emergono in merito alla collaborazione, segnalata dalle fonti, di Ludovico Mattioli. Il nucleo principale di tale attività del C. è costituito dalle 20 stampe, databili al secondo decennio del Settecento, con Storie di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, ispirate ai testi letterari di G. C. Croce e Camillo Scaligeri della Fratta (alias Adriano Banchieri). Lo Zanotti (1739, II, p. 55) afferma esplicitamente che tali stampe furono intagliate dal C., il quale in seguito ne trasse anche i dipinti su rame che "furono comperati dal Principe Panfili" (ancor oggi nel palazzo Doria Pamphili a Roma). F. Varignana (1973, p. 425) ha opportunamente messo in evidenza che Gian Andrea Barotti, in una nota al canto decimo dell'ediz. 1736 del Bertoldo (rielaborazione in rima, ad opera di vari autori, del testo di G. C. Croce) afferma che gli elementi paesistici e alcune figure (su disegno dello stesso C.) furono intagliati dal Mattioli. La serie fu ripresa in controparte dal Mattioli stesso e ampiamente arricchita di elementi paesistici e aneddotici per la suddetta edizione del 1736. Il confronto fra le due serie è chiaramente rivelatore del forte contrasto tra le qualità di sintesi delle invenzioni crespiane e i pur piacevoli ma eccessivamente descrittivi modi del Mattioli. In altri casi la collaborazione C.-Mattioli, su cui insiste Luigi Crespi (1769, p. 223; v. anche p. 238 nella vita del Mattioli), evidenziando la liberalità del padre nell'aiutare il Mattioli con disegni o con interventi diretti sui rami, è meno facilmente districabile. In breve, tra gli esiti più essenziali e sicuramente autografi dell'attività incisoria del C. possono porsi anche i "cinque rametti esprimenti cinque mestieri, sul gusto del Rosa" (ibid., p. 223) e i due con Fanciulli che giuocano ai dadi e Fanciulli che giuocano a cappelletto. Tra le incisioni elencate da L. Crespi (p. 223) come autografe del padre, non tutte raggiungono tale qualità. Per la serie bertoldiana i disegni autografi del Metropolitan Museum di New York sono stati resi noti dal Bean (1966) e quelli del Museo di Orléans dal Roli (1974). A tali disegni è utile in primo luogo rifarsi per una plausibile ricostruzione di quanto oggi rimane del corpus grafico del Crespi.

Il C. risulta sposato con Giovanna Cuppini prima del 17 maggio 1707 (Pajes Merriman, 1980, p. 196 n. 18); dei figli, furono artisti Luigi, Ferdinando e Antonio Liborio.

Ferdinando, terzogenito, nacque durante il soggiorno della famiglia nella villa medicea di Pratolino, presso Firenze, nel 1709; suo padrino di battesimo (da cui infatti prese il nome) fu il principe Ferdinando de' Medici (Crespi, 1769, p. 211). Poco più che ventenne, Ferdinando vestì l'abito francescano presso i frati zoccolanti dell'Osservanza di Bologna, coi nome di fra' Daniele. Morì nel convento di Abrenunzio nella diocesi di Nonantola (Modena) il 2 nov. 1754 (ibid., pp. 220 s.).

Già presso lo Zanotti (1739, II, p. 72), nella biografia dello Spagnolo, è l'apprezzamento delle capacità di miniatore di Ferdinando, che naturalmente sono sottolineate anche nella Felsina pittrice del fratello Luigi (1769, p. 221). L'Oretti (Notizie…) conferma che "fece miniature bellissime e disegnò assa i bene sotto la disciplina del padre" e ricorda, tra l'altro, varie immagini di Santi eseguite appunto "in minio con punta di pennello" nella sagrestia della chiesa dell'Osservanza presso Bologna. Non sono state sinora identificate con certezza opere di sua mano.

Antonio Liborio nacque a Bologna il 22 giugno 1712 (Bologna, Arch. Curia arciv., Reg. battes., C. 141; Ibid., Bibl. comunale, ms. B 873: B. Carrati, c. 60). Allievo del padre assieme al fratello Luigi, ha lasciato opere mediocri, che, soprattutto per considerazioni di tipo qualitativo, danno scarso luogo a possibili confusioni con le opere del fratello e tanto meno con quelle del padre.

Il primo dipinto firmato e datato (1745) è la Natura morta della Pinacoteca nazionale di Bologna, in cui su vari ripiani è squadernato un repertorio di carni, uccelli e vegetali con ben scarsa immaginativa, anzi riflettendo non tanto i modi paterni ma piuttosto quelli di G. D. Valentino, il secentista romano attivo a Imola, nonché del reggiano C. Monari e del piacentino Boselli. Nel 1753 firmò due dei quattro ovali (S. Giuseppe, S. Petronio, S. Francesco d'Assisi, S. Francesco Saverio) dell'oratorio della Mascarella a Bologna. Intorno allo stesso anno può collocarsi la Madonna del Rosario e i ss. Vincenzo Ferreri ed Eurosia in S. Nicolò a Carpi (A. Garuti, Mostra dei dipinti restaurati …, Carpi 1975, pp. 101 s.). Dipende da un'invenzione paterna (dipinto già in coll. V. Bloch, all'Aia) la pala della SacraFamiglia (Bologna, S. Giovanni in Monte); mentre la Morte di s. Giuseppe nella chiesa arcipretale di Bazzano (Bologna) non è che l'esangue variazione di un tema svolto con ben altro impegno dallo Spagnolo. Nel 1766 ricevette 40 lire per il quadro del S. Petronio (con veduta di villa dipinta da Vincenzo Martinelli) nella cappella della villa La Sampiera di Bologna (G. Zucchini, Le tempere ..., Bologna 1953, p. 16). Del 1770 sono la Cena in Emmaus (copia da originale di Francesco Monti ora perduto) e i Ss. Francesco d'Assisi e Pietro d'Alcantara nel convento dell'Osservanza a Bologna. Il dipinto della Pinacoteca nazionale di Bologna (datato 1771) raffigurante Luigi Crespi che esibisce il tomo terzo della Felsina pittrice sembrerebbe piuttosto un autoritratto di questo, anche se reca una scritta antica in latino con il nome di Antonio, in quanto collima perfettamente con i modi espressivi di Luigi.

Mentre resta da accertare se "Antonius" non sia una trasformazione successiva di "Aloysius", va rilevato che la scritta accenna proprio all'età di Luigi. Inoltre il dipinto in questione corrisponde puntualmente alla descrizione di un Autoritratto di Luigi offerto ai granduchi di Toscana, ma non accettato per presunti difetti (W. Prinz, Die Sammlung der Selbildnisste in den Uffizien, I, Berlin 1971, p. 208).

Antonio Liborio morì a Bologna il 9 apr. 1781 (Oretti, Notizie..., ms. B 131, cc. 387 bis - 388).

Altri dipinti a lui riferibili: Bologna, S. Maria della Carità: S. Margherita da Cortona in preghiera, Gesù appare a s. Margherita da Cortona, Ritratto del padre Francesco Antonio Francia (F.Montefusco Bignozzi, in S. Maria della Carità in Bologna. Storia e arte, Bologna 1981, pp. 114 s., 117); Bologna, Coll. Parlatore Melega: S. Antonio da Padova;Bologna, già coll. Ghedini: Madonna e s. Chiara;Grizzana (Bologna), chiesa parr.: S. Luigi Gonzaga.

Fonti e Bibl.: G. Zanotti, Storia dell'Accad. Clementina di Bologna, Bologna 1739, II, pp. 30-73 (anche per i figli; cfr. R. Roli, in R. Roli-A. Ottani Cavina, Commentario, Bologna 1977, pp. XVI, 47-51); F. Algarotti, Saggio sopra la pittura, Bologna 1762, p. 62; L. Crespi, Felsina pittrice. Tomo terzo, Roma 1769, pp. 201-32 (anche per i figli); Bologna, Bibl. comunale, ms. B 15, n. 3: Lettere di diversi a G. M. e Luigi Crespi;ms. B 131: M. Oretti, Notizie de'profess. del disegno…, cc. 346-71 (389 s. per Ferd.; 386 ss. per Antonio Liborio); L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1809), a C. di M. Capucci, II-III, Firenze 1970-74, ad Indicem;A. Bartsch, Le peintre graveur, XIX, Wien 1819, pp. 395-411; P.-J. Mariette, Abecedario, II, Paris 1853-54, pp. 41 s.; G. Campori, Gli artisti ital. e stranieri negli Stati estemi, Modena 1855, pp. 172 s. (174 per Antonio Liborio); Id., Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 556 s.; M. 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