Costituzione

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Costituzione

Francesco Paolo Casavola

Con transizione costituzionale si usa intendere un lungo percorso di ipotesi progettuali per la riforma di parti della C. repubblicana del 1948. La ix, l'xi e la xiii legislatura hanno avuto commissioni bicamerali - rispettivamente presiedute dagli onorevoli A. Bozzi, L. Iotti e C. De Mita, M. D'Alema - incaricate di studi o di progetti; la xiii legislatura ha varato la riforma del titolo v su Regioni, Province, e Comuni, con l. cost. 18 ott. 2001 nr. 3; la xiv ha approvato un testo di legge costituzionale che estende la revisione a tutta la parte ii della Carta costituzionale. Già nella Commissione Bozzi, che operò negli anni 1983-1985, si pose l'alternativa di un sistema presidenziale, rispetto alla forma di democrazia parlamentare voluta dai padri costituenti. La maggioranza dei commissari, pur rifiutando un mutamento tanto radicale della forma di governo, non si nascondeva la sua lentezza nel guidare trasformazioni profonde della società e dell'economia del Paese, intervenute dal 1946 all'inizio degli anni Ottanta. Si denunciavano fenomeni disgregativi all'interno della C., dovuti a tendenze localistiche e corporative, a contropoteri esterni e interni ai partiti, all'intreccio affari-politica-criminalità, all'insorgenza di poteri occulti, alla paralisi della Pubblica amministrazione, alla crisi della rappresentanza democratica, al rifiuto della politica soprattutto tra i giovani. Il rapporto tra partiti e istituzioni dava luogo alla partitocrazia e alla lottizzazione delle cariche negli enti pubblici, cioè a un processo di occupazione. Le difficoltà di interlocuzione tra sindacati e partiti, e la segmentazione degli interessi, rendendo tardiva e non incisiva l'azione del Parlamento e del governo, determinavano interventi di supplenza con la decretazione di urgenza, le sentenze manipolative della Corte costituzionale, l'interpretazione evolutiva dei giudici ordinari. Non dandosi alternanza nel potere di nuovi schieramenti di forze politiche, né ricambio di classe dirigente, la fragilità di governi di breve durata si combinava con una continuità di linee di azione proprie di una democrazia bloccata. In un contesto contraddittoriamente caratterizzato da troppo Stato e poco Stato, si considerava opportuna una deregulation, che desse più libertà al cittadino e alle formazioni sociali, attenuasse gli squilibri territoriali e sociali. Si proponevano nuove forme di referendum, l'istituzione di un difensore civico, la tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, una maggiore utilizzazione della petizione popolare, la eliminazione dei residui normativi di discriminazione tra uomo e donna, l'accesso ai documenti delle amministrazioni pubbliche, il diritto alla riservatezza. I partiti avrebbero dovuto lasciare spazio ad associazioni, comitati, gruppi, leghe che nascessero nella società. Si voleva superare la confusione dei poteri, che aveva dato luogo a un governo legislatore o a un Parlamento governante. Si tornò a discutere intorno a un Parlamento monocamerale, in cui non si sarebbero verificati gli inconvenienti del bicameralismo, la lentezza del processo legislativo, l'annidamento di interessi microsettoriali, la minore proficuità del circuito esecutivo-legislativo. Ma prevalse l'opzione per un bicameralismo differenziato, con riduzione del numero dei parlamentari, in corrispondenza con la delegificazione e la distinzione dei compiti di controllo e di collegamento con le autonomie locali. Da parte democristiana si ripropose un profilo che fu di C. Mortati in Assemblea costituente, di una diversa rappresentatività del Senato rispetto alla Camera, ora nel senso che i candidati senatori avessero esperienza negli organismi regionali e locali, quando non anche di appartenenza a categorie professionali. L'ispirazione mortatiana per una Camera delle aristocrazie tecniche, sembrò suggerire l'elevazione a otto dei senatori a vita, nominati dal presidente della Repubblica per altissimi meriti scientifici, letterari, artistici, sociali, e per raccogliere quali senatori di diritto, oltre agli ex presidenti della Repubblica, anche gli ex presidenti delle Camere e della Corte costituzionale. Quanto alla differenziazione delle funzioni, prevalente sarebbe dovuta essere quella legislativa per la Camera e di controllo per il Senato, salvo un elenco di materie per leggi bicamerali. Si auspicava la riduzione del numero dei Ministeri e dei ministri per restaurare la collegialità del governo, snellire l'apparato delle amministrazioni, non intralciare le autonomie locali e la stessa attività parlamentare. Già allora si previde un consiglio di gabinetto che coadiuvasse il presidente del Consiglio nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento nell'azione di governo. Per la stabilità dei governi si propose un patto di coalizione, incentivato da un premio di maggioranza e dall'obbligo per il presidente della Repubblica di assegnare l'incarico di costituire il governo, dopo le elezioni politiche, alla personalità indicata a tal fine nel patto della coalizione vincente. Si affrontò il tema della crisi della legge, che aveva perduto i caratteri dell'astrattezza e della generalità per assumere quelli del provvedimento congiunturale e casistico, quando non apprestato per gruppi o persone, con le cosiddette leggi con fotografia. Si ritenne di lasciare al Parlamento la grande legislazione e il suo adattamento alla realtà sociale in mutamento, e di attribuire la normativa di dettaglio al governo, alle Regioni, all'autonomia contrattuale dei privati e delle formazioni sociali. Quanto al presidente della Repubblica si optò per la non immediata rieleggibilità, ricordando un disegno di legge di G. Leone del 1963 e un messaggio del presidente A. Segni che escludevano del tutto la iterazione dell'ufficio. Fu fatta una ricognizione attenta dei diritti di libertà e di partecipazione. Tra i problemi della giustizia spiccò la proposta del senatore G. Vassalli di separare nelle carriere i magistrati giudicanti da quelli inquirenti. Si denunciò l'eccessiva politicizzazione del Consiglio superiore della magistratura, la cui presidenza si propose non spettare più al capo dello Stato, ma a un membro elettivo. Nel riordino dell'esecutivo, si volle ribadire il principio che la Pubblica amministrazione è al servizio dei cittadini, rispettando autonomamente legalità e imparzialità nel dare esecuzione alle direttive dei governi. Si raccolsero le più importanti proposte presenti nel 'rapporto' sui principali problemi dell'amministrazione dello Stato del ministro per la Funzione pubblica, M.S. Giannini, discusso dal Senato nel luglio 1980, e nella 'relazione' della Commissione presieduta da F. Piga, del febbraio 1981, sulla ristrutturazione dei poteri centrali. In ordine al sistema delle autonomie, si ritenne irreversibile il disegno regionalistico della C., da perfezionare, non da stravolgere. Ma nella seduta conclusiva dei lavori della Commissione Bozzi, il 29 gennaio 1985, il senatore A. Fosson presentava, a nome dell'Union Valdôtaine, un programma di riforma federale della Repubblica con una Camera eletta a suffragio universale e diretto e una Camera composta da delegati di ciascuna regione in pari numero eletti dai rispettivi Parlamenti regionali, un governo federale, un presidente federale, rappresentante della federazione nelle relazioni estere e garante dell'unità della federazione e del buon funzionamento delle istituzioni, giudici federali e regionali oppure magistratura unitaria con articolazioni facenti capo a Corti costituzionali regionali, le Regioni diventando enti politici equiordinati rispetto alla federazione. Valutando molti commissari le profonde radici della ingovernabilità del Paese, nel governo dell'economia, si descrissero i lineamenti di una vera e propria C. economica. Prima di concludere i suoi lavori, la Commissione Bozzi discusse una proposta, presentata dai commissari P. Scoppola, A. Barbera, G. Giugni, G. Pasquino, M. Pontello, N. Lipari e M. Segni, per una riforma del sistema elettorale per la Camera, tale da rendere più immediato il rapporto fra elettori ed eletti e di sottoporre le scelte dei partiti a un più diretto controllo dell'elettorato. La Commissione concludeva sulla necessità di una revisione organica e realistica dell'intero impianto costituzionale, accantonando come oziosa la disquisizione tra grande e piccola riforma, e utopica la ricerca della migliore Repubblica possibile. La revisione delle regole del gioco risulterebbe in ogni caso vana, se i giocatori, cioè i partiti, non si disponessero a giocare con quelle regole, e a giocare bene. Da settembre 1993 a febbraio 1994, operò nella xi legislatura la Commissione presieduta prima da De Mita e poi dalla Iotti, presentando un progetto organico di riforma della parte ii della Costituzione. L'esclusione della parte i volle segnare la continuità del regime costituzionale, considerandosi di mero rilievo giornalistico la locuzione di Seconda repubblica, laddove appariva più corretto intendere come secondo tempo dell'ordinamento repubblicano la conciliazione dei principi della Carta del 1948 con la trasformazione della società italiana e l'ingresso dello Stato nella realtà sovranazionale dell'Europa. Nella relazione sulla forma di Stato del deputato S. Labriola è riaffermata l'unitarietà della sovranità popolare dello Stato democratico incompatibile con le ipotesi di frazionamento della comunità nazionale. La crisi dello Stato è individuata nella moltiplicazione delle funzioni e dei poteri, cui corrisponde inefficienza e trasgressione, in un contesto di mutamento di valore e modelli di vita sociale e di sviluppo politico. Il rimedio è indicato nella tassatività delle competenze statali attorno a un quadruplice perno: della bandiera (politica estera), della spada (politica militare), della toga (politica della giustizia) e della moneta (governo della finanza). Si allargano così per effetto sistemico della residualità, le competenze delle Regioni, si introduce la legge organica su iniziativa del Senato, per stabilire i "principi fondamentali delle funzioni che attengono alle esigenze di carattere unitario", che non costituisce diritto per la generalità dei cittadini e degli altri soggetti alla sovranità nazionale, essendone destinatarie soltanto le Regioni. Le Regioni di diritto comune acquistano competenze legislative esclusive come quelle a Statuto speciale. Viene loro riconosciuto il potere di stabilire accordi con enti territoriali di Stati esteri e di dare attuazione a direttive della Comunità europea nelle materie di propria competenza, senza interposizione di alcun atto dello Stato. Le Province e i Comuni sono definiti enti autonomi rappresentativi delle comunità locali, con autonomia statutaria e funzioni proprie nel quadro della comunità nazionale e regionale, e ciò per neutralizzare tendenze neocentraliste delle Regioni di diritto comune, indotte dalla crescita delle loro autonomie. A queste, d'altra parte, per la prima volta nella storia dell'Italia unita, viene dato il potere di scegliere la propria forma di governo, un sistema di elezione della rappresentanza diverso da quello stabilito dalla legge dello Stato. Si intendeva in tal modo dare compimento a un processo formativo di uno Stato regionale, evoluzione, non superamento della forma storica dello Stato nazionale. Se questa evoluzione, ostacolata nel periodo tra il 1948 e il 1970, definito della inattuazione costituzionale, non si compisse, potrebbero verificarsi eventi dissolutori dell'unità nazionale. Lo Stato regionale, proprio realizzando la convivenza di una pluralità di enti autarchici territoriali dotati di autonomia politica, finanziaria, normativa e di governo, entro il quadro dell'unità nazionale, neutralizza i fattori di crisi derivanti dalla decadenza del principio della divisione dei poteri e dalla giustapposizione dei poteri di rappresentanza e di quelli di garanzia. Svalutando la distinzione tra Stato federale e Stato regionale a un profilo quantitativo piuttosto che qualitativo si pervenne a una formula di regionalismo al limite del federalismo. Quanto alla forma di governo la relazione di F. Bassanini dà conto della scelta della Commissione per la forma parlamentare, con esclusione netta di ogni modello presidenzialistico. Per il rafforzamento dell'esecutivo si proponevano governi di legislatura, scelta agli elettori di programmi, coalizioni e maggioranze, indebolendo la coalizione delle segreterie dei partiti, maggiore incisività al ruolo del primo ministro, maggiore libertà agli eletti nei collegi uninominali nell'esercizio del mandato parlamentare, riduzione dell'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti e ridimensionamento di pratiche spartitorie e lottizzatorie. Per la figura del primo ministro si escluse l'elezione popolare diretta e si optò per l'elezione in quanto leader o candidato della maggioranza, con investitura del Parlamento in seduta comune all'inizio della legislatura, e potere di nomina e di revoca dei ministri, per i quali si proponeva l'incompatibilità con il mandato parlamentare, estesa ai vice ministri. La forma di governo parlamentare si rafforzava d'altra parte con l'istituto della sfiducia costruttiva. Nella xiii legislatura, la Commissione bicamerale, presieduta da D'Alema, licenziava, il 4 novembre 1997, un progetto di legge costituzionale recante una revisione della parte ii della C. in senso federalistico, quanto alla forma di Stato, e semipresidenzialistico, quanto alla forma di governo, proponendosi l'elezione diretta popolare del presidente della Repubblica. L'esame parlamentare del progetto, iniziatosi nella Camera dei deputati nel gennaio 1998, si è interrotto nel giugno dello stesso anno, né è stato mai più ripreso. Quella legislatura si concluse invece con l'approvazione della sola maggioranza di governo di una legge di revisione del solo titolo v della parte ii della C. (l. cost. 18 ott. 2001 nr. 3), che reca in apertura la definizione della Repubblica come "costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato".

Le competenze della legislazione esclusiva dello Stato sono elencate tassativamente secondo diciassette gruppi di materia: politica estera e rapporti internazionali, rapporti dello Stato con l'Unione Europea, diritto d'asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea; immigrazione; confessioni religiose; difesa e forze armate, sicurezza dello Stato, armi, munizioni ed esplosivi; moneta, tutela della concorrenza, sistema valutario, tributario e contabile dello Stato, perequazione delle risorse finanziarie; organi dello Stato e relative leggi elettorali, referendum statali, elezione del Parlamento europeo; organizzazione e ordinamento amministrativo dello Stato e degli enti pubblici nazionali; ordine pubblico e sicurezza, esclusa la polizia amministrativa locale; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; norme generali sull'istruzione; previdenza sociale; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane; dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo, coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, opere dell'ingegno; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Oltre a un elenco di materie di legislazione concorrente, tutto ciò che non è espressamente riservato allo Stato è di competenza legislativa delle Regioni, con ciò rovesciandosi del tutto la logica della C. del 1948, che attribuiva alle Regioni solo materie tassativamente elencate e ogni altra allo Stato.

Nella xiv legislatura è stata approvata a maggioranza assoluta in seconda votazione una legge di revisione costituzionale che reca modifiche a tutti i sei titoli della parte ii della C., perseguendo un disegno di superamento del bicameralismo perfetto, con una Camera politica e un Senato federale, di rafforzamento della figura del primo ministro, di devoluzione alla legislazione esclusiva delle Regioni dell'assistenza e organizzazione sanitaria, dell'organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione, della polizia amministrativa regionale e locale. Tra le modifiche che accentuano il carattere federale della Repubblica va ricordata la nomina di quattro giudici costituzionali su quindici da parte del Senato federale. A norma dell'art. 118 della C. è stato richiesto un referendum approvativo di tale legge di revisione.

L'esito del referendum, celebratosi nei giorni 25 e 26 giugno 2006, con un concorso di oltre la metà degli aventi diritto (52,3%), superando di gran lunga i voti negativi (61,3%) quelli asseverativi (38,7%), ha posto nel nulla la revisione costituzionale, approvata dalla maggioranza di centro-destra nella scaduta xiv legislatura.

bibliografia

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M. Ainis, Vita e morte di una Costituzione. Una storia italiana, Roma 2006.

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