GAGLIOFFI, Costantino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GAGLIOFFI, Costantino

Franco Pignatti

Nacque presumibilmente all'Aquila verso la metà del sec. XV, da Antonio Battista e da Pasqua di Pietruccio di Bonomo del Corbaro; era il primo di sette fratelli, tra i quali Giovanni Battista, abate dell'abbazia di Lucoli e poi vescovo dell'Aquila, e Vespasiano, arcidiacono.

Alla fine del sec. XV i Gaglioffi si distinsero nella lotta per l'indipendenza cittadina contro la monarchia aragonese. Nel 1485 Vespasiano Gaglioffi guidò la rivolta della fazione filopontificia contro Ferdinando I d'Aragona. La sommossa, appoggiata da Innocenzo VIII, venne repressa nel 1486 dal re di Napoli. Vespasiano Gaglioffi venne ucciso, mentre anche gli altri fratelli e famigliari del G. subirono dure traversie.

Il ruolo del G. in questi avvenimenti non è noto e in generale le fonti locali tacciono su di lui, tanto che la sua esistenza è stata addirittura messa in dubbio da F. Raffaelli, che ha pensato a uno pseudonimo letterario per qualche altro membro meno oscuro della famiglia. Nei libri del Comune, però, il G. è menzionato nel 1479, quando l'8 febbraio fu inviato con altri ambasciatori a Napoli al re Ferdinando I. L'11 nov. 1480 e il 15 marzo 1481 figura come testimone in alcuni strumenti rogati in Aquila e il 28 sett. 1482 fu nominato arbitro del Comune. Nel 1487, dopo la fine dell'insurrezione baronale fu inviato, insieme con il fratello Pietro Paolo a Napoli, dove entrambi vennero arrestati e trattenuti come ostaggi con lo scopo di prevenire ulteriori sommosse.

Non si possiedono altre notizie sul G. per gli anni successivi: sappiamo soltanto che nel 1490 era ancora in vita, dato che Filippo Angelo e Giacomo Gaglioffi vendettero un fondo per conto dei fratelli prigionieri a Napoli. Probabilmente il G. fu messo a morte quando nel 1492 il fratello Filippo Angelo rientrò in Aquila per vendicare la morte del fratello Vespasiano e finì squartato il 1° genn. 1493. Dopo la morte di Giovanni Battista, avvenuta in febbraio, il 13 luglio 1493 il capitano della città confiscò tutti i beni della famiglia, sulla quale si era abbattuta la vendetta degli Aragonesi. Nel 1495 il G. era con certezza morto, dato che non si ha notizia della sua liberazione al momento dell'ingresso in Napoli di Carlo VIII, per il quale parteggiarono i Gaglioffi.

Un codice della Biblioteca comunale di Fermo (ms. 32) conserva un poemetto in terza rima, opera del G., intitolato Proverbia seu praecepta e consistente in una raccolta di precetti morali, massime, regole di comportamento compilate dall'autore attingendo alle raccolte di detti dei filosofi antichi. L'opera è divisa in tre libri, che contengono il primo e il secondo dieci capitoli, il terzo nove. Un sonetto autobiografico, infine, dà il nome dell'autore e la notizia che l'opera fu composta durante la prigionia (forse su un'isola del Golfo di Napoli, se nei vv. 7-8 l'autore si descrive "religato, in sì strette case 'n un scollo [scoglio] in mar"), dunque negli ultimi anni del G., che infatti nella chiusa del breve componimento medita malinconicamente sulla sua prossima fine. Il tenore compilativo dell'opera e le caratteristiche del codice, vergato con scrittura regolare, e impreziosito da iniziali colorate, con la prima carta dei tre libri incorniciata in vari colori e in basso l'arma di famiglia (uno scudo armeggiato in campo azzurro con due caprioli in argento), fa peraltro ritenere che il G. godesse di una sia pur limitata libertà, come si conviene a un ostaggio, piuttosto che a un prigioniero, in misura tale da permettergli di consultare le opere necessarie alla stesura del poemetto, nonché di farne approntare un esemplare di lusso, che sarà stato reso alla famiglia dopo la sua morte.

L'operetta non presenta caratteri di particolare interesse. Si tratta di una raccolta di materiali tradizionali, riuniti secondo un'architettura studiata, che, nella voluta accessibilità dei contenuti e nel tono medio dell'elocuzione, ambisce a proporsi come un trattatello completo sul ben vivere e sulle regole del buon governo. Il I libro è dedicato a "Comodo homines recte et bene vivere possint" e contiene consigli sull'amicizia, la donna e il matrimonio, la famiglia, la prole, l'educazione. Il II libro tratta di "Comodo omnis princeps bene regat et juste vivere possit" e il G. si diffonde sui requisiti morali che dovrebbe possedere chi sta al potere, anche con indirette allusioni alle vicende politiche che avevano visto protagonista la sua famiglia. Il III libro, intitolato "Comodo omnis qui vult dominum servire bene se gubernet et recte vitam agat", è dedicato alle regole della vita di corte, sulla cui pericolosità il G. mette in guardia, ammonendo a tenersene lontani e raccomandando le doti della modestia, della fedeltà, della continenza.

Piuttosto che nello stile sentenzioso e sermoneggiante in cui si esplica l'intento didascalico del G. - secondo una solida tradizione tramandatasi ininterrottamente dalla tarda antichità al Medioevo e rimessa in auge dagli umanisti - i Proverbiaseupraecepta trovano il loro motivo di interesse storico nell'adozione del volgare, il "materno sermone" aquilano, usato dall'autore senza preoccupazioni di aderire a una koiné linguistica più prestigiosa, e con ancor meno esigenze di adeguamento alla norma toscana, già in via di affermazione in altri centri meno periferici della penisola. Tali caratteristiche schiettamente provinciali, oltre alle vicende biografiche del G. e della sua famiglia, che si estinse nei primi anni del XVI secolo dopo la morte in esilio di Girolamo, contribuirono a destinare l'operetta a un rapido oblio anche nel contesto della letteratura aquilana, che nella stessa congiuntura ebbe in personaggi come Serafino Aquilano e Buccio da Ranallo figure di cospicuo rilievo.

Il primo e l'ultimo capitolo dei Proverbiaseupraecepta, insieme con il sonetto autobiografico, sono editi in calce al poema, attribuito in passato a Nicola Ciminello, Laguerradi Braccio (sull'assedio posto all'Aquila da Braccio da Montone nel 1423-24), nell'edizione a cura di V. Parlagreco (L'Aquila 1903, pp. 230-244).

Fonti e Bibl.: F. Raffaelli, Illustrazionediun anticocodiceineditodiproverbi, in IlBibliofilo, VI (1885), pp. 103-105; O. D'Angelo, C.G.dell'Aquilaedunsuo poemettoinvolgare, in BollettinodelllaSocietàdistoriapatria "A.L.Antinori"negliAbruzzi, XV (1903), pp. 276-286; B. Croce, Aneddotidivarialetteratura, I, Bari 1953, p. 42; E. Sprete, I codici della Biblioteca comunale di Fermo, Firenze 1960, pp. 36-38; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 2.

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