Costantino dopo i Lumiere. L'imperatore cristiano nel cinema e nella televisione

Enciclopedia Costantiniana (2013)

Costantino dopo i Lumière

L’imperatore cristiano nel cinema e nella televisione

Federico Ruozzi

Fin dalle origini del cinema, gli sceneggiatori hanno attinto dai racconti biblici soggetti che sono diventati poi rappresentazioni cinematografiche, alcune delle quali veri e propri kolossal passati alla storia. Le pellicole a carattere epico, mitologico e religioso sono state, infatti, da subito uno dei generi di maggiore successo. La figura dell’imperatore Costantino, grazie alle traduzioni audiovisive, rivive così nel XX e XXI secolo anche attraverso questi racconti per immagini, che diventano alle volte, di fatto, l’unico modo per gran parte del pubblico di accedere alla sua biografia. Il cinema e la televisione ricostruiscono e rinsaldano, così, il mito di Costantino il Grande, sostituendosi alle fonti antiche e medievali come contemporanei panegirici.

Dallo sword and sandal al cinema dei sandaloni, fino al peplum: origini e fortune di un genere

Tutti i manuali di storia antica sono concordi nel definire il «peplo» (peplum in latino, dal greco péplon) come la veste di lana bianca indossata dalle donne nell’antica Grecia. È con questo termine legato al vestiario femminile, grazie al quale il cinema ha contribuito a radicare in modo metonimico nell’immaginario collettivo del suo pubblico l’idea dell’epoca tardoantica1, che negli anni Sessanta i giovani e controcorrente critici francesi dei Cahiers du cinéma hanno codificato quell’estetica proposta in numerose pellicole in un genere (o sottogenere) cinematografico, snobbato invece dai colleghi italiani2. Il numero speciale 131 del maggio 1962 della prestigiosa rivista francese ha infatti sancito il peplum come «il modo internazionale per indicare il cinema storico-mitologico di quegli anni»3, categoria poi consacrata nelle numerose storie del cinema. La Garzantina dedicata al cinema definisce invero il peplum come quel «genere epico appartenente alla grande famiglia dell’avventura»4, e gli studiosi gli hanno attribuito retrospettivamente una importanza tale da proporre l’equivalenza con un altro genere classico dell’avventura, il western («le péplum est à l’Europe occidentale ce que le western est aux États-Unis»5). Fino ad allora, il mercato cinematografico americano aveva identificato quella tipologia di pellicole nell’icastico sword and sandal, mentre quello italiano nel più «folcloristico e popolare»6 cinema dei sandaloni.

Al di là comunque delle terminologie, più o meno corrette, più o meno filologiche, quello che è importante sottolineare è che, fino a un certo periodo, la cinematografia relativa alla figura di Costantino – che si tratti di pellicole direttamente incentrate sulla sua figura (In hoc signo vinces del 1913 o Costantino il Grande del 1961), oppure su altre vicende a lui contemporanee e correlate dove compare quindi in modo marginale – viene fatta rientrare in questa macroarea (e quindi ne condivide i codici), accanto ai film che hanno per soggetto la mitologia greca, a quelli sugli eroi muscolosi (i film muscolotici, dove si impongono le figure di Maciste o di Ercole)7, sul Vecchio e Nuovo Testamento (i cosiddetti film biblici), sull’antica Grecia, sulla Roma imperiale e repubblicana, fino a spingersi al peplum erotico e comico (dove il Nerone di Ettore Petrolini, girato poi nel 1930 da Blasetti, va ben oltre la semplice macchietta comica per farsi beffe di certa retorica imperiale e allo stesso tempo di una certa recitazione enfatica)8. Una diversa interpretazione nella mappa dei generi viene invece riservata al cinema prettamente cristologico o a quello religioso o spirituale in generale – su cui non solo gli storici del cinema, ma da poco anche gli stessi antichisti hanno orientato le loro ricerche9 –, dove negli studi fino a ora condotti sembra interessare di più la riflessione sulla «rappresentabilità del sacro», piuttosto che la narrazione storiografica degli episodi rievocati10.

Se dalla fine degli anni Cinquanta fin verso la metà degli anni Sessanta il filone delle vicende tratte dalla mitologia greca o dalla Bibbia si impone come vera e propria «pietra filosofale»11 per la gioia dei produttori italiani – risale infatti a quegli anni la prima pellicola sonora su Costantino –, è vero anche che, seppur dentro alla più generica categoria del «film storico» – epico, mitologico o biblico che fosse –, pellicole su tali soggetti si affermano in concreto fin dal cinema delle origini (Mélies nel 1899 gira la pellicola Le Christ marchant sur les eaux, Gesù che cammina sulle acque)12, importando una tradizione già in voga nella letteratura e nel teatro di fine Ottocento. Non va trascurato che proprio in quel periodo si erano non a caso affermati i grandi romanzi storico-religiosi di ambientazione romana, ognuno dei quali avrebbe potuto contare in seguito sui corrispettivi e svariati adattamenti cinematografici: da Ben Hur di Wallace (1880) a Quo Vadis? di Sienkiewicz (1894-1896), fino a Cartagine in fiamme di Salgari (1908); d’altra parte, la strada era stata aperta proprio da due romanzi dell’Early Christian novel appositamente pensati e scritti per sensibilizzare alla fede cattolica i lettori inglesi: sull’onda del Catholic Revival13, nel 1854 l’arcivescovo di Westminster, poi cardinale, Nicholas Wiseman diede alle stampe Fabiola; or the Church of the Catacombs, a cui seguì l’anno successivo Callista del teologo e anch’egli futuro cardinale John Henry Newman14, storie di convertite e martiri che sarebbero piaciute agli sceneggiatori cinematografici. Proprio Fabiola è stata, infatti, portata sullo schermo prima nel 1918 dal pittore e regista Enrico Guazzoni (lo stesso che nel 1911 aveva realizzato la prima pellicola nella storia del cinema su Francesco D’Assisi, San Francesco il poverello d’Assisi), poi da Alessandro Blasetti nel 1949 e infine da Nunzio Malasomma nel 1960 (La rivolta degli schiavi).

La prima pellicola prodromica del genere è concordemente ritenuta quella del 190815: l’ex tipografo Luigi Maggi ha esordito in quell’anno con Gli ultimi giorni di Pompei a cui ha fatto seguire l’anno dopo Nerone. Gli ultimi giorni di Pompei, ha in nuce già tutti gli «elementi idealtipici»: c’è lo stile grandioso, ci sono le scene d’azione, il tutto ben condito da trame e sottotrame «d’amore, di coraggio e tradimenti»16. Il successo è stato tale che nel 1913 usciva un altro film dallo stesso titolo, girato questa volta dal regista Mario Caserini, mentre nel 1912 veniva prodotto Quo Vadis? di Guazzoni, preparando così la strada al successo di Cabiria di Pastrone, nel 1914, ambientato ai tempi della seconda guerra punica e raccontato dalle didascalie attribuite a Gabriele D’Annunzio.

Il genere, come ricostruisce Roberto Provenzano, si impone anche dall’altra parte dell’oceano, grazie al non trascurabile fattore economico: oltre al successo e al gradimento di pubblico, il bacino di storie e racconti dal quale «pescare» i soggetti e le sceneggiature (mitologia, storia romana, Bibbia) è infatti totalmente gratuito e sganciato da diritti17. Cecil B. De Mille ha girato ad esempio nel 1923 The Ten Commandments e nel 1927 The King of Kings (aggiornando così il suo slogan cinematografico «sangue e sesso» in «sangue, sesso e Bibbia»)18, mentre Fred Niblo ha portato sullo schermo nel 1926 Ben-Hur. Anche il fascismo ha cavalcato, abbastanza tristemente, il genere: nel 1937 un massiccio investimento economico è stato stanziato per la realizzazione della pellicola Scipione l’Africano di Carmine Gallone, con l’intento non celato di celebrare la continuità tra il mito della Roma antica e la nuova politica imperiale del regime19.

Dopo il secondo conflitto mondiale, il momento di maggiore successo del genere è invece rappresentato dagli anni Cinquanta, quando i produttori americani decisero di introdurre il cinemascope per arginare lo strapotere che la neonata televisione cominciava a disvelare al suo pubblico20: le scenografie e la messa in scena de La tunica di Henry Koster (la prima pellicola a sperimentare appunto le lenti anamorfiche, nel 1953) hanno così segnato un punto di non ritorno. Ma non solo: quegli stessi produttori hanno deciso di portare avanti anche l’idea di sfruttare il mercato e le maestranze italiane, dando vita a Cinecittà a quella che fu poi definita come la «Hollywood sul Tevere»21. Sono sbarcate a Roma le produzioni americane, star del calibro di Kirk Douglas (Ulisse di Mario Camerini, 1954). Le fatiche di Ercole (1958) di Pietro Francisci con la fotografia di Mario Bava e il «Mister Universo» Steve Reeves nella parte di Ercole è per esempio considerato da molti come il vero capostipite del «nuovo cinema mitologico italiano»22, seguito da numerose e alle volte semisconosciute pellicole, distribuite nel circuito ufficiale, ma anche nelle sale parrocchiali e nei cinema di quartiere23: Annibale (1959), Davide e Golia (1959), Gli ultimi giorni di Pompei (1959), Nel segno di Roma (1959), Maciste nella valle dei Re (1960), Solo contro Roma (1962). Come scrive Della Casa:

Per circa otto anni i film mitologici costituiranno una sorta di pietra filosofale per i produttori italiani: sul piano degli investimenti, richiedendo bassi costi e tempi minimi di realizzazione, e riuscendo ad essere venduti in tutto il mondo, garantiranno una redditività molto superiore a quella dei kolossal realizzati in Italia con capitale e regista americano, come Ben-Hur di William Wyler o Cleopatra di Joseph Mankiewicz. Ma la povertà di mezzi che caratterizza il genere diventa anche la base fondante di una precisa estetica24.

È dunque in questo contesto (di genere) che vanno inseriti e compresi i film su Costantino, dove alla precisione storiografica (cercata solo alle volte) si sostituiscono la spettacolarità e l’epica delle storie, alla lettura critica delle fonti si predilige l’enfasi di plot o sub-plot accattivanti, alla ricostruzione dei personaggi una loro stereotipizzazione25.

All’indomani dell’uscita nelle sale del Costantino di De Felice, il critico cinematografico de La Notte scrisse che in fondo «è una modesta biografia dell’imperatore che, per aver riconosciuto il cristianesimo come religione autorizzata dallo Stato, si è visto appioppare un massiccio carico di leggende»26. A posteriori, non si può dire lo stesso per le «leggende» cinematografiche: sono tutto sommato pochi i film su Costantino rispetto alla sterminata filmografia relativa al genere27; queste pellicole possono essere fatte rientrare nella sotto-categoria tematica del «tramonto dell’Impero tra barbari e trionfo del Cristianesimo»28. Come altri hanno notato, «l’interesse per la storia dei secoli in cui maturò il crollo dell’Impero sembra abbastanza scarso, se si escludono le numerose rivisitazioni di vicende di martiri, che hanno termine solo con la conversione di Costantino […]. I personaggi coloriti in realtà non mancano […], ma sono forse troppo poco noti per stimolare la fantasia degli sceneggiatori e per attirare la massa del pubblico»29. Dopo La caduta dell’Impero romano di Anthony Mann del 1964 (nel cast anche Sofia Loren e Omar Sharif) e Il gladiatore di Ridley Scott del 2000, dedicati a Marco Aurelio e Commodo, sarebbero stati infatti Attila e in generale il V secolo a catalizzare maggiormente l’interesse del cinema e della televisione, a scapito del ben noto imperatore figlio di Elena e Costanzo Cloro, nonostante la sua «celebrità», se si passa il termine, e nonostante la «memoria storica» romanzata della sua biografia che ben si presta alla messa in scena. Come ha scritto nella sua tesi dedicata proprio a Costantino un giovane laureando dell’Università di Torino nel 1927, Paolo Roasenda, ovvero quel Padre Mariano che sarebbe stato dal 1955 il primo telepredicatore della Rai:

Anche il meno studioso ragazzo delle nostre scuole se venga interrogato sulla persona di Costantino, risponderà senza fallo così: «Costantino il Grande è il primo imperatore che diede in favore dei cristiani l’editto di Milano» aggiungendo, se la sua memoria glielo suggerisce, l’anno: 313. […] Il nome di Costantino nella cultura media è indissolubilmente congiunto con la frase «editto di Milano»30.

Costantino, un eroe dello schermo: dal muto all’eastman color fino ai generi neotelevisivi

In hoc signo vinces di Oxilia: anche il cinema celebra il 1913

Il cinema delle origini non si è fatto sfuggire la ghiotta occasione offerta dall’anniversario costantiniano del 1913 e così, in anni in cui l’Italia cinematografica si stava imponendo anche nel mercato estero per la realizzazione di film storici in costume (Quo vadis?, Marcantonio e Cleopatra, Nerone e Agrippina, Spartaco), dei quasi ottocento titoli prodotti da gennaio a dicembre di quell’anno uno è stato anche dedicato a celebrare la figura e l’opera di Costantino. L’imperatore cristiano fece così la sua prima apparizione su celluloide.

La casa di produzione torinese Savoia (Torino era la Cinecittà di allora) ha infatti affidato al già celebre letterato Nino Oxilia31, giornalista, scrittore, poeta e qui alla sua prima prova dietro alla macchina da presa, la direzione del film che ha come titolo la frase apparsa in cielo a Costantino prima della battaglia di ponte Milvio, In hoc signo vinces, come racconta Eusebio nella sua Vita Constantini.

Il 1913 è stato per la storia del cinema un anno di svolta: il legislatore introduceva, per la prima volta in Italia, la costituzione di un organo ufficiale preposto alla censura della produzione cinematografica, che tanta parte avrebbe avuto negli anni a venire; è l’anno che sanciva in modo evidente un fenomeno che non avrebbe abbandonato più la settima arte, quello del divismo delle sue attrici (proprio per In hoc signo vinces si era voluta la già affermata diva Maria Jacobini, impostasi al pubblico qualche anno prima per l’interpretazione di Sancha d’Aragona in Cesare Borgia: lo stesso Oxilia avrebbe poi diretto anche le dive Lyda Borelli e Francesca Bertini)32. Ma non solo. Il 1913 è stato in particolare l’anno che vedeva imporsi con sempre maggior successo una nuova formula di fare film, quella del film lungo, il cosiddetto lungometraggio. La prima pellicola ‘costantiniana’ è, infatti, già un lungometraggio (2.500/3.000 metri)33, il cui soggetto è tratto dal dramma storico di Darga (o Draga) e sceneggiato da Giovanni Alessio34.

Il film è diviso in tre parti e 32 quadri; dopo aver portato lo spettatore ai tempi della Roma del IV secolo, alzando così il velo sulla quotidianità politica, sociale e culturale all’interno dei palazzi imperiali (tra congiure, piaceri e lusso), il regista concentra il suo sguardo sulle gesta di Costantino, nel biennio cruciale tra il 312 e il 313 d.C., sposando una lettura mitica tramandata dagli autori cristiani che ben si confà alla resa cinematografica: vengono così rappresentati l’entrata dell’imperatore e del suo esercito in Italia, dopo aver valicato le Alpi, l’accampamento a ponte Milvio sul Tevere, la visione la notte prima dell’attacco, l’episodio della croce e quello della «firma cristiana» sugli scudi, la vittoria sull’avversario Massenzio, fino alla proclamazione ad Augusto da parte del Senato e all’editto di tolleranza verso i cristiani, in un impero sotto il dominio suo e di Licinio.

Come veniva anticipato su La Vita Cinematografica nell’aprile del 1913:

Il fatto glorioso della liberazione del cristianesimo per opera di quello stesso potere imperiale, che l’aveva per lunghi anni perseguitato ed arricchito di innumerevoli martiri, fatto glorioso, immortalato negli eterni bassorilievi dell’arco di Costantino a Roma e dal celebre dipinto di Raffaello nelle stanze Vaticane, sta per essere reso popolare a mezzo della cinematografia, la quale, assurta ad arte vera, vuole, come è compito della nobilissima fra le attività umane, concorrere efficacemente alla educazione e all’istruzione delle masse35.

La rivista tornò poi sull’argomento nell’ottobre di quello stesso anno, a film uscito, per tessere elogi e avanzare confronti:

Andando a vedere il lavoro della Savoia In hoc signo vinces, pensavamo che, dopo aver assistito al Quo vadis?, questa film avrebbe dovuto impallidire al confronto di quella; ma alle prime scene dovemmo ricrederci e constatare che la Savoia ha raggiunto con questa film il diapason della sua produzione, e non avremmo mai creduto che questa Casa torinese fosse capace e così brava di portare a compimento una film ch’è semplicemente meravigliosa sotto qualsiasi aspetto e bisogna riconoscere che in parecchi punti non solo eguaglia Quo vadis?, ma lo supera di molto, con scene che sono magnifiche e oltremodo piacevoli ed artistiche36.

Al di là dell’entusiasmo, innescato anche dalla grandiosità della pellicola (per le scene di massa vengono impiegate per esempio circa seicento comparse)37, queste sono alcune delle poche recensioni apparse nella pubblicistica dell’epoca, in controtendenza, come notano gli stessi Bernardini e Martinelli – curatori del volume sul cinema muto italiano –, agli ingenti investimenti di capitali per la realizzazione della pellicola da parte della casa di produzione, che organizzava, per quegli anni, una vera e propria campagna pubblicitaria in grande stile38. Veniva promossa non solo all’interno del circuito dei cinema parrocchiali, come è presumibile che accadesse, ma coinvolgendo anche lo stesso pontefice. È noto infatti l’episodio del 1912, quando Pio X fu spettatore di una proiezione allestita nella sala del Concistoro, grazie a un telone bianco su cui venivano proiettate alcune sequenze relative all’inaugurazione del campanile di S. Marco a Venezia, dopo il crollo avvenuto dieci anni prima. Egli si era lasciato persuadere ad acconsentire a quella visione anche sulla base dei ricordi innescati in lui da quelle sequenze relative ai giorni trascorsi da patriarca nella città lagunare, prima della partenza per il conclave nel 190339. Meno risaputo è il fatto che sempre Pio X, l’anno dopo, veniva nuovamente convinto a ripetere quell’esperienza spettatoriale cinematografica: sfruttando questa volta alcune scene girate nella trevisana Riese, la sua terra natale, e solleticandolo con quella insolita, curiosa occasione di rivedere i compaesani di un tempo, il direttore della Savoia, Gariazzo, riuscì nell’impresa di presentare in anteprima al pontefice anche la prima copia del film su Costantino. Il papa, colpito per quel suo essere stato testimone di sequenze memorabili, decise poi di far rimanere l’operatore anche durante la benedizione a un gruppo di pellegrini40.

La casa di produzione, tra l’altro, aveva affidato allo stesso regista, contemporaneamente al film su Costantino, anche un altro lavoro, Il velo di Iside, girato utilizzando gli stessi set e quasi lo stesso cast, al fine di recuperare almeno in parte le numerose spese affrontate per In hoc signo vinces41. Se alcuni hanno parlato di flop finanziario, è pur vero che l’opera ha avuto una diffusione che non va certo sottovalutata per quegli anni42: la pellicola venne infatti distribuita non solo in Italia, ma anche in Francia, con il titolo di In hoc signo vinces. Par ce signe tu vaincras, in Germania (In diesem Zeichen wirst du siegen), in Gran Bretagna, in Spagna, in Svezia (I detta tecken skall du segra) e in Olanda (In dit teken zult gij overwinnen), dove ottenne un grande successo e continuò a essere proiettata almeno fino agli anni Venti.

Riuscì a imporsi anche negli Stati Uniti, diffuso come The Triumphs of an Emperor. «In hoc signo vinces» (By This Sign You will conquer), dove la rivista americana per antonomasia dedicata all’industria cinematografica, The Moving Picture World, fondata nel 1907, riservò all’opera molto spazio: accanto alla tradizionale recensione, inserì anche alcuni fotogrammi e più d’una immagine pubblicitaria (oltre alla consueta locandina, anche immagini create ad hoc usate come lancio da parte del distributore americano)43. Il 28 febbraio 1914, infatti, presentando il film ai suoi lettori, avvertiva che: «Those who are familiar with Roman history will certainly enjoy it»44; mentre sul manifesto, che riprendeva in una illustrazione l’imperatore impugnante verso il cielo il gladio, si insisteva sul confronto con la pellicola più celebre del genere, Quo Vadis?: «The arena scene in this wonderful drama by the Savoia Company, actually rivals the one in “The Last Days of Pompeii”, while the banque setting and its action seems better than the one in the famous production of “Quo Vadis”»45. La World Film Corporation, distributore americano della pellicola, ne dava notizia sempre sulle pagine della rivista con una sinossi accattivante, dove Costantino veniva presentato come l’eroe in un mondo barbaro e paganeggiante: «[Constance] Realizing that there is no peace in the court of Maximian for her, she, with her companions, mount their horses and rush to the Court of Constantine. Here exists no bacchanalian orgy, but the sweet calm of virtue. Constantine, amid the lowly, the oppressed and the poor, does his work of upright government»46. Come prevedibile, la climax narrativa era costituta dalla visione della croce, descritta in modo oleografico sia nel film sia nella recensione:

As day is declining, Constantine, unable to rest, peaces to and from between the tents when, at last, his eyes catch sight of something dazzling in the direction of the sun. He sees a splendid cross in the blue heaven in all its glory, with the inscription: “In Hoc Signo Vincis” [sic], but the Emperor, not comprehending the meaning of this sign, was further instructed in the clear night where a vision of the Lord Himself appeared, telling him: “By this sign you will conquer”, and directing him to engrave the Holy Cross on his shields47.

La Savoia non è l’unica casa di produzione italiana che aveva pensato di celebrare cinematograficamente l’anniversario costantiniano. Oltre all’organizzazione di varie proiezioni speciali da parte di alcune diocesi in parallelo a conferenze ed eventi (a Parma, per esempio, la «festa costantiniana» venne celebrata proiettando La Passione di Cristo, Pio X, San Pietro e il Vaticano e il Pellegrinaggio a Lourdes su volere del vescovo Guido Maria Conforti), anche la già affermata e storica Milano Film, quella che nel 1911 aveva prodotto Inferno girato da Francesco Bertolini (il primo film a cinque bobine nella storia del cinema italiano, ispirato alla prima cantica dantesca e alle illustrazioni di Gustave Doré), nei primi mesi del 1913 dava notizia di voler produrre una versione per il cinema del romanzo che Giovanni Mari aveva dedicato appunto a Costantino e pubblicato nel 1913 per la Società editrice Aldo Manuzio. Il romanziere, che con la stessa casa editrice aveva già dato alle stampe alcune raccolte di poesie (Wagner, Saggezza e follia, I Presagi) e una Storia e Leggenda di Pietro Aretino, aveva scritto In hoc signo. Ossia il trionfo del cristianesimo, in cui ripercorreva le gesta dell’imperatore cristiano, inserendo in appendice per il suo ‘lettore modello’48 – che immaginava poco avvezzo agli specialismi da antichista – anche un elenco e una spiegazione dei comunque «pochi termini archeologici e difficili» usati (dal semplice «agorà» ad «anabasi», da «angusticlavo» a «balneum», da «flabellifero» a «impluvium», fino all’«in hoc signo vinces!», all’esclamazione ebraica «raka!» e a «xystus», il paesaggio scoperto). Risulta qui interessante osservare come Mari, nella terza parte del suo libro, presentava la figura di Costantino dopo la sua conversione, passaggio che aveva solleticato i produttori cinematografici:

Sul trono d’Augusto ai Tiberi, ai Caligola, ai Neroni è succeduto Costantino, e gl’interessi dello Stato pesano ora assai diversamente che gli interessi di Roma. Roma non è più l’Impero, il mondo non è più idolatra. Lentamente l’Urbe stessa è stata conquistata da una religione diametralmente opposta alle tradizioni quiritiche, e nessun titolo appare così poco appropriato a Costantino come quello di Terzo Fondatore di Roma. Questo nuovo Marco Aurelio meno filosofo e più politico, questo Traiano che non credeva alle iniziazioni, ai misteri, agli oracoli, ai sogni, ai maghi, ai retori, credeva però nell’efficacia della virtù, dell’azione, del numero.

Sì; Cristo Dio avrebbe risanato un’altra volta l’Imperatore; in questa speranza, in questa certezza, Augusto si risentiva già più vicino, più legato al cristianesimo. Non era d’altronde questa la religione alla quale egli aveva affidato le sorti di Ponte Milvio, vale a dire se stesso e l’Impero? Alla quale aveva sacrificato le sue predilezioni neoplatoniche, il vecchio suo sogno di confondere in una tutte le religioni? All’ambizioso e sagace ammiratore di Diocleziano, al soldato, allo statista, al principe calcolatore, il quale, dopo tanta esperienza di predecessori, era veramente riuscito a riunire sotto di sé tutto l’Impero e questo voleva ringiovanire, informandolo a una nuova morale che lo allontanasse dal molle, libero, individualistico paganesimo, nessun’altra religione poteva piacere più che la religione di Cristo, suscitatrice di energie e insieme agguerrita contro ogni filosofia, contro ogni rivolta individuale; una religione che non era greca, tampoco romana, ma sórta in un angolo sprezzato dell’Impero, e che, odiata e combattuta da coloro stessi presso i quali era nata, nessun pregiudizio portava in sé né di nazione né di casta; una religione da poter vantare, e tuttavia tanto fattiva da soggiogare i Romani stessi, sì che già quasi a loro più non appariva straniera. E siffatta religione era più pura, più ideale che non le teorie dei filosofi più idealisti, ed insegnava il bene come fine, l’obbedienza e l’abnegazione come mezzo, e poneva il suo paradiso di là dalle conquiste degli uomini, e qui, sulla terra, predicava una giustizia eroica e imponeva l’obbedienza alle leggi; ed era professata da persone così pronte al sacrificio, così attive, così numerose, diventata dovunque fede degli schiavi e dei liberi, dei ricchi e dei poveri, delle plebi e delle legioni, già ormai formata, costumanze ormai divenute norme, tradizioni ormai fissate in leggi. Costantino si sentiva cristiano; sì, Cristo l’avrebbe guarito!49

Il progetto cinematografico «costantiniano» della Milano Film, nonostante i presupposti, non è tuttavia andato oltre la fase dell’ideazione; la pellicola di Oxilia continuava così a detenere il primato, per quanto riguarda il periodo del muto, sul Costantino cinematografico.

Costantino il grande, ovvero Constantine and the Cross di Lionello De Felice: il 1961. «L’âge d’or» del peplum

Per rivedere la figura di Costantino protagonista di un’altra pellicola cinematografica occorre attendere quasi una cinquantina d’anni. Tra il 1960 e il 1961, infatti, nel periodo di massimo splendore del peplum, Lionello De Felice, regista e sceneggiatore con all’attivo già più di una decina di titoli (tra l’altro sceneggiatore non accreditato in Fabiola di Blasetti prodotto per la cattolica Universalia), gira in totalscope a colori Costantino il grande, conosciuto anche con il prevedibile sottotitolo In hoc signo vinces50, prodotto da Felice Felicioni per la Jonia Film, ed esportato negli Stati Uniti con il titolo Constantine and the Cross, in Portogallo come Constantino, o Grande e in Spagna come Constantino, el Grande. Il cast è formato da star per lo più straniere: il candidato all’Oscar Cornel Wilde, per l’interpretazione di Chopin in L’eterna armonia (1945), interpreta Costantino mettendo «in risalto l’umanità del personaggio»51 (Bianchi su Il Giorno ha scritto: «con quel suo viso da boscaiolo, non è un Costantino impeccabile, ma ce la mette tutta»52); la formosa Belinda Lee, dopo essere stata Lucrezia Borgia e Messalina, è qui Fausta, moglie di Costantino e figlia di Massimiano, mentre la giovane Christine Kaufmann («la graziosa tedeschina»53) è la cristiana Livia. Tra gli italiani, Massimo Serato (Massenzio), Fausto Tozzi (Adriano), Elisa Cegani (Elena) e Carlo Ninchi (Diocleziano). Se il Mereghetti lo definisce «un kolossal made in Italy che cerca di mediare esigenze spettacolari con il rispetto della verità storica»54, il Morandini enfatizza più il ruolo giocato dagli attori: «un classico del filone storico in costume di moda in Italia negli anni Sessanta: tra scene spettacolari di battaglia e sontuose scenografie, gli attori, beniamini del pubblico di quei tempi, se la cavano»55.

Il film, basandosi per lo più sul trionfalismo costruito nei secoli dalla propaganda costantiniana, semplificando e creando di sana pianta episodi e figure e accentuando la contrapposizione tra Costantino come unico difensore dei cristiani (il pius Constantinus promosso dagli antichi autori cristiani)56 e la Roma pagana e anticristiana («Gli dei ti sono propizi», dice un senatore a Massenzio, che risponde sprezzante: «Dillo a chi ci crede!»; e ancora, nella fase finale della battaglia, dopo aver appreso che i reparti di Costantino erano penetrati nel carcere, esclama: «maledetti cristiani!»), ripercorre le vicende della vita del figlio di Costanzo Cloro, dall’abdicazione dei due Augusti, Diocleziano e Massimiano, nel 305 d.C. fino alla vittoria di Costantino contro Massenzio, nella battaglia di ponte Milvio.

Nel film non poteva certo mancare l’episodio della visione della croce. De Felice ricorre a un doppio stratagemma. Il giorno prima della battaglia, di sera, Costantino e Massenzio si incontrano sul ponte Milvio, e durante l’incontro quest’ultimo fa sapere allo stesso Costantino che tiene prigioniere sua moglie e sua madre:

Massenzio: «Deponi le armi e riconoscimi il solo legittimo imperatore»

Costantino: «E avrò salva la vita?»

Massenzio: «Soltanto la tua. Non quella dei tuoi amici cristiani. Grazie al tuo editto non si nascondono più. Mi sarà facile sterminarli fino all’ultimo»

Costantino: «È questo che volevi dirmi?»

Massenzio: «Aspetta. Se ho voluto parlarti c’è un motivo. Risparmierò uno solo dei tuoi cristiani. È già in mio potere. Si chiama Elena. Non hai scelta. Anche la via della ritirata ti è preclusa. Le legioni di Galerio sono alle tue spalle, ma non per aiutarti. Galerio è morto. Il mio alleato Licinio ne ha preso il potere. Ti schiacceremo!»

La preoccupazione di Costantino per lo scontro con Massenzio si concretizza in una serie di effetti sonori e visivi, che anticipano la visione e sostituiscono il sogno: nella tenda, dopo una riunione con i suoi generali, Costantino prefigura i rumori della battaglia, le spade e le urla dei feriti. A questi segue una serie di frasi evocative a lui rivolte in precedenza (Massenzio, Costanzo Cloro, la madre Elena), che ora rielabora, come pensieri che si sovrappongono. Di colpo tutto è interrotto da una prima visione: è sua madre Elena, che gli dice: «Non siamo mai soli. Dio è con noi». Uscito di corsa dalla tenda, Costantino volge lo sguardo al cielo. Nel più classico degli effetti, dopo lampi e tuoni, il cielo si rischiara e una luce, apparentemente il sole, si trasforma in una croce luminosa, che gli annuncia: «In hoc signo, vinces». La struttura narrativa di questa macrosequenza aderisce pienamente allo schema elaborato da Vladimir Propp nella sua Morfologia della fiaba (fornitura dell’oggetto magico – trasferimento – lotta): l’eroe Costantino è ora pronto allo scontro con l’antagonista Massenzio e a vincere. A tal punto da poter convincere del successo dell’impresa anche il suo esercito, incitandolo a combattere in nome della croce57:

Soldati, noi stiamo per attaccare Roma! Ognuno di voi, domani, avrà di fronte un parente, un fratello, forse il proprio figlio. È la guerra civile. La storia giudica sempre con severità chi la intraprende. Ma io non ne temo il giudizio, perché ci batteremo sotto l’insegna della giustizia: la croce. La croce degli umili, dei diseredati, degli oppressi. Io non vi costringo però ad accettarla come vostra fede. Restino con me soltanto coloro che vogliono combattere per il diritto di tutti gli uomini a vivere liberi da tirannie, minacce e intolleranze.

Dopo l’epico scontro e dopo che Costantino ha ucciso Massenzio (con quel gladio che prima richiamava la croce), la sequenza finale del film si celebra sempre all’insegna della retorica: l’imperatore Costantino, su un cavallo bianco (Massenzio cavalcava invece un destriero nero), è circondato da una folla di cristiani che lo acclama esultante, tra cui la cristiana Elena. Costantino vede per la prima volta il volto di quella che ora sa essere sua madre, che non aveva mai conosciuto dalla nascita58.

Costantino: «È tuo figlio che ti abbraccia, non l’imperatore»

Elena: «Costantino, figlio mio…»

Costantino: «Miei legionari, ascoltate. La vostra lealtà e il vostro coraggio hanno cambiato il corso della storia. Le generazioni future ve ne saranno grate»

Una serie di stacchi tra primi piani di Costantino e i fedeli cristiani (vestiti con tuniche bianche, in contrapposizione ai pretoriani di Massenzio, che indossano invece quelle rosse), e totali sull’esercito, esaltano il pathos di quel momento di trionfo; tra i soldati spiccano le insegne imperiali con la croce che sostituiscono quelle pagane di Massenzio. Chiude la sequenza finale del film un carrello verticale che dall’inquadratura su Costantino e il suo esercito a Roma sale verso il cielo, unendo così visivamente la terra con il cielo, Costantino con Dio, il suo impero con i cristiani.

Subito dopo l’uscita del film nelle sale, la cattolica Rivista del cinematografo, la più antica rivista di cinema italiana, gli dedicò la copertina di marzo, presentandolo poi ai suoi lettori nel numero successivo:

Foschi intrighi, lotte sanguinose per la conquista del potere, battaglie cruente formano il tessuto narrativo di quest’opera che se pecca di approssimazione storica come tutti i film del genere, tuttavia non altera la figura del grande imperatore romano, che campeggia sulla scena di un’epoca tra le più torbide e determinanti per la storia. Accentrato nella scena più bella e significativa dell’apparizione della Croce che darà vittoria a Costantino sul rivale Massenzio, il film accumula nella prima parte tutti i motivi truculenti che rispecchiano il clima esasperato di un’epoca al tramonto: le convulsioni in cui si dibatte l’agonizzante potenza romana drammatizzate dai foschi retroscena delle lotte intestine esasperate da un personaggio tanto fosco quanto immaginario quale risulta il Massenzio della storia cinematografica, contrapposto al giusto e illuminato Costantino.

L’articolista concludeva in modo positivo la sua breve analisi:

[Questi elementi] Non valgono qui, per documentare un’epoca al tramonto, quanto per dar risalto al trionfo del Cristianesimo che da culto clandestino passa alla legalità e all’affermazione di religione per il segno divino della croce e per l’editto di tolleranza che mette fine alle persecuzioni. Da questo motivo determinante la storia acquista una nobiltà d’accenti che esula dai soliti film del genere e Lionello De Felice ha saputo ben interpretare la portata e il significato di tale motivo, valorizzandoli attraverso un’evocazione storica eccezionalmente impegnata e dignitosa. Uno stuolo di bravi attori ha sostenuto la fatica dell’autore59.

Sulla stessa lunghezza d’onda è la scheda redatta dal Centro cattolico cinematografico dell’Azione cattolica, apparsa sul numero 10 del 1961 di Segnalazioni cinematografiche:

Nella sempre più folta teoria di film «storici» è piuttosto raro imbattersi in un’opera dignitosa come questa. Pur accettando la necessità di «romanzare» il soggetto ai fini della realizzazione cinematografica, ma senza indulgere troppo alle variazioni più o meno necessarie, il regista ha inteso porre in risalto, tra scene di massa e di battaglie, soprattutto la figura del protagonista, la sua psicologia e la sua umanità. Appropriata la scelta degli attori, che hanno contribuito con una composta recitazione alla realizzazione del film.

Il fattore interessante è tuttavia il consueto e temibile giudizio morale che accompagnava la breve sinossi e il giudizio estetico riportato sopra, motivo per il quale erano state pensate queste schede, con il fine di facilitare la scelta delle pellicole da parte del circuito dei cinema parrocchiali e di guidare la visione delle famiglie, e, quindi, boicottare i film considerati immorali60.

Un confronto tra due differenti giudizi morali di due organi pastorali, quello italiano e quello portoghese, rivela le diverse sensibilità che guidavano le scelte ufficiali dei redattori cattolici. Quelli italiani ritenevano, infatti, che:

a parte gli elementi sentimentali e romanzati, che peraltro non risultano negativi, gli avvenimenti storici narrati tendono a mettere in luce i valori positivi del cristianesimo e la sua vittoria sul mondo pagano. Qualche scena di violenza troppo insistita e taluni abbigliamenti femminili consigliano di limitare la visione del film agli adulti61.

Il corrispettivo portoghese, il Boletim Cinematográfico del Secretariado do Cinema e da Radio da Acçao Catòlica Portoguesa, nel 1964, anno in cui la pellicola veniva distribuita nei mercati di lingua portoghese dalla Filmes Cast. Lopes, avvisava invece i propri fedeli che, oltre a una «excelente fotografia, bons panoramas, indumentária apropriada e vistosa. Desempenho em bom plano», si riteneva superato anche l’apreciação moral: «Uma ou outra cena de violência não impede a classificação para todos»62.

Di tutt’altro parere il critico de L’Unità, che non poteva fare a meno di notare la strumentale contrapposizione cristiani-anticristiani e l’eccessiva libertà degli sceneggiatori nella ricostruzione storiografica degli avvenimenti:

Si contano ormai a decine i film imperniati sulla grandezza dell’Impero romano e sul martirio dei seguaci in Cristo. Nessuno però che ci racconti l’autentica storia di Roma e le sue fondamentali ragioni delle persecuzioni contro i cristiani. Costantino il Grande segue naturalmente le consuetudini, anche se si può notare un certo sforzo formale nella realizzazione. Ma si tratta, in definitiva, della solita pizza, piena di battaglie e di una certa predilezione per il granguignolesco.

E concludeva in modo lapidario:

Nel film tutti tramano contro Costantino, ma egli riesce ugualmente a farsi eleggere imperatore e, con il famoso editto, a dare la libertà di culto ai cristiani. Il resto è uguale al film sull’imperatore vattelappesca visto la settimana scorsa63.

Quando il film uscì in Italia, forse anche sull’onda del successo di pubblico del genere, ottenne dunque diverse recensioni da parte dei critici cinematografici sia sulle riviste sia sui quotidiani dell’epoca, apparse nei mesi tra febbraio e marzo 1961, sicuramente un’attenzione maggiore rispetto a quella che le storie del cinema sarebbero state disposte a concedergli: da Il Corriere d’Informazione a La Notte, recensioni entrambe apparse il 23 febbraio 1961, da Roma64 a Il nuovo spettatore cinematografico, fino a Il Giorno e La Stampa. Quasi tutti sono concordi da una parte nell’enfatizzare la spettacolarità delle scene girate, soprattutto quelle di battaglia e di massa, e dall’altra nel rimarcare l’asservimento della storia alle esigenze narratologiche della fiction: l’insistito amore di Adriano per la giovane cristiana Livia, «le fosche mene di traditore»65 di Massenzio, il ruolo di Fausta «che appare incredibile»66. Tutto ciò ha portato il critico de La Notte a scrivere, con una certa ironia, che:

come testo scolastico il racconto non è valido; come spettacolo, invece, si regge con un certo decoro. Il regista De Felice […] conferma la sua vocazione; beninteso, una cattedra di storia non gliela affiderebbe nessuno67.

Gian Piero Dell’Acqua, sempre su La Notte, ha rincarato la dose, divertendosi ad accennare ad alcuni «episodi romanzeschi […] di livello molto basso»68 (Costantino si getta nella fossa dei leoni per difendere un bambino – episodio che richiama vagamente quello raccontato negli Actus Sylvestri, quando un Costantino malato di lebbra si oppone all’uccisione dei fanciulli per il bagno guaritore nel loro sangue, come volevano i sacerdoti pagani –, i cristiani vengono rappresentati come «masse di individui laceri, dalle barbe incolte e dall’apparenza semi-demente», i personaggi sono per lo più manichini e ritratti in modo infantile) e a più sostanziali incongruenze storiografiche (basandosi su «autorevoli testi di storia, come il Fischer»). Ad esempio, la «insistente simpatia» che legherebbe Costantino ai cristiani (e che, secondo il film, affonderebbe le sue radici nella confessione di Costanzo Cloro a Costantino, quando, in punto di morte, gli avrebbe raccontato che la madre, fino ad allora sconosciuta allo stesso Costantino, era una cristiana) riscrive totalmente la sua biografia in una forma inedita anche alla propaganda cristiana che, dal IV secolo in poi, «impone» la sua memoria. Viene così ignorato sia quanto si sa grazie alle fonti antiche (Eusebio per esempio racconta che fu Costantino a far convertire la madre, dopo l’editto del 313), sia la storiografia più recente:

Si può chiedere, oggi, a un film storico, di dare almeno il senso della diversità dei luoghi in cui si svolge l’azione, senso che qui non si ottiene; si può pur chiedere, concesso quel che si vuole allo spettacolo e al fumetto, di imitare gli americani anche nella buona abitudine di dare, sia pur vagamente, una informazione sulla reale importanza storica e politica del personaggio di cui si tratta: ciò che qui non avviene69.

La stessa lettura, anche se in modo più sfumato, si può ritrovare anche nell’articolo uscito a firma di Leo Pestelli, critico cinematografico de La Stampa:

Purtroppo siamo così cinematograficamente avvezzi a questi falsi, che non rimprovereremo al regista la sua mancanza di chiaroscuri nella figurazione del personaggio. Che qui è tutto risolto nella sua vocazione alla fede di Cristo, discesagli per li rami di una madre cristiana e come tale perseguitata. Altre invenzioni non mancano alla vicenda accentrata dal soggettista Fulvio Pamieri sulla lotta che Costantino sostiene con Massenzio [come] altri episodi e figure tolte in prestito dal repertorio fumettistico70.

Come si diceva all’inizio, al di là delle giuste osservazioni e delle incongruenze storiografiche messe in evidenza sui giornali (utili per lo più allo spettatore del film, che, come un diapason, se ne serve per muovere nel giusto modo le corde dell’interpretazione della fiction, per una messa in guardia della propria visione), molte delle recensioni della critica cinematografica italiana sono figlie del ‘rifiuto’, se così si può chiamare, di un genere per lo più snobbato o considerato poco nobile, ma sdoganato e apprezzato oltralpe71. Qualche mese più tardi Aristarco offriva infatti ai lettori de La Stampa una panoramica sui numerosi film storici del periodo, in cui è evidente ormai l’insofferenza verso il genere:

Siamo dunque tornati al cosiddetto film storico – meglio, in costume – dove di storico non c’è niente, spesso neppure i vestiti che gli attori indossano. [Questi film] continuano comunque a muovere il sorriso; sia pure involontariamente, cadono nel ridicolo. Sono rozzi film d’avventura, dove Annibale e Cleopatra, Messalina e Costantino affogano nel mare del romanzesco più vieto e nella mitologia più banale72.

Tuttavia il critico di formazione marxista tracciava una differenza sostanziale con gli obiettivi intrinseci della prima ondata di film storici di inizio Novecento: questi, secondo Aristarco, servivano anche per imporre il «mito della supremazia militare», delle «antiche virtù» della gente italica, dispiegando, attraverso le scenografie grandiose e posticce, un bagaglio di retorica e nazionalismo tale che Quo vadis? e Cabiria funzionavano come «corrispettivi, nel cinema, della Galleria e della stazione di Milano», perché offrivano «la stessa faccia di un’Italia vuota in una cornice fastosa, elefantiaca», tanto da fargli scrivere che «il supercolosso storico fu anch’esso un’emanazione del superuomo»73; i film sull’antica Roma degli anni Cinquanta e Sessanta, invece, non avrebbero più nulla a che fare con «la retorica della terza Roma»74. Le varie storie del cinema che negli anni hanno dedicato attenzione a Costantino il grande del 1961 non prendono infatti assolutamente in considerazione il lato storico della sceneggiatura o l’impatto che ebbe l’adattamento della vita dell’imperatore cristiano, bensì si concentrano su quell’estetica povera che contraddistingueva il genere in quegli anni, a tal punto che il riciclaggio delle scene, da necessità dovuta ai bassi budget concessi, diventava a posteriori, per la critica successiva, virtù. Ed è per questo che la pellicola di De Felice viene sempre ricordata: il regista ha avuto la possibilità di girare le sontuose scene di massa degli eserciti a Zagabria, permettendo così campi lunghi e panoramiche, scelta impossibile per quei direttori della fotografia che giravano nelle campagne laziali, in produzioni low cost. Non deve stupire dunque che le sequenze finali della sfilata dell’esercito di Costantino siano poi state sfruttate e riutilizzate tali e quali in svariate altre pellicole da registi e produttori che necessitavano sì di scene di massa, ma che però non potevano permettersele75.

Il Costantino del 2000: oltre al cinema, arriva la televisione. Dall’estetizzazione al docudrama

Oltre ai film qui analizzati, la figura di Costantino ricorre sullo sfondo di altre pellicole in costume (ad esempio, è chiamato in causa nel kolossal di Blasetti, Fabiola, del 1949, ambientato nel periodo in cui il figlio di Costanzo Cloro si sta muovendo verso Roma a capo del suo esercito, o nel film di prossima uscita Nicholas of Myra. The Story of Saint Nicholas) o viene evocato in modo allusivo (Ivan il terribile di Sergej Ejzenštejn del 1944) o marginale, come nel recente Fetih 1453, il blockbuster turco diretto da Faruk Aksoy da 17 milioni di dollari e dedicato alla caduta della città fondata da Costantino per mano dei turchi ottomani nel 1453. Visto da più di cinque milioni di turchi, è stato un vero e proprio caso cinematografico per la lettura proposta76. Se la casa di produzione non ha tardato a difendere il film come «historically accurate» e ad affermare che «the portrayal of events and the movie setting was reviewed by an advisory team of Turkish historians»77, molta pubblicistica non ha esitato invece a definire il film come «a turbans-and-testosterone epic, it is being hailed as a reaffirmation that a resurgent Turkey still has world-conquering blood in its vein»78.

Ciò che però contraddistingue gli anni Duemila è l’evidente e inedito interesse della televisione verso questa figura che tanto ha segnato la storia del cristianesimo, anche se nel mare magnum della produzione di fiction religiosa nostrana non è possibile rintracciare uno sceneggiato o una fiction ad hoc su Costantino, nonostante i vari progetti avviati.

Nel gennaio 2007, nel corso della conferenza stampa sul bilancio conclusivo dell’annata 2006 per la fiction Rai, proprio Agostino Saccà, allora direttore di Rai Fiction, ha infatti annunciato di voler girare nel 2007 Ai confini dell’Impero79, una miniserie prodotta dalla Italian International Film e scritta da Franco Bernini dedicata, come si legge nella scheda di presentazione, a una improbabile «spedizione segreta voluta dall’Imperatore Costantino per convincere i militari ad abbandonare il paganesimo»80. Un altro progetto in cantiere su Costantino, annunciato ma ancora non realizzato, è Imperium, della Lux Vide, la casa di produzione fondata nel 2002 dall’ex direttore generale della Rai Ettore Bernabei e diventata celebre per la produzione televisiva del progetto Bibbia. Imperium è una miniserie sulla Roma imperiale (da Cesare Augusto a Romolo Augustolo), ambientata in un’antica Roma totalmente ricostruita negli Empire Studios, il set cinematografico realizzato dalla Lux in Tunisia81. Come era stato annunciato, il ciclo prevedeva cinque puntate, tra cui una, la quarta, dedicata a Costantino. Tuttavia, dopo la messa in onda di Augusto e Nerone, il progetto è cambiato in corso d’opera e, rispetto ai piani iniziali, sono state prodotte solo le fiction su San Pietro (2005), su Pompei (2006) e su Sant’Agostino (2010), interpretato da Alessandro Preziosi (Agostino da giovane) e da Franco Nero (Agostino da anziano), ma ancora non quella su Costantino.

È invece la Bbc che nel 2006, in una coproduzione con la tedesca ZDF e Discovery Channel, manda in onda la serie Ancient Rome: The Rise and Fall of an Empire, un docudrama – il genere neotelevisivo frutto dell’ibridazione tra il documentario e la fiction82 – in sei episodi, ognuno dei quali dedicato a un «turning point» della storia dell’Impero romano («six key moments of Roman history»)83. Il quinto è dunque dedicato a Costantino (Constantine)84, interpretato dall’inglese David Threlfall, e segue gli episodi Caesar, Nero, Rebellion (su Vespasiano) e Revolution (su Tiberio Gracco). Chiude la serie la puntata numero sei, intitolata The Fall of Rome85. L’episodio Constantine, trasmesso da Bbc1 in prima serata il 19 ottobre è stato visto da 3,8 milioni di telespettatori, raggiungendo così il 17% di share. La serie è molto curata esteticamente e registicamente, in linea con i codici dei nuovi epic movies. Altre pellicole, infatti, sfrutteranno questa ricercatezza visiva: 300 di Zack Snyder del 2007 sulla battaglia delle Termopili, Agorà di Alejandro Amenábar del 2009 su Ipazia, ma anche le recenti serie televisive Spartacus. Blood and Sand e Borgia. Faith and Fear.

L’episodio in particolare racconta lo scontro tra Costantino e Massenzio, la battaglia di ponte Milvio, la nuova politica verso i cristiani e l’alleanza con Licinio, fino allo scontro del 324 (in una delle scene finali, Costantino griderà «One empire, one God, one emperor»86 e, per motivare il suo esercito, «The army of Rome marches in the name of the one true God»).

Ciò che la fa apparire come una delle fiction più convincenti, anche rispetto all’agiografia di certa fiction italiana, è la capacità di rendere credibile la storia raccontata87, a prescindere dalle scelte storiografiche fatte, che comunque sono ben evidenti e dichiarate. All’inizio della puntata (e così in tutte le altre), in un montaggio alternato con sequenze che mostrano l’accampamento dei soldati di Costantino, si avvisa, infatti, il telespettatore in tre schermate diverse che: «This film depicts real events and real characters. It is based on the accounts of writers from the Roman world and has been written with the advice of modern historians».

Nei titoli di testa, infatti, il primo nome che compare è sempre quello dell’historical consultant: se per la puntata su Nerone è Mary Beard della Cambridge University, per Constantine è invece Averil Cameron, docente, come si può leggere, alla Oxford University. Nella fiction, Costantino è affiancato da una presenza costante: quella di Lattanzio, il «Cicerone cristiano» – secondo la definizione datane da Pico della Mirandola – autore dell’opera De mortibus persecutorum (la voce narrante, dopo l’incontro a Milano tra Licinio e Costantino nel 313, dirà: «In his writings, Christian scribe Lactantius recorded the edict of Milan, as a landmark in Christian history», mostrando un Lattanzio soddisfatto che svolge una pergamena)88. In realtà, l’allievo del retore Arnobio fu sì il precettore del figlio di Costantino e visse alla sua corte a Treviri, dove peraltro poté concludere il suo lavoro storico-apologetico, ma vi giunse solo dopo il 316-317. La presenza dello storico a fianco di Costantino è funzionale quindi a ricordare al telespettatore che quello che è stato tramandato è il frutto degli scritti e della elaborazione di altri: il pubblico è così portato più facilmente a separare i fatti diretti (res gestae) dalla dimensione del racconto (historia rerum gestarum).

Che ci fosse stata un’attenzione particolare per la ricostruzione degli eventi lo si capiva già da un’intervista al produttore della serie che, confrontandola con altre fiction trasmesse dalla televisione inglese nel passato, aveva detto: «“[previous films] have tended to ignore the real history and chosen to fictionalise the story”. He overlooks I, Claudius, first shown in 1976, recycling now on Bbc Four – and still the benchmark for source-based historical drama on TV»89.

I personaggi sono ben ritratti, secondo quanto ci è giunto dalle fonti antiche e dalla ricerca contemporanea: Massenzio, per esempio, non è l’anticristiano così come il cinema di solito lo aveva presentato, bensì, essendo l’unico che risiedeva a Roma, colui che si serve della «romanità» per fare propaganda a se stesso e legittimare il proprio potere. Dopo aver consultato gli dei Giove, Apollo e Marte per conoscere il destino di Roma, e aver avuto il responso che «the enemy of Rome will be defeated», Massenzio dirà: «Yes. I am Rome. Constantine is my enemy, isn’t he? The enemy of Rome will be defeated». Proprio Lattanzio nei suoi scritti riporta che Massenzio, spaventato, ordinò di consultare i Libri Sibillini, per scoprire che «quel giorno il nemico dei romani sarebbe morto»90. Anche la già controversa conversione di Costantino (per le fonti che ce ne parlano) è più sfumata e non avviene all’improvviso, ma in modo più graduale e strumentale. Quando, nell’imminenza della battaglia di ponte Milvio, Lattanzio, al seguito di Costantino, cerca di convincere Costantino («Does he put his faith in God?», chiede un cristiano a Lattanzio, che risponde: «Not yet. But the Lord will open his eyes, or I will»)91, la scelta degli sceneggiatori nel narrare l’episodio del caeleste signum, che compare solo nella seconda redazione dell’opera di Lattanzio, si gioca su un registro nuovo: dal cielo cade una palla infuocata che lascia tutti attoniti. Lattanzio entra in campo, gridando: «It’s a sign. You see? From God!»92. Tuttavia, il narratore, che accompagna per tutto il racconto il telespettatore facendo anche numerosi richiami a ciò che gli storici antichi hanno raccontato, chiarisce: «Nobody knows for certain what Constantine’s army witnessed that day. One theory is that it was a meteorite. But what it was is less important than how it was interpreted». Costantino rimane piuttosto incredulo, ma Lattanzio insiste nell’argomentazione, convincendolo a disegnare sugli scudi dei suoi soldati il digramma di Cristo, che successivamente verrà adottato anche sul labarum («What is that? Where’s the eagle?», «That’s a Christian symbol!», dicono gli attoniti senatori all’entrata in Roma del vittorioso Costantino) e utilizzato, in modo alquanto teatrale, nello scontro con Licinio (gli storici sono piuttosto concordi nel postdatare a questo periodo, il 324, la sua prima introduzione).

Se anche la figura di Licinio viene raccontata in modo più aderente alle conoscenze attuali, in particolare per quel che riguarda lo scontro con Costantino, la sconfitta e il ‘confino’ a Tessalonica, il racconto cinematografico si prende una rivincita nella sequenza finale di questo docudrama, che porta la data del 325: in un montaggio alternato che permette di mostrare in modo efficace la simultaneità (fittizia) di due scene che si svolgono in luoghi differenti, il telespettatore può seguire, in modo assai suggestivo, lo svolgersi del concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico della storia del cristianesimo, indetto proprio dall’imperatore, e l’uccisione di Licinio. Le due scene sono unite sonoricamente dalla voce di Costantino che pronuncia la formula di fede, il simbolo niceno, con il quale sono condannate le proposizioni ariane.

In circa un’ora, dunque, l’episodio della Bbc porta sul piccolo schermo un frammento della vita di Costantino, in modo decisamente più riuscito rispetto ai precedenti tentativi. Tuttavia, una delle critiche avanzate ha puntato il dito contro la scelta non comprensibile dell’ordine della messa in onda nelle singole puntate della serie. Come ha notato Lindsey su The Time:

There is pleasing material here. The filming is good, the dialogue sounds real, the sets work, the military scenes will delight many. But if they stick with their eccentric programming, we’ll be jerked about maniacally: AD64, 54BC, 154BC, AD69, AD312, Fall of Rome. Nero wants to destroy war and power before we have seen them. Carthage falls and Gracchus lays foundations for empire when three episodes have established it so decisively that the Judaeans have rebelled against it. The historians who advised are sensible women, so do the men who produced and wrote this series have some evil genius controlling them? This is history on the Eric Morecambe principle: all of the moments – but not necessarily in the right order!93

Conclusioni: il mito continua

Come si è cercato di mostrare, dal 1913 il cinema prima e la televisione poi hanno cercato, in modi diversi, di raccontare le gesta e le imprese dell’imperatore cristiano. Senza alcun dubbio, anche le loro narrazioni – il cinema, come ha scritto Brunetta, può essere considerato infatti come «la fabbrica e la macchina mitografica più capace di agire a livello planetario andando a toccare corde profonde della psicologia individuale e collettiva»94 – hanno inciso nella costruzione della percezione collettiva di questa figura, come per secoli avevano fatto le celebrazioni liturgiche, i panegirici, l’architettura o l’iconografia tradizionale95: dagli Actus Sylvestri all’abside del Triclinio Lateranense fatto erigere da papa Leone III (momento in cui «la rappresentazione di Costantino diventa centrale nei manifesti figurativi della propaganda pontificia»96), dall’architrave della chiesa di S. Silvestro a Pisa agli episodi raffigurati da Maso di Banco per la Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze, tratti dalla Legenda Aurea (tra cui il sogno di Costantino e il battesimo dell’imperatore), fino al caballus Constantini e al ciclo di affreschi rinascimentali delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca, conservati nella basilica aretina di San Francesco (in particolare il Sogno di Costantino e la Vittoria di Costantino su Massenzio)97.

Se, dunque, come già aveva notato Amnon Linder in uno studio del 1975 sulla costruzione del mito di Costantino, «the figure of Constantine the Great became the central figure of an historical myth at a very early date»98, anche le varie pellicole, dal muto fino al docudrama, mettono in scena un Costantino la cui vita oscilla tra diverse, parziali ricostruzioni, ma tutte gemellate nel rinsaldare il suo mito e la svolta che diede al cristianesimo portandolo da religio illicita a religio licita. Come gli Actus Sylvestri scalzarono la Vita Constantini di Eusebio, giocando la carta dell’agiografia depurata (si veda per esempio la questione del battesimo tardo, sostituita dal battesimo a opera del pontefice Silvestro a Roma), così nel Novecento, secondo le forme che gli sono proprie (i testi audiovisivi), le pellicole non fanno altro che sostituirsi ai vari panegirici (più o meno consapevolmente) ed esaltare le gesta di questo ‘eroe’, attingendo dalle varie fonti (antiche e medievali) e ‘ritoccando’ di volta in volta gli episodi a seconda delle esigenze di copione e degli specifici linguaggi. Il mito di Costantino («a rich complex of legends, historical and pseudo-historical “facts”»99) subisce così un aggiornamento che si potrebbe definire tipicamente novecentesco. Può essere ancora attuale la considerazione espressa da Linder:

Various media served to convey the ideological messages typified in Constantine’s figure, from the reasoned historical-theological speculation in the polemical literature, to artistic creation, symbolic rituals, and the pseudo-historical and imaginary exempla-literature, but although different media implied different modes of presentation, one can easily discern the basic ideological theses denoted by the diversified mythical creation100.

D’altra parte gli stessi studiosi avevano avvertito che «ciò che più sorprende nella lettura dei vari livelli semantici che compongono l’immaginario relativo al primo imperatore cristiano è la molteplicità di interpretazioni che da esso scaturirono, coerentemente funzionali anche a ideologie tra loro contrapposte»101, tra la propaganda pontificia e la propaganda imperiale, tra Oriente e Occidente, tra l’interpretazione cattolica e quella protestante, di cui non è sempre facile individuare la mediana.

Infine, per concludere questa carrellata sul mito audiovisivo di Costantino, occorre accennare a un’altra forma in cui si presentifica questo stesso mito: esso non rivive infatti in modo esplicito solo nelle pellicole o nelle fiction trasmesse dai media audiovisivi, ma anche in altre forme, più ambigue, correlate non tanto direttamente alla sua persona, quanto piuttosto a quella che è stata definita come l’eredità costantiniana.

L’era di Costantino, intesa come «un’epoca caratterizzata da un’alleanza simbiotica fra il potere argomentativo-simbolico della teologia e il potere istituzionale-pragmatico di imperatori e sovrani che nell’arco di diciassette secoli di quelle argomentazioni si sono avvalsi a sostegno delle proprie politiche e che – di converso – hanno favorito la chiesa attraverso il potere costituito»102, nonostante autorevoli studiosi più volte ne abbiano decretato la fine103, in realtà sopravvive in forme che la televisione, per sua natura, tende a enfatizzare ogni qual volta il potere politico «incontra» il potere spirituale, traducendo in immagini l’appellativo Christianitas vestra.

La televisione e le immagini si fanno dunque veicolo di massa del persistere del peso dell’eredità costantiniana, rielaborandola nei suoi più rodati stilemi, da quelli più superficiali e beceri104 a quelli più scenografici e significativi: esempi della manifestazione della «symphonia visiva» tra Stato e chiesa si ritrovano nella devota immagine del neopresidente della Federazione russa Vladimir Putin assieme al patriarca sulla porta del Cremlino, o nelle sequenze che la televisione russa ha trasmesso nel maggio 2012, relative alla cerimonia di insediamento dello stesso Putin come nuovo presidente, per il terzo mandato non consecutivo. La sua entrata nel salone d’onore (lunghissima rispetto ai tempi televisivi abituali, preceduta da una studiata costruzione patemica provocata dalla sua attesa) non può non richiamare alla mente le sequenze del Costantino di De Felice. Si può avanzare infatti un parallelismo neanche troppo avventato tra lo studiato passaggio del nuovo presidente russo in mezzo a due file di autorità civili e religiose, nonché tra i suoi sostenitori che lo applaudono e cercano di stringergli la mano, e l’entrata trionfante in Roma di un Costantino a cavallo tra gli esultanti cristiani, che finalmente possono uscire e professare la loro fede in modo visibile. D’altra parte il nuovo cerimoniale imperiale inaugurato da Costantino con la fondazione della nuova Roma, Costantinopoli, è alla base dei cerimoniali regali e imperiali di molti paesi europei e uno di quelli che più trae origine da questa innovazione costantiniana oggigiorno è proprio il cerimoniale presidenziale russo (l’entrata del presidente nella sala di Sant’Andrea tra le autorità più importanti della chiesa e dello Stato, richiama la descrizione di Eusebio di Cesarea dell’entrata di Costantino nel suo palazzo in occasione del Concilio di Nicea del 325).

In conclusione, se Aiello nel suo saggio sugli aspetti del mito di Costantino in Occidente, dopo aver passato al setaccio le sue riscritture biografiche attraverso le varie fonti, scriveva che «il nostro è il Costantino venuto fuori da quel filtro, attraverso il quale dodici secoli di celebrazione agiografica avevano ceduto il posto alla esaltazione epica»105, e dunque il Costantino del sogno e di ponte Milvio a scapito degli episodi più tardi della lebbra e della donazione, allo stesso modo si può dire oggi che il Costantino del pubblico è quello che si è depositato anche grazie ai film e alle fiction, radicando nell’immaginario parte della propaganda cristiana dei secoli precedenti.

A un secolo esatto dalla prima proiezione di In hoc signo vinces, l’approssimarsi dell’anniversario costituito dal 2013 ha rimesso in moto l’interesse dei produttori cinematografici e televisivi106 (varie puntate all’interno dei programmi storici sono state già dedicate alla sua figura) e dunque, come di consueto, la macchina cinetelevisiva pare più pronta che mai per ripartire a pieno ritmo.

1 Cfr. ad esempio Lu. Cotta Ramosino, L. Cotta Ramosino, C. Dognini, Tutto quello che sappiamo su Roma l’abbiamo imparato a Hollywood, Milano 2004.

2 Cfr. J. Siclier, L’âge du péplum, pp. 26-38, L. Moullet, La victoire d’Hercule, pp. 39-42, M. Mardore, La fascination du phénix, pp. 41-45, in Cahiers du cinéma, 131 (mai 1962); R. Durgnat, Hommage to Hercules, in Motion, 6 (1963). Per l’Italia, G. Fofi, Maciste sugli schermi, in Catalogo Bolaffi del cinema italiano 1945-1965, a cura di G. Rondolino, II, Torino 1967. Cfr. anche S. Della Casa, L’estetica povera del peplum, in Storia del cinema italiano, a cura di G. De Vincenti, 10 (1960-1964), Venezia-Roma 2001, pp. 306-318.

3 S. Della Casa, Peplum, in Enciclopedia del Cinema, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2004, pp. 397-400. Cfr. anche dello stesso autore Il mitologico-peplum, in Prima della rivoluzione: schermi italiani 1960-1969, Venezia 1989, pp. 89-94.

4 R.C. Provenzano, Peplum, in Enciclopedia del cinema, a cura di G. Canova, Milano 2003, p. 894.

5 M. Éloy, Rome, in CinémAction, 89,4 (1998), pp. 56-62.

6 Cfr. G. Casadio, I mitici eroi. Il cinema «peplum» nel cinema italiano dall’avvento del sonoro a oggi (1930-1993), Ravenna 2007, p. 7.

7 Cfr. A. Farassino, T. Sanguineti, Gli uomini forti, Milano 1983; B.C. Before Conan, a cura di S. Della Casa, C. Piazza, Torino 1984 e O. Lapeña Marchena, Guida al cinema “Peplum”. Ercole, Ursus, Sansone e Maciste alla conquista di Atlantide, Roma 2009.

8 Una utile classificazione alla quale anche qui si fa riferimento è proposta in G. Casadio, I mitici eroi, cit. Cfr. anche D. Elley, The Epic Film. Myth and History, London 1984, e O. Lapeña Marchena, Guida al cinema Peplum, Roma 2009. Su Ettore Petrolini, cfr. Ettore Petrolini. Il teatro. Facezie, autobiografie e memorie, a cura di G. Antonucci, 2 voll., Roma 1993, e N. Ghelli, Petrolini. Una galleria di tipi umani, in Rivista del cinematografo, 4 (aprile 1957), p. 131.

9 Risultano fondamentali, per esempio, P. Schrader, Trascendental Style in Film, Berkeley (CA) 1972 (trad. it. Il trascendente nel cinema, Roma 2002); A. Join-Lambert, S. Goriely, Cinéma, religion et spiritualité, in Ephemerides Theologicae Lovanienses, 84,4 (2008), pp. 537-563; Cinema e religioni, a cura di S. Botta, E. Prinzivalli, Roma 2010; Il volto e gli sguardi. Bibbia letteratura cinema, a cura di S. Isetta, Bologna 2010; A. Bernardi, Lo schermo di Dio. Cinema e pensiero religioso, Genova 2011.

10 Cfr. per esempio la premessa di S. Botta ed E. Prinzivalli, in Cinema e religioni, cit., pp. 11-21: «soffermiamoci però ancora un momento sul problema teorico più grosso che deve affrontare chi parla di cinema e religione: il sacro è rappresentabile? Torniamo per un istante alla suddetta prospettiva occidentale. La domanda e le risposte non nascono certo con la settima arte e con l’età contemporanea. Il cristianesimo ha affrontato si può dire dalle origini questa fondamentale questione» (p. 14). Sul concetto di sacro nella cultura contemporanea si è interrogata l’Associazione di studi semiotici nel colloquio su I destini del sacro, cfr. gli atti Destini del sacro. Discorso religioso e semiotica della cultura, a cura di N. Dusi, G. Marrone, Roma 2008.

11 S. Della Casa, L’estetica povera del peplum, cit., p. 306.

12 Per un approfondimento, cfr. D.E. Viganò, Gesù e la macchina da presa. Dizionario ragionato del cinema cristologico, Roma 2005.

13 Cfr. I. Ker, The Catholic Revival in English Literature, 1845-1961, Notre Dame (IN) 2012.

14 Per un approfondimento sul romanzo storico inglese di fine Ottocento e un’analisi dell’opera di Wiseman, cfr. A. Sezzi, Fabiola e l’inversione del cronotopo dantesco, in Nuova Secondaria, 25,3 (2007), pp. 74-77.

15 Una breve ma utile panoramica sulla storia del genere è in Enciclopedia del cinema, cit., pp. 894-896.

16 Cfr. la voce Luigi Maggi, in Enciclopedia del Cinema, cit., p. 721.

17 R.C. Provenzano, Peplum, in Enciclopedia del Cinema, cit., p. 895.

18 Per un approfondimento sul progetto di cinema di De Mille, cfr. R. De Berti, T. Subini, The Ten Commandments tra Vecchio e Nuovo Testamento, nel numero monografico di Altre Modernità, 7 (2011), pp. 111-125, dedicato a La Bibbia in scena.

19 Cfr. M. Zinni, L’impero sul grande schermo. Il cinema di finzione fascista e la conquista coloniale (1936-1942), in Mondo contemporaneo, 3 (2011), pp. 5-38. Per un approfondimento, anche G.P. Brunetta, J.A. Gili, L’ora d’Africa del cinema italiano 1911-1989, Rovereto 1990, e P. Iaccio, Scipione l’Africano. Un kolossal dell’epoca fascista, in Non solo Scipione. Il cinema di Carmine Gallone, a cura di P. Iaccio, Napoli 2003, pp. 70-83.

20 R.C. Provenzano, Peplum, in Enciclopedia del Cinema, cit., p. 895.

21 Cfr. Hollywood sul Tevere. Anatomia di un fenomeno, a cura di S. Della Casa, D.E. Viganò, Milano 2010. Per un confronto tra la produzione italiana e quella americana, anche in merito ai generi (dove non si trascura quello religioso), cfr. l’analisi di R. Campari, Hollywood - Cinecittà. Il racconto che cambia, Milano 1980.

22 S. Della Casa, Peplum, in Enciclopedia del Cinema, cit.

23 Quanto lunga sia stata la serie di film incentrati sulle vicende eroiche di Ercole e Maciste usciti in quegli anni lo rivela un commento pubblicato nella rubrica Quel che si dice, quel che si fa all’interno della Rivista del Cinematografo, 34,3 (marzo 1964), p. 108: «Nello scorso numero di questa rubrica si era espresso il desiderio che Ercole e Maciste, finiti all’inferno per non si sa quali misteriose vie, ci rimanessero una volta per tutte. È andata male. Eccoli rispuntare rispettivamente in Ercole alla conquista dell’Atlantide e Maciste contro il vampiro. Quando vedremo Gli spettatori contro Maciste?».

24 S. Della Casa, L’estetica povera del peplum, cit., p. 306.

25 Un lucido punto di osservazione da cui guardare queste opere è offerto da Ramosino e Dognini: «Il Cinema ama la Storia e come tutti i veri innamorati cerca il modo di farsi perdonare i suoi tradimenti e le sue dimenticanze. Lo fa attraverso un’attenzione talora maniacale al dettaglio, visto come il mezzo migliore per costruire un ritratto realistico di un’epoca e comunicarne lo spirito. Di qui accuratissime ricerche su abiti, calzature, mezzi di trasporto, arredamenti e quant’altro, un’opera meritoria anche se spesso condannata al fallimento. Il diavolo, come si suol dire, è nel particolare, anche perché non sarà mai possibile evitare del tutto l’errore, per quanto piccolo, e non c’è da dubitare che nella schiera risentita degli storici ci sarà sempre qualcuno pronto a scovarli fin nella più piccola inquadratura» (Lu. Cotta Ramosino, L. Cotta Ramosino, C. Dognini, Tutto quello che sappiamo su Roma l’abbiamo imparato a Hollywood, cit., p. 8).

26 gi. dia. [G.P. Dell’Acqua] in La Notte, 23 febbraio 1961.

27 Una filmografia abbastanza completa è curata da H. Dumont, Chronologie du film historique à l’antique, in CinémAction, 89 (1998), pp. 129-180, nel numero speciale dedicato a Le péplum: L’Antiquité au cinéma, curato da C. Aziza; cfr. anche quella proposta in appendice da G. Casadio, in I mitici eroi, cit., pp. 293-298.

28 Cfr. l’analisi proposta nel volume L. Cotta Ramosino, Lu. Cotta Ramosino, C. Dognini, Tutto quello che sappiamo di Roma lo abbiamo imparato a Hollywood, cit., pp. 153-162.

29 Ivi, p. 153.

30 Il giovane laureando continuava scrivendo: «Forse più d’uno sorriderà nel leggere queste righe come introduzione all’esame d’un documento tanto profondamente discusso da seri studiosi. […] Vedremo come sia pienamente giustificata questa tradizione contro la quale insorse per la prima volta un critico nel secolo scorso [Otto Seeck], imitato e seguito da altri». La tesi di laurea è stata pubblicata nel 1991: P. Roasenda, Pagine costantiniane. Ricerche storiche sui primi anni del regno di Costantino (306-313 d.C.), Tesi di laurea (1927), Roma 1991, p. 96.

31 Oxilia morì nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, nella zona del Monte Grappa. Il regista Augusto Genina girò, in suo omaggio, la versione cinematografica di Addio giovinezza, la commedia teatrale che lo aveva reso celebre nel 1911.

32 G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, I, Il cinema muto 1895-1929, Roma 2001 (1a edizione 1979), in partic. pp. 80-91. Cfr. anche R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli 1956.

33 Il visto della censura è del 12 dicembre 1913, n. 1833. Il film risulta essere disponibile dal maggio 1913. Come riportato nell’Enciclopedia del cinema di Torino (www.torinocittadelcinema.it), copie della pellicola sono conservate presso il Nederlands Filmmuseum (Amsterdam), il Centro Galego de Artes da Imaxe (Coruña) e la Cineteca del Friuli (Gemona).

34 Fotografia di Augusto Navone; interpreti: Adriana Costamagna (Fausta, moglie di Costantino), Dillo Lombardi (l’imperatore Massimiano), Maria Jacobini (Costanza, sorella di Costantino), Arturo Garzes (l’imperatore Costantino), Francesco Bonino (l’imperatore Massenzio), Mario Mariani (il vescovo Materno), Annibale Durelli (Licinio, Cesare dell’Illiria), Indo Garrone (Elvo Bruto), Nino Tarabini (Vittorio), Jeanne Bay (Elena, madre di Costantino).

35 La Vita Cinematografica, 4,8 (30 aprile 1913), p. 37.

36 La Vita Cinematografica, 4, 20 (31 ottobre 1913), p. 123.

37 Come riporta la Kinematographische Rundschau, 284 (17 agosto 1913), «Il film dispiega una massa di comparse, degli interpreti di prima classe, un’indescrivibile magnificenza di scenografie e un grande impiego di finezze nella fotografia».

38 Cfr. A. Bernardini, V. Martinelli, Il cinema muto italiano. Il film degli anni d’oro, 1913. Prima parte, Torino-Roma 1994, pp. 285-286.

39 Rivista del Cinematografo, 2 (1942), p. 17. Quell’episodio venne anche immortalato in alcune riprese, Pio X, San Pietro e il Vaticano.

40 La Cine-Fono e la Rivista Fono-Cinematografica, 252 (4 ottobre 1913).

41 V. Martinelli, Nino Oxilia, in Cinema italiano muto 1905-1916, a cura di R. Redi, Roma 1991, pp. 71-86.

42 Cfr. I. Blom, Jean Desmet and the Early Dutch Film Trade, Amsterdam 2003, pp. 123, 190, 217.

43 La rivista annunciava così il film: «A Stirring Drama of Ancient Roman Times Released by the World Film Corporation», in Triumph of an Emperor, in The Moving Picture World (February 28, 1914), p. 1073.

44 Ibidem.

45 Ivi, p. 1434.

46 Ivi, p. 1444.

47 Ibidem.

48 Cfr. U. Eco, Lector in fabula, Milano 2002 (1a edizione 1979).

49 G. Mari, In hoc signo. Ossia il trionfo del cristianesimo, Milano 1913, pp. 262 e 270-272.

50 Soggetto di Fulvio Palmieri; sceneggiatura di Ennio De Concini, Fulvio Palmieri, Franco Rossetti, Ernesto Guida, Luigi De Felice, Guglielmo Santangelo; fotografia di Massimo Dallamano; musiche di Mario Nascimbene.

51 G. Casadio, I mitici eroi, cit., p. 240

52 P. Bianchi, in Il Giorno, 23 febbraio 1961.

53 Ibidem.

54 Cfr. la voce Costantino il grande, in Il Mereghetti. Dizionario dei film, Milano 2002, p. 516.

55 Cfr. la voce Costantino il grande, in Il Morandini. Dizionario dei film, Bologna 2006, p. 350.

56 Cfr. S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del cristianesimo, a cura di G. Filoramo, D. Menozzi, I, L’Antichità, Roma-Bari 2008 (1a edizione 1997), p. 287.

57 Costantino, nella scena in cui parla ai propri legionari, alza al cielo il suo gladio rovesciato, così da evocare la croce.

58 Per un approfondimento sulla figura di Elena, cfr. J.W. Drijvers, Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great and her Finding of the True Cross, Leiden-New York 1992; Id., Helena Augusta (248/249-328/329 A.D.), in De Imperatoribus Romanis, http://www.roman-emperors.org/helena.htm (5 nov. 2012).

59 Questo mese sullo schermo, in Rivista del Cinematografo, 34,4-5 (aprile-maggio 1961), p. 139.

60 Per un approfondimento sul Centro cattolico cinematografico, cfr. E.G. Laura, Il Centro Cattolico Cinematografico, in Attraverso lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia, a cura di R. Eugeni, D.E. Viganò, II, Roma 2006, pp. 149-180.

61 Scheda Ccc – Giudizi Morali, 49,10 (1961).

62 Boletim Cinematográfico, 16 luglio 1964.

63 L’Unità, 23 febbraio 1961.

64 «Un film insomma da vedere: nel suo genere, ripeto, è diretto ed interpretato bene. Totalscope in eastmancolor. E buono è il colore» (Roma, 3 febbraio 1961).

65 La Notte, febbraio 1961.

66 Corriere d’Informazione, 23 febbraio 1961.

67 La Notte, febbraio 1961.

68 gi. dia. [G.P. Dell’Acqua], in La Notte, 23 febbraio 1961. Cfr. anche A. Carfara, I cristiani al leone. Il martirio cristiano nel contesto mediatico dei giochi gladiatori, Trapani 2009.

69 Ibidem.

70 l.p. [L. Pestelli], in La Stampa, 3 marzo 1961.

71 Aristarco, su La Stampa, ha scritto: «Tra i “giovani” spicca Vittorio Cottafavi, “scoperto” da certa critica francese, che lo pone sullo stesso piano di un Visconti e di un Antonioni (ed è tuttavia una critica che ha i suoi seguaci anche in Italia)», in G. Aristarco, I film «storici» di ieri e di oggi, in La Stampa, 18 ottobre 1961.

72 Ibidem.

73 Ibidem.

74 Sempre Aristarco notò che: «Scipione l’Africano provava, come disse Nino Frank, che non era più il caso di nutrire leoni con cristiani, ma cristiani (fascisti, in particolare) con midollo di leone» (ibidem).

75 Cfr. S. Della Casa, L’estetica povera del peplum, cit., p. 309, e Id., Cinema popolare italiano del dopoguerra, in G.P. Brunetta, Storia del cinema mondiale, 3/1, L’Europa. Le cinematografie nazionali, Torino 2000, p. 791.

76 Nel 1954 era già uscito un film sullo stesso tema, Instanbul’un fethi, di Aydin Arakon.

77 Cfr. T. Khan, Fetih 1453 – Turkey’s $17 milion Blockbuster movie Stoking Controversy, in Times of Ummah, February 21, 2012.

78 Cfr, F. Gibbons, Turkish delight in epic film Fetih 1453, in The Guardian, April 12, 2012.

79 http://news.cinecitta.com/news.asp?id=21407 (7 nov. 2012).

80 Ringrazio Roberto Vendasi per la segnalazione.

81 «“Abbiamo trovato una città di mattoni e l’abbiamo ricostruita di marmo”, è uno dei più memorabili slogan coniati da Augusto. “Abbiamo trovato dieci ettari edificabili e abbiamo ricostruito i Fori imperiali”, può parafrasare Salvatore Morello, il produttore esecutivo del progetto, che ha coordinato i lavori per realizzare le straordinarie scenografie di San Pietro» (cfr. la scheda di presentazione del progetto). Il comitato scientifico della puntata dedicata a San Pietro era formato da: Andrea Giardina (Università La Sapienza), Angela Donati (Università di Bologna), Gianfranco Basti (Università Lateranense), Michele Mazzeo (Pontificio Ateneo Antonianum), Bernardo Estrada (Pontificia Università Santa Croce).

82 Per un approfondimento, cfr. E. Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Bari-Roma 2002.

83 Cfr. D. Lindsey, All tantrums and togas, in The Times, September 16, 2006. Alcune scene sono state girate direttamente in Tunisia, sfruttando proprio gli Empire Studios della Lux Vide. La serie è stata trasmessa successivamente anche in Italia, sul canale satellitare History Channel, con il titolo: Roma: nascita e caduta di un impero.

84 L’episodio è prodotto e diretto da Tim Dunn. Il produttore della serie è invece Mark Hedgecoe.

85 La prima puntata va in onda il 22 settembre, l’ultima il 26 ottobre 2006.

86 Come racconta Salvatore Calderone, la conversione di Costantino non è tanto da intendere come teologica, quanto come quella di un uomo di governo. Cfr. S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962.

87 Gli sceneggiatori sono Colin Heber-Percy e Lyall B. Watson.

88 Lattanzio nella sua opera riporta per intero il testo dell’editto. Cfr. Lact., mort. pers. 48,2-13 (nell’edizione curata da M. Spinelli per Città Nuova, nella collana di testi patristici, Roma 2005, pp. 123-127).

89 D. Lindsey, All tantrums and togas, cit.

90 Lact., mort. pers. 44,8.

91 Una volta nella sua tenda, Lattanzio, a colloquio con Costantino, coglie l’occasione per ridirgli: «You cannot march on Rome, unless you first put your faith in the one true God». Costantino, prima di cacciarlo, gli risponde: «I put my faith in no one. That’s why I’m still alive. Now listen to me, old man, you’re a good scribe, you’re useful, but so is he. Do you understand? The world is full of slaves and scribes». Fausta cercherà di convincere il marito che non deve ascoltare i cristiani: «I don’t like this man. He’s a christian. They’re dirty. They’re poor and weak. It’s a slave’s religion. Everything they do is secret».

92 Lattanzio nella sua opera ha scritto: «Costantino fu avvertito in sogno di iscrivere il celeste segno di Dio sugli scudi e di affrontare così il combattimento. Lui fa come gli è stato ordinato e iscrive sugli scudi il [segno di] Cristo, una X attraversata dalla lettera I con una curva in cima» (Lact., mort. pers. 44, 5-6).

93 D. Lindsey, All tantrums and togas, cit.

94 G.P. Brunetta, Introduzione, in Metamorfosi del mito classico nel cinema, a cura di G.P. Brunetta, Bologna 2011, p. 11.

95 Per un approfondimento, cfr. V. Aiello, Aspetti del mito di Costantino in occidente: dalla celebrazione agiografica alla esaltazione epica, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia – Università di Macerata, 21 (1988), pp. 87-116; H. Ingo, Gli eredi di Costantino. Il papato, il Laterano e la propaganda visiva nel XII secolo, Roma 2000. Per un’analisi della «costruzione» e rappresentazione della santità, cfr. M. Leone, Saints and Signs. A Semiotic Reading of Conversion in Early Modern Catholicism, Berlin 2010.

96 Cfr. D. Valenti, Costantino a cavallo, persistenze di un’iconografia nel medioevo, in Niš & Byzantium. Symposium VI. 1670th Anniversary of the death of St. Emperor Constantine the Great, Atti del convegno (Niš 3-5 giugno 2007), Niš 2008, p. 166. Cfr. anche C. Walter, Papal Political Imagery in the Medieval Lateran Palace, in Cahiers Archéologiques, 20 (1970), pp. 155-176.

97 Si rimanda ai lavori di D. Valenti, L’iconografia di Costantino nell’arte medievale italiana, in Niš & Byzantium. Symposium V: 1700. Anniversary of the Proclamation of Constantine as Emperor, 306-2006, Atti del convegno (Niš 2-5 giugno 2006), Niš 2007, pp. 331-355; Id., Costantino a cavallo, cit., pp. 165-183. Cfr. anche M. Kupfer, The Passion Story. From Visual Representation to Social Drama, University Park (PA) 2008.

98 A. Linder, The Myth of Constantine the Great in the West: Sources and Hagiographic Commemoration, in Studi Medievali, 16,1 (1975), p. 43. Cfr. anche A. Marcone, Pagano e cristiano: vita e mito di Costantino, Roma 2002 e S. Tanzarella, Sogni e segni per vincere una guerra. L’imperatore Costantino e la sua cosiddetta conversione, in S. Adamiak e S. Tanzarella, L’uso pubblico del cristianesimo antico nella manualistica e nei media, Trapani 2013 in corso di stampa.

99 A. Linder, The Myth of Constantine, cit., p. 43.

100 Ivi, p. 44.

101 D. Valenti, Costantino a cavallo, cit., p. 165.

102 G. Zamagni, Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico, Bologna 2012, p. 13.

103 Cfr. il testo della relazione di M.-D. Chenu, La fin de l’ère constantinienne, raccolto nel volume collettaneo Un concile pour notre temps, Paris 1961, pp. 59-87. Su questo, anche G. Ruggieri, Una nuova pace costantiniana?, in Una nuova pace costantiniana? Religione e politica negli anni ’80, a cura di G. Ruggieri, Casale Monferrato 1985, pp. 13-27. Utile per l’analisi del concetto nel mondo protestante la prefazione di G. Ruggieri, L’era costantiniana: un concetto di lotta e di testimonianza, al volume di G. Zamagni, Fine dell’era costantiniana, cit., pp. 9-12.

104 Il trono di Maria De Filippi, nella trasmissione Uomini e donne, non è tale fino a quando un non casuale concorrente di nome Costantino (il tronista) si impone all’audience femminile del pomeriggio televisivo; i rotocalchi non si sono lasciati certo sfuggire l’occasione di giocare su questo parallelismo.

105 V. Aiello, Aspetti del mito di Costantino in Occidente, cit., p. 116. Sempre Aiello, in un altro saggio del 2003, ritorna sul mito di Costantino, precisando che: «Quando parlo del mito di Costantino, intendo ovviamente riferirmi a quel complesso di narrazioni, di programmi iconografici, di celebrazioni liturgiche, che hanno costituito per secoli la memoria del primo imperatore cristiano, in altre parole il Costantino dopo Costantino. Una memoria che è ovviamente elaborazione e che spesso appare lontanissima dalle vicende storicamente verificabili. Una memoria che, come talvolta accade, col tempo ha del tutto cancellato il Costantino storico, per crearne uno appunto ‘mitico’. Il fatto paradossale è che faranno riferimento proprio a questo Costantino – per dodici lunghi secoli, da subito dopo la morte dell’imperatore e sino al XVI secolo – in oriente e in occidente, potere politico e potere religioso, chiesa luterana e chiesa riformata, tradizione colta e fede popolare». Cfr. Id., Il mito di Costantino. Linee di una evoluzione, in Diritto@Storia, 2 (marzo 2003), consultabile all’indirizzo http://www.dirittoestoria.it/ memorie2/Testi%20delle%20Comunicazioni/Aiello-Mito-Costantino.htm

106 Il magazine serbo Blic, per esempio, durante l’edizione 2012 del Festival di Cannes, ha diffuso la notizia della realizzazione di un grande progetto cinematografico sulla vita di Costantino, tra gli Stati Uniti e la Serbia. Ad interpretare il ruolo dell’imperatore romano, il tennista serbo Novak Djokovic. Ma non solo. È uscito nelle librerie il romanzo Invictus. Costantino, l’imperatore guerriero di Simone Sarasso. Un altro romanzo dedicato a Costantino era uscito nel 1965, scritto da Frank G. Slaughter e ispirato ai lavori dello storico inglese Gibbon. Per gli errori storiografici costantiniani presenti nel bestseller di Dan Brown, Il Codice da Vinci, da cui Ron Howard ha tratto l’omonimo film (2006), cfr. G. O’Collins, Il fenomeno «Codice da Vinci», in La Civiltà Cattolica, 3743 (3 giugno 2006), II, pp. 473-479: «Troviamo errori grossolani e più sostanziosi che riguardano l’imperatore Costantino e il Concilio di Nicea (325). Brown racconta che nel 325, sotto la pressione di Costantino, fu proclamata la divinità di Cristo da parte del Concilio di Nicea. Brown sostiene che fino a quel momento nel IV secolo Gesù era stato considerato un uomo grande e potente, un profeta, ma niente di più che un uomo. Brown dovrebbe leggere il Vangelo di Giovanni, che include le parole con cui san Tommaso chiama Gesù: “Mio Signore e mio Dio”. Già alcuni decenni prima che fosse completato il Vangelo di Giovanni, le lettere di san Paolo affermano ripetutamente la fede in Cristo in quanto Signore divino. Il Concilio di Nicea non inventò la fede nella divinità di Cristo, ma aggiunse un’altra modalità di confessarla, dichiarando il suo “essere di una sola sostanza con il Padre”» (ivi, p. 476). Tra gli altri errori presenti in quelle pagine, O’Collins ne sottolinea in particolare due: le imprecisioni sul culto cristiano della domenica e quelle sui quattro vangeli canonici. Nel 2011, invece, su Bbc radio 4 era andata in onda la trasmissione Constantine. The Man Who Invented Christmas, realizzata da Giles Fraser.