COSTANTE

Enciclopedia Italiana (1931)

COSTANTE

Eugenio Giuseppe TOGLIATTI
Ugo PANICHI
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. Nelle scienze sperimentali e nella matematica, che ad esse fornisce i mezzi per le schematizzazioni teoriche, il concetto di "costante" si contrappone a quello di "variabile". In un qualsiasi fenomeno meccanico o fisico o chimico o astronomico, ecc., entrano simultaneamente in gioco varie grandezze (di solito, oltre le altre, il tempo), di cui talune mano mano assumono, rispetto alle corrispondenti unità di misura prefissate, valori diversi, mentre altre - almeno nelle condizioni in cui il fenomeno si osserva - si mantengono invariate. Queste si dicono costanti, mentre le prime si dicono variabili. Di norma lo sperimentatore, per analizzare il complicato intreccio di relazioni di mutua dipendenza, che intercedono fra le grandezze osservate, cerca, per così dire, d'isolare qualcuna di siffatte relazioni, provvedendo, con opportuni avvedimenti e speciali dispositivi strumentali, a mantenere costanti tutte quelle grandezze che in essa non intervengono. Così il fisico definisce e determina per i gas i calori . pecifici a volume costante e i calori specifici a pressione costante. Da questo punto di vista la distinzione fra costanti e variabili ha un senso relativo alle particolari condizioni, in cui viene osservato il dato fenomeno. Ma in ogni scienza sperimentale si incontrano costanti, che si dicono universali, in quanto entrano nell'espressione quantitativa di leggi generali, così da apparire quali caratteri intrinseci e invarianti della realtà fisica. Tali sono, per citare soltanto qualche esempio fra i più cospicui, la costante di attrazione universale o del Gauss, la velocità della luce, il numero di Avogadro e, nella teoria dei quanti e nei più recenti sviluppi della fisica teorica, la costante del Planck. Importa tuttavia notare che, anche a queste costanti universali si può attribuire un carattere relativo, se, pensando al processo di approssimazioni successive, per cui progredisce la scienza, si concepiscono le teorie scientifiche come schematizzazioni logiche, suscettibili di ulteriori approssimazioni alla realtà. Così, ad es., la massa che, nella meccanica classica, costituisce una costante intrinseca di ogni corpo, diventa nella meccanica relativistica un carattere variabile in relazione alle condizioni fisiche locali dell'universo e allo stato di eluiete o di moto del corpo considerato.

Vanno pur ricordate le cosiddette costanti strumentali. Ogni strumento di misura, per quanto costruito con la più scrupolosa cura di ogni particolare, in relazione agli scopi cui è destinato, presenta inevitabilmente qualche imperfezione, la quale, in ogni serie di osservazioni ripetute, determina errori sistematici, cioè non già in tutti i possibili sensi, come accadrebbe se lo strumento fosse esatto, ma prevalentemente in certi sensi piuttosto che negli altri. Eseguendo con lo strumento convenienti serie di misure preliminari, su grandezze comunque conosciute, si determinano certe costanti, dette appunto "dello strumento", la cui conoscenza permette, in base a procedimenti opportuni, di eliminare, nelle ulteriori serie di misure, gli errori sistematici suaccennati.

In matematica vi sono alcune costanti celebri, fra cui ricordiamo: 1. il ben noto numero π = 3,141 592..., il quale dà il rapporto costante che, al variare del diametro di una circonferenza, intercede fra la lunghezza della circonferenza e quella del diametro; 2. il numero e = 2,718281... di Neper, base dei logaritmi naturali, definito da

3. la costante di Eulero o del Mascheroni C = 0,577 215..., che s'incontra nella teoria delle funzioni euleriane (v. funzione: Funzioni notevoli) e che si può definire come somma della serie

E in ogni problema compaiono, sia tra i dati, sia fra le incognite, delle costanti, cioè, in sostanza, dei numeri effettivamente assegnati o simboleggiati con lettere (coordinate di punti, coefficienti delle equazioni di luoghi, ecc.).

Fra le funzioni - cioè fra tutti i possibili legami quantitativi, che possono intercedere fra due variabili x e y, in modo che, ogni qualvolta la x assuma uno dei valori di cuì è suscettibile, resti determinato un valore o gruppo di valori per la y = si considera, come caso più semplice, la cosiddetta funzione costante y = c che, per qualsiasi scelta della x, assume sempre un medesimo valore c e che, rispetto a due assi cartesiani, ammette come diagramma una retta parallela all'asse delle x. Essa è caratterizzata fra tutte le funzioni dalla proprietà di avere nulla (qualunque sia la x) la derivata. Di qui risulta, reciprocamente, che le funzioni che hanno una data derivata f(x) (primitive della f(x), costituenti nel loro insieme l'integrale indefinito di questa funzione) si ottengono tutte, aggiungendo a una qualsiasi di esse una costante (d'integrazione) arbitraria (v. integrale, calcolo).

Come estensione di questo risultato si ha che la più generale soluzione (o integrale generale) di un'equazione differenziale di ordine n (in una funzione incognita di una sola variabile) dipende da n costanti arbitrarie; mentre, quando si passa alle equazioni a derivate parziali, le costanti arbitrarie, da cui dipende la soluzione più generale, sono in numero infinito (e si presentano come coefficienti degli sviluppi in serie di un numero finito di funzioni arbitrarie). Nella teoria delle equazioni differenziali ha notevole interesse, sotto diversi aspetti e a fini diversi, lo studio del modo, in cui una generica soluzione dipende dalle costanti arbitrarie, e va ricordato, in questo ordine di idee, il metodo della variazione delle costanti arbitrarie del Lagrange (v. equazione).

Computo di Costanti. - La soluzione d'un problema, per es., geometrico, può essere, entro certi limiti, arbitraria, sia perché le condizioni imposte agli enti che si cercano non sono sufficienti per individuarli, sia perché nell'enunciato del problema figurano dati variabili. Il conoscere quanto resta d'arbitrario nella soluzione d'un problema è interessante in sé, ed utile, in quanto può fornire indizî sulla possibilità o meno di altri problemi. Ad es., poiché un punto di un piano dipende da due coordinate (da due parametri, da due costanti), avranno senso quei problemi di geometria piana nei quali si richieda un punto soggetto a condizioni traducibili in non più di due equazioni indipendenti tra le sue coordinate. Nei computi di costanti si tratta appunto, in sostanza, di determinare il numero delle coordinate da cui dipende un ente (geometrico, meccanico, ecc.) che varia in un sistema continuo; si tratta cioè di stabilire le dimensioni (v.) del campo i cui elementi sono i varî stati di quell'ente variabile.

La questione del computo delle costanti, pui avendo interesse in vari rami della matematica, ha nella geometria algebrica il suo campo d'azione preferito, perché qui essa viene utilmente sfruttata come metodo d'indagine mediante alcuni principî generali di portata ormai ben definita. Nel campo algebrico i computi di costanti compaiono la prima volta, in forma sistematica, in J. Plücker, il quale se ne serve nel problema della riduzione a forme tipiche, o canoniche, delle equazioni di date curve algebriche. Cosi, l'equazione d'una quartica piana si può sempre ridurre alla forma:

ove p1, p2, p3, p4 sono polinomî di primo grado e Ω è un polinomio di secondo grado. Facendo variare p1, p2, p3, p4, Ω in tutti i modi possibili, il primo membro dell'equazione (1) viene a dipendere da 14 costanti (due per ciascuna delle rette di equazioni p1 = 0, p2 = 0, p3 = 0, p4 = 0, cinque per la conica Ω = 0, e inoltre λ), cioè da tante costanti quante son quelle da cui dipende la quartica piana più generale: perciò, uguagliando i coefficienti (noti) dell'equazione di una data quartica a quelli (incogniti) dei termini simili della (i), si hanno 14 equazioni con altrettante incognite. L'esistenza d'una soluzione per un tal sistema di equazioni segue dalle seguenti circostanze: le rette p1 = 0, p2 = 0, p3 = 0, p4 = 0 sono bitangenti della quartica; questa ha un numero finito di bitangenti; e perciò la sua equazione si può ridurre alla forma voluta solo in un numero finito di modi.

Il procedimento deve però essere applicato con cautela. Così, l'equazione generale d'un cerchio in assi ortogonali (v. cerchio)

contiene tre coefficienti; d'altra parte, il più generale cambiamento di assi ortogonali, eseguito sull'equazione del cerchio x2 + y2 = 1, introduce in questa proprio tre parametri; identificando l'equazione ottenuta con la (2) parrebbe che la (2), per un cerchio qualsiasi, potesse sempre ridursi, con un cambiamento degli assi, alla forma x2 + y2 = 1 (sofisma di Plücker); gli è che tale riduzione, ove sia possibile, lo è in infiniti modi diversi; sicché il sistema di equazioni che si dovrebbe ora risolvere è in generale incompatibile, mentre, se diviene compatibile, ammette infinite soluzioni.

Un enunciato esatto del metodo o principio che qui si presenta manca in Plücker. Un enunciato esplicito è stato dato da A. Clebsch nel 1871, in forma esatta, per quanto l'aver relegato tra i particolari d'importanza secondaria le cautele necessarie nei computi di costanti sia difetto caratteristico di un'opera classica del Clebsch (A. Clebsch e P. Gordan, Theorie der Abelschen Functionen, Lipsia 1866).

Ecco l'enunciato esatto del prmcipio di Plücker e Clebsch: Se un sistema di n equazioni algebriche a n incognite, in cui compaiono dei coefficienti variabili, è incompatibile per valori generici di tali coefficienti, ogni volta che esso diventi compatibile per valori particolari dei coefficienti stessi, esso diventa in pari tempo indeterminato. Si può quindi affermare la compatibilità del sistema per valori generici dei coefficienti quando esso sia compatibile e determinato per valori particolari di essi. Più in generale, se un sistema di m = n − r equazioni algebriche a n incognite (r > 0) è compatibile e ammette ∞r soluzioni (e non ∞r+1) per valori particolari dei coefficienti, esso è compatibile e ammette ∞r soluzioni per valori generici di essi.

Nei computi di costanti, e precisamente quando si deve determinare la dimensione di una varietà algebrica, può tornare utile il procedimento seguente. Sia V una varietà algebrica con d dimensioni, immersa in uno spazio Sa con n dimensioni; considerata una varietà ausiliaria V′ di dimensione nota d′, si ponga tra i punti di V e quelli di V′ una corrispondenza in modo che ad ogni punto generico di V corrispondano ∞r′ punti di V′ (cioè infiniti punti di V′ costituenti una varietà di dimensione r′) e ad ogni punto generico di V′ corrispondano ∞r punti di V; si dimostra che: d + r′ = d′ + r, onde: d = d′ + r r′. Per es.: V sia la varietà delle rette dello spazio, V′ quella dei punti, sicché d′ = 3; si dicano omologhi una retta e un punto quando la retta passa per il punto; allora ad ogni retta corrispondono ∞1 punti e ad ogni punto ∞2 rette, sicchè r′ = 1 ed r = 2, ed infine d = 3 + 2 − 1 = 4.

Bibl.: F. Enriques e O. Chisini, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, I, Bologna 1915, p. 127.

Costanti cristallografiche. - Scelte tre direzioni Ox, Oy, Oz, secondo tre diversi spigoli esistenti o possibili in un cristallo (e quindi in tutti i cristalli) di una data sostanza, esse faranno fra loro gli angoli:

Le direzioni scelte (secondo anche criterî di convenienza in riguardo alla simmetria dei cristalli dati) si assumono come assi cristallografici, cioè di riferimento per tutte le facce; tre di queste sono già individuate dai tre spigoli scelti, presi a due a due. Una quarta faccia viene scelta per fissare una giacitura di riferimento: se essa incontra gli assi rispettivamente in A, B, C, i valori O A, O B, O C, sono variabili quando la faccia si trasporti parallelamente, ma restano fissi i rapporti di due valori al terzo, per es.,

questi due rapporti fissano la giacitura della faccia e, insieme con gli angoli α, β, γ, costituiscono 5 costanti cristallografiche per la sostanza esaminata.

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