coscienza Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori.
Libertà di c. Diritto di sentire e professare opinioni e fedi religiose senza alcuna restrizione, impedimento/">impedimento o coazione dell’autorità politica ed ecclesiastica. È stato teorizzato e rivendicato dall’epoca della Riforma, quando si poneva il problema del diritto delle varie chiese, e in particolare dei gruppi minoritari (per es., anabattisti e sociniani), a convivere nell’ambito di uno stesso Stato. In seguito ha investito ogni tentativo di imposizione di una particolare dottrina attraverso il potere dello stato; la sua rivendicazione è divenuta caratteristica delle posizioni laiche e liberali tra Sette e Ottocento ed è stato riconosciuto nelle fondamentali carte costituzionali degli Stati moderni e delle organizzazioni internazionali. Matrimonio di c. Matrimonio canonico celebrato omissis denunciationibus et secreto, per regolare la posizione di due persone che non possono contrarre un matrimonio civilmente valido o che, pur potendolo, ne subirebbero un pregiudizio (per es., nel caso della vedova pensionata che, passando a nuove nozze, perderebbe
Il concetto di c. come c. teoretica, distinta da una semplice consapevolezza, si sviluppa prevalentemente con il sorgere della filosofia moderna. Cartesio, riprendendo il tema agostiniano dell’appello all’interiorità come garanzia contro qualsiasi forma di scetticismo, trovò nel cogito il fondamento della sua gnoseologia e della sua metafisica. E il cogito come pensiero, inteso in senso lato, coincide con la c. concepita come complesso dell’attività interiore dell’uomo. Questa concezione della c. influenzò durevolmente la speculazione post-cartesiana, né l’impostazione mutò sostanzialmente con G.W. Leibniz, nonostante la distinzione tra l’ appercezione, che implica sempre la c., e la percezione, grado inferiore di conoscenza, in cui si può anche non essere chiaramente coscienti. I. Kant conservò il termine di appercezione come sinonimo di c., distinguendo peraltro tra un’appercezione pura trascendentale ( io penso) e una appercezione empirica. Quest’ultima come c. psicologico-empirica s’identifica con l’esperienza interna, risultando variabile e soggettiva e potendo sempre presentare dei gradi, mentre la prima è c. logica pura, polo di unificazione di tutte le rappresentazioni. Essa costituisce quindi l’aspetto formale della c., presupposto e condizione della c. empirica che come tale è peraltro sempre determinata in rapporto alla realtà esterna. Le successive concezioni idealistiche della c. si mossero invece nel senso di risolvere in essa o meglio nello spirito o autocoscienza tutto il reale. G.W.F. Hegel ha indicato nella Fenomenologia dello spirito un processo di sviluppo dialettico della c. per cui essa si libera alla fine da qualsiasi riferimento ad altro, divenendo c. assoluta ossia autocoscienza. Lo spiritualismo, dall’introspezionismo di
Nella riflessione contemporanea la teoria della c. più rilevante è quella di E. Husserl, che riprendendo la tradizione cartesiana innesta su di essa la nozione d’intenzionalità ripresa da F. Brentano dalla filosofia scolastica. In questo senso carattere precipuo della c. è il trascendimento di sé, il porsi cioè in rapporto con un oggetto che non le è immanente. Il successivo sviluppo del pensiero husserliano ha tuttavia sempre più accentuato i tratti immanentistici della c., sottolineandone l’aspetto di «corrente di esperienze vissute», fino a giungere alla riaffermazione di una soggettività assoluta o io trascendentale.
La c. è sempre stata oggetto di studio e di ricerca, soprattutto nelle sue manifestazioni sensoriali, e, nonostante il riconoscimento della notevole problematicità del metodo introspettivo, Wundt giunse a definire la psicologia come la scienza degli stati di coscienza.
1. I diversi livelli di coscienza
Lo studio dei fenomeni di c., intesa come sintesi di varie attività psichiche che si integrano dando luogo a una soggettiva esperienza sensibile del presente, si è sviluppato nella psicologia moderna e contemporanea considerando possibile l’indagine psicologica e la determinazione di stati e di livelli attraverso la mediazione comportamentale di cui l’uomo si serve per esprimere i propri contenuti di coscienza. Si parla così di una c. vigilante in contrapposizione a una c. onirica e si riconoscono diversi livelli intermedi: da quello della tensione e dello sforzo attentivo concentrato, alla perdita totale della c. in cui nessun contenuto può essere ricordato. La presenza di vari livelli e, soprattutto, la distinzione fra c. vigilante e c. onirica fanno riconoscere una dissoluzione della c. che in casi particolari – confusione mentale, epilessia, isterismo con manifestazioni di «restringimento del campo di c.» (P. Janet) – assume un carattere patologico.
I livelli dell’attività psichica, secondo Freud, sono tre: cosciente, preconscio e inconscio, e da essi prende consistenza il concetto di campo di c., i cui limiti definiscono due ordini di fatti psichici: quelli coscienti (presenti in un dato momento nel campo di c.) e quelli che sono provvisoriamente fuori del campo, detti precoscienti. I contenuti inconsci possono invece affiorare a livello di c. solo indirettamente (sogni, lapsus), o per mezzo di adeguate tecniche psicanalitiche. Poiché la c. era stata considerata fino alla prima metà del 20° sec. un fenomeno psicologico accessibile solo con il metodo introspettivo, gli orientamenti psicologici che rifiutavano questo metodo (➔ behaviorismo) avevano considerato la c. un argomento che non poteva rientrare nell’ambito della psicologia sperimentale. Tuttavia, grazie al progresso delle conoscenze sulle funzioni cerebrali e allo sviluppo di nuove teorie psicologiche (➔ cognitivo), la c. è divenuta tema centrale delle indagini sperimentali.
Nelle ricerche psicologiche di indirizzo cognitivista la c. è considerata come la consapevolezza che un individuo ha dei propri
Alla concezione della c. come sistema di controllo delle operazioni cognitive si affianca l’altro orientamento di ricerca sulla c. intesa come ‘attenzione focalizzata’: la c. è ricondotta essenzialmente all’operazione di spostamento dell’attenzione su determinati aspetti e informazioni del mondo esterno e interno, in funzione delle necessità e finalità fisiologiche e psichiche dell’individuo.
Fino alla metà del 20° sec., la c. è stata considerata come un luogo separato della mente dove scorrono le varie attività mentali allo scopo di essere, per così dire, visionate, controllate e corrette, anche se vari filosofi della mente, come G. Ryle e poi D.C. Dennett, hanno aspramente criticato questa concezione. Il problema della ‘sede’ della c. è stato peraltro affrontato anche dalla neurofisiologia e dalla neuropsicologia, che hanno inizialmente considerato la c. come sinonimo di comportamento vigile, indipendentemente dalle attività cognitive svolte. Quando, invece, è stato dato risalto al linguaggio nella sua funzione di verbalizzazione consapevole dei processi cognitivi e motori in corso, la c. è stata localizzata nel lobo temporale dell’emisfero sinistro, sede delle aree del linguaggio. Un nuovo impulso agli studi sulle basi cerebrali della c. venne dalle ricerche compiute negli anni 1960 da R.W. Sperry e da altri neuropsicologi sugli effetti delle resezioni del corpo calloso che rendevano i due