Corte internazionale di giustizia

Libro dell'anno del Diritto 2015

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Corte internazionale di giustizia

Fabrizio Marrella

L’obiettivo del presente contributo è di dar conto brevemente dell’attività della Corte internazionale di giustizia (CIG) nel periodo dal giugno 2013 al settembre 2014.

La ricognizione

Nel periodo in esame, la Corte internazionale di giustizia (CIG), presieduta dal giudice Peter Tomka, ha reso diciassette ordinanze e tre sentenze nel merito. Va altresì segnalato il deposito, il 7.8.2014, da parte dell’Argentina di una requête contro gli Stati Uniti relativamente ad alcune sentenze del giudice statunitense sul debito estero argentino1.

Con la prima sentenza, del 27.1.2014, la CIG ha delimitato la frontiera marittima tra Perù e Cile nell’Oceano Pacifico. A tal fine, la Corte ha individuato la linea di equidistanza tra le due frontiere.

Con la seconda sentenza2, del 31.3.2014, la Corte si è pronunciata sul caso della Caccia alla balena nell’Antartico, rilevando che il Giappone, con il suo programma di ricerca scientifica sulle balene nell’Antartico (JARPA II) ha violato la Convenzione internazionale sulla regolamentazione della caccia alle balene del 2.12.1946.

Viene così rigettata la tesi difensiva del Giappone, della conformità al predetto trattato della concessione di appositi permessi di cattura e uccisione delle balene ai fini dello svolgimento di “ricerche scientifiche”. Secondo la Corte, la caccia alle balene condotta dal Giappone nell’Antartico non ha alcuna finalità scientifica e per questo deve cessare.

Della terza sentenza3 si dirà qui di seguito nei successivi paragrafi.

La focalizzazione

La controversia tra Cambogia e Tailandia relativa al tempio di Préah Vihéar, traeva origine dalle opposte rivendicazioni dei due Paesi circa l’omonimo tempio risalente al IX secolo.

Il 13.2.1904 la Francia aveva concluso con il Siam(attuale Tailandia) un trattato col quale veniva stabilita la frontiera tra il Siam e l’Indocina che, all’epoca era un protettorato francese. Ma la delimitazione così effettuata non era rigorosa e si prestava ad errore e contestazioni proprio relativamente all’area in cui si trovava il tempio di Préah Vihéar.

Nella sentenza del 15.6.19624, la CIG aveva deciso che il tempio era situato in territorio cambogiano e di conseguenza la Tailandia doveva ritirare le sue forze armate, di polizia e i suoi agenti dal tempio e “nelle vicinanze in territorio cambogiano”.

Pertanto, le truppe tailandesi, si erano ritirate dal tempio ma non dall’intera area in cui il tempio era ubicato provocando tensioni con la Cambogia. Tensioni che, nell’aprile 2011, avevano provocato un conflitto a fuoco tra le opposte forze dei due Paesi provocando una trentina di morti e costringendo gli abitanti della zona a lasciare quel territorio. La Cambogia quindi adiva nuovamente la Corte chiedendo di precisare la pronuncia del 1962 relativamente al perimetro dell’area geografica attorno al sito del tempio.

L’11.11.2013, la CIG ha, quindi, pronunciato una sentenza interpretativa della propria sentenza del 15.6.1962. La Corte ha deciso che la sovranità territoriale della Cambogia comprendeva l’area attorno al Tempio di Préah Vihear (par. 98 della sentenza) e che, pertanto, la Tailandia ha l’obbligo di ritirarsi da quel territorio.

I profili problematici

La sentenza della Corte nel caso del Tempio di Préah Vihéar costituisce un “classico” del diritto internazionale. La prima sentenza, del 15.6.1962, aveva suscitato un vasto dibattito dottrinale relativamente all’istituto dell’errore nel diritto dei trattati giacché era stato invocato per rimettere in discussione il confine tra i due Stati. La convenzione di Vienna del 1969 ha, all’art. 48, parzialmente superato quel dibattito, codificando opportunamente le regole generali in materia e trattando specificamente della falsa rappresentazione di una situazione geografica in cui uno Stato possa invocare un errore quale vizio del proprio consenso. Se l’errore costituisce una causa di invalidità di un trattato internazionale, resta tuttavia il principio in base al quale uno Stato non può invocare l’errore se vi ha contribuito col proprio comportamento o quando le “circostanze erano tali che esso doveva avvedersi della possibilità di un errore” (art. 48, co. 2). È quanto la Corte internazionale di giustizia aveva rilevato esaminando l’atteggiamento della Tailandia nel 1962. Ma anche una sentenza del massimo organo internazionale può indurre in errore se non viene adeguatamente precisata. È quanto la Corte ha fatto con la pronuncia del 2013, mettendo fine, dunque, ad un pericoloso conflitto tra i due Stati.

1 Conformemente agli artt. 35 ss. dello Statuto della CIG, in mancanza di accettazione della giurisdizione della CIG da parte degli Stati Uniti non sarà possibile procedere.

2 CIG, 31.3.2014, Australia c. Giappone, sentenza sulla caccia alle balene nell’antartico, in www.icj-cij.org.

3 CIG, 11.11.2013, sentenza sulla domanda di interpretazione della sentenza del 15.6.1962 nel caso relativo al Tempio di Préah Vihéar, (Cambogia c. Tailandia) (merito), in www.icj-cij.org.

4 V. CIG, 15.6.1962, Tempio di Préah Vihéar, Cambogia c. Tailandia (merito), in www.icj-cij.org.

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