LANCIA, Corrado

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANCIA (Lanza), Corrado

Patrizia Sardina

Di nobile famiglia, originaria del Piemonte, trasferitasi nell'Italia meridionale al seguito degli Svevi, nacque presumibilmente verso la metà del secolo XIII. Zurita (p. 419) riferisce che il L. apparteneva al "linaje y casa de los marqueses de Lanza". La storiografia è divisa sulla paternità del L., ma l'ipotesi più accreditata è che fosse figlio di Federico, conte di Squillace e vicario di Sicilia e Calabria, fratello (o, secondo altri, nipote) di Bianca, madre di Manfredi di Svevia, piuttosto che di Galvano, altro fratello di Bianca. Il L. fu fratello maggiore di Manfredi, ed ebbe una sorella, Margherita.

I Lancia ebbero stretti rapporti con la Sicilia orientale, soprattutto con Messina; caddero in disgrazia nel 1268, dopo la decapitazione di Corradino di Svevia. Federico riuscì a fuggire, ma Galvano fu condannato a morte.

Quand'era ancora fanciullo, il L. si trasferì in Catalogna con il seguito di Costanza di Svevia, andata sposa nel 1262 all'infante Pietro d'Aragona, e studiò in una scuola di corte. Muntaner lo descrive come uno degli uomini più affascinanti e dotti del mondo, abile oratore e profondo conoscitore della lingua catalana, dato che sin da piccolo aveva ascoltato le diverse parlate catalane in Catalogna e nel Regno di Valenza. Il L. fu investito cavaliere dall'infante Pietro, che diede in sposa la sorella del L., Margherita, a Ruggero di Lauria. Divenuto re d'Aragona, il 19 apr. 1278 Pietro III nominò il L. ammiraglio del Regno di Valenza e a luglio gli affidò il comando di quattro galee armate a Valenza, per convincere il nuovo califfo di Tunisi, al-Ouathiq, a pagare al Regno d'Aragona un tributo, considerato in realtà dagli Hafsidi un dono spontaneo. Secondo Dufourcq, il L. sembrava il più indicato a svolgere la missione, perché in passato il padre Federico si era recato presso gli Hafsidi, in lotta contro i Franco-Angioini. Ma al-Ouathiq rifiutò di pagare il tributo e il L. rientrò a Barcellona a fine estate. In seguito, Pietro III decise di appoggiare Abou-Ishaq nel tentativo di detronizzare il nipote al-Ouathiq, e deliberò con i suoi consiglieri di inviare a Tunisi una flotta, comandata dal L., che partì da Valenza con cinque galee e si recò a Barcellona, dove si unì ad altre cinque. Nell'estate 1279 il L. fece rotta verso la costa nordafricana e, dopo aver assalito diversi porti, come quelli di Tunisi e Bugia, si scontrò con le dieci galee merinidi del re del Marocco. La battaglia navale fu molto cruenta e durò dal mattino al vespro; infine, la flotta aragonese sbaragliò le galee nemiche e tornò vittoriosa a Valenza, con un gran numero di prigionieri.

Secondo Muntaner si trattò di un importante risultato per la marina catalana e di un successo diplomatico, poiché il L. riuscì a porre sul trono Abou Ishaq e a fare sottoscrivere il trattato tra il Regno d'Aragona e Tunisi, predisposto da Pietro III. Dufourcq, invece, ridimensiona la portata dell'evento e ricorda che, sulla rotta del ritorno, le galee catalane costeggiarono il litorale berbero e compirono "une incursion victorieuse dans les eaux de Ceuta" (p. 201).

Rientrati in Catalogna, il L. e i suoi uomini incontrarono il re a Valenza e ricevettero una lauta ricompensa in beni e oggetti preziosi. Il 17 nov. 1279 Pietro III concesse al L. il castello e la città di Albaida, con città e terre da essa dipendenti, come feudo onorato, senza prestazione di servizio militare, e nel gennaio 1280 lo nominò governatore del Regno di Valenza, mentre la carica di ammiraglio fu affidata a Giacomo Perez, figlio naturale del re. Dopo la stipula del trattato matrimoniale tra Isabella d'Aragona, figlia di Pietro III, e Dionigi di Portogallo, nel 1281 il L. effettuò una missione diplomatica in Portogallo, e riuscì a rappacificare Dionigi con il fratello Alfonso.

Poco dopo la rivolta del Vespro, scoppiata a Palermo il 30 marzo 1282, e la cacciata degli Angioini, il L. reclutò soldati nel Regno di Valenza per la spedizione in Sicilia organizzata da Pietro III, che rivendicava il possesso dell'isola in virtù del matrimonio con Costanza di Svevia. Il L. partì con Pietro III da Portfangos ai primi di giugno 1282, e alla fine del mese sbarcò nel porto tunisino di Collo. Da lì la flotta aragonese si diresse a Trapani, dove giunse il 30 agosto. Il L. fu a Messina e Trapani tra la fine di gennaio e i primi di maggio 1283 e ricoprì la carica di maestro razionale del Regno di Sicilia.

In seguito accompagnò Pietro III a Bordeaux, dove il 1° giugno 1283 si sarebbe dovuto svolgere il duello tra il re d'Aragona e Carlo I d'Angiò, per decidere le sorti della Sicilia. Pietro III cavalcò da Valenza a Bordeaux in gran segreto, scortato, oltre che dal L., da Blasco Alagona e Berengario Pietratallada, servendosi come guida di Domenico Figuera, un mercante di cavalli di Saragozza esperto conoscitore della Guascogna. La comitiva regia giunse a Bordeaux il 31 maggio, ma la sfida non ebbe mai luogo, poiché i due contendenti fecero in modo di non essere presenti contemporaneamente sul luogo del combattimento.

Il L. accompagnò poi a Palermo la regina Costanza e gli infanti Giacomo e Federico. Tornato nel Regno di Valenza, nel settembre 1283 il L. ricevette l'incarico di effettuare una ricognizione delle armi, degli uomini e delle vettovaglie presenti nei castelli. Inoltre, tra il settembre 1283 e il luglio 1285 ricoprì la carica di maggiordomo regio e maestro razionale. Fra gennaio e ottobre 1284 effettuò una missione alla corte nasride di Granada, per reclutare mercenari.

Quando l'infante Alfonso assediò Maiorca, ribellatasi al re Giacomo, fratello di Pietro III, il L. ricevette l'incarico di entrare in città e parlare con i probi viri. Per definire i termini dell'accordo con il luogotenente e gli ufficiali cittadini il L. fece più volte la spola tra Maiorca e l'accampamento di Alfonso, ottenendo la resa dell'universitas il 19 sett. 1285.

Dopo la morte di Pietro III, il L. fu testimone in tre atti notarili rogati a Maiorca il 25 nov. 1285, coi quali Alfonso III, divenuto re d'Aragona, e il fratello Giacomo, in procinto di essere incoronato re di Sicilia, s'impegnarono reciprocamente a difendersi, e Ruggero di Lauria fu nominato procuratore, per ricevere da Giacomo il giuramento di fedeltà. Nel 1285 Alfonso III d'Aragona nominò il L. alcalde del castello di Játiva e nel 1286 gli donò il luogo di Montaverner. Nel gennaio 1287 il L. fu inviato a Tunisi per rinnovare l'accordo commerciale con il califfo Abou-Hafs e ridiscutere la questione del tributo, continuando a orientare la politica estera della Corona d'Aragona. Finita la missione, il L. andò nuovamente in Sicilia e il 14 maggio 1287, durante l'assedio di Augusta, re Giacomo lo mandò a trattare la resa dei ribelli. Dopo tre giorni di colloqui, durante i quali il L. sfoderò vanamente il suo migliore repertorio oratorio, alternando minacce e promesse, la parola passò alle armi. Il 23 giugno gli occupanti si arresero, vinti dalla fame, dalla sete e dalla fatica. Dopo la tregua stipulata a Napoli nel giugno 1287 tra Alfonso III e Giacomo di Sicilia, da una parte, Roberto, conte di Artois, e il cardinale Gerardo Bianchi di Parma, baiulo del Regno, dall'altra, e l'accordo concluso nel luglio 1287 a Oléron tra Alfonso III e i rappresentanti di Carlo II d'Angiò, il L. tornò in Catalogna, nel dicembre 1287, come ambasciatore del re di Sicilia. Fu poi mandato da Alfonso III in Inghilterra, per rassicurare Edoardo I circa il rispetto del trattato di Oléron. Nel 1291 fu testimone delle disposizioni successorie di Alfonso III d'Aragona.

Tra il 1291 e il 1294 il L. ricoprì le prestigiose cariche di maestro giustiziere del Regno di Sicilia, siniscalco e maggiordomo regio, al servizio di Giacomo II nuovo re d'Aragona, e fu castellano di Monte San Giuliano (oggi Erice). Nell'agosto 1291 Giacomo II decise di inviare in Ungheria due ambasciatori per sottoporre all'attenzione del re alcuni capitoli e chiese al fratello Federico, luogotenente del Regno di Sicilia, di emendarli con l'aiuto del L. e di Giovanni da Procida.

In seguito il L. passò dalla parte dell'infante Federico, che rivendicava la corona siciliana contro il fratello Giacomo II. Quest'ultimo inviò in Sicilia Ramón de Villanova per trattare con Federico e la regina Costanza, e continuò invano a spedire lettere al L. fino al 22 luglio 1294 per richiamarlo in Catalogna. Dopo diversi vani tentativi, il 30 luglio 1294 Giacomo II decise di destituirlo dalla carica di giustiziere, che affidò a Ramón Alamany insieme con il controllo del castello di Monte San Giuliano.

Considerandolo uno dei principali artefici del mancato accordo con Federico, Giacomo II confiscò al L. tutti i possedimenti posti nel Regno di Valenza e il 17 luglio 1296 donò il castello e la città d'Albaida e la torre di Carrícola a Berenguer de Vilaragut.

In compenso, Federico III, incoronato re di Sicilia nel marzo del 1296, contro il volere di Giacomo concesse al L. la terra e il castello di Caltanissetta il 20 sett. 1296, i proventi della terra di Naro e la carica di cancelliere, che il L. ricoprì senza interruzioni dall'aprile 1296 all'aprile 1299, spostandosi con il re in diverse città e terre della Sicilia (Palermo, aprile 1296; Messina, maggio-ottobre 1296; Milazzo, maggio 1297; assedio del castello di Castiglione, maggio-agosto 1297; Palermo, febbraio 1298; Messina, aprile 1298; Catania, gennaio 1299; Nicosia, aprile 1299). Nel 1296, quando la città di Squillace si arrese, inviando ambasciatori a Federico III, l'accordo di pace fu stipulato tramite il L., che era consanguineo dello spodestato Galvano Lancia, divenne il principale consigliere di Federico III. Nel frattempo maturava la rottura definitiva con il cognato Ruggero di Lauria, passato dalla parte di Giacomo II. Secondo Speciale, in un primo momento il L., "vir magni consilii", s'interpose come mediatore tra Federico III e il Lauria "adiectis utili consilio precibus" (p. 367), cercando di placare l'animo del re, irritato dallo sprezzante atteggiamento del Lauria, asserragliato nella rocca di Castiglione. Ma quando il 20 nov. 1297 Carlo II d'Angiò nominò il Lauria ammiraglio del Regno di Sicilia, costui fu dichiarato traditore e il L., in qualità di cancelliere, emanò due documenti a lui contrari. Con il primo, datato 9 febbr. 1298, il re nominava il conte Ramón Folc procuratore nel processo di lesa maestà contro il Lauria; con il secondo, il 10 aprile Federico III concedeva a Garçia di Per de Linguida la terra di Motta Camastra, confiscata al Lauria.

Nel 1298 Giacomo II, giunto a Milazzo, inviò suoi ambasciatori a Federico III per chiedere la restituzione delle galee e dei prigionieri catturati dai Messinesi, ma il Consiglio regio si divise e il più deciso avversario di Giacomo II fu proprio il L., che esortò Federico a preparare la flotta e combattere senza esitazioni. Dopo la decapitazione di Giovanni di Lauria, nipote di Ruggero, che si era ribellato e che fu condannato come traditore dalla Curia regia, la tensione era ormai altissima e non rimanevano più margini per trattative diplomatiche. Il 4 luglio 1299 nelle acque di Capo d'Orlando la flotta catalano-angioina, guidata da Ruggero di Lauria, fu attaccata da quella siciliana, capeggiata da Federico III, che aveva deciso di accogliere l'incitamento del L., nonostante il parere contrario di altri consiglieri.

Sebbene alcuni storici ritengano che il L. abbia perso la vita nella battaglia navale di Capo d'Orlando, la questione è controversa. Speciale non include il L. fra i nobili che combatterono a fianco del re, né descrive la sua morte, ma si limita a riferire lapidariamente che Federico III, tornato a Messina dopo lo scontro, nominò Vinciguerra Palizzi cancelliere, "quia Conradus Lancea tunc cancellarius obierat" (p. 406). Inoltre, dalle fonti documentarie sappiamo che il Palizzi era già in carica come cancelliere il 15 giugno 1299, cioè venti giorni prima della battaglia.

Probabilmente il L. fu sepolto nel duomo di Messina, dove tra il 1651 e il 1879 è segnalata la presenza di un sarcofago marmoreo di un Corrado Lancia, collocato tra l'altare del Crocifisso e quello di S. Rocco, in cui, sotto lo stemma gentilizio si leggeva il seguente epitaffio: "Lancea Corradus titulis spectatus, et armis, / Et sua posteritas haec monumenta tenet" (Inveges, p. 89). Tuttavia, dato che le tracce del sepolcro furono cancellate dal terremoto del 1908, non si può stabilire a quale Corrado Lancia appartenesse.

Il L. prese in moglie Berengaria de Santa Fede, ma non sono noti elementi sufficienti per valutare la fondatezza della notizia che ebbe due figli, Pietro e Blasco, i quali non gli sopravvissero. Alla morte del L. la vedova continuò a vivere in Sicilia, dove il marito le aveva lasciato l'usufrutto del castello e della terra di Caltanissetta e dei proventi della terra di Naro. In seguito Berengaria sposò il cavaliere catalano Pietro Ferrando de Vergua e morì prima del 14 giugno 1311; pertanto, in base al testamento del L., i feudi siciliani andarono al nipote Pietruccio Lancia, figlio del fratello Manfredi. Invece, dopo la confisca comminata al L. da Giacomo II, i possedimenti valenzani furono irrimediabilmente perduti e nel 1324 Maria Garçia de Santa Fede, sorella ed erede di Berengaria, tentò invano di recuperarli.

Dato che il L. morì nel 1299 non va confuso con il milesCorrado Lancia di Castro Mainardo vissuto tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, che nel 1302 fu presente alla stipula della pace di Caltabellotta; tra il 1309 e il 1311 partecipò alla spedizione a Gerba; dal 1306 al 1312 fu secreto, maestro razionale e maestro portulano del Regno di Sicilia. Muntaner antepone sempre al nome del L. il titolo "en", ossia don, mentre definisce Corrado Lancia di Castro Mainardo "misser". Anche Speciale distingue i due personaggi, chiamandoli Corrado Lancia de Castro Maynardo e Corrado Lancia senior.

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