CORRADO IV, re dei Romani, di Sicilia e di Gerusalemme

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORRADO IV, re dei Romani, di Sicilia e di Gerusalemme

Gerhard Baaken

Nacque il 25 (o il 26) aprile del 1228 ad Andria in Puglia, secondogenito dell'imperatore Federico II e di Iolanda di Brienne, figlia del re di Gerusalemme Giovanni, il cui matrimonio era stato celebrato il 9 nov. 1225 nella città di Brindisi. La madre morì dieci giorni dopo la nascita di C., all'età di diciassette anni circa, e fu sepolta solennemente nel duomo di Andria. Con la morte della madre C. divenne erede del regno di Gerusalemme, alla cui conquista Federico II si stava accingendo proprio in quel momento. La curia celebrata a Bari all'inizio del maggio 1228 accolse le disposizioni testamentarie con cui Federico II, prima di partire, regolava la sua successione: nell'Impero e nel Regno di Sicilia gli doveva succedere il figlio maggiore Enrico e a questo, ove fosse morto senza eredi, C. che era nato appena da due settimane.

C. fu dunque coinvolto nei progetti politici del padre sin dalla nascita. Nel 1229 ambasciatori del regno di Gerusalemme giunsero in Sicilia per offrire il riconoscimento di C. come re. Qualche anno dopo, nel 1233, Federico II investì C. - che sembra fosse stato affidato per l'educazione a un nobiluomo della famiglia Caracciolo, una delle più illustri di Napoli - della città di Gaeta. È probabile che l'imperatore, in un momento di crescenti tensioni con il figlio Enrico, accarezzasse l'idea di far eleggere re il giovane C. al posto del primogenito. Ipotesi questa, avvalorata dalla circostanza che Federico II condusse con sé C. a Rieti, quando nel luglio 1234 vi incontrò il papa Gregorio IX.

Dopo la Pasqua del 1235 C. accompagnò il padre a Norimberga, passando per Aquileia e per il ducato d'Austria, il cui duca si era schierato dalla parte di Enrico, in rivolta contro il padre. Dopo aver sottomesso il duca ribelle e dopo aver sposato Isabella d'Inghilterra, Federico II celebrò una solenne Dieta a Magonza, durante la quale cercò di pacificare l'Impero che era travagliato da gravi lotte interne, e tentò soprattutto di ottenere l'elezione a re di Corrado. Non vi riuscì - a causa di intrighi pontifici, affermò più tardi l'imperatore - nonostante l'accordo con i Guelfi e i Wittelsbach, sigillato dal fidanzamento di C. con una figlia del duca Ottone II di Baviera. L'effetto politico di questo progetto matrimoniale fu, tuttavia, di breve durata perché la giovane promessa sposa morì poco dopo.

Probabilmente nel giugno-luglio 1236 Federico II, non potendo più rinviare la campagna contro la lega lombarda e trovandosi quindi nella necessità di nominare un proprio luogotenente in Germania, con il consenso di alcuni principi, affidò questo incarico a Corrado.

Non sappiamo con esattezza quali competenze fossero assegnate allora a Corrado. In due diplomi che si riferiscono al periodo del suo incarico egli si intitola soltanto "rex Ierosolimitanus" e "gloriosi Romanorum imperatoris natus". Il titolo di re, attribuitogli contemporaneamente da altre fonti, non può che riferirsi, invece, al suo regno ereditario di Gerusalemme. Tuttavia l'espressione usata da C. nell'emanare nel 1236, a Norimberga, un diploma "auctoritate domini et patris nostri et nostra" potrebbe far pensare che gli fossero stati conferiti precisi poteri. È, comunque da escludersi qualsiasi iniziativa autonoma di C., che allora era un bambino di solo otto anni.

Dopo lotte alterne in Lombardia, l'imperatore all'inizio del 1237 si recò nel ducato d'Austria, il titolare del quale era stato messo al bando dall'Impero. Nel corso di una curia celebrata a Vienna Federico II riuscì a realizzare il suo vecchio progetto: nel febbraio del 1237 i principi ivi riuniti elessero re il giovane Corrado. Le fonti non forniscono molti particolari in merito a questa elezione; comunque, è certamente importante per la storia costituzionale non tanto per il suo obiettivo, che era quello consueto di assicurare la successione, quanto per la composizione del corpo elettorale che per la prima volta risulta formato da un ristretto gruppo di principi. È l'inizio di quella evoluzione che si concluderà con la formazione del collegio dei principi elettori, i soli con il diritto di eleggere il re.

In un cosiddetto "decreto elettorale" gli elettori dichiararono di aver eletto C. "in Romanorum regem et in futurum imperatorem nostrum post obitum patris habendum". L'elezione non fu comunicata ufficialmente a Gregorio IX; del resto non ci si poteva aspettare da lui in quel momento il riconoscimento di Corrado. Pur essendo perfettamente a conoscenza dell'elezione - in una lettera di Gregorio IX del 1240 si legge infatti: "a Corrado nato Friderici dicti imperatoris, qui se facit regem Teutonie appellari" -, la Curia usava qualificare C. soltanto come "nobilis vir" o nella corrispondenza con l'imperatore come "natus tuus", oppure "filius tuus".

Nel giugno del 1237, durante una curia celebrata a Spira, l'elezione di C. IV fu confermata da una cerchia più ampia di principi; ma a differenza del fratello Enrico, C. IV non fu incoronato.

Mentre Enrico, incoronato ad Aquisgrana, usava intitolarsi "rex Romanorum", C. IV in tutti i diplomi emanati fino alla morte dell'imperatore si qualificò soltanto come "Conradus divi augusti imperatoris Friderici filius Dei gratia Romanorum in regem electus semper augustus et heres regni Ierusalem". Questa posizione limitata di C. IV corrispondeva perfettamente alle intenzioni politiche dell'imperatore, il quale in tal modo voleva prevenire il ripetersi del contrasto avuto con il primogenito. L'elezione conferiva a C. IV l'aspettativa al regno e quindi anche all'Impero. I principi si obbligavano a riconoscerlo dopo la morte di Federico II come loro signore e imperatore e a giurargli fedeltà. L'obiettivo di assicurare la successione era stato quindi raggiunto, anche se il regno di C. IV non aveva ancora piena efficacia giuridica. Ed in effetti C. IV cominciò a contare gli anni del suo regno soltanto dopo la morte del padre e, nei diplomi rilasciati prima di questa data, ricorse spesso a formule come "auctoritate paterna et nostra" e simili.

Inizialmente, dal punto di vista territoriale, il regno di C. IV si limitava alla Germania, il "regnum Teutonie", mentre la Borgogna e l'Italia - e più tardi anche il ducato d'Austria - furono sottoposte direttamente all'amministrazione imperiale. Peraltro Federico II intervenne spesso anche negli affari tedeschi: dei diplomi indirizzati a destinatari nel "regnum Teutonie" quasi la metà sono dell'imperatore. Ed anche se solo difficilmente si può scorgere una netta divisione dei compiti, si può dire che l'imperatore si riservava soprattutto la concessione dei feudi più importanti, di quelli cioè che dipendevano direttamente dall'Impero. Ma dopo che nel 1245 C. IV raggiunse la maggiore età, Federico II non intervenne quasi più nel governo del regno di Germania.

Al momento della sua elezione a re C. IV aveva soltanto nove anni e bisognava quindi istituire per lui una reggenza. Fedele alla tradizione tedesca, l'imperatore affidò il figlio e il regno a un principe, l'arcivescovo Sigfrido di Magonza, con il titolo di procuratore del regno; e a questo, forse ispirandosi all'uso siciliano, affiancò un Consiglio di reggenza. I membri di tale Consiglio - i "consiliarii et familiares" come vengono chiamati nei diplomi - negli anni successivi svolsero un ruolo importante accanto al procuratore. È interessante notare che di questo Consiglio di reggenza non fecero mai parte principi laici o ecclesiastici, bensì titolari di uffici di corte, appartenenti al ceto dei ministeriali, cioè a quella nobiltà non libera sulla quale si basava essenzialmente il potere degli Hohenstaufen. Tutti i membri del consiglio provenivano dall'area sveva-francone, come Corrado di Winterstetten, da molti anni consigliere fidato dell'imperatore, e Goffredo di Hohenlohe che C. IV ricorderà più tardi come "dilectus familiaris nostre et fidelis tamquam alumnus persone nostre a teneris annis". Enrico di Rivello, ricordato una sola volta nel Consiglio, era stato inviato probabilmente dall'imperatore con funzioni di controllo. Al Consiglio erano affidate l'educazione del giovane sovrano e la gestione degli affari correnti. I rapporti tra Consiglio e procuratore erano regolati, a detta dell'imperatore stesso, in modo che al Consiglio spettasse la gestione degli affari quotidiani e al procuratore la direzione della politica generale del regno. Più di una volta si arrivò a tensioni serie tra le due parti, finché nel 1241 l'arcivescovo Sigfrido di Magonza abbandonò il partito svevo. Da quel momento fu il Consiglio a gestire tutti gli affari, anche se fu nominato un nuovo procuratore nella persona del langravio di Turingia. Con la costituzione del "Consilium regium" era stato creato, invece, un organo che garantiva una certa continuità della politica.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze si sono conservati circa 150 diplomi della Cancelleria di C. IV, tra cui anche il primo diploma regio in lingua tedesca (1240). Mentre durante il periodo di Enrico la Cancelleria imperiale e quella regia erano separate, con C. - che era in una posizione di minor autonomia nei riguardi del padre - la Cancelleria regia non era molto più di una branca di quella imperiale. Infatti i diplomi di C. IV furono redatti nella loro grande maggioranza da un notaio che operava anche nella Cancelleria imperiale e che può forse identificarsi nel notaio Walter di Ulm, ricordato più volte nei diplomi di C. IV, in cui possiamo vedere, a fianco degli altri consiglieri che erano ministeriali e vivevano secondo le regole cavalleresche, un dotto consigliere intimo del re. C. IV mandò Walter di Ulm dal padre in Italia, quando l'invasione dei Mongoli e il progetto di alcuni principi di eleggere un antiré minacciarono il regno sia dall'esterno sia nell'interno. Non abbiamo notizie più precise su altre istituzioni dell'amministrazione regia ma, come dimostra l'elenco fiscale del 1241, la Camera era sicuramente già organizzata. Le forme di governo del regno, istituite o rafforzate dall'imperatore all'inizio del governo di C. IV, erano ispirate indubbiamente al modello siciliano e dimostrano una tendenza alla razionalizzazione che, peraltro, era difficilmente realizzabile nel "regnum Teutonie" data la sua struttura essenzialmente feudale.

C. IV iniziò quindi il suo regno con poteri limitati. L'imperatore desiderava tenerlo sotto controllo, tanto che nella primavera del 1238 inviò in Germania uno dei suoi più fidati consiglieri siciliani, Gualtieri d'Ocra. Nell'estate dello stesso anno, C. IV raggiunse a Verona, con un grande esercito, il padre che sperava di infliggere il colpo decisivo alla lega lombarda. Ma l'assedio di Brescia, al quale partecipò anche il giovane re, dovette essere abbandonato nell'ottobre. Pur non avendo questa città l'importanza di tante altre, l'insuccesso indebolì l'autorità dell'imperatore non solo in Italia, ma anche in Germania, dove C. IV ritornò nello stesso autunno. Pochi mesi dopo, il 20 marzo 1239, Federico II fu scomunicato per la seconda volta da Gregorio IX.

Al Consiglio di reggenza si pose allora il difficile compito di contrastare i tentativi della S. Sede volti a rafforzare in Germania l'opposizione contro gli Svevi. Il nocciolo della questione era l'atteggiamento dei principi. Per la monarchia sveva era di particolare importanza il possesso del conteso ducato d'Austria quale cerniera tra la Germania e l'Italia. Ma l'acquisto di questo da parte dell'imperatore contrastava con gli interessi della Boemia e della Baviera: perciò in quei territori si era formata una pericolosa coalizione di principi e da essi ebbe inizio la propaganda antisveva condotta dall'arcidiacono di Passau, Alberto Behaim, su incarico di Gregorio IX. Tale propaganda, comunque, all'inizio non ebbe successo: il duca d'Austria concluse la sua pace con l'imperatore, il re di Boemia continuò a trattare con Federico II e il duca Ottone di Baviera fu costretto soprattutto dal suo clero, appoggiato da C. IV, ad intervenire contro lo stesso Alberto Behaim. Le numerose scomuniche lanciate da quest'ultimo, e che riguardavano quasi la metà dei principi ecclesiastici, rimasero senza effetto. Soprattutto le città imperiali - che sopportavano l'interdetto, pare, senza troppo pregiudizio per i loro interessi - rimasero fedeli al re, ed anche i ministeriali imperiali si schierarono, nella loro grande maggioranza, a favore di Corrado IV. Nel 1240, inoltre, altri principi si pronunciarono a favore di una mediazione e a tal fine inviarono a Roma il gran maestro dell'Ordine teutonico, Corrado di Turingia. Inoltre, suscitò generale indignazione il progetto di Gregorio IX di far deporre l'imperatore nel corso di un concilio generale, il giorno di Pasqua del 1241.

Mentre in Italia il papa e l'imperatore si preparavano allo scontro decisivo, i confini orientali dell'Impero erano minacciati dall'invasione dei Mongoli. Ma quando i Tartari si diressero verso sudest e il pericolo si allontanò, i contrasti si riaccesero con tutta la loro precedente violenza. Il passaggio del procuratore del regno, l'arcivescovo Sigfrido di Magonza, alla fazione pontificia e la sua alleanza con il maggior nemico di C. IV, l'arcivescovo di Colonia, nel settembre del 1241 fu il segnale. Già alla fine del 1243 risultò chiaro che il nuovo papa Innocenzo IV faceva di tutto per formare nella Germania, finora prevalentemente filoimperiale, un forte partito pontificio, ricorrendo ai mezzi più svariati: concessioni di privilegi, soprattutto per gli arcivescovi di Magonza. e di Colonia, conferma delle scomuniche comminate ai seguaci dell'imperatore, la nomina di Sigfrido di Magonza a legato pontificio, dispense matrimoniali e grosse somme di denaro. In questa situazione anche il langravio di Turingia, Enrico Raspe, accettò la candidatura ad antiré da lui rifiutata nel 1240, perché ora il sostegno dei due più potenti arcivescovi, l'impressione prodotta in Germania dalla destituzione dell'imperatore e la predicazione contro di lui potevano assicurare un esito positivo a tutta l'impresa.

Durante la celebrazione del concilio di Lione, C. IV si trovava presso il padre nell'Italia settentrionale, dove nel luglio del 1245 giunse loro la notizia del decreto di destituzione. Poco dopo C. IV deve essere tornato in Germania. Non riuscì ad impedire l'elezione di Enrico Raspe (22 maggio 1246), ma cercò di impedirgli la celebrazione di una Dieta a Francoforte, una delle più importanti città imperiali. Perse, però la battaglia decisiva contro il rivale (5 ag. 1246), perché i conti di Württemberg e di Grüningen passarono dalla parte dell'antiré con una grande parte dell'esercito di Corrado IV. Pare che Innocenzo IV avesse offerto ai due conti per questo tradimento 7.000 marchi e per ognuno la metà del ducato di Svevia. Enrico Raspe, tuttavia, non poté approfittare di questa vittoria perché morì poco dopo, il 16 febbr. 1247. Nel frattempo, comunque. C. IV era riuscito a collegarsi ancora più strettamente con il più potente principe laico della Germania, il duca di Baviera Ottone di Wittelsbach, sposandone il 1o sett. 1246 la figlia Elisabetta. Da allora il Wittelsbach, che una volta era stato seguace del papa, si adoperò valorosamente per la causa sveva fino alla morte. La Curia trovò ben presto un altro candidato da opporre a C. IV nella persona di Guglielmo d'Olanda, eletto antiré nell'autunno del 1247 e che era totalmente dipendente dai suoi elettori ecclesiastici e dai suoi potenti parenti. La Svevia, la Baviera e l'Austria. rimasero tuttavia, nel complesso, fedeli all'imperatore. La posizione di C. IV era scossa, ma non disperata.

In questa situazione C. IV ricevette la notizia della morte del padre avvenuta il 13 dic. 1250 in Puglia.

Nel suo testamento l'imperatore aveva istituito C. IV suo erede nell'Impero e nel Regno di Sicilia (qualificato nel testo come "regnum nostrum", una dizione con la quale Federico II ne rivendicava chiaramente la proprietà). Al figlio legittimato Manfredi, nato dalla sua relazione con Bianca Lancia, Federico II aveva assegnato, invece, il baiulato del Regno di Sicilia. In merito al testamento di Federico si deve ricordare come la facoltà giuridica del re di Sicilia di designare il proprio successore non fosse concordemente riconosciuta. Infatti, mentre nel concordato concluso nel 1156 con Guglielmo I il Papato aveva concesso al re tale facoltà, analoga attribuzione manca nei concordati successivi. In particolare, poi, a Federico II il Regno era stato concesso dal papa soltanto vita natural durante. D'altra parte, però, Enrico VI e Federico II avevano sempre sostenuto, contestando quelli che il Papato vantava, i diritti dell'Impero sul Regno di Sicilia. Il contrasto tra Papato e monarchia sul piano giuridico era ulteriormente inasprito dal fatto che Federico II - al pari dei suoi seguaci - era considerato dai suoi avversari deposto e scomunicato. Lo era pure C. IV, anche se il suo nome non si trova nel decreto di destituzione del concilio di Lione, che concedeva agli elettori competenti la libera elezione di un nuovo imperatore, mentre Innocenzo IV si riservava il diritto di disporre del Regno di Sicilia.

C. IV capì subito che doveva seguire al più presto l'invito del fratellastro Manfredi e trasferirsi nel Regno di Sicilia. Non si trattava soltanto di impadronirsi delle risorse finanziarie del Regno per poter proseguire con successo la lotta in Germania: C. IV era convinto che solo l'affermazione dei diritti imperiali nel Regno gli avrebbe conferito quella "auctoritas" necessaria per riconquistare il dominio incontrastato nell'Impero. Innocenzo IV dovette intuire le intenzioni del re, perché già nel febbraio del 1251 ordinò all'arcivescovo di Colonia di render noto che quanti avessero Provato a conquistare il Regno di Sicilia dovevano essere considerati scomunicati, mentre tutti i luoghi in cui essi avessero soggiornato erano automaticamente sottoposti all'interdetto.

Nella curia celebrata nell'ottobre del 1251 ad Augusta C. IV nominò il suocero, Ottone di Baviera, suo luogotenente in Germania. Subito dopo si mise in marcia con il suo esercito e passo in Italia attraverso la via del Brennero. Dopo una breve sosta a Verona, si incontrò a Goito, presso Mantova, con i rappresentanti della fazione imperiale in Italia, con i vicari imperiali Manfredi Lancia e Oberto Pelavicino e con gli ambasciatori delle città ghibelline. Poiché la via di terra era pericolosa, Manfredi aveva mandato al nord una piccola flotta al comando dell'ammiraglio Ansaldo De Mari, accompagnato da altri due consiglieri del defunto imperatore, Bertoldo di Hohenburg e Gualtieri d'Ocra. Uno dei primi atti di governo di C. IV fu la nomina di quest'ultimo a cancelliere del Regno di Sicilia. Seguendo la direttrice Lonigo-Vicenza, la corte giunse a Latisana sul Tagliamento, dove si imbarcò sulle navi mandate da Manfredi. Il viaggio si svolse lungo le coste dell'Istria e della Dalmazia. A Spalato la flotta iniziò la traversata dell'Adriatico e arrivò ai primi del 1252 (probabilmente l'8 gennaio) a Siponto. Qui Manfredi accolse il fratello e gli consegnò il Regno, in ottemperanza alle ultime volontà del padre che gli aveva conferito il baiulato soltanto per il periodo dell'assenza di Corrado IV.

Successivamente fu celebrata a Foggia la prima grande curia del Regno. I problemi che C. IV vi affrontò dimostrano che egli, pur rimanendo fedele alla tradizione della sua famiglia, intendeva tentare una propria strada. Interpretando le, intenzioni del testamento di Federico II, abolì la colletta generale nella speranza di riconquistarsi le simpatie di larghi strati della popolazione, che il pesante fiscalismo di Federico II aveva alienato alla sua casa. Per punire Napoli che persisteva nella rivolta, trasferì lo Studio a Salerno e ne confermò i privilegi. Risolse, infine, con abilità anche un altro problema delicato: quello dei suoi rapporti con Manfredi che mise su una nuova base. Non si potrà mai saper con sicurezza se Manfredi già allora abbia tentato di conquistare per sé la corona con l'aiuto dei suoi potenti parenti materni. C. IV, comunque, dimostrò fermezza nei confronti dei Lancia, annullando tutte le concessioni di beni demaniali fatte loro contro le disposizioni del testamento paterno. Non confermò a Manfredi tutti i feudi, benché assegnatigli dal testamento: gli lasciò soltanto il principato di Taranto, concedendo la contea di Monte Caveoso e altri feudi a Bertoldo di Hohenburg. Ma anche se queste decisioni devono aver provocato il rancore di Manfredi, C. IV riuscì a conservarsi la sua fedeltà persino dopo la rivolta del marchese Manfredi Lancia, vicario imperiale nell'Italia nordoccidentale e il conseguente esilio di quasi tutti i membri della famiglia Lancia dal Regno.

C. IV si circondò di consiglieri che avevano già servito l'imperatore, quali Pietro Ruffo, luogotenente in Calabria e in Sicilia, Bertoldo di Hohenburg, Federico d'Antiochia, un suo fratellastro, il cancelliere Gualtieri d'Ocra, il vicario Oberto Pelavicino. Era garantita il tal modo la continuità nella politica del sovrano che si manifestò anche nel tentativo di giungere a un accordo con Innocenzo IV, tornato nel frattempo in Italia.

Bertoldo di Hohenburg, l'arcivescovo Giacomo di Trani (che non era un sicuro sostenitore degli Svevi), e il cancelliere Gualtieri d'Ocra, nella primavera del 1252, inviarono alla Curia pontificia, in quel momento a Perugia, nuove proposte per ottenere il riconoscimento di Corrado IV. Ma Innocenzo IV stava trattando già da tempo la concessione del Regno di Sicilia ad altro candidato, in base al decreto di deposizione del concilio di Lione, e non prese in seria considerazione la possibilità di un accordo. Tuttavia, il fatto che il clero siciliano in molti casi non osservasse le censure ecclesiastiche era di grave ostacolo all'azione pontificia nel Regno. C. IV stesso sviluppò un'intensa attività in questo campo, insediando suoi partigiani nei vescovati importanti come Bari, Cosenza e Salerno.

Come in tutti i periodi di crisi, furono soprattutto i baroni e alcune città delle province settentrionali del Regno - di quelle, cioè, che confinavano con il Patrimonio - a tentare di ribellarsi con l'aiuto del papa. Il re riuscì, comunque, a costringere alla sottomissione i potenti conti di Caserta e di Acerra. All'inizio del 1253 conquistò Capua e nell'ottobre dello stesso anno costrinse Napoli, assediata dalla flotta regia, alla resa. Nel frattempo il partito ghibellino otteneva buoni risultati nell'Italia settentrionale e centrale. La situazione non era quindi proprio sfavorevole, quando C. IV nell'autunno del 1253 intavolò nuove trattative con Innocenzo IV. Il papa rispose invitandolo a presentarsi personalmente a Roma e a giustificarsi dei gravamina inviatigli per iscritto. Nello stesso tempo furono conferiti al legato pontificio in Inghilterra i poteri per investire il figlio del re inglese, Edinondo, del Regno di Sicilia, investitura che avvenne il 6 marzo 1254. Un mese più tardi, il 9 aprile, C. IV fu solennemente scomunicato dal papa con la motivazione che egli sottraeva il Regno di Sicilia alla Chiesa romana. Dal canto suo, peraltro, C. IV aveva dato segno inequivocabile di accettare la sfida con la fondazione della città dell'Aquila sul confine settentrionale del Regno. Nell'Italia centrale e settentrionale si organizzarono le forze ghibelline. Il re stesso concentrò presso Lavello un grande esercito, al quale si unì con le sue truppe anche Manfredi.

Già a febbraio C. IV era stato colto da una violenta febbre, probabilmente un attacco di malaria; un secondo attacco lo colse a Lavello, dove morì il 21 maggio 1254. Aveva ventisei anni e ventisei giorni.

La salma fu sepolta nel duomo di Messina; il sepolcro andò distrutto nel 1259 quando un incendio devastò il duomo. È probabile che C. IV avesse destinato come luogo di sepoltura Palermo, dove si trovavano le tombe dei suoi antenati.

Prima di morire C. IV aveva nominato in un testamento, tramandato solo frammentariamente, il figlioletto di due anni Corrado, detto Corradino, nato dal matrimonio con Elisabetta di Baviera suo successore affidandolo alla tutela della Chiesa. Ma il bambino non era ancora stato eletto re. L'unica cosa che C. IV aveva potuto ottenere prima della morte era la promessa dei nobili svevi di riconoscere Corradino come duca di Svevia. Oltre a Corradino, C. IV aveva avuto, da una relazione con un'italiana, un figlio, anch'egli di nome Corrado, che fu ucciso nel 1269 dopola conquista di Lucera da parte dell'Angiò.

C. IV è stato raffigurato diverse volte, soprattutto sui sigilli, e forse anche su un bassorilievo del pulpito nella cattedrale di Bitonto. Nessuna di queste raffigurazioni, però, si può considerare un vero ritratto. Il suo aspetto ci rimane quindi sconosciuto. Anche sul suo carattere non possiamo ricavare molto dalle fonti, dato che quelle di ispirazione ghibellina tracciano il ritratto del "rex iustus", mentre quelle guelfe lo descrivono come un persecutore crudele della Chiesa. Dai documenti a noi giunti, comunque, sembra possibile affermare che C. IV possedeva un marcato senso del diritto e della giustizia. Il giovane re era stato educato nella coscienza della sua posizione e dei suoi doveri. Lo dimostrano le lettere dell'imperatore che esortava il figlio a comportarsi nei confronti dei suoi maestri non come un re ma come un allievo, di aver cura di buoni costumi e di buone compagnie, mettendogli davanti agli occhi l'immagine dell'infelice fratello maggiore. Non sappiamo se C. IV abbia ereditato le brillanti doti del padre. Ma anche la corte tenuta da C. IV in Germania sembra influenzata dalla ricchezza spirituale e culturale di quella siciliana. C. IV fu amante della poesia e protettore dei poeti. Sarà difficile, comunque, chiarire definitivamente se le due poesie d'amore che gli vengono attribuite nel famoso codice della Biblioteca universale di Heidelberg Manesse siano sue. Minnesänger famosi come Konrad von Winterstetten e Gottfried von Hohenlohe facevano parte del suo entourage; Rudolf von Ems scrisse per lui una cronica universale.

Il governo autonomo di C. IV fu troppo breve per permettere un giudizio definitivo sulle sue vere capacità. Ma soprattutto gli anni del suo governo in Italia, in cui riprese la tradizione imperiale del padre, ce lo presentano come un sovrano energico e intelligente e un condottiero esperto e coraggioso.

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