BENTIVOGLIO, Cornelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 8 (1966)

BENTIVOGLIO, Cornelio


Nacque a Ferrara, da Costanzo e da Elena Rangoni, nel 1519 o nel 1520. Temperamento esuberante, dotato di eccezionali attitudini al maneggio delle armi, si rivolse giovanissimo alla milizia: già nel 1536, infatti, fece parte del corpo di cavalleria che al comando di Francesco d'Este affiancò gli Imperiali nella sfortunata spedizione di Provenza e cinque anni più tardi era nelcontingente ferrarese che partecipò all'impresa di Algeri.

Protagonista tra i più assidui, negli anni compresi tra questi due episodi militari, dei tornei, delle feste, delle vertenze cavalleresche che punteggiavano la vita della fastosa corte estense, il matrimonio del B. nel 1539 con Leonarda d'Este, celebrato anche da un sonetto di Torquato Tasso, sembrò la definitiva sanzione del favore di cui egli godeva presso la famiglia ducale. Ma già nel 1542 l'uccisione da lui compiuta, non si sa per quali motivi, del cugino Galeotto Malatesta, lo costrinse a fuggire da Ferrara e a rifugiarsi a Venezia sotto la minaccia del bando ducale. Sembra però che sin dagli inizi non gli venisse meno la protezione del cardinale Ippolito d'Este: forse a lui il B. dovette i contatti con Piero Strozzi, capo del fuoruscitismo antimperiale in Italia, anch'egli a Venezia in quel periodo, e una pensione di 1.200 scudi annui che gli fu concessa il 31 luglio 1542 dal re di Francia. Così il B., che pure era feudatario di Carlo V, come titolare della terra lombarda di Antegnate, passava al servizio di Francesco I. In quello stesso anno, insieme con lo Strozzi e con altri fuorusciti di parte francese, egli fu marginalmente implicato in un clamoroso episodio di spionaggio a favore dei Turchi: dapprima arrestato, fu poi espulso dallo Stato veneto con i suoi compagni. Riparò allora alla corte di Francia, dove la pensione accordatagli fu giustificata con una carica onorifica al servizio del delfino Enrico di Valois: ma nel 1543 ritornava sui campi di battaglia partecipando alla campagna del Lussemburgo ed alla battaglia di Landrecies. Conclusa con gli Imperiali la pace di Crépy, nel settembre 1544, il B. prese parte alla guerra contro gli Inglesi, combattendo a Boulogne-sur-Mer; l'anno seguente passò in Scozia con la spedizione inviata da Francesco I a sostegno della reggente Maria di Lorena. Nel 1546 era ancora in Italia a fianco dello Strozzi, dapprima in Piemonte, al comando di 500fanti e di 100 uomini d'arme, poi alla Mirandola, presso Galeotto Pico, per assoldare nuove milizie.

In questi anni a più riprese i protettori del B., Enrico di Valois e Ippolito d'Este, intervennero presso il duca di Ferrara perché fosse revocato il bando del 1542: Ercole II però si ostinò nel rifiuto, richiamandosi, "oltre alla atrocità del caso", al fatto che il B. "non aveva la pace dalli offesi" (Lazzari, p. 10). E nel frattempo il B., tornato in Francia e divenuto alla corte il compagno inseparabile delle imprese amatorie e cavalleresche dei delfino, aveva trovato il modo di attirare su di sé l'ira dello stesso Francesco I con un altro clamoroso, cruento episodio: nel corso di un trattenimento tra giovani gentiluomini uccise infatti Francesco di Borbone, conte d'Enghien, il vincitore di Ceresole, facendogli cadere addosso da una finestra della Roche Guyon un pesante mobile. La protezione di Enrico di Valois scongiurò le gravi sanzioni che il risentimento del re minacciava: il gesto fu ufficialmente qualificato come un disgraziato incidente ed il colpevole non ne ricevette altro danno che l'allontanamento dalla corte, sebbene non mancassero voci che lo accusavano di aver premeditato l'omicidio, sia per eliminare un protettore dei Malatesta, sia per compiacere il delfino, non poco infastidito dalle glorie militari dell'Enghien. Comunque l'ascesa al trono di Enrico risolse presto tutti i problemi del B., che infatti fu subito riammesso a corte ottenendo anche un donativo di 4.000 scudi per imprecisate benemerenze verso la Corona; e il duca di Ferrara nel 1548 si decise, in omaggio alla nuova condizione di Enrico, a togliere il bando. Questa sanatoria in realtà dovette incoraggiare il B. a perseverare nei suoi metodi sbrigativi: nell'agosto del 1547, infatti, fu ucciso a Bologna da un sicario, tale Antonio Mastino, il protonotario apostolico Lippo Ghislieri; le indagini dei legato pontificio non tardarono ad individuare il mandante dell'ornicidio nel B., in contrasto col Ghislieri per interessi economici, ma il processo fu per il momento insabbiato da una autorevole richiesta del cardinale Alessandro Farnese, dietro il quale è verosimile supporre un altro intervento della corte di Francia. A buon conto, alla vigilia di una nuova spedizione in Scozia in veste di luogotenente di Piero Strozzi, il B., che aveva tra i suoi soldati il Mastino, trovò prudente sbarazzarsi del sicario, il quale per ordine dello Strozzi fu impiccato "sotto colore ch'egli avesse sforzato un fratino", mentre, secondo una relazione contemporanea, "il creder comune fu che il tutto fusse fatto de scientia et per compiacere il signor Comelio" (ibid., p. 15).

Nel 1551 il B. partecipò, ancora con lo Strozzi, alla guerra di Parma, distinguendosi in vari scontri con gli Imperiali a Montecchio, a Brescello, a Sorbolo, alla difesa di Parma contro Ferrante Gonzaga; passato quindi a Mirandola, di lì fece irruzione nel territorio pontificio, partecipando alla conquista di Crevalcore il 12 giugno e spingendosi una settimaria dopo nei pressi di Bologna, di cui mise a sacco

2 territorio. Papa Giulio III il 1° luglio minacciò di dichiararlo ribelle e ordinò la confisca dei beni che la sua famiglia possedeva nel Bolognese: una misura, quest'ultima, che fu poi revocata in seguito alla pace dell'aprile 1552.

Dal 15 al 18 luglio 1552 il B. partecipò alla dieta di Chioggia, nella quale gli agenti francesi in Italia decisero di appoggiare l'insurrezione di Siena contro gli Imperiali. Incaricato di portare la notizia ad Enrico II, egli prese parte nell'esercito del duca di Guisa alla vittoriosa difesa di Metz contro Carlo V. Tornò quindi in Italia e nel 1553 il maresciallo de Tennes, cui erano affidate le forze francesi nella guerra di Siena, lo nominò luogotenente generale per la Maremma: qui, il 25 marzo, tra Giuncarico e Scarlino, il B. ottenne un Vistoso successo contro un forte contingente di Imperiali, in seguito al quale si assicurò il controllo indisturbato della regione. Nell'agosto, passato il Termes in Corsica, Ippolito d'Este affidò il comando del presidio senese al B., al quale toccò pertanto di difendere la città contro l'attacco portatole nel gennaio del 1554 da Gian Giacomo de' Medici. Assunta quindi la direzione della guerra da Piero Strozzi, il B. ne fu il principale collaboratore durante la campagna che culminò nella battaglia di Marciano del 2 agosto; difese quindi Siena alle dipendenze del Montluc, il quale scrisse poi lusingffieramente di lui nel suo Commentaire: "C'estoit un homme sage et advisé et vaillant, auquel je me reposais bien fort". Nel giugno del 1555, mentre lo Strozzi era assediato in Porto Ercole, tentò di alleggerire la stretta spagnola nel porto della Maremma con una incursione nel contado di Montepulciano, Foiano e Chianciano, non ottenendo tuttavia alcun apprezzabile risultato, sebbene riuscisse a conquistare Pienza. Subito dopo la caduta di Siena., in qualità di "luogotenente del maresciallo Strozzi in Montalcino, terre della Montagna e Val d'Orcia" partecipò all'ultima disperata difesa della Repubblica, guadagnandosi, assai più che non gli altri esponenti frailcesi, la stima e l'affetto dei Senesi: questi vollero dargliene testimonianza col titolo di gentiluomo senese e con l'investitura dei feudi di Castell'Ottieri e Montorio, dai quali era stato dichiarato decaduto Sinolfo Ottieri; queste concessioni furono confermate il 7 nov. 1555 da Enrico II, il quale per suo conto investì il B. il 1° marzo seguente del feudo piemontese di Vigone.

Decisa nel 1556 una nuova spedizione francese in Italia, ufficialmente per recare soccorso a Paolo IV contro gli Spagnoli, ma con l'ambizioso proposito di invadere il Regno di Napoli, Enrico II nominò il B., il 16 novembre, capitano generale delle artiglierie nell'esercito del duca di Guisa; ma, su richiesta del duca Ercole II, il re consentì poi che il B. affiancasse Alfonso d'Este nella sterile campagna per l'occupazione di Correggio e di Guastalla, feudo quest'ultimo di Ferrante Gonzaga, il quale ottenne per rivalsa che il B. fosse ufficialmente privato da Filippo II dei suoi diritti sul feudo di Antegnate. Maggior fortuna egli ebbe nella successiva campagna degli Estensi contro Ottavio Famese, anch'essa affidata alla sua direzione e conclusasi con la conquista di Guardasone. Concluso nel marzo del 1556 l'accordo per la neutralità ferrarese, il B. tornò al diretto servizio di Enrico II, il quale lo nominò suo luogotenente in Toscana in sostituzione di Francesco d'Este.

In tale qualità toccò al B., dopo il trattato di Cateau-Cambrésis, di concordare con gli agenti medicei le modalità della resa di Montalcino, e non si lasciò sfuggire l'occasione di trame un personale vantaggio: se infatti mostrò notevole energia nell'indurre i Senesi - con la persuasione e le minacce - a rinunciare ad ogni velleità di riprendere da soli la lotta, accampando cavilli procedurali seppe poi ritardare la consegna delle piazze fin tanto che Cosimo I, capiti gli umori dell'uomo, non si fu deciso a gratificarlo del feudo di Magliano in Maremma. Altrettanto grato dei servigi del B. si mostrò il re di Francia, il quale nel 1560 lo creò cavaliere dell'Ordine di S. Michele.

Alla morte di Ercole II il B. tornò nuovamente al servizio estense, investito, durante l'assenza del nuovo duca Alfonso, allora alla corte francese, dei compito di sorvegliare insieme con la duchessa madre Renata il pacifico trapasso dei poteri. Da allora rimase definitivamente alla corte ferrarese divenendo, col titolo di luogotenente generale dello Stato, attribuitogli il 22 maggio 1560, il principale collaboratore di Alfonso II. Proprio per questo nel 1565 Pio IV, nel quadro della sua politica antiestense. riaprì il processo per l'uccisione di mons. Ghislieri, facendo condannare a morte in contumacia il B. e suo fratello Guido e confiscando i loro beni nel Bolognese. Ma la morte del papa nel dicembre di questo stesso anno permise ai due fratelli, in favore dei quali intervennero nel periodo di sede vacante anche il re di Francia Carlo IX e Cosimo I, di ottenere la revoca della condanna dal collegio dei cardinali.

Nel 1566 il B. partecipò con Alfonso II alla breve campagna d'Ungheria contro i Turchi, conclusa alla morte di Solimano. Il 24 luglio 1567 ottenne dal duca l'investitura dei feudo di Castel Gualtieri, elevato a marchesato il 30genn. 1575. Imperturbabile al passare degli anni egli fu ancora a lungo tra i protagonisti della vita cortese: si ricorda una giostra durante il carnevale del 1577 in cui era a capo di una delle fazioni, l'altra essendo guidata dallo stesso duca; e nello stesso anno era, con Alfcnso e con il Tasso, tra gli attori di una recita a corte. Il contemporaneo Rossetti ricorda ancora che nella sua casa venne rappresentato nel 1582 l'Aminta. Pare che con l'attardarsi dell'età il B. diventasse, nella sua carica di luogotenente ducale, sempre più autoritario e inframmettente, sino a diventare insopportabile allo stesso Alfonso II. In una sua relazione il residente toscano Raffaello Medici riferiva su questi malumori e di come egli "nell'anticamera di Sua Altezza dava picchiate sode" ai vari ministri e dignitari estensi (Lazzari, p. 22).

Il B. morì a Ferrara il 26 maggio 1585. Dal suo matrimonio con Leonarda d'Este ebbe quattro figli; altri cinque, tra cui il futuro cardinale Guido, da Isabella Bendidio, sposata in seconde nozze il 1° luglio 1573.

Fonti e Bibl.:G.B. Rossetti, Dello Scalco, Venezia 1582, p. 306; G. B. Adriani, Istoria de' suoi tempi, Venezia 1587, passim;B. de Montluc, Commentaire, in Choix de croniques et memoires sur l'histoire de France, a c. di A. C. Buchon, Paris 1836, p. 143 e passim;A. Lazzari, Ombre e luci nella vita di C. B. (1520 ?-1585), in Atti e mem. della Deputaz. prov. ferrarese di storia patria n.s., IV (1946-1949), pp. 1-24; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, passim.

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