Cooperazione giudiziaria internazionale [dir. int.]

Diritto on line (2017)

Alessandra Lanciotti

Abstract

L’attività di cooperazione giudiziaria internazionale, stante l’assenza di obblighi previsti da norme di diritto internazionale consuetudinario, trova la propria regolamentazione nelle disposizioni pattizie concordate fra gli Stati interessati a porre in essere il necessario coordinamento fra le rispettive autorità giudiziarie e amministrative per lo svolgimento di varie attività processuali, che vanno dalla raccolta delle prove alla notificazione degli atti all’estero, nonché per agevolare la circolazione dei provvedimenti e delle decisioni giudiziarie. Anche in materia penale gli obblighi di cooperazione e assistenza giudiziaria sono stabiliti da appositi trattati che rendono possibile l’assistenza giudiziaria in favore dello Stato richiedente con modalità accettate nello Stato di compimento dell’attività. Infine norme particolari regolano la cooperazione degli Stati con i tribunali penali internazionali ad hoc e con la Corte penale internazionale.

Premessa

L’attività di cooperazione giudiziaria internazionale, stante l’assenza di norme consuetudinarie che regolano tale complessa materia, trova la propria disciplina nelle disposizioni pattizie concordate fra gli Stati interessati a porre in essere il coordinamento fra le rispettive autorità giudiziarie e amministrative, indispensabile per lo svolgimento di attività processuali in territorio straniero. Infatti lo Stato estero, nell’esercizio della propria sovranità, è libero di negare ogni forma di collaborazione oppure di prestarla fissandone modalità e limiti.

In materia civile, la cooperazione giudiziaria tra le autorità di Stati diversi è regolata da accordi volti ad agevolare l’esercizio del potere giurisdizionale da parte di ciascuno Stato contraente, per consentire lo svolgimento in territorio straniero di alcune attività strumentali, che vanno dalla comunicazione degli atti processuali ad un soggetto che si trova in uno Stato diverso da quello del foro, al compimento di misure funzionali all’istruttoria processuale, come l’acquisizione delle prove, nonché l’attribuzione di efficacia ai provvedimenti e decisioni straniere. Anche in materia penale, la cooperazione giudiziaria è sostanzialmente basata sulla stipula di convenzioni internazionali, in modo da rendere possibile la prestazione dell’assistenza giudiziaria in favore dello Stato richiedente con modalità e condizioni accettate nello Stato di compimento dell’attività, a condizione di reciprocità.

La cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri UE

. La creazione dello spazio giudiziario europeo

Il livello più avanzato di cooperazione giudiziaria è stato raggiunto tra gli Stati membri dell’Unione europea (UE), attraverso il perfezionamento di tutta una serie di misure legislative miranti al ravvicinamento delle rispettive normative nazionali, per eliminare gli ostacoli derivanti dalle discrepanze esistenti tra i diversi sistemi giudiziari e amministrativi e creare così uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia entro i confini dell’Unione. Prima dell’entrata in vigore del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) c’era una differenza sostanziale tra la cooperazione in materia civile e quella in materia penale quanto alla base giuridica, rinvenibile rispettivamente nel primo e nel terzo pilastro del “vecchio” TCE e, conseguentemente, al tipo di atto adottabile. Con il TFUE anche la cooperazione giudiziaria in ambito penale, prima rimessa integralmente all’azione intergovernativa, è entrata a far parte delle materie per le quali l’Unione ha competenza normativa diretta (art. 82 TFUE).

La cooperazione giudiziaria in materia civile, disciplinata inizialmente da convenzioni internazionali che trovavano il proprio fondamento indiretto nell’art. 293 TCE, è stata inserita nel Trattato di Maastricht (1992) come «questione di interesse comune», per poi diventare materia di competenza legislativa comunitaria, associata alla libera circolazione delle persone, con l’aggiunta del titolo V nel Trattato di Amsterdam (1997). Da quel momento in poi la cooperazione è stata attuata principalmente con lo strumento del regolamento comunitario, un atto direttamente vincolante e dall’efficacia molto penetrante, che non lascia spazio alla discrezionalità degli Stati (v. De Cesari, P., Diritto internazionale privato dell’Unione Europea, Torino, 2011, 24 ss.). Gli obiettivi principali di tale cooperazione sono la certezza del diritto e un accesso agevole ed effettivo alla giustizia, che si raggiungono grazie a una facile individuazione della giurisdizione competente, a un'indicazione chiara del diritto applicabile, al ravvicinamento delle legislazioni in materia di notificazione degli atti e assunzione di prove e, in particolare, mediante l’adozione di procedure semplificate per il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro negli altri Stati membri. In tali settori l’UE può intervenire esclusivamente per mezzo del ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, e non mediante l’armonizzazione (v. art. 81 TFUE).

La libera circolazione delle decisioni nello spazio giudiziario europeo

Nello spazio giudiziario europeo le decisioni in materia civile e commerciale rese in uno Stato membro divengono efficaci negli altri Stati membri “senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento” e con una procedura semplificata di esecuzione. Questo principio del riconoscimento automatico è stato affermato per la prima volta nella Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento ed esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale, in vigore fra gli Stati fondatori della Comunità fin dall’1.2.1973 (v. artt. 26 e 31, Carbone, S., Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale, Torino, 2009, 2 ss.), per poi confluire nel Reg. UE n. 44/2001, detto Reg. “Bruxelles I” sulla stessa materia, che ha stabilito l’equivalenza tra titoli esecutivi emessi nei diversi Stati membri (v. art. 33 e art. 38 ss., v. Riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile e commerciale [dir. proc. civ. int.] ). Dal 10.1.2015 si applica il nuovo Reg. UE n. 1215/2012 (detto Reg. “Bruxelles I-bis”) che ha sostituito il precedente Reg. n. 44/2001 e ha introdotto importanti novità in tema di abolizione dell’exequatur.

I regolamenti nel settore della cooperazione giudiziaria civile

Numerosi altri regolamenti nel settore della cooperazione giudiziaria civile con implicazioni transfrontaliere sono stati adottati in base all’art. 81 TFUE (o al vecchio art. 65 TCE), realizzando forme efficaci di cooperazione giudiziaria civile in vari settori. Oltre alla materia “civile e commerciale” intesa in accezione ampia, la “bulimia regolamentare” delle istituzioni dell’Unione (così Bonomi, A., Il diritto internazionale privato dell’Unione europea: considerazioni generali, in Bonomi, A., (a cura di), Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, Torino, 2009, 12) ha coinvolto progressivamente numerosi settori: dal diritto di famiglia e delle persone (v. Reg. CE n. 2201/2003 del 27.11.2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, detto Reg. “Bruxelles II bis”; Reg. CE n. 4/2009 del 18.12.2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; Reg. UE n. 650/2012 del 4.7.2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo), ai rapporti di credito (v. Reg. CE n. 805/2004 che istituisce un procedimento europeo di ingiunzione di pagamento; Reg. CE n. 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità; Reg. CE n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza transfrontaliere). A questi vanno aggiunti altri regolamenti ancora che hanno introdotto una disciplina uniforme per migliorare e velocizzare la trasmissione da uno Stato membro ad un altro degli atti giudiziari ed extragiudiziali (Reg. CE n. 1393/2007 del 13.11.2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, che ha sostituito il Reg. CE n. 1348/2000), e per l’ottenimento delle prove (Reg. CE n. 1206/2001 del 28.5.2001, sulla cooperazione fra autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale).

La cooperazione giudiziaria internazionale in materia civile

La disciplina convenzionale

Al di fuori del quadro normativo di diritto dell’UE la cooperazione giudiziaria civile è sostanzialmente regolata in base a convenzioni internazionali. Alcune fra le più diffuse convenzioni multilaterali sulla procedura civile sono state elaborate in seno alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato a partire dalla fine dell’Ottocento (v. www.hcch.net ). Fra quelle in vigore per l’Italia ricordiamo la Convenzione dell’Aja del 15.11.1965, relativa alla notificazione all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale e la Convenzione dell’Aja del 18.3.1970 sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile o commerciale. La prima disciplina le modalità di trasmissione, la consegna, gli effetti di un atto di notifica dall’uno all’altro Stato aderente (attualmente 68, inclusa l’Italia) e ha sostituito, nei rapporti fra gli Stati che l’hanno ratificata, la precedente Convenzione dell’1.3.1954 sulla procedura civile. Nel sito della Conferenza dell’Aja sono indicate le Autorità centrali che hanno l’onere di ricevere le richieste di notificazione o di comunicazione provenienti da un altro Stato parte e di darvi seguito, nonché le eventuali dichiarazioni e/o riserve di ogni Stato in relazione all’applicabilità di determinate modalità di trasmissione. La Convenzione del 1970 si occupa delle modalità di cooperazione per l'assunzione delle prove all'estero. Vi hanno aderito 58 Stati che hanno provveduto a istituire ciascuno un’Autorità centrale col compito di ricevere le commissioni rogatorie e di trasmetterle all’autorità giudiziaria competente ad eseguirle. L’obiettivo di tale trattato è di superare le differenze esistenti in materia tra la tradizione dei sistemi romano-germanici e quelli di common law e, infatti, per venire incontro alle esigenze dei Paesi anglosassoni, sono disciplinati anche i casi in cui l’assunzione di mezzi istruttori in un altro Stato contraente avvenga a mezzo di agenti diplomatici o consolari o a mezzo di persona privata a ciò designata dall’autorità richiedente. Va ricordata anche la Convenzione dell’Aia del 5.10.1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri che ha introdotto la possibilità di legalizzare atti e documenti rilasciati da autorità straniere con l’apposizione della “postilla” (o apostille), una più semplice formalità che sostituisce la legalizzazione dell’atto e che viene ascritta sul documento direttamente per mano dell’autorità interna designata dallo Stato che ha prodotto l’atto, senza dover ricorrere al più farraginoso procedimento della legalizzazione presso la Rappresentanza consolare nel Paese estero; ciò consente il riconoscimento dell’atto straniero munito dell’apostille negli altri Stati parti della Convenzione.

Oltre a tali convenzioni vi è una serie di convenzioni bilaterali che portano ad una collaborazione più stretta fra i due Stati contraenti e la cui disciplina prevale sulla normativa multilaterale (per l’elenco di quelle concluse dall’Italia con Paesi extracomunitari www.esteri.it). Nei rapporti fra Paesi membri dell’UE prevale, salvo diversa precisazione, la disciplina di diritto comunitario derivato (supra, § 2.3).

L’applicazione residuale della normativa interna

La normativa interna sull’assistenza giudiziaria internazionale ha carattere residuale, prevalgono infatti su di essa le convenzioni con i Paesi extracomunitari (v. art. 2, l. 31.5.1995, n. 218) e la disciplina uniforme dei regolamenti comunitari. L’art. 69 della legge di riforma del diritto internazionale privato (l. n. 218/1995) regola il compimento in Italia di atti istruttori disposti da giudici stranieri, nei casi in cui non trovino applicazione norme convenzionali o il Reg. n. 1206/2001. L’art. 68 della stessa legge estende la disciplina prevista per l’attribuzione di efficacia alle sentenze e ai provvedimenti stranieri (art. 67, v. Riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile e commerciale [dir. proc. civ. int.] ) anche all’attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti dall’estero. Secondo l’art. 68 un atto straniero, se considerato “pubblico” in base alla lex fori, unitamente al provvedimento della Corte d’appello che accoglie la domanda di riconoscimento, costituisce titolo per l’attuazione e per l’esecuzione forzata (v. Conetti, G.-Tonolo, S.-Vismara, F., Commento alla riforma del diritto internazionale privato italiano, II ed., Torino, 2009, 337 s.). Per le notifiche all’estero di atti italiani si applica, sempre in via residuale, l’art. 142 c.p.c. (v. Barel, B., Le notificazioni nello spazio giuridico europeo, Padova, 2008, 295 ss.).

La cooperazione per la conoscenza del diritto straniero

Rientra nel quadro dell’assistenza giudiziaria internazionale anche l’attività per acquisire la conoscenza del contenuto del diritto di uno Stato estero richiamato dalle norme di conflitto del foro. Ai sensi dell’art. 14, l. n. 218/1995, l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice, il quale può avvalersi anche “degli strumenti offerti dalle convenzioni internazionali”. Rilevante in proposito è la Convenzione europea nel campo dell'informazione sul diritto straniero del 7.6.1968, promossa dal Consiglio d’Europa, che impegna gli Stati parti (attualmente 46) a scambiarsi le informazioni concernenti il diritto civile e commerciale, la procedura civile e l’organizzazione giudiziaria (CETS No. 062 www.coe.int ).

La cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale

In materia penale non vi sono regole di diritto internazionale generale in grado di imporre agli Stati obblighi di reciproca assistenza e cooperazione, ma soltanto norme di derivazione pattizia che vincolano gli Stati parti di ciascun trattato per gli aspetti ivi specificamente disciplinati. Un regime di cooperazione penale particolarmente incisivo è attualmente in vigore fra gli Stati membri dell’UE in base al TFUE. Tuttavia, l’assenza di una normativa pattizia non è di per sé ostacolo all’instaurazione di relazioni collaborative in materia giudiziaria penale, essendo diffusa la prassi di ricorrere alla cd. “cortesia internazionale” per avanzare richieste di cooperazione verso gli Stati con i quali non sussistono obblighi convenzionali. Ove ciò accada, il buon esito della cooperazione è rimesso alle regole dello Stato richiesto ed alla sua “buona volontà”. In tema di rapporti con le autorità straniere, la regolamentazione codicistica (art. 696, co. 2, c.p.p.) ha rilievo residuale ove manchino o non dispongano diversamente le norme pattizie applicabili al caso (v. Estradizione [dir. proc. pen.] ). In sintesi i rapporti di cooperazione giudiziaria penale con gli altri Paesi hanno tre diversi livelli: da un lato, si pongono le patnerships giudiziarie tra i Paesi membri dell’UE (e gli Stati della cd. area Schengen), connotate da tendenziale snellezza e semplicità, in quanto basate su un sistema di norme armonizzate se non addirittura uniformi; dall’altro lato, vi sono i rapporti tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa o appartenenti alla medesima sfera d’influenza politico-culturale, caratterizzate da una certa agilità, pur se di grado inferiore rispetto a quella data dalla “corsia UE”, in quanto regolati da convenzioni internazionali, fra le quali si ricorda la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20.4.1959, ratificata dall’Italia nel 1962 e che vincola 50 Paesi (www.coe.int); dall’altro lato ancora, esistono relazioni con Paesi più lontani dalla nostra tradizione giuridica, con i quali la cooperazione giudiziaria, se sprovvista del supporto convenzionale, si risolve in un atto di collaborazione politica (v. Ranaldi, G., Il procedimento di estradizione passiva, Torino, 2012).

La cooperazione giudiziaria con la Corte e coi tribunali penali internazionali

La fonte e la portata degli obblighi di assistenza e cooperazione

Particolare importanza assumono gli obblighi di assistenza e collaborazione con i tribunali penali internazionali, in quanto questi organi sono stati dotati della competenza a giudicare singoli individui ma non della facoltà e dei mezzi materiali per poter compiere, direttamente nel territorio degli Stati e indipendentemente dal loro consenso, gli atti necessari a condurre indagini e procedimenti penali e ad eseguire mandati internazionali di arresto e comparizione. Quella coi tribunali penali internazionali è un tipo di collaborazione diversa rispetto alle forme tradizionali di assistenza internazionale in materia penale che spesso lasciano una certa discrezionalità ai rispettivi organi politici dello Stato richiesto. Per questo motivo gli statuti istitutivi di tali tribunali contengono disposizioni specifiche sull’obbligo per gli Stati di cooperare e prestare assistenza giudiziaria e, in particolare, di arrestare e consegnare all’organo di giustizia internazionale le persone ricercate (v. art. 29, Statuto del Tribunale ad hoc per la ex Iugoslavia, art. 28, Statuto di quello per il Ruanda e art. 89, Statuto istitutivo Corte penale internazionale (CPI), infra § 5.2).

I due Tribunali penali internazionali ad hoc per la ex Iugoslavia e per il Ruanda, essendo il frutto di una decisione del Consiglio di Sicurezza ONU (CdS) presa ai sensi del Cap. VII della Carta ONU (v. par. 4, Ris. 827 (1993) del 25.5.1993; par. 2, Ris. 955(1994) dell’8.11.1994, rispettivamente), impongono obblighi di cooperazione e assistenza a carico di tutti gli Stati membri dell’ONU, indipendentemente da una ulteriore, espressa manifestazione di volontà in tal senso da parte dello Stato membro. Diversamente, le norme sulla cooperazione e assistenza verso la CPI sono contenute in un trattato e quindi sono obbligatorie unicamente per gli Stati che l’hanno ratificato o hanno espressamente accettato la giurisdizione della CPI nei loro confronti. Solo nel caso di attivazione da parte del CdS (come previsto dall’art. 13. co. 1, lett. b, Statuto di Roma), si può sostenere che il dovere di collaborare e prestare assistenza incomba su tutti gli Stati membri dell’ONU, dunque anche sugli Stati che non hanno ratificato lo Statuto della CPI. Nell’ipotesi di referral del CdS si applica un regime di cooperazione che possiamo definire “speciale”, in quanto non disciplinato all’interno dello Statuto di Roma, ma imposto direttamente dal CdS in base alla Carta ONU, caso per caso (v. par. 2,;Ris. CdS n. 1593(2005) del 31.3.2005 sul Sudan-Darfur e par. 5, Ris. CdS n. 1970 (2011) del 26.2.2011 sulla Libia, Castellaneta, M., La cooperazione tra stati e tribunali penali internazionali, Bari, 2002, 340 ss.).

Dal momento che lo Stato non rinuncia ad esercitare il potere coercitivo sul proprio territorio, ogni tribunale penale internazionale deve necessariamente fare affidamento nella collaborazione delle autorità statali per l’espletamento di tutta una serie di attività: individuare e sequestrare le prove, acquisire documenti, identificare e proteggere eventuali testimoni, assicurare la cattura e l’arresto dell’accusato, ecc… Nel caso della CPI, in ragione del suo carattere di giudice ex ante, la necessità della cooperazione statale è ancora più evidente rispetto agli altri Tribunali ad hoc e si manifesta sin dalla fase preliminare di apertura delle indagini. I relativi obblighi che gravano sugli Stati parte sono descritti in maniera dettagliata nello Statuto (v. Parte XI, artt. 86-102, in particolare art. 94) e ulteriormente specificati nelle Regole di procedura e di prova (v. Rule 176 ss., www.icc-cpi.int). La cooperazione statale si rende indispensabile anche ai fini dell’esecuzione delle sentenze di condanna, per far scontare la pena detentiva nel proprio territorio (art. 103, Statuto di Roma). Questa situazione crea un’evidente contraddizione fra l’indipendenza della Corte, dei suoi organi referenti e giudicanti e la necessità del concorso di altri soggetti affinché i primi possano realmente operare (v. Ferrajolo, O., La Corte penale internazionale fra indipendenza e cooperazione, in Ferrajolo, O., (a cura di), Corte penale internazionale. Aspetti di giurisdizione funzionamento nella prassi iniziale, Milano, 2007, 30 ss.). Peraltro i mezzi a disposizione della CPI per rimediare alla mancata cooperazione statale sono alquanto modesti e di esito incerto: l’omessa esecuzione di una misura richiesta ad uno Stato parte solleva una controversia da sottoporre a un complicato contenzioso (art. 93, par. 3 e art. 87, par. 7, Statuto di Roma). Il che significa che, in definitiva, l’adempimento degli obblighi di cooperazione è di fatto subordinato all’adozione di provvedimenti conformi negli ordinamenti degli Stati parti, benché sia ragionevole pensare che la cooperazione delle autorità statali non manchi quantomeno nelle ipotesi di autodenuncia (auto-referral ) o di accettazione della giurisdizione della Corte da parte di Stati non parti dello Statuto, ipotesi che per ora sono le più frequenti.

La cooperazione nell’arresto e consegna dell’accusato

La cooperazione delle autorità dello Stato richiesto nell’arresto e consegna delle persone ricercate dal tribunale internazionale è fondamentale, dato che non è possibile celebrare il processo in assenza dell’imputato. Nello Statuto di Roma, come anche negli Statuti dei tribunali penali ad hoc, viene evitato l’uso del termine “estradizione”, ma si parla sempre e solo di “trasferimento” (transfer) e “consegna” (surrender), proprio per sottolineare la diversa portata dell’obbligo ivi previsto, rispetto a quello di ottemperare ad una tradizionale richiesta di estradizione proveniente da un altro Stato. Lo Statuto della CPI fornisce anche le relative definizioni, evidenziandone la differenza (art. 102). Ora, se da un lato l’utilizzo di un termine diverso (consegna/surrender) offre il vantaggio di non evocare immediatamente la disciplina prevista per l’istituto dell’estradizione, con tutte le implicazioni di natura politica che questa normalmente comporta, d’altro canto, però, la sostanziale somiglianza tra i due istituti, dovuta al fatto che, in fin dei conti, la “consegna” è pur sempre il momento finale di un procedimento estradizionale, potrebbe far pensare che anche rispetto alla consegna alla CPI e ai tribunali ad hoc valgano i limiti generalmente previsti per l’estradizione dal diritto nazionale. Vengono in rilievo, in particolare, l’eccezione del reato politico e della non estradabilità dei propri cittadini, aspetti sui quali fu ampiamente dibattuto durante i lavori preparatori dello Statuto della CPI. Invero, in virtù del principio di complementarità (art. 17, Statuto), lo Stato richiesto della consegna dell’imputato può sempre evitare di rimettere il proprio cittadino nelle mani della CPI decidendo di celebrare il processo dinnanzi ai propri tribunali, mentre riguardo al reato politico, se è chiaro che la ratio del divieto (sancito dall’art. 26, co. 2, Cost. per il cittadino italiano e ripetuto all’art. 10, co. 4 per lo straniero sul territorio italiano) è quella di proteggere i valori di libertà costituzionalmente garantiti, è altrettanto evidente che tale tutela non può spingersi fino al punto di qualificare come “politici” atti gravissimi che offendono il nucleo essenziale di valori condivisi dall’intera Comunità internazionale, inquadrabili nelle categorie dei crimini di guerra, contro l’umanità o di genocidio, molti dei quali sono già vietati da convenzioni contenenti clausole di “depoliticizzazione”. Inoltre, quando la richiesta di consegna proviene da un tribunale internazionale che offre soddisfacenti garanzie di imparzialità e rispetto dei diritti dell’accusato, viene meno la ragione principale della non estradabilità, consistente nel non abbandonare la persona nelle mani di un’autorità straniera che potrebbe esercitare la giurisdizione in modo arbitrario.

Altra questione si pone quando lo Stato riceve contemporaneamente un ordine di arresto e consegna proveniente dalla CPI e una richiesta di estradizione della medesima persona da parte di un altro Paese col quale sussiste un accordo di cooperazione giudiziaria. In proposito lo Statuto prevede soluzioni diverse a seconda che la confliggente richiesta provenga da un altro Stato parte o da uno Stato terzo rispetto alla Statuto, e a seconda che riguardi lo stesso reato oppure offese distinte (art. 90, Statuto di Roma). L’ordine di priorità delle richieste andrà decisa caso per caso, possibilmente con una consultazione fra la CPI e gli Stati interessati (v. Lanciotti, A., L’obbligo di consegna del ricercato in base al mandato d’arresto europeo e i limiti posti dal diritto internazionale, in Scritti in onore di G. Badiali, a cura di P. Pillitu, vol. I, Perugia, 2007, 185 ss.).

La normativa italiana di recepimento

Lo Stato che aderisce allo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale si assume l’obbligo di dotare il proprio sistema penale delle norme, sostanziali e di procedura, necessarie a garantire una “piena collaborazione” con tale organizzazione (art. 88 Statuto). Per quanto riguarda la posizione italiana, solo a distanza di 13 anni dalla ratifica (1999), il Parlamento ha adottato la l. 20.12.2012, n. 237 (Norme per l’adeguamento dell’ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale). Sulla falsariga delle due leggi relative alla cooperazione rispettivamente con il Tribunale per la ex Jugoslavia (l. 14.2.1994, n. 120, Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia) e per il Ruanda (l. 2.8.2002, n. 181, Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini), la l. n. 237/2012 ha finalmente disciplinato la procedura di consegna delle persone ricercate dalla CPI presenti sul territorio italiano, unitamente alle modalità di collaborazione delle autorità italiane nell’espletamento di attività d’indagine, di acquisizione delle prove, nell’esecuzione delle pene pecuniarie e dei provvedimenti di confisca, nonché alla procedura da seguire se l’Italia è individuata come Stato di espiazione della pena detentiva e altro ancora. L’art. 4 l. n. 237/2012 dispone che ogni richiesta di cooperazione sia trasmessa dal Ministro della Giustizia al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma; nel caso di attività di indagine o di acquisizione degli elementi di prova (attività disciplinate dall’art. 99 Statuto), il Procuratore generale si rivolge alla Corte d’appello che darà esecuzione alla richiesta con decreto. Se la richiesta ha ad oggetto la consegna dell’accusato, il Procuratore generale potrà chiedere alla Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare, che sarà disposta con ordinanza. La consegna della persona ricercata alla CPI si deve effettuare indipendentemente dalla sussistenza della doppia incriminazione, come avviene in base al Mandato d’arresto europeo (v. Mandato di arresto europeo). I possibili motivi di rifiuto dell’esecuzione dell’arresto e della consegna sono indicati nell’art. 13, co. 3, l. n. 237/2012: errore sulla persona da consegnare; vizio di ordine procedurale (es. pronuncia non irrevocabile); la presenza di una sentenza irrevocabile in Italia per lo stesso fatto (come disposto dall’art. 89, par. 2, Statuto) e il fatto di ritenere che la richiesta contenga “disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato” (v. Lanciotti, A., La corte penale internazionale e la repressione delle gravi violazioni del diritto umanitario, Torino, 2013, 67 ss.).

Fonti normative

Cooperazione giudiziaria civile: Artt. 67, 68, 69, l. 31.5.1995, n. 218; Art. 142 c.p.c.; Art. 81 TFUE; Conv. dell’Aja del 5.10.1961 relativa all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri; Conv. dell’Aja del 15.11.1965 relativa alla notificazione all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale; Conv. dell’Aja del 18.3.1970 sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile o commerciale; Convenzione europea nel campo dell'informazione sul diritto straniero del 7.6.1968.

Cooperazione giudiziaria penale: Art. 696 e ss. c.p.c.; Art. 82 TFUE; Convenzione di Strasburgo del 20.4.1959 di assistenza giudiziaria in materia penale; l. 14.2.1994, n. 120 (Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex Jugoslavia); l. 2.8.2002, n. 181 (Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini ); l. 20.12.2012, n. 237 (Norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale).

Bibliografia essenziale

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Cooperazione giudiziaria penale: Gaito, A., Dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere, Padova, 1985; Marchetti, M.R., L’assistenza giudiziaria internazionale, Milano, 2005; Pisani, M.-Mosconi, F.-Vigoni, D., Codice delle convenzioni di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale, Milano, 2004; Ranaldi, G., Il procedimento di estradizione passiva, Torino, 2012;. Cooperazione coi tribunali penali internazionali: Castellaneta, M., La cooperazione tra Stati e Tribunali penali internazionali, Bari, 2002; Ferrajolo, O., Corte penale internazionale. Aspetti di giurisdizione e funzionamento nella prassi iniziale, Milano, 2007; Knoops, G., Surrendering to International Criminal Courts: Contemporary Practice and Procedures, NY, 2002; Lanciotti, A., La Corte penale internazionale e la repressione delle gravi violazioni del diritto umanitario, Torino, 2013.

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