Cooperazione fiscale internazionale [dir. trib.]

Diritto on line (2016)

Claudio Sacchetto

Abstract

La cooperazione internazionale in materia fiscale ha registrato negli ultimi anni un rapido sviluppo le cui cause vanno ricercate da un lato nel mutato contesto della economia mondiale sempre più globalizzata, con notevoli vantaggi per gli Stati ma essa è anche all’origine del fenomeno della evasione e della elusione fiscale internazionale agevolata dalla competizione fiscale tra Stati i quali paradossalmente sono anche nello stesso tempo i promotori della cooperazione fiscale internazionale. La cooperazione fiscale internazionale è l’unico mezzo, attesa la scarsa efficacia delle unilaterali misure interne statali e in costanza di un ordinamento internazionale ancora fondato sulla sovranità territoriale, per contrastare il fenomeno della evasione ed elusione fiscale fuori da confini nazionali, al fine di non perdere risorse fiscali soprattutto in periodi di crisi come l’attuale.

Genesi e recente evoluzione

Con il termine cooperazione fiscale internazionale ci si riferisce ad una specifica attività concordata e coordinata ma distinta, tra due o più Stati sovrani nel comune obiettivo di rendere effettive le proprie pretese tributarie, fornendo informazioni e mezzi, posto che in base ad un consolidato principio internazionale, è vietato l’esercizio diretto di attività sovrane, di cui quella tributaria è una delle più rilevanti manifestazioni, nel territorio di un altro Stato. (Sulla definizione: Udina, M., Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949, 428 s. Sul principio di territorialità: Sacchetto, C., Il principio di territorialità in materia tributaria, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 303 ss.; più in generale, sulla cooperazione fiscale internazionale si veda: Sacchetto, C., Tutela all’estero dei crediti tributario dello Stato, Padova, 1978).

Le mutate condizioni economiche dell’intero pianeta con la progressiva interdipendenza dei rapporti economici e personali nello spazio, fenomeno noto come “globalizzazione” della economia, favoriti anche dalla tecnica delle comunicazioni, oggi informatiche e digitali, iniziate nella parte finale del secolo scorso e in rapida espansione in quello in corso, e perdurando l’attuale assetto delle aggregazioni umane in Stati indipendenti e sovrani, nel senso di titolari di potestà esclusiva sul proprio territorio, hanno reso necessaria, pena la perdita di effettività dei sistemi normativi statali, di apprestare forme di integrazione su spazi sovrastatali come nel caso della Unione europea e per molti settori della economia e delle funzioni pubbliche statali, forme di collaborazione e coordinamento sempre più integrate, tra cui quella fiscale. Questo processo si è reso necessario nello specifico settore fiscale al fine di contrastare il fenomeno della evasione ed elusione fiscale reso possibile da una serie concomitante di cause, in particolare dai differenziali di pressione fiscale tra Stati, dalla competizione fiscale tra Stati soprattutto nella forma dei cd. “paradisi fiscali”, dal vincolo accennato, della non collaborazione in materia fiscale con conseguente perdita di gettito, di efficienza ed equità interna, una situazione accentuata dalla crisi mondiale a partire da circa un decennio e dalla scarsa efficacia dei tentativi di contrasto interni, nella forma spesso delle normative CFC (Controlled foreign Corporations) e reso più evidente a misura che gli Stati assumevano come criterio di tassazione del reddito delle persone fisiche e giuridiche il principio del world wide taxation.

La cooperazione fiscale internazionale è divenuta uno tra i più rilevanti fenomeni economico sociali della nostra epoca e tra gli impegni a cui sono più determinati gli Stati. Le sue prime manifestazioni, a parte episodiche manifestazioni anche nel remoto passato, si cominciano a realizzare nel secolo scorso grazie alle iniziative prima della Società delle Nazioni anche grazie all’apporto di figure di grande levatura politica e culturale (Il riferimento è a: Einaudi, L., La coopération internationale en matière fiscale, in Rec. des Cours de l’Academie de droit International de la Haye, vol. XXV, 16 e 124, 1928) e poi nell’ambito della organizzazione tra gli Stati più avanzati della economia occidentale tramite l’organismo OCSE (Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico) e altri similari organismi internazionali sorti in aree diverse del pianeta, ma tutti con specifico riferimento alla materia fiscale e soprattutto intesi a risolvere nella prima fase il problema allora ritenuto più urgente, quello della doppia imposizione internazionale, risolta nell’ambito di convenzioni bilaterali.

La data che convenzionalmente, segna l’inizio in senso moderno della cooperazione fiscale si ha nell’ambito del progetto di accordo bilaterale per evitare la doppia imposizione, all’epoca l’unico possibile, elaborato dal Comitato Fiscale dell’OCSE nel 1963, in cui veniva inserita una disposizione limitata allo specifico obiettivo dello scambio di informazioni: quello per la corretta applicazione delle norme convenzionali (cd. minor information clause). Per contro ciò che contraddistingue la fase più recente della cooperazione fiscale internazionale, ferma l’esigenza di eliminare la doppia imposizione, è la maggior attenzione per l’assetto della cooperazione al fine di contrastare la evasione/elusione fiscale internazionale (cd. major information clause). Da allora lo scambio di informazioni in ambito OCSE si è evoluto secondo una linea progressiva che può così riassumersi: a) progressivo sganciamento dall’esclusiva finalità di evitare la doppia imposizione ed acquisizione della parallela funzione di prevenire l’evasione fiscale internazionale poi specificando in modo particolare per quella forma sofisticata di evasione rappresentata dalla elusione; b) ampliamento del campo di applicazione oggettivo ai tributi di qualsiasi genere o denominazione; c) ampliamento del campo di applicazione soggettivo a tutte le categorie di contribuenti che producono reddito di rilevanza transnazionale; d) adozione di tecniche tecnologicamente sempre più avanzate di trasmissione delle informazioni, circostanza che ha comportato un’apertura degli Stati verso nuove modalità e procedure dello scambio spontaneo ed automatico, grazie all’informatizzazione dei dati e alla loro immediata trasmissibilità; e) maggiore attenzione all’attendibilità ed all’utilità delle informazioni scambiate con standard internazionali di trasparenza; f) sempre maggior spazio alla assistenza alla riscossione. Puntuale applicazione di questi indirizzi si ritrova nell’ultima versione dell’art. 26 prevista nel Modello OCSE pubblicato nel luglio 2010.

I Modelli convenzionali internazionali contro l’evasione fiscale

Il quadro della cooperazione fiscale internazionale è contrassegnato da una notevole complessità sotto il profilo delle fonti. La cooperazione fiscale risente da sempre dell’influenza di condizionamenti che sono di natura politica, economica, tecnica e non ultima ideologica, alludendo con ciò al fatto che gli Stati non perseguono nello stesso modo il contrasto della evasione interna ed internazionale, che la globalizzazione della economia ha favorito la competizione fiscale (la cd. harmfull tax competition ) tra Stati anche nelle forme estreme dei cd. “paradisi fiscali”. Così si spiega l’esistenza di un modello USA, un modello CIAT per i paesi sudamericani, un modello tra Stati nordici, ecc. Si spiega anche come, a seconda dell’ambito comunitario o internazionale in senso lato, lo scambio di informazioni in materia fiscale e per l’assistenza alla riscossione, si sia articolato in modi diversi con strumenti diversi, su diverse fonti di regolazione, efficacia, ecc. La cooperazione fiscale si è attuata sin dagli inizi prevalentemente con lo strumento convenzionale nella modalità bilaterale e nell’ambito delle convenzioni contro le doppie imposizioni. In questa modalità un contributo fondamentale ha sempre avuto e mantiene in questa materia come parametro di comportamento, sia pure con efficacia di soft law, il Modello OCSE ed il Commentario ad esso modello annesso, nella disciplina contenuta negli artt. 26 e 27, rispettivamente scambio di informazione ed assistenza alla riscossione e nell’art. 25 sulla procedura amichevole. L’obiettivo autonomo della cooperazione come contrasto all’evasione e lo sganciamento dal modello contro le doppie imposizioni, si è avuto come detto, con la fondamentale Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale del 25 gennaio 1988 aperta nel 1988 alla sottoscrizione degli Stati (tra cui l’Italia) salutata come l’inizio di «a new era in international cooperation in administrative tax matters» su iniziativa congiunta del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, Convention on Mutual Administrative Assistance in Tax Matters (cd. “Convenzione MAAT”) creando così un potentissimo strumento multilaterale e globale di contrasto all’evasione fiscale internazionale entrata in vigore il 1° aprile 1995 che disciplina la cooperazione internazionale attuata mediante l’assistenza e lo scambio di informazioni sul piano multilaterale. Il 27 maggio 2010 il Consiglio d’Europa e l’OCSE hanno aperto alle firme un Protocollo modificativo della Convenzione MAAT. La nuova versione della Convenzione MAAT si allinea ai nuovi standard di trasparenza e scambio di informazioni riconosciuti ed accettati a livello internazionale. Rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione lo scambio di informazioni su richiesta, lo scambio di informazioni spontaneo, le verifiche fiscali simultanee, le verifiche fiscali all’estero, l’assistenza per il recupero dei crediti tributari. Ulteriore merito della Convenzione è stato quello di favorire lo scambio d’informazioni bancarie. Inoltre la nuova convenzione prevede la possibilità di effettuare verifiche fiscali simultanee multilaterali anche attraverso l'invio di agenti delle amministrazioni finanziarie al di fuori dei confini nazionali per condurre controlli tributari e l’assistenza transfrontaliera per la riscossione. Inoltre la Convenzione consente di prestare assistenza non solo per mezzo delle proprie amministrazioni finanziarie, ma anche per mezzo dei propri organi giudiziali, rendendo desueta la risalente distinzione dottrinale fra assistenza amministrativa ed assistenza giudiziaria. Inoltre risulta di particolare interesse la previsione di cui all’art. 4, co. 2, secondo cui è possibile utilizzare le informazioni ottenute in forza della Convenzione MAAT come prove nei procedimenti penali, salvo la necessaria autorizzazione dello Stato che ha trasmesso le informazioni da rilasciarsi per ogni singola richiesta di utilizzo delle informazioni in tale ambito. A differenza del Modello OCSE contro la doppia imposizione, che prevede la facoltà dello scambio spontaneo, il nuovo art. 7 prevede un obbligo di scambiare spontaneamente informazioni.

I tratti significativi di questo nuovo processo di cooperazione sono rinvenibili da un lato nel superamento della bilateralità nella cooperazione a favore della multilateralità, essendo divenuto sempre più evidente che lo strumento bilaterale convenzionale si mostra incapace di perseguire il fine antievasivo quando spesso si inseriscono nelle pratiche illecite anche soggetti di Stati terzi.

Accanto alla multilateralità si tende ora a perseguire la omogeneità nella scelta degli strumenti e delle procedure, ed in particolare nella fase più recente, dello scambio automatico, modalità sempre auspicata ma non ancora adeguatamente diffusa per il maggiore impegno amministrativo che ne deriva. L’esigenza di multilateralità e uniformità sono alla base di tutti i documenti e progetti in sede tecnica e politica di questo ultimo decennio. In questa linea in data 13 febbraio 2014, l’OCSE ha pubblicato lo Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information (di seguito, Standard). Il Documento Standard for Automatic Competent Authority Agreement è strutturato in due parti: Il Modello Competent Authority Agreement (CAA) che in sette sezioni fissa le regole di base o standard di due diligence e di procedura informatiche, ed il Common Reporting Standard (CRS) che definisce gli ambiti soggettivi con una significativa estensione agli intermediari. Il CRS è destinato a divenire il vero standard mondiale in materia di scambio di informazione. Si tratta di un risultato rivoluzionario in materia di scambio di informazione giacché di fatto l’assetto di uniformità realizzato prefigura una amministrazione fiscale internazionale sia pure decentrata e con legittimazione nazionale e la nascita in ogni ordinamento statale di un sistema binario di regole per contrastare l’evasione/elusione con regole e soggetti propri per quella domestica e regole ad hoc per quella internazionale.

Gli obiettivi come da ultimo indicati sono stati ripresi e proposti anche in ambito del progetto BEPS dall’OCSE (acronimo inglese per Base Erosion and Profit Shifting nel 2013) come metodo per superare i lunghi tempi di adeguamento delle diverse convenzioni in materia e in modo da adattarsi al rapido evolversi dell’economia globale. Il progetto articolato in 15 linee di azione presentato dall’OCSE nel 2013, mira a contrastare l’evasione fiscale internazionale e lo spostamento dei profitti verso Paesi a bassa fiscalità attraverso pianificazioni fiscali aggressive. Tra le misure per quanto qui interessa dello scambio di informazioni, si favorisce tutta una serie di azioni volte a prevenire pratiche fiscali dannose incrementando la trasparenza, anche attraverso l’incentivazione di scambi di informazioni.

Le misure contro i cd. “paradisi fiscali”

Un segnale significativo del mutamento di indirizzo sotto il profilo politico culturale ma con rilevanti effetti anche sul piano operativo è stata l’accettazione a livello internazionale, della nuova accezione della nozione di paradiso fiscale non più solo associato al parametro sostanziale della altezza della pressione fiscale ma anche al diverso criterio, divenuto assorbente, della disponibilità o meno a fornire lo scambio di informazioni agli Stati richiedenti (In punto: Marino, G., La cooperazione internazionale in materia tributaria, tra mito e realtà, in Rass. trib., 2010, 433 ss.). Sul versante interno questa nozione si è tradotta in particolare nella creazione delle liste di paesi white o black list in relazione alla loro disponibilità a scambiare o meno informazioni e nelle misure corrispondenti di contrasto note sotto l’anglicismo di cd. Controlled Foreign Corporation. La inclusione di uno Stato in una “black list” aveva ed ha un chiaro intento politico: quello di indurre spontaneamente gli Stati non cooperativi ad assicurare lo scambio d’informazioni.

L’evento che segna un vero ed effettivo mutamento di posizione è il fondamentale G-20 tenutosi a Londra il 2 aprile 2009 e il successivo, tenutosi a Pittsburgh il 24 e 25 settembre, nel corso del quale i vari leader dei Paesi industrializzati, seriamente indeboliti dalla crisi economica globale, hanno deciso di adottare una strategia di lotta estrema all’evasione fiscale internazionale mirata in modo particolare nei confronti dei paradisi fiscali, e tradotto in un documento pubblicato dall’OCSE (Overview of the Oecd’s work on International tax evasion).

In precedenza e come propedeutico al G-20 di Londra si è avuto l’importante intervento dell’OCSE nell’identificazione dei paradisi fiscali e dei regimi fiscali preferenziali dannosi del 2000 con la creazione di uno specifico Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, il quale rappresentò un punto di incontro fra rappresentanti di Stati aderenti e non aderenti all’OCSE. Negli anni successivi alla propria creazione infatti, il Global Forum assumerà sempre maggiore importanza, in quanto, oltre a risultare l’artefice del Model agreement on exchange of information on tax matters del 2002, ricoprirà un’importanza strategica dopo il G-20 del 2009 per quanto concerne il meticoloso lavoro di peer review di tutti gli Stati OCSE e non OCSE finalizzato a verificare l’effettiva implementazione degli standard di trasparenza e scambio di informazioni. In questo ambito di cooperazione la lotta fiscale internazionale ha registrato, e il processo è in corso, decisivi, per non dire rivoluzionari, risultati anche nella prospettiva dell’obiettivo della trasparenza e dell’abbattimento del vincolo del segreto bancario. Emblematica la rinnovata convenzione Italo-Svizzera che ha fatto diventare obsoleti i precedenti tentativi convenzionali (cd. convenzioni Rubik) siglati dalla Confederazione elvetica con Germania e l’Inghilterra.

Sempre nel percorso di crescita della cooperazione prima del G-20 di Londra ancora un significativo ruolo propositivo dell’OCSE è stato inaugurato nell’ambito della lotta all’evasione fiscale internazionale intrapreso nel 1998 con il Report sulla concorrenza fiscale dannosa e che ha, a conclusione, portato il 18 aprile 2002 alla pubblicazione di un importante Modello di convenzione specificamente finalizzato allo scambio di informazioni elaborato dal Global Forum, in base al quale gli Stati hanno la possibilità di siglare i cd. Tax Information Exchange Agreements (cd. TIEAs) accordi bilaterali concernenti esclusivamente lo scambio di informazioni basati sul Modello OCSE del 2002 ma con una regolamentazione più analitica.

L’Italia ha firmato 8 TIEAs (Bermuda, Cayman, Gibilterra, Isole Cook, Guernsey, Isola di Man e Jersey, Liechtenstein), tre dei quali sono stati recentemente ratificati dal Parlamento (Gibilterra, Isole Cook e Jersey). Con il Global Forum nella sua ottava ultima edizione del 2015 a fine ottobre a Bridgetown, l’obiettivo che si vuol raggiungere è di riportare la maggior parte dei paradisi fiscali (98 previsti) nel biennio 2017 e 2018 nell’ambito di quelli che avvieranno lo scambio automatico di informazioni secondo gli standard OCSE. L’elenco dei modelli disponibili predisposti avverso la lotta alla evasione fiscale si è arricchito di una nuova rivoluzionaria modalità nei cd. modelli FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) che nascono come disciplina speciale e unilaterale USA nel 2010 contro l’utilizzazione dei conti correnti esteri non dichiarati da contribuenti americani. Gli Stati Uniti sono sempre stati particolarmente sensibili ed attenti al contrasto della evasione fiscale internazionale ed hanno sino ad ora preferito seguire una propria policy con un proprio modello di scambio di informazione cui ora si è affiancato lo specifico modello cd. FATCA, che implica una adesione di Stati terzi ai quali si chiede che tutti gli operatori del settore finanziario stranieri (Foreign Financial Institutions – FFI) comunichino in via automatica, alla amministrazione fiscale americana (International Revenue Service – IRS), ogni elemento rilevante di natura finanziaria per verificare il rispetto della normativa fiscale, relativamente ai conti esteri da parte dei contribuenti USA. L’aspetto rivoluzionario di tale Accordo, che pare aprire un nuovo standard di scambio di informazioni, sta nel fatto che esso stabilisce unilateralmente e direttamente relazioni tra una amministrazione fiscale USA e istituzioni private straniere. Tale accordo è stato già sottoscritto da numerosi Stati tra cui la Svizzera e l’Italia (Legge di ratifica 18.6.2015, n. 95 e provvedimento di attuazione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, rispettivamente del 6-7.8.2015) e ciò implica per il principio di reciprocità che gli Stati firmatari siano a loro volta tenuti a scambiare le informazioni all’Italia.

La cooperazione fiscale nella Unione europea

La cooperazione fiscale nell’ambito della Comunità economica europea ha avuto sin dall’inizio della ratifica del Trattato di Roma, una rilevante considerazione sia per l’aspetto dello scambio di informazioni che per l’assistenza alla riscossione, spiegabile con la necessità di rendere effettiva la realizzazione di un mercato comune o unico, nel rispetto delle quattro libertà fondamentali.

La prima direttiva n. 76/308/CEE, è in materia di assistenza al recupero di alcuni dazi e dei prelievi agricoli, la materia doganale essendo, dalla costituzione della Unione doganale, di stretta competenza della Comunità europea (Barassi, M., Cooperazione tra Amministrazioni fiscali, in Diz. dir. pubbl. Cassese, 2006, 1525). Con la recente direttiva 2010/24/UE si è innovata significativamente la previgente disciplina comunitaria in quanto, nella logica di superare i problemi di riconoscimento e traduzione dei titoli esecutivi dei singoli Stati membri, si prevede che la richiesta di recupero dei crediti tributari avvenga sulla scorta di un “modulo standard uniforme” e sia accompagnata da un “titolo esecutivo uniforme”, il quale – in base alle disposizioni nazionali di recepimento (art. 8, co. 6, d.lgs. 14.8.2012, n. 149) – tiene luogo a tutti gli effetti della iscrizione a ruolo ed elimina conseguentemente la necessità della preventiva notifica della cartella e della intimazione di pagamento.

La cooperazione in materia di imposta sul valore aggiunto IVA, materia essa pure di competenza comunitaria, è oggi affidata al regolamento (UE), 7.10.2010, n. 904/2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto e sostituisce il regolamento (CE) n. 1798/2003 a decorrere dal 1° gennaio 2012. Il presente regolamento definisce norme e procedure che consentono alle autorità competenti dei paesi dell’UE, responsabili dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), di collaborare e scambiare tra loro ogni informazione nell’ottica di verificare  la corretta applicazione dell’IVA; lottare contro la frode all’IVA, proteggere il gettito IVA. Il sistema di controllo comunitario per l’IVA è rinforzato dalla procedura VIES (VAT Information Exchange System) un sistema di scambi automatici tra le amministrazioni finanziarie degli Stati membri dell’Unione europea. Attivo dal 1° gennaio 1993, questo sistema permette agli Stati membri dell’Unione europea di scambiarsi le informazioni relative alle operazioni intracomunitarie intervenute tra operatori commerciali titolari di un numero identificativo IVA.

Con la direttiva 77/799/CEE del 19.12.1977 si previde lo scambio di informazioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e sui premi assicurativi e con la direttiva 2003/48/CE, la tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi poi sostituite dalla direttiva n. 2011/16/UE del 15.2.2011 volta a rendere più efficace la mutua assistenza amministrativa. La direttiva 2011/16/UE che si sostituisce alla precedente direttiva 77/799/CE, nel settore delle imposte sui redditi, essa pure ha assunto una rilevante importanza perché si allinea allo standard internazionale individuato dall’OCSE secondo quel processo di convergenza dei modelli come sopra evidenziato. La direttiva 2011 si pone in linea con le disposizioni internazionali nella tendenza di espandere l’applicazione sia per le categorie di soggetti che per il numero di tributi, bilanciata dal limite del requisito che le informazioni siano “prevedibilmente rilevanti” con divieto di informazioni generiche, cd. fishing expedition e inerenti allo strumento cooperativo dello scambio di informazioni. Essa accoglie la triplice distinta modalità di scambio di informazioni: su richiesta e automatica qualora la comunicazione delle informazioni verso altri Stati membri sia predeterminata e periodica e spontanea, se la comunicazione è occasionale ed avviene in qualsiasi momento e senza una richiesta preventiva. Tra le forme di cooperazione europee va segnalata l’iniziativa della Commissione europea che ha ampliato recentemente l’inchiesta sulla pratica del tax ruling richiedendo informazioni sulle pratiche degli accordi fiscali.

Modalità e procedure della cooperazione fiscale internazionale

Lo scambio di informazioni

La cooperazione fiscale si estrinseca in diversi ambiti dalla fase dell’accertamento o fase istruttoria, a quello della assistenza, alle fasi esecutive del prelievo tributario, alla riscossione, a quello della assistenza giudiziaria sotto forma di rilevanza delle sentenze straniere amministrative e penali tributarie, alla estradizione per reati tributari. Quanto alle procedure in fase di accertamento ai sensi dell’art. 26, co. 4, Modello OCSE, gli Stati contraenti si impegnano per lo Stato richiedente a formulare domande circostanziate e per contro a reperire le informazioni nell’interesse dell’altro Stato, facendo uso di tutti i propri poteri istruttori anche nel caso in cui quelle stesse informazioni non rivestano per lui alcun interesse (gathering measures), così come previsti da leggi e prassi anche giudiziarie interne. Abbandonata la iniziale condizione che le informazioni oggetto di scambio dovessero risultare necessarie ora si è invece previsto che gli Stati firmatari debbano scambiarsi tutte le informazioni prevedibilmente rilevanti («foreseeably relevant») per l’applicazione della normativa fiscale convenzionale o interna.

Come anticipato trattando del processo di uniformità in corso, lo scambio di informazioni si è consolidato nel tempo per assumere al presente tre principali distinte modalità: scambio su richiesta, scambio di informazioni spontaneo e scambio di informazioni automatico (art. 26 Modello OECD nella versione aggiornata del 2014 e art. 5 dir. 2011/16/UE). Uno scambio, quello automatico, sicuramente destinato ad assumere un ruolo determinate nel futuro in parallelo all’impiego degli strumenti informatici e all’uso delle banche dati (In tal senso: «Recommendation on the use of the OECD Model Memorandum of Understanding on Automatic Exchange of Information for Tax Purposes», C. 2001.28/Final, del 21 ottobre 2002). Dopo il G-20 di Londra del 2009 l’OCSE ha infatti sottolineato con una serie di Raccomandazioni l’estrema efficacia del metodo automatico nella lotta all’evasione fiscale e ha, a tal fine, proposto l’introduzione di una piattaforma elettronica che faciliti l’introduzione di tale sistema con modalità sempre più omogenee. Tra le modalità di cooperazione un carattere particolare assumono le verifiche fiscali simultanee (simultaneous tax examinations), condotte da funzionari di uno Stato nel territorio dell’altro (tax examinations abroad) previste ad es. dall’art. 11 della direttiva 2011 UE per ipotesi speciali e con adesione esplicita in convenzione. L’Italia ha recepito tale procedura con l’art. 31-bis, co. 6, del d.P.R. 29.9.1973, n. 600 (riformulato con d.lgs. 4.3.2014, n. 29). Inoltre gli Stati possono concordare forme di cooperazione più avanzata nella forma di condivisione di tutte le informazioni disponibili relative ad un determinato settore industriale (industry-wide exchanges of information). Quanto alle regole procedurali tutti gli strumenti di cooperazione prevedono un rigoroso regime di riservatezza delle informazioni scambiate. Pertanto, le stesse potranno essere messe a disposizione esclusivamente degli organi (amministrativi o giudiziari, a seconda dell’ordinamento) adibiti all’accertamento, alla riscossione, all’attuazione di altre normative (e.g. antiriciclaggio), nonché ai pubblici ministeri. Lo Stato interpellato può comunque rifiutare di scambiare le informazioni richieste in tre ipotesi tassative, previste dall’art. 26, co. 3: a) qualora ciò comporti l’adozione di provvedimenti in deroga alla propria legislazione o alla prassi amministrativa interna o dell’altro Stato contraente; b) qualora le informazioni richieste non possono essere ottenute in base alla propria legislazione o prassi amministrativa; c) informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale, professionale o un processo commerciale, oppure la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico (ordre public). Abolito è ora il segreto bancario come possibile causa di rifiuto a cooperare.

L’assistenza nella riscossione

L’assistenza amministrativa nella fase di riscossione costituisce quella forma di collaborazione internazionale che consente ad uno Stato, che non sia stato in grado di riscuotere un credito tributario per l’assenza, all’interno del territorio nazionale, di sufficienti mezzi patrimoniali da escutere, di ottenerne l'esazione presso lo Stato estero, nel caso il contribuente inadempiente abbia fissato ivi  la propria residenza ovvero collocato le proprie risorse economiche. L’assistenza nella riscossione più dello scambio di informazione, è stato oggetto di particolare disciplina perché ritenuta più invasiva della sovranità statuale e per molto tempo esclusa dalla cooperazione internazionale. La mutua assistenza amministrativa è stata prevista nella Convenzione OCSE/Consiglio d’Europa in materia fiscale del 1988 agli artt. 11-16, la quale ha stimolato un analogo percorso evolutivo all’interno del Modello OCSE contro le doppie imposizioni e sfociato con l’introduzione nel 2003 dell’art. 27 (Assistance in the collection of taxes) sia pure lasciando agli Stati ampio margine di regolazione. L’art. 11 stabilisce il principio di equivalenza, prevedendo che gli Stati firmatari che ricevono richieste di assistenza nella riscossione sono tenuti a compiere tutti gli sforzi necessari per il loro recupero «come se fossero proprie pretese tributarie». Tra le condizioni di applicazione sono previste la clausola del previo esaurimento dei rimedi interni, che si tratti di un credito fiscale, che sia esecutivo secondo le leggi interne e riguardi un contribuente secondo le medesime leggi, che abbia carattere definitivo e quindi non opponibile e che si tratti di una pretesa fiscale comprensiva di interessi e sanzioni. L’assistenza è ammessa anche per misure cautelari o provvisorie a tutela di un credito tributario futuro ma non può pretendere  tali misure se inesistenti nello Stato richiesto. Questione disputata è se queste misure siano esperibili e compatibili in costanza di impugnative o a seguito di richiesta di sospensione del contribuente nello Stato richiedente. Sul versante della tutela del contribuente eventuali vizi della procedura anche per quanto riguarda i presupposti per attivare la procedura di riscossione o cautelare, dovranno essere sottoposti alle corti dello Stato richiesto con evidenti problemi di effettiva applicazione del principio iura novit curia. In questa forma di cooperazione l’Unione europea si è attivata, come detto, sin dagli inizi della sua istituzione in ragione delle finalità assorbenti dei Trattati di assicurare un mercato di effettiva libera concorrenza. Tra le principali innovazioni introdotte dalla direttiva 2010/24/UE – che fa ampio ricorso alla telematica e agli strumenti di comunicazione elettronica – vi è l’ulteriore ampliamento dell’ambito oggettivo di operatività delle procedure di collaborazione reciproca, nonché la previsione di un “titolo esecutivo uniforme” e di un “modulo standard uniforme” per la notifica degli atti e delle decisioni relative ai crediti da recuperare (regolamento di esecuzione (UE) n. 1189/2011). Lo Stato richiesto non è abilitato ad effettuare alcun sindacato sui presupposti dell’atto e a trattarlo come proprio credito nel senso di essere tenuto a verificare la sola regolarità formale del titolo standard e della domanda di assistenza ma resta ferma la clausola del previo esaurimento dei rimedi interni anche se l’attuale direttiva (art. 11, § 2), mostra minor rigidità quanto alla prova di tale esaurimento. Quanto alle spese della procedura di recupero, in conformità a quanto normalmente previsto dalle analoghe convenzioni internazionali, è previsto che queste rimangano a carico dello Stato membro adito (art. 20), al quale spetta comunque il diritto di rivalersi sul debitore.

La cooperazione internazionale in materia penale tributaria

Non diversamente da quella amministrativa anche la cooperazione in materia penale tributaria presenta un quadro non omogeneo in ragione dei continui aggiornamenti degli strumenti internazionali di riferimento. Questa forma di cooperazione in ragione della tutela dei diritti coinvolti, segue speciali procedure nel rispetto delle norme del codice di procedura penale e dei principi costituzionali, vale a dire attraverso l’istituto della commissione rogatoria, previsto negli artt. 723 e ss. c.p.p., per l’assistenza penale da e verso l’estero ed ammessa anche per i reati tributari. In questo settore si segnalano per la stretta aderenza alla nostra materia, la Convenzione europea sull’estradizione firmata a Parigi nel 1957, valida anche per violazioni penali, la basilare Convenzione europea di assistenza in materia giudiziaria penale, firmata a Strasburgo nel 1959 (ratificata dall’Italia con la legge 23.2.1961, n. 215), la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio firmata a Strasburgo sempre nel 1990 che peraltro prevedeva espressamente che la cooperazione potesse essere rifiutata se il reato al quale si riferiva la richiesta era di natura politica o fiscale. L’esercizio della assistenza in materia penale tributaria può avere effetti in sede amministrativa per la possibilità di utilizzare in tale sede  le informazioni acquisite in sede penale, utilizzo valido anche nella ipotesi inversa. (In tal senso: Cass., 12.7.2012, n. 27736 e Cass., 27.5. 2009, n. 24653). Tale utilizzo pare consentito anche nella ipotesi di elementi probatori acquisiti in violazioni di leggi dello Stato richiesto (si veda in punto il cd. caso Falciani, Cass., 28.4.2015 n. 8606. In merito: Sacchetto, C., Exchange of Tax Information. Connections with Criminal Proceedings. The Italian approach, in Riv. dir. trib. int., 1-2, 2009). Sempre in sede europea va ricordato che la Convenzione Eurojust (Dec., 2009/426/GAI del Consiglio del 16.12.2008 relativa al rafforzamento dell’Eurojust e che modifica la decisione 2002/187/GAI), per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità, nel disciplinare la cooperazione tra i Paesi membri nel contrasto alle frodi in materia di spese e di entrate, precisa agli articoli 6 e 8 che l’assistenza non può essere rifiutata per il solo fatto che la richiesta si riferisca, in ipotesi, a fattispecie che lo Stato membro richiesto qualifichi come “reati fiscali”. In sede europea la direttiva 2011/16/UE del 15.2.2011, entrata in vigore il 1°.1.2013 e recepita in Italia con il d.lgs. 4.3.2014, n. 29 all’art. 16, par. 1, prevede che: «le informazioni e i relativi documenti acquisiti in via amministrativa possono essere usati in occasione di procedimenti giudiziari e amministrativi che implicano l’eventuale irrogazione di sanzioni, avviati per violazioni della normativa fiscale» e aggiunge che «l’utilizzo dei dati per fini diversi da quelli previsti è possibile soltanto con l’autorizzazione dello Stato richiesto e nella misura consentita dalla legislazione dello Stato richiedente». Allo stesso modo il reg. UE 904/2010 del 7.10.2010, che disciplina la collaborazione in materia di IVA. Infine per completezza si segnala la Convenzione sulla tutela degli interessi delle Comunità europee del 1995 che si estende a fattispecie che lo Stato membro qualifichi come “reati fiscali”.

Conclusioni e problemi ancora aperti

Il quadro come sopra sinteticamente descritto sulla cooperazione fiscale internazionale consente di affermare che essa ha conseguito un livello di efficienza ed espansione considerevole e, come più volte sottolineato, con una progressione registratasi nel periodo recente ed ancora in corso e destinata verosimilmente a continuare stante i presupposti della  stretta dialettica ed interrelazione tra fenomeno della globalizzazione economica, crisi in atto e scambio di informazioni e la ormai chiara e determinata volontà degli Stati di contrastare l’evasione fiscale. Il grado di multilateralità ed omogeneità raggiunto dalla cooperazione nell’epoca attuale consente altresì di affermare che sia pure di fatto, giacché ogni apparato amministrativo statale trova ancora la propria legittimazione nel solo ambito interno, esso porta già a configurare una sorta di amministrazione sovranazionale nel senso che ogni amministrazione nazionale finisce per fare assolvere nell’ambito della propria attività istituzionale sempre più anche compiti che riguardano fini fiscali di Stati stranieri sia pure ancora con alcuni limiti e precauzioni e con la garanzia del principio di reciprocità. Ciò risulta particolarmente verificabile nella disciplina accolta dalla direttiva 2010/24/UE nella riscossione dei crediti tributari stranieri a cui tenore «l’autorità interpellata procede come se agisse per conto proprio o su richiesta di un’altra autorità del proprio Stato membro» dimostrando la sostanziale parità di trattamento riservata alle unità amministrative in ambito europeo. D’altro lato la situazione raggiunta darebbe fondamento a quella moderna dottrina che sostiene ormai superato il principio della non collaborazione a favore di quello opposto della collaborazione in materia fiscale internazionale (Cordeiro Guerra, R., Diritto tributario internazionale, Padova, 2011, 1-24).

A fronte di questo quadro indiscutibilmente positivo restano ancora aperti alcuni aspetti e profili di rilevante criticità primo tra tutti, come da tempo la dottrina più attenta non ha mancato di rilevare, nella assente o sottovalutata tutela del contribuente ad esempio nella esigenza che il contribuente sia informato del procedimento di scambio e che sia assicurato il diritto fondamentale della difesa e del contraddittorio (in tal senso: Ragucci, G., Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2, 2009, 569) soprattutto nel delicato settore della richiesta di misure cautelari, come sequestro ed ipoteca (si veda in tal senso: Fedele, A., Prospettive e sviluppi delle discipline dello scambio di informazioni fra amministrazioni finanziarie. in Rass. trib., 1999, p. 49 ss. e Del Federico, L., Scambio di informazioni fra Autorità Fiscali e tutela del contribuente: profili internazionalistici, comunitari ed interni, in Riv. dir. trib. int., I, 2010). Nessuno dei testi normativi che si sono sin qui analizzati dedica una specifica attenzione alla questione se non come richiamo generico all’art. 21 del Modello della Convenzione di Strasburgo del Consiglio di Europa. Una sottovalutazione giustificata nel passato sulla base delle tesi del ruolo irrilevante del soggetto persona fisica nel diritto internazionale, con l’oggetto della materia fiscale di esclusiva competenza statale e con il fatto che comunque, una tutela sia ammessa anche se nella fase conclusiva del procedimento. Una assenza di tutela più sorprendente anche in sede UE ad es. nella non ammissibilità del contraddittorio nella fase procedimentale quando si sia di fronte a dati ed informazioni palesemente errati, o anche a fronte di alcune prassi amministrative e ratifiche giudiziarie di utilizzazione di dati ed informazioni ancorché acquisiti in violazione di norme procedurali alla luce delle aperture giurisprudenziali che, sulla tutela dei diritti fondamentali si è affermata a livello internazionale per merito della CEDU recepite dai trattati europei e dalla Corte di giustizia europea (in particolare: Mastellone, P., L’Unione europea non riconosce participation rights al contribuente sottoposto a procedure di mutua assistenza amministrativa tra autorità fiscali, in Riv. dir. trib., IV, 2014, 349 ss.). La cooperazione fiscale internazionale è ancora vissuta e percepita come ambito di esclusiva competenza degli apparati amministrativi statali, come attività che sfugge ad un controllo da parte dei cittadini sia per l’aspetto politico che di opportunità. Ferma la rilevante priorità della tutela dei contribuenti, più in generale si avverte l’esigenza di pervenire ad una maggior armonizzazione degli strumenti di cooperazione fiscale attesa la non agevole coesistenza di fonti di cooperazione di diversa origine, portata, procedure, vincoli ecc., che se, va dato atto, hanno favorito  il processo di cooperazione, allo stato hanno portato ad un sistema di sovrapposizione di fonti  poco coerente. Si pone in altri termini un profilo di conciliazione delle fonti che si è tradotto in un primo tempo nella indicazione di cui all’ art. 27, par. 2, della Convenzione di Strasburgo in base al quale gli Stati membri dell’Unione europea, nei loro reciproci rapporti, debbono in prima battuta fare applicazione della disciplina di origine europea, in ragione del principio della superiorità del diritto comunitario anche nei confronti del diritto internazionale convenzionale e ancorché in conflitto con quanto previsto dalla Convenzione. Impostazione poi abbandonata a favore del principio della efficienza, per cui lo Stato sarà libero di fare applicazione della regolamentazione più efficace, nel qual caso quest’ultima può prevalere (in tal senso ora esplicitamente il primo paragrafo dell’art. 24 della direttiva 2010/24/UE). La norma, apprezzabile nell’intento di favorire la cooperazione amministrativa, lascia tuttavia aperto il dubbio legato all’interpretazione di cosa si intenda per «cooperazione più ampia». Accanto a questa esigenza di uniformità delle fonti si pone la richiesta di moduli e procedure di cooperazione sempre più omogenei che può essere favorita dallo sviluppo del modello di scambio di informazioni automatico, auspicabile anche per i vantaggi di risparmio economico e accompagnato con uno standard omogeneo dal punto di vista linguistico anche se questi obiettivi di uniformità non possono peraltro ignorare che i livelli di efficienza e cultura degli apparati amministrativi nel mondo sono ancora diseguali e stante il principio di reciprocità, portano ad escludere buona parte degli Stati in via di sviluppo.

Fonti normative

OECD Model Tax Convention, 2014, artt. 26 e 27; Convenzione sulla Mutua Assistenza amministrativa in materia fiscale, 25.1.1988, modificata nel 2009, entrata in vigore il 1°.6.2011; dir. Consiglio (UE), 15.2.2011, 2011/16/UE; dir. Consiglio, 6.3.2010, 2010/24/UE; reg. UE, 7.10.2010, 904/2010, IVA.

Bibliografia essenziale

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