Controfirma ministeriale

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La controfirma ministeriale è uno degli istituti caratterizzanti la forma di governo parlamentare (Forme di Stato e forme di governo): tramite essa, si cerca di conciliare l’idea dell’irresponsabilità giuridica e soprattutto politica del Capo dello Stato – secondo il brocardo inglese «il re non può far male» – con la responsabilità politica del Governo nei confronti del Parlamento.

Storicamente, la controfirma ministeriale è stata dunque il meccanismo in base al quale si è potuto passare da una forma di governo monarchico-costituzionale – in cui il Governo e i Ministri rispondevano politicamente del proprio operato soltanto nei confronti del Monarca (cfr., ad es., artt. 1 e 4, sez. IV, cap. II, Cost. Francia 1791; artt. 15 e 17 Cost. Germania 1871), ferma restando la loro responsabilità giuridico-penale (Impeachment) – ad una forma di governo parlamentare, in cui il Governo risponde politicamente del suo operato nei confronti del Parlamento, attraverso la fiducia parlamentare. Questo fenomeno si è verificato per la prima volta in Inghilterra tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, ma ha caratterizzato anche l’evoluzione dell’ordinamento statutario italiano: lo Statuto albertino prevedeva, infatti, una forma di governo monarchico-costituzionale (artt. 5 e 65), ma la laconicità dell’art. 67, co. 1 («i Ministri sono responsabili») e co. 2 («le leggi e gli atti del Governo non hanno vigore se non sono muniti della firma di un Ministro») era stata interpretata, grazie soprattutto all’opera di Cavour, nel senso di consentire l’instaurazione di un rapporto fiduciario tra le Camere e il Governo.

La controfirma ministeriale nella Costituzione italiana. - La Costituzione repubblicana prevede che nessun atto del Presidente della Repubblica sia valido se non controfirmato dai Ministri proponenti (Ministri. Diritto costituzionale), che ne assumono la responsabilità (art. 89, co. 1, Cost.). Per gli atti che hanno valore legislativo e gli altri atti indicati dalla legge è necessaria la controfirma anche da parte del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 89, co. 2, Cost.). Problemi interpretativi sono sorti a proposito della prima disposizione. Innanzi tutto, essa non considera alcuni atti del Presidente della Repubblica che appaiono, per le loro caratteristiche peculiari, insuscettibili di controfirma, come, ad esempio, gli atti che compiuti come Presidente di organi collegiali come il Consiglio superiore della magistratura o il Consiglio supremo di difesa, ovvero gli atti c.d. personalissimi, quali le dimissioni o la dichiarazione di impedimento permanente o, infine, gli atti orali, tra cui spiccano le c.d. esternazioni atipiche (Presidente della Repubblica).

D’altra parte, anche per quanto riguarda gli atti sottoposti a controfirma ministeriale, l’art. 89, co. 1, Cost. non pare interpretabile nel senso che il Presidente della Repubblica si debba limitare a un ruolo meramente formale nel procedimento di adozione, essendo superata non solo nella dottrina, ma anche nella prassi costituzionale quelle tesi, espresse tra gli altri da C. Esposito sulla natura monofunzionale della controfirma ministeriale, espressione, con la dovuta eccezione degli atti orali, di una «collaborazione prevalente» dei Ministri. Al contrario, infatti, la controfirma ministeriale è stata letta come atto talora del Ministro proponente e talaltra del Ministro competente ed essa pare quindi assumere funzioni diverse a seconda del tipo di atto a cui si riferisce. In base a ciò, la dottrina maggioritaria ha distinto tre diverse categorie di atti (atti formalmente e sostanzialmente presidenziali, atti formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi e atti duali o duumvirali o complessi), rispetto ai quali la controfirma ministeriale svolge una funzione diversa. Gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali, infatti, sono espressione della volontà esclusiva del Presidente della Repubblica e rispetto ad essi la controfirma ministeriale svolgerebbe una funzione di controllo o attesterebbe l’avvenuto esercizio del potere presidenziale; al contrario, quelli formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi sono espressione dell’indirizzo politico di maggioranza del Governo e rispetto ad essi la firma del Presidente della Repubblica svolgerebbe una funzione di garanzia e di legittimità costituzionale; da ultimo, quelli duali o duumvirali o complessi risulterebbero dalla concorrente volontà (o almeno dal mancato dissenso) tanto del Presidente della Repubblica quanto dal Ministro.

Maggiormente controverso nella dottrina è però stabilire quali atti costituzionalmente elencati rientrino nell’una, o nell’altra categoria. Nel novero degli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali vengono fatte generalmente rientrare la nomina dei cinque senatori a vita (art. 59; Vedi: Parlamento) e di cinque giudici della Corte costituzionale (art. 135, co. 1), il rinvio alle Camere di un progetto di legge già approvato con richiesta di nuova deliberazione (art. 74; Vedi: Procedimento legislativo) e i messaggi alle Camere (art. 87, co. 2). Secondo un’opinione minoritaria, tra gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali rientrerebbero anche la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri e lo scioglimento anticipato delle Camere, atti che, invece, la maggioranza della dottrina ritiene atti duali o duumvirali o complessi, ma c’è anche chi, sulla falsariga della forma di governo britannica, considera lo scioglimento anticipato delle Camere come un tipico atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo. In quest’ultima categoria di atti sono invece fatti generalmente rientrare l’emanazione degli atti aventi forza di legge e dei regolamenti, la nomina dei Ministri, l’autorizzazione della presentazione alle Camere di d.d.l. di iniziativa governativa.

Massima espressione dell’incertezza che riguarda la distinzione tra i diversi atti sottoposti alla controfirma ministeriale è senz’altro rivestita dal potere di grazia. La sua collocazione tra le tre diverse categorie di atti è stata sempre molto discussa, anche se la dottrina maggioritaria l’ha considerata, in ragione del suo carattere di eccezionalità, come un atto duale o duumvirale o complesso. Tuttavia, la Corte costituzionale, a seguito di un conflitto di attribuzione sollevata dal Presidente della Repubblica (Conflitti di attribuzione. Diritto costituzionale), la ha recentemente ricondotta al novero degli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali, rispetto al quale l’atto di iniziativa del Ministro della giustizia si configura come «dovuto».

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