Contratto preliminare

Diritto on line (2013)

Raffaella De Matteis

Abstract

Viene esaminata la sequenza preliminare-definitivo (di vendita) che nell’ambito degli acquisti immobiliari rappresenta la forma giuridica normalmente impiegata dagli stipulanti per perseguire al meglio le diverse esigenze vuoi di finanziamento, vuoi di controllo del bene e delle sopravvenienze, talvolta anche di intermediazione nella circolazione e nell’acquisto di beni immobili. In particolare, l’attenzione è rivolta ai diversi tipi di accordi preliminari che l’autonomia privata ha messo a punto nell’ambito della contrattazione preliminare ed in relazione ai quali il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per introdurre misure di tutela per il contraente debole (artt. 2645 bis, 2775 bis, 2825 bis, c.c. inseriti con l. 28.2.1997, n. 30; d.lgs. 20.6.2005, n. 122; d.lgs. 12.9.2007, n. 169, di modifica e integrazione del d.lgs. 9.1.2006, n.5).

Dal contratto preliminare agli accordi preliminari

Il legislatore del ’42 ha riservato al contratto preliminare poche disposizioni che, nel contesto degli artt. 1351 e 2932 c.c., si riducono alla previsione di un requisito di forma (art. 1351 c.c.) e all’introduzione del rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2933 c.c.). In questo trascorrere del contratto preliminare – dall’essere, sotto il codice del 1865, un “contratto atipico”, al suo divenire un “contratto nominato” sotto il codice del ’42, senza implicazioni di sorta sul piano definitorio (art. 1351 c.c.) – è possibile cogliere la peculiarità di uno strumento giuridico con il quale si offre all’autonomia privata una forma giuridica al servizio di una certa realizzazione dell’assetto di interessi, o meglio ancora, una tecnica di composizione dell’affare tramite la quale è possibile incidere sui tempi e sulle modalità di realizzazione degli effetti, specie nell’ambito di operazioni economiche di scambio. Una tecnica di composizione dell’affare non certo riconducibile a quella formula definitoria che agli inizi del novecento aveva reso celebre il contratto preliminare come accordo che «obbliga a contrarre un ulteriore contratto già interamente determinato nei suoi elementi essenziali» (Coviello, L., Dei contratti preliminari nel diritto moderno italiano, Milano, 1896, 9) facendone una figura contrattuale del tutto avulsa dall’operazione economico-giuridica alla cui regolamentazione era solitamente preordinata (Messineo, F., Contratto preliminare, contratto preparatorio e contratto di coordinamento, in Enc. dir., X, 1962, 166, spec. 170; Id., Il contratto in genere, I-II, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 1968-1972, 556); formula infatti che venne trascurata dal legislatore del ’42 che nella norma, intitolata al contratto preliminare (art. 1351 c.c.), non l’acquisì per valorizzare, invece, nella norma dedicata alla disciplina dei rimedi conseguenti alla violazione dell’obbligo a contrarre (art. 2932 c.c.), l’elasticità del tipo contrattuale che, nel contesto di operazioni di scambio soggette al principio consensualistico (ex art. 2932, co. 2, c.c.), è in grado, per il tramite dell’obbligo a contrarre, di interagire nel meccanismo di produzione degli effetti.

Con riguardo dunque all’art. 2932 c.c., dall’inciso «qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo», contenuto nel primo comma della norma, è possibile trarre una sicura indicazione a favore della configurabilità di accordi preliminari, non eseguibili in forma specifica, con i quali riservare alle parti un margine di liberta, per una nuova valutazione di convenienza dell’operazione economica, a fronte di un risarcimento del danno; con riguardo sempre all’art. 2932 c.c., dalla previsione, contenuta nel suo secondo comma, dell’offerta formale della controprestazione – come condizione di ammissibilità della domanda giudiziale rivolta all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, nei soli casi in cui il pagamento del prezzo sia già esigibile sulla base del preliminare (di vendita) – è possibile ipotizzare una variante della figura base individuabile in quell’accordo preliminare che è fonte di un’obbligazione di pagamento del prezzo corrispettiva a quella di trasferimento del diritto da attuarsi tramite un atto (c.d. definitivo) alla cui conclusione entrambe le parti si vincolano (De Matteis, R., La contrattazione preliminare ad effetti anticipati. Promesse di vendita, preliminari per persona da nominare e a favore di terzo, Padova, 1991, 140-143 e 172 ss.). Una siffatta impostazione, che ha dalla sua il riconoscimento da parte del legislatore del ’42 (nell’ossequio tributato all’autonomia privata) della elasticità del tipo contrattuale racchiuso nello schema causale dell’obbligo a contrarre, presuppone anche il superamento dell’idea che il contratto preliminare debba essere riguardato, sul modello del Vorvertrag, in chiave esclusivamente unitaria. Già L. Coviello, nell’intitolare la sua celebre monografia Dei contratti preliminari nel diritto moderno italiano (cit. supra) fece impiego del plurale in una prospettiva diversamente indirizzata a fare emergere il “multiforme atteggiarsi” di un accordo che, per il suo combinarsi con differenti contratti (assunti come definitivi), può assumere “diversi e variabili contenuti”; oggi, con l’impiego del plurale, si intende mettere in risalto l’articolazione della “forma giuridica”, in cui si esprime “l’obbligo a contrarre” che, nell’ambito di una contrattazione preliminare, può declinarsi in vario modo come obbligo a trattare ovvero come obbligo a trasferire (De Matteis, R., La contrattazione preliminare e la modularità del vincolo a contrarre, in Liber amicorum per A. Luminoso, Milano, 2013, 619).

Accordi preliminari, tutti, riconducibili allo schema dell’obbligo a contrarre, pur rappresentando delle varianti rispetto al modello tradizionale di contratto preliminare per il differente atteggiarsi dell’obbligo a contrarre che, in relazione ai primi, si delinea come obbligo a trattare e, in relazione ai secondi, come obbligo a trasferire. Il profilo unitario, nella varietà degli accordi che obbligano a contrarre, si coglie nella funzione assolta dalla tecnica procedimentale che è alla base della scissione tra consenso preliminare e consenso definitivo: funzione che si delinea in ragione di un controllo dell’operazione economica che le parti hanno programmato in preliminare, riservandosi un margine di libertà, variamente definito in ragione della sostanza su cui verte il controllo da svolgersi in sede di stipulazione definitiva. Funzione, dunque, che, a seconda del tipo di accordo preliminare, si specificherà in quella di controllo della convenienza economica dell’operazione (per il preliminare non eseguibile in forma specifica); se non in quella di controllo delle sopravvenienze giuridicamente rilevanti (nel riferimento al modello tradizionale di contratto preliminare) ulteriormente arricchendosi, con riguardo ai preliminari di atto traslativo (rectius, ad effetti c.d. anticipati), della possibilità di controllo della esattezza e conformità (al pattuito) delle prestazioni nel frattempo eseguite (Cass., 23.11.2011, n. 24739; Cass., 28.7.2010, n. 17688). Ciò trova conferma anche in un recente arresto delle Sezioni Unite (Cass., S.U., 1.10.2009, n. 21045) ove si afferma che il contratto preliminare trova per lo più giustificazione «nell’esigenza delle parti di consacrare provvisoriamente l’accordo raggiunto, al fine di consentire, in vista della stipulazione del contratto definitivo, la verifica dell’esatta consistenza dell’immobile, della sua conformità alle norme urbanistiche e degli oneri tributari connessi al trasferimento».

L’emersione di vincoli preliminari divergenti dal modello tradizionale consente, sul versante dei preliminari passibili di mero risarcimento del danno, di superare alcune limitazioni, frapposte all’autonomia delle parti, nella stipulazione di determinati contratti considerati da sempre inconciliabili con la preesistenza di un vincolo a contrarre eseguibile in forma specifica (per il contratto di donazione v. Cass., 18.12.1996, n. 11311; salvo riconoscere la possibilità di realizzare un atto di liberalità attraverso un preliminare che precede un atto di trasferimento con funzione solutoria: v. Cass., 21.12.1987, n. 9500, in Corr. giur., 1988, 146, con nota di Mariconda, V., Art. 1333 e trasferimenti immobiliari). Così è per i preliminari di contratti reali, in relazione ai quali la previsione della consegna del bene mal si concilia con il rimedio della sentenza costitutiva, mentre, nell’ottica di un rimedio risarcitorio, parrebbe potersi, sul modello della promessa di mutuo (art. 1822 c.c.), rivendicare una loro autonoma configurabilità (ma già in Cass., 18.6.1981, n. 3980, si legge: «Anche con riguardo al contratto di mutuo è configurabile un contratto preliminare consistente in una promessa de mutuo dando e de mutuo accipiendo, che la legge prevede e disciplina, a determinati effetti, all’art. 1822 c.c. e che, anche se non dà titolo – stante l’insuscettibilità dell’obbligazione del promittente di esecuzione in forma specifica – ad ottenere la sentenza prevista dall’art. 2932 c.c., è pur sempre produttivo di un rapporto giuridico, generatore di diritti ed obblighi tra le parti»).

Mentre sul versante degli accordi preliminari, diretti alla conclusione di atti negoziali di puro trasferimento, una tale apertura ha condotto gli stessi giudici di legittimità a ritenere che il contratto definitivo, alla cui conclusione la parti si obbligano in preliminare, non debba necessariamente e sempre configurarsi come contratto causalmente autonomo dal preliminare che lo precede (i.e. la vendita), potendo invece acquisire rilievo come atto negoziale di puro trasferimento purché in esso venga fatta menzione della causa del trasferimento (la c.d. expressio causae; cfr. Cass., 21.12.1987, n. 9500 e Cass., 12.6.1987, n. 5147; Cass., 9.10.1991, n. 10612, con riguardo ai preliminari di contratti traslativi di proprietà, effettuati in occasione di separazione o divorzio, e per i preliminari di contratti gratuiti, caratterizzati da un interesse patrimoniale del cedente).

Ed ancora, nel riconoscimento in capo al promissario acquirente di un diritto alla conclusione del definitivo come diritto ad una prestazione traslativa – da realizzare attraverso la stipulazione di un atto di natura negoziale di puro trasferimento e in caso di inadempimento attraverso una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. – si è anche valorizzato e da ultimo espressamente confermato (con Cass., 3.8.2012, n. 14195) un impiego del preliminare in funzione circolatoria delle posizioni ad esso correlate tale da poter bypassare i trasferimenti intermedi. In tali casi il preliminare, con l’apposizione di clausole, volte a creare una dissociazione tra soggetto “avente diritto” alla stipulazione definitiva e originario contraente in preliminare (cfr. artt. 1401-1405; 1411-1413), perviene ad attribuire ad un soggetto estraneo alla stipulazione in preliminare, che sia un terzo ex art.1411 c.c. (con Cass., 3.8.2012, n. 14195) o un electus ex art. 1401 c.c. (Cass., 7.3.2002, n. 3328), il diritto ad un atto traslativo solvendi causa.

La funzione della sequenza preliminare-definitivo

Il superamento dell’impostazione tradizionale che guardava al contratto preliminare come figura unitaria e astratta (v. Messineo, F., Il contratto in genere, I-II, cit., 555) ha fatto sì che l’attenzione si spostasse dal contratto preliminare alla contrattazione preliminare (Camilleri, E., Dal preliminare ai preliminari: la frammentazione dell’istituto e la disciplina della trascrizione, in Contr. e impr., 1999, 98; Sicchiero, G., Il contratto preliminare, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Milano 2006, 546), in una chiave di lettura di maggiore attenzione ai modelli contrattuali elaborati nella prassi della contrattazione immobiliare, facendo emergere la “modularità” dello schema causale dell’obbligo a contrarre, che, allorquando si combina con operazioni economiche di scambio, dà vita ad una varietà di accordi preliminari che si affiancano alla figura del “contratto preliminare” (di vendita) tradizionalmente intesa (De Matteis, R., La contrattazione preliminare tra prassi e normazione: gli acquisti di immobili da costruire e di case d’abitazione, in Contr. e impr., 2012, 464 ss.). Nel contempo l’affermarsi del preliminare, nell’ambito di operazioni immobiliari di scambio, come strumento utile al fine di una loro attuazione attraverso una scissione tra effetti obbligatori (del preliminare) ed effetti reali (della compravendita), ha inevitabilmente influito nella individuazione delle esigenze che il ricorso ad esso soddisfa. Ciò si coglie nelle stesse parole dei giudici della Suprema Corte che rilevano come oggi, nella pratica commerciale, la stipulazione di un contratto preliminare «costituisce una fase pressoché imprescindibile del “procedimento negoziale” che conduce al “trasferimento dei diritti reali immobiliari”» (da Cass., S.U., 1.10.2009, n. 21045, in Giust. civ., 2010, II, 311 con nota di Paladini, F., Il conflitto tra il privilegio ex art. 2775-bis c.c. e il creditore ipotecario), mentre raramente viene impiegato per operazioni economiche di diversa natura (per la cessione dei diritti di utilizzazione delle invenzioni industriali con Cass., 26.7.2006, n. 16937; per la cessione di azienda con Cass., 14.4.2004, n. 7075, in Foro it., 2005, I 3207; per la costituzione di società con Cass., 18.6.2008, n. 16597; per la locazione con Cass., 16.2.2010, n. 3592; Cass.11.5.2010, n. 11371).

Nella individuazione delle ragioni, che orientano le parti verso la sequenza preliminare-definitivo, vi è infatti una decisa convergenza nel prospettare come preminente la possibilità che viene offerta all’autonomia privata di potere fermare, con il ricorso ad essa, un affare (operazione immobiliare) ritenuto vantaggioso e nel contempo quella di riservarsi, in sede di stipulazione definitiva, un’ulteriore valutazione su profili riguardanti la regolarità giuridica e la conformità del bene (immobile) al modello pattizio e legale. La prestazione del consenso definitivo acquista una sua precisa funzione che, se non è quella di una libera valutazione della convenienza intorno all’affare, si definisce in ragione della possibilità di rivalutazione dell’affare stesso alla luce delle sopravvenienze giuridicamente rilevanti (ad esempio, vizi, difetti di qualità, diritti di terzi sulla cosa), manifestandosi nell’esercizio di un legittimo rifiuto all’introduzione del regolamento contrattuale: in tal modo il vantaggio assicurato dalla scissione tra preliminare e definitivo, rispetto alla stipulazione immediata di un contratto definitivo sottoposto a termine iniziale, sarebbe quella di impedire l’introduzione del nuovo regolamento d’interessi, anziché essere costretti a reagire contro un regolamento già posto (Gabrielli, G., Il contratto preliminare, Milano, 1970, 19; Gabrielli, G.-Franceschelli, V., Contratto preliminare: I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 1, spec. 3, con Postilla di aggiornamento, 1997; Sacco, R., Il contratto, in Tratt. dir. civ. Sacco, II, Torino, 1993, 259 ss.; confermano siffatta impostazione: Roppo, V., Il contratto, cit., 614; Luminoso, A., La compravendita, cit., 410). Una possibilità dunque di (ri)valutazione che può giustificare, in ipotesi di mutamento delle condizioni originarie del regolamento, un legittimo rifiuto all’introduzione del regolamento contrattuale definitivo. Una funzione di controllo che oggi – a fronte dell’imporsi del c.d. meccanismo di anticipazione degli effetti del definitivo di vendita specie in connessione agli acquisti di immobili da costruire – può essere svolta anche nel contesto del rapporto intermedio, intercorrente tra preliminare e definitivo, onde reagire immediatamente al riscontro di difformità/irregolarità del bene, ed essere estesa ad una valutazione da condurre in termini di “conformità” della prestazione e del bene al modello pattuito/legale (Cass., 3.1.2002, n. 29, in Foro it., 2002, I, 1423 e le più recenti: Cass., 11.5.2009, n. 10820, Cass., 14.10.2010, n. 21229, Cass., 14.1.2010, n. 477, e Cass., S.U., 11.11.2009, n. 23825; fino a risalire a quella che costituisce un leading case: Cass., S.U., 27.2.1985, n. 1720, in Foro it., 1985, I, 1697). Non è un caso che, a fronte della constatazione della irregolarità giuridica del bene promesso in vendita, sia stata riconosciuta non solo la legittimità del rifiuto da parte del promissario acquirente alla conclusione del definitivo di vendita ma anche la possibilità di fare richiesta, contestualmente alla domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., dell’adempimento dell’obbligo di consegna dei documenti attestanti la regolarità giuridica del bene (Cass., 23.11.2011, n. 24739; Cass., 28.7.2010, n. 17688).

Gli accordi preliminari

I preliminari di preliminari e le proposte d’acquisto nella prassi degli intermediari immobiliari

Il possibile atteggiarsi dell’obbligo a contrarre come obbligo a trattare ha radici in quella distinzione tra un preliminare eseguibile in forma specifica ed un preliminare passibile di mero risarcimento, che nel dibattito che ha preceduto l’emanazione del codice attuale si confrontava con l’idea, certamente prevalente in dottrina, dell’unitarietà della figura del contratto preliminare. Successivamente all’entrata in vigore del codice del ’42 l’attenzione si concentrò sul preliminare “eseguibile in forma specifica” e su di esso si indirizzò il dibattito dottrinale all’insegna della unitarietà dello schema causale dell’obbligo a contrarre; in prosieguo di tempo in ragione della possibilità, dal legislatore rimessa all’autonomia privata (ex art. 2932, co. 1, c.c.), di escludere il rimedio dell’eseguibilità in forma specifica per l’inadempimento dell’obbligo a contrarre, si profilò l’idea di una possibile articolazione dello schema dell’obbligo a contrarre in accordi tra loro differenziabili in preliminari “chiusi” e preliminari “aperti” (Morello, U., Culpa in contraendo, accordi e intese preliminari (un classico problema rivisitato), in AA.VV., La casa di abitazione tra normativa vigente e prospettive. Quarant’anni di legislazione, dottrina, esperienze notarili e giurisprudenza, II, Milano, 1986, 131 ss., spec. 147). In tale riconoscimento dal codice tributato all’autonomia privata si insinua il processo di disgregazione della unitarietà della figura del preliminare che si ben si salda con quello di revisione del cd. preliminare di vendita ad affetti anticipati (per la cui analisi v. infra, § 3.2).

È nel settore dell’intermediazione immobiliare che è invalsa la tendenza ad articolare la negoziazione attraverso diverse fasi che vanno dalla formulazione di una proposta d’acquisto, ad opera del mediatore, firmata dal promittente acquirente e accettata dal promittente venditore, alla formalizzazione dell’accordo in un preliminare c.d. “formale” o “chiuso”, con il versamento di una parte del prezzo, e successiva sottoscrizione del rogito notarile di compravendita. Le proposte d’acquisto, normalmente predisposte mediante modulistica a cura dell’intermediario, già prevedono gli estremi essenziali della compravendita ed il versamento da parte del promissario acquirente di una somma a titolo di caparra confirmatoria; l’accordo, raggiunto mediante accettazione della proposta da parte del promittente venditore, normalmente rinvia al c.d. “preliminare formale” la completa definizione delle reciproche attribuzioni, senza possibilità di ulteriori integrazioni del regolamento contrattuale, ma sempre con impegno ad un successivo atto pubblico di trasferimento. Un tale accordo, ricondotto nell’ambito della formazione progressiva del contratto, è stato variamente etichettato in dottrina: da alcuni come “forma atipica di contratto preliminare” (Ravazzoni, A., Gradualità dei vincoli a carico dell'alienante e conclusione del contratto, Riv. not. 1994, 36 ss.) da altri come preliminare “aperto” o “debole” (suscettibile dei soli rimedi risarcitori e non eseguibile in forma specifica ex art. 2932, c.o 1) con il quale le parti normalmente provvedono a definire solo i punti fondamentali (relativi al bene e al prezzo) e riservano ad un successivo incontro di volontà la determinazione dei punti non trattati (De Matteis, R., Il preliminare di vendita, Le fonti del diritto italiano-Codice della vendita, a cura di V. Buonocore, A. Luminoso e C. Miraglia, Milano, 2012, 90 ss., 103 ss.; con qualche adesione da parte della giurisprudenza di merito: v. Trib. Milano, 14.12.2005; App. Torino, 5.11.2004, in Giur. mer., 2005, 1125; App. Firenze, 14.4.2004, in Giur.it., 2005, 731, con nota di Toschi Vespasiani; Trib. Napoli, 11.1.1994, Dir. giur., 1996, 501). In giurisprudenza, prevalente l’idea che il contratto preliminare dovesse configurarsi in chiave unitaria, accanto a pronunce, che attribuiscono a tale tipo di accordo il valore di un contratto preliminare “formale” o “chiuso” (v. Trib. Milano, 1.12.2005, cit.; App. Torino, 5.11.2004, cit.; Trib. Roma, 29.3.1994, in Rass. dir. civ., 1996, 434; Pretura Bologna 9.4.1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 540; Cass., 10.5.2002, n. 6731; Trib. Napoli, 28.2.1995, in Dir. giur., 1995, 463; Trib. Torino, 21.3.2006, in Arch. loc., 2006, 5, 540; in alcuni casi prospettandosi o “un patto d’opzione” – Cass., 21.7.2001, n. 13590 – o un “contratto atipico a contenuto ed effetti obbligatori” – App. Napoli 11.10.1967, in Dir. giur., 1968, 550; Trib. Venezia, 5.3.1998, Foro Pad., 1999, I, 75), si delineano altre che lo inquadrano come una «semplice manifestazione di intenti, resa seria e fondata dal versamento di una somma di denaro, al fine di giungere alla stipula di un vero e proprio impegno contrattuale cristallizzato nel contratto preliminare» (Trib. Roma, 21.3.2006, in Merito, 2006, 11). Con l’intervento della Cassazione del 2009 (Cass., 2.4.2009, n. 8038) si conferma, all’insegna di una configurazione unitaria del contratto preliminare, l’appartenenza di tali accordi alla fase delle trattative e quindi se ne afferma la non vincolatività: da un lato, viene infatti asserito, nel solco tracciato dalle prime pronunce di merito la nullità per difetto di causa dei c.d. preliminari di preliminari posto che in tale progressione (di un preliminare già eseguibile in forma specifica, verso un preliminare parimenti eseguibile in forma specifica) realizzerebbe «una inconcludente superfetazione non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico»; dall’altro lato, si riconosce che la sottoscrizione del modulo predisposto dal mediatore appartiene alla fase delle trattative «sia pure, nello stato avanzato della “puntazione”, destinata a fissare, ma senza alcun effetto vincolante, il contenuto della successivo negozio» (da Cass., 2.4.2009, n. 8038, cit.; anche se con App. Firenze, 12.5.2009, in Contratti, 2009, 997, di pochi mesi successiva alla pronuncia dei giudici di legittimità, viene confermata la qualificazione di tali accordi come preliminari). Parrebbe quindi confermarsi l’opinione di chi a suo tempo, in tempi non sospetti, ha sostenuto che una successione di contratti preliminari possa ammettersi solo a condizione di differenziare il contenuto degli accordi (De Martini, A., Profili della vendita commerciale e del contratto estimatorio, Milano, 1950, 78); intuizione che, a fronte della frantumazione della figura del contratto preliminare, oggi acquista significato concreto in quanto consentirebbe di superare l’obiezione di una eventuale nullità dell’accordo, inizialmente intercorso tra le parti, qualora lo si inserisse in una sequenza di atti caratterizzati da una progressione del vincolo che trascorre da un obbligo a trattare ad un obbligo a contrarre. Alla tesi della nullità del preliminare di preliminare si potrebbe allora replicare come, a fronte di una varietà di accordi preliminari, è possibile prospettare una sequenza di atti caratterizzati da un diverso contenuto riconoscibile nell’obbligo a contrarre che trascorre da un obbligo a trattare (passibile dei soli rimedi risarcitori) ad un obbligo a contrarre (eseguibile in forma a specifica), ad un obbligo infine a trasferire che, come tale, va a caratterizzare un procedimento (atipico) di vendita. D’altronde se si riconosce all’autonomia privata la libertà di scegliere se vincolarsi in modo semplicemente “promissorio”, escludendo l’eseguibilità in forma specifica del vincolo assunto, ovvero vincolarsi ad un contrarre già eseguibile in forma specifica (De Matteis, R., Dalla promessa di vendita al preliminare trascritto, in Studi in onore di P. Rescigno, Milano 1998, 269 ss., spec. 282-285, nt. 36), potrebbe anche ipotizzarsi un procedimento in cui tali accordi, rispondendo nella loro progressione a ben precise esigenze delle parti, non realizzerebbero un inutile doppione (con conseguente nullità di uno dei due accordi) bensì varrebbero, nel collegamento tra essi, a sorreggere la causa giustificativa del procedimento unitariamente riguardato.

Il preliminare di vendita ad effetti anticipati

Il preliminare di vendita c.d. ad effetti anticipati o ad esecuzione anticipata nasce dalla prassi, ampiamente diffusa e da sempre avallata dalla giurisprudenza, di anticipare gli effetti obbligatori tipici della vendita tramite l’assunzione dell’impegno delle parti contraenti in preliminare di pagare il prezzo, integrale (normalmente rateizzato) o parziale, e/o di consegnare il bene prima della stipulazione del contratto definitivo. Dopo una fase iniziale di generalizzata disattenzione da parte della dottrina, esso ha richiamato l’interesse dei teorici (Alessi, R., Il c.d. preliminare di vendita ad effetti anticipati, in Banca borsa, 1972, II, 438 ss.; De Matteis, R., Preliminare di vendita ad effetti anticipati e garanzia per vizi, in Nuova giur. civ. comm., 1985, II, 139; contra, Castronovo, C., La contrattazione immobiliare abitativa, in AA.VV., La casa di abitazione tra normativa vigente e prospettive, IV, Milano, 1987, 8) in coincidenza con l’affermarsi di un orientamento giurisprudenziale volto a riconoscere al promissario-acquirente, cui fosse stato consegnato un bene con vizi o mancante delle qualità promesse, una tutela, non limitata ai tradizionali rimedi (ex artt. 1453 e 2932), ma ampliata all’azione di riduzione del prezzo o all’azione di esatto adempimento nei confronti del venditore/costruttore del bene.

Attraverso un’evoluzione giurisprudenziale non certo piana (v. Cass., 23.11.2011, n. 24739, in Contratti, 2012, 261; Cass., 25.7.2006, n. 16937; Cass., 4.1.2002, n. 59, in Foro it., 2002, I, 366) né incontrastata (Cass., S.U., 27.3.2008, n. 7930, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1039) il preliminare di vendita ad effetti anticipati si è consolidato nella prassi degli acquisti immobiliari come atto che è nel contempo fonte di un’obbligazione di pagamento del prezzo e di un’obbligazione di trasferimento del diritto sul bene (v. Cass. 23.11.2011, n. 24739, e Cass., 28.7.2010, n. 17688 con riferimento all’interpretazione dell’art. 2932, co. 2, c.c) ed in tali termini è stato acquisito al formante legislativo con riguardo agli acquisti di immobili da costruire (v. infra, § 3.3) introducendo per essi un altro modo di contrarre. In dottrina il dibattito su di esso si è arricchito articolandosi in differenti posizioni sostanzialmente riconducibili a due linee conduttrici, di cui una porta ad includere tali accordi nell’area della contrattazione preliminare, l’altra a considerarli come accordi già definitivi. Tra coloro che confermano l’appartenenza del preliminare di vendita ad effetti c.d. anticipati all’area della contrattazione preliminare, vi è chi (Palermo, G., Contratto preliminare, Milano, 1991, 98) ne esalta i tratti distintivi talvolta riconducendolo ad un atto fondamentale e primigenio su cui si fonda il procedimento di contrattazione reale (così come disciplinato negli artt. 1351-2932), chi ne enfatizza il ruolo da esso assunto nel formante giurisprudenziale come vendita obbligatoria (Gazzoni, F., Contratto preliminare, in Tratt. Bessone, XIII, Torino, 2000, 565), chi infine gli riconosce autonomo rilievo, come variante della figura base di contratto preliminare, in un ventaglio di accordi preliminari (Roppo, V., Il contratto, II ed., Milano, 2012, 618; Luminoso, A., La compravendita, VI ed., Torino, 2009, 407, spec. 410; De Matteis, R., La contrattazione preliminare tra prassi e normazione, cit., 1 ss.). Tra coloro che invece escludono la qualificazione di tali accordi come preliminari, per accreditarli come contratti già definitivi (Montesano, L., Obbligo a contrarre, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1979, 508, spec. 510), vi è chi li inquadra nello schema della vendita, eventualmente ad efficacia solo parzialmente differita (Gabrielli, G., Il contratto preliminare, cit., 415; Id., Contratto preliminare (Sintesi di informazione), in Riv. dir. civ., 1987, II, 225; ma v. Gabrielli, G.-Franceschelli, V., Contratto preliminare, cit., 5), e chi, invece, propende per una loro qualificazione in termini di atipicità in quanto accordi che, sotto il profilo causale, divergono sia dal “vero e proprio” contratto preliminare sia dalla vendita, per essere la loro natura obbligatoria incompatibile con l’essenza traslativa di quest’ultimo contratto (Portale, G.B., Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv. soc., 1970, 940-941, nt. 63; Lener, A., Contratto preliminare ad esecuzione anticipata del definitivo, in Foro it., 1977, I, 669).

Le diverse posizioni, variamente articolate nell’ambito delle due correnti di pensiero, non sempre presentano contorni e confini ben definiti per cui finiscono per sovrapporsi, occupando spazi comuni, pur nella diversità dell’opzione teorica di base: il filo comune che le percorre trasversalmente, accomunandole, concerne la ricostruzione della vicenda traslativa che si compie sotto l’etichetta “preliminare di vendita ad effetti anticipati”. Superata la risalente concezione di matrice giurisprudenziale, che nel riferimento al fenomeno di anticipazione degli effetti obbligatori tipici della vendita assumeva quest’ultima come fonte dell’obbligazione di pagamento del prezzo e di consegna del bene, ed acquisito il preliminare come fonte di tali obbligazioni, si rileva in dottrina una convergenza di opinioni nella prospettazione di un procedimento traslativo, che prende origine da siffatto accordo, nei termini di un ripristino – ad opera dell’autonomia privata ed in deroga al principio consensualistico espresso nell’art. 1376 c.c. – della scissione tra titulus e modus adquirendi (Portale, G.B., Principio consensualistico, cit., 1970, 940; Palermo, G., Il contratto preliminare, cit., 11; De Matteis, R., La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, cit., 170 ss.; Luminoso, A., La compravendita, cit., 410; ma v. contra Muccioli, N., Efficacia del contratto e circolazione della ricchezza, Padova, 2004, 210-212).

Nei casi in cui le parti abbiano prescelto di anticipare la fase obbligatoria della vicenda traslativa a quella attributiva dell’effetto reale, si viene, dunque, a configurare una sequenza procedimentale di atti così composta: un contratto iniziale ad effetti obbligatori che nel contempo obbliga sia a trasferire, con un successivo atto negoziale solvendi causa, il diritto sul bene sia al pagamento del prezzo pattuito come corrispettivo dell’acquisto del bene; in sequenza un successivo atto (definitivo), c.d. di puro trasferimento con causa esterna, il cui fondamento causale risiede nell’obbligazione di dare, precedentemente assunta dagli stipulanti in sede di preliminare nell’ambito di un accordo, con cui entrambe le parti si sono obbligate a rinnovare il consenso in direzione di un controllo da effettuarsi e alla luce di eventuali sopravvenienze giuridicamente rilevanti e della conformità della prestazione al modello così come pattuito.

Se quindi la dottrina si è espressa in senso favorevole alla configurazione di un simile procedimento con causa traslativa – inquadrando l’atto iniziale o nell’ambito della contrattazione preliminare o in quella definitiva, ove viene rappresentato o in termini di vendita obbligatoria ovvero di contratto atipico – diversamente in giurisprudenza, la tendenza, da ultimo autorevolmente espressa dalle Sezioni Unite della Cassazione, è stata quella di confermare il preliminare di vendita c.d. ad effetti anticipati nell’ambito della contrattazione preliminare, a condizione che in tale riconoscimento non si legga un’apertura del sistema verso forme giuridiche che ripropongano la scissione tra titulus e modus adquirendi. Nel perseguimento di questa linea di policy le Sezioni Unite della Cassazione hanno offerto una (ri)lettura del fenomeno della c.d. anticipazione degli effetti del definitivo di vendita che, all’insegna di un collegamento contrattuale tra preliminare ed altri schemi contrattuali, non consente di riconoscere all’autonomia privata, almeno formalmente, la possibilità di attuare uno scambio attraverso una scissione tra fase obbligatoria e fase traslativa (Cass., S.U., 27.3.2008, n. 7930, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1039; v. Gazzoni, F., Deve essere autorizzato il preliminare di vendita di un bene del minore? Il promissario acquirente cui sia stata consegnata la cosa è detentore o possessore?, in Riv. not., 2001, 723). L’occasione per le Sezioni Unite è stata offerta dal contrasto delineatosi in giurisprudenza sulla questione, relativa alla qualificazione della relazione che si instaura, nel caso di “consegna anticipata”, tra promissario acquirente e bene “promesso in vendita” (Patti, S., Consegna del bene al momento del preliminare e acquisto della detenzione, in Nuova giur. civ. comm., II, 284): contrasto sul quale le Sezioni Unite si sono pronunciate a favore dell’orientamento che si era espresso in termini di detenzione qualificata, motivando tale scelta sulla base dell’inquadramento prescelto per l’operazione economico-giuridica che si compie sotto l’etichetta del c.d. preliminare ad effetti anticipati. Viene confermata l’appartenenza di tali accordi all’area della contrattazione preliminare e per giustificare il sorgere in capo alle parti contraenti in preliminare di obbligazioni “ulteriori”, rispetto a quella “principale” di contrarre, viene fatto ricorso al contratto preliminare non come fonte autonoma di obbligazioni aggiuntive, bensì in chiave di collegamento contrattuale con schemi contrattuali (comodato/mutuo) in grado di spiegare il perché di tali obblighi ulteriori.

Una battuta d’arresto in quel trend evolutivo, che in passato ha condotto gli stessi giudici a riconoscere nel preliminare le ragioni della metamorfosi dallo stesso subita come pactum de contrahendo (Cass., 16.6.2006, n. 11624 e Cass., 23.11.2007, n. 24448) e che oggi riemerge nelle parole dei giudici di legittimità (Cass., 27.3.2010, n. 4863) che, all’indomani dell’intervento delle Sezioni Unite, rilanciano la configurabilità di un “preliminare con obbligazioni aggiuntive”: di quel preliminare cioè che a suo tempo fu etichettato dai giudici, in termini di preliminare “complesso”, onde poterlo contrapporre al preliminare tradizionale diversamente definito “puro”. E per allontanare il rischio, paventato dalle Sezioni Unite, che dietro un tale riconoscimento si possa celare l’introduzione nel sistema di una tecnica traslativa in deroga alla regola consensualistica e al principio della causalità delle attribuzioni, viene rilevato come, nel riconoscimento di un preliminare “complesso”, la consegna del bene e l’anticipato pagamento del prezzo «possano anche trovare giustificazione causale in una clausola atipica apposta al preliminare introduttiva di obbligazioni aggiuntive ... senza che ciò significhi riproposizione della scissione tra titulus e modus adquirendi» in quanto «è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l’effetto traslativo reale» (Cass., 27.3.2010, n. 4863, cit.). In ciò trascurando il fatto che l’acquisizione al sistema, per il tramite della sequenza preliminare-definitivo, di un procedimento traslativo in cui la causa di scambio non si realizza attraverso l’atto che esprime il consenso, bensì attraverso due atti distinti – “separati” ma “interagenti” tra loro – non vale certo ad escludere né la riconducibilità dell’effetto traslativo al consenso delle parti, in tal caso comunque espresso nell’atto finale della sequenza (c.d. definitivo), né l’esistenza di una iusta causa alla base di un tale trasferimento.

Ovviamente, a seconda dell’inquadramento prescelto per tali tipi di accordi – se preliminari o contratti atipici – se ne trarranno le dovute conclusioni in punto di disciplina (De Matteis, R., La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, cit., 184). Se la dottrina si è prevalentemente occupata del profilo ricostruttivo concernente queste figure di accordi, l’interesse della giurisprudenza (fatta eccezione per Cass., 27.3.2008, n. 7930) è stato prevalentemente canalizzato sull’analisi della disciplina applicabile a tali tipi di accordi. Dopo un iniziale tentativo di differenziare i c.d. preliminari ad effetti anticipati dai preliminari c.d. puri, dotandoli di maggiore e più incisiva tutela per il promissario acquirente (v. in De Matteis, R., Il preliminare di vendita ad effetti anticipati e garanzia per vizi, cit., 139), si è registrata una sorta di involuzione che ha condotto ad una completa omologazione di tali accordi ai preliminari c.d. puri, ed ha avuto come effetto di ritorno quello di un potenziamento del ruolo svolto dal preliminare tout court nell’ambito della contrattazione immobiliare. Determinante in tal senso è stato l’intervento della Cassazione a sezioni unite (Cass., 27.2.1985, n. 1720, in Giust. civ., 1985, II, 1630), che, nel superamento del principio di intangibilità dei contenuti del preliminare ad opera del giudice in sede di giudizio ex art. 2932 c.c., ha spianato la via al riconoscimento di una tutela per il promissario acquirente, ampliata a rimedi di segno positivo (azione di riduzione del prezzo – azione di esatto adempimento) coesistenti con quello della sentenza costitutiva, il cui fondamento viene ricondotto alla violazione di quell’impegno traslativo assunto dal promittente venditore con il preliminare (a prescindere dal suo porsi all’interno di un preliminare puro o complesso). Nel riferimento anche al preliminare di vendita ad effetti anticipati, viene ribadito l’orientamento, già da tempo delineatosi, che esclude la possibilità di ricorso alle azioni edilizie, sul presupposto che esse implicano l’avvenuto trasferimento della proprietà della cosa (Cass., 27.2.1985, n. 1720, cit.; Cass., 28.1.1987, n. 785, in Giur. it., 1987, I, 1, 1761; Cass., 1.10.1997, n. 9560, in Giur. it., I, 1998, 2281; contra Cass., 20.5.1997, n. 4459; Cass., 24.11.1994, n. 9991, in Corr. giur., 1995, 839); nel contempo viene riconosciuta per il promissario acquirente la possibilità di avvalersi dei rimedi di carattere generale, previsti per i contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali si comprende l’azione di riduzione del prezzo, ex art. 1464 c.c., come rimedio posto a salvaguardia dell’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni (Cass., 17.4.2002, n. 5509) oltre a quello di condanna del promittente alienante all’eliminazione dei vizi e delle difformità della cosa a sue spese (Cass., 16.7.2001, n. 9636, cit.; Cass., 8.10.2001, n. 12323, cit.; Cass., 3.1.2002, n. 29, in Foro it., 2002, I, 1423). Se, dunque, in passato l’azione di esatto adempimento, in ipotesi di consegna di un bene affetto da vizi e difformità rispetto alle previsioni, veniva tendenzialmente ammessa in quei soli casi di alienazione di appartamenti in corso di costruzione o in fase di ristrutturazione in ragione del fatto che il promittente venditore – in quanto costruttore del bene – si era obbligato ad un facere la cui inesatta attuazione legittimava il ricorso ad un simile rimedio (Cass., 1.10.1997, n. 9560; Cass., 20.5.1997, n. 4459, come obiter dictum; Cass., 1.2.1993, n. 1221, in Sett. giur., I, 546; contra Cass., 24.11.1994, n. 9991); oggi la tendenza, chiaramente espressa dai giudici di legittimità (Cass., 16.7.2001, n. 9636; Cass., 3.1.2002, n. 29) è quella di ritenere che il rimedio specifico, di cui all’art. 2932 c.c., possa implicare anche l’eventuale condanna del promittente ad un facere in ragione del fatto che esso – anche in ipotesi di preliminare c.d. puro – assume un’obbligazione articolata che lo impegna ad approntare i mezzi necessari per garantire l’identità tra prestazione preparatoria e prestazione finale nonché ad astenersi dall’apportare modifiche al bene e ad impedire, usando la comune diligenza, modificazioni provenienti da fatti esterni e da terzi, in modo da tenere fede all’impegno preso in preliminare di trasferire una cosa corrispondente a quella apprezzata dal promittente acquirente. In Cass., 16.7.2001, n. 9636, con riferimento specifico al preliminare di vendita ad effetti c.d. anticipati, si è ritenuta ammissibile l’azione di esatto adempimento motivando sulla base dell’applicabilità a tale contratto delle norme generali in tema di adempimento delle obbligazioni e non di quelle sulla garanzia per vizi dettate per la vendita. Lungo tale linea evolutiva l’azione di esatto adempimento è stata ammessa (Cass., 14.1.2010, n. 477; Cass., 15.1.2007, n. 33 e Cass., 16.2.2007, n. 3644) anche nei confronti del promittente venditore non costruttore del bene. Una tutela ampliata che ha dunque radici, viene ribadito, in quella metamorfosi subita dall’obbligo assunto in preliminare che per i giudici di legittimità da mero obbligo a contrarre si è trasformato oggi in «obbligo di svolgere tutte le attività necessarie per assicurare il rispetto del rapporto economico di scambio previsto nel preliminare ... in conformità dei principi di correttezza e buona fede» (Cass., 14.1.2010, n. 477).

Il preliminare di immobili in corso di costruzione

Il preliminare di vendita ad effetti c.d. anticipati si è affermato in un ben preciso settore delle compravendite immobiliari, quelle relative ad edifici da costruire o in corso di costruzione, dove la scissione tra effetti obbligatori ed effetto reale risulta funzionale alla creazione di un rapporto intermedio nel corso del quale si compie l’attività di produzione del bene e si dà esecuzione all’obbligazione di pagamento del prezzo, instaurando una stretta correlazione tra i vari stadi di avanzamento dei lavori ed il versamento di tranches del corrispettivo dovuto.

Il primo importante intervento legislativo in materia è rappresentato dalla l. 8.1.997, n. 30, con la quale si è incominciato a delineare un primo profilo di disciplina del tipo contrattuale, relativo agli acquisti di immobili in corso di costruzione. Ciò è avvenuto con riferimento al preliminare avente ad oggetto porzioni di edificio da costruire o in corso di costruzione: con l’art. 2645 bis, co. 4-6, c.c., si è inteso, nella disciplina degli effetti prenotativi scaturenti dalla trascrizione del preliminare, graduare questi ultimi conformandoli alla progressione di un rapporto che trae origine dalla stipulazione del preliminare ed evolve verso il negozio di trasferimento c.d. “atto definitivo” (ex art. 2645 bis, co. 2, c.c.). Per tale via quel preliminare, ben radicato nella prassi della contrattazione immobiliare delle vendite di appartamenti sulla carta come preliminare ad effetti anticipati, viene acquisito al sistema sotto l’etichetta di preliminare avente per oggetto porzioni di edificio da costruire.

Perché la trascrizione del preliminare avente ad oggetto porzioni di edificio in corso di costruzione possa svolgere la sua funzione prenotativa è necessaria l’indicazione della superficie utile della porzione di edificio e della quota, espressa in millesimi, spettante al promissario acquirente (v. artt. 2645 bis, co. 4, 2659, n. 4, c.c.), nonché l’identificazione del terreno di sedime attraverso i dati catastali (arg. ex artt. 2645 bis, co. 4, 2659, n. 4, e 2826 c.c.). Tali disposizioni rispondono all’esigenza di regolamentare il prodursi degli effetti prenotativi della trascrizione (Luminoso, A., in Luminoso, A.-Palermo, G., La trascrizione del contratto preliminare. Regole e dogmi, Padova, 1998, 38), nel riferimento sia alle singole unità immobiliare che alle quote in proprietà condominiale, nell’ambito di un procedimento traslativo, preordinato al trasferimento della proprietà sull’immobile in un momento successivo alla venuta ad esistenza dell’edificio (arg. dall’art. 2645 bis, co. 5-6, c.c., che collega l’effetto prenotativo della trascrizione rispetto alle porzioni di edificio al momento della venuta ad esistenza dell’edificio stesso). In tale contesto normativo sia la formula utilizzata per introdurre alla disciplina di tali accordi, che dà rilievo all’operazione economica nel riferimento diretto («avente ad oggetto») al bene («porzioni di edificio da costruire o in corso di costruzione»), sia la programmata scansione dell’efficacia prenotativa della trascrizione in relazione allo stadio di avanzamento dei lavori sull’immobile edificando (art. 2645 bis, co. 5, c.c.), riflettono l’esigenza di regolamentazione di un rapporto che, essendo destinato ad evolvere nel tempo fino all’atto traslativo finale, trova un suo adeguato riconoscimento esclusivamente in una prospettiva che ne valorizzi l’aspetto procedimentale. E così come il legislatore francese, nel disciplinare la vente en état de futur achévement, ha valorizzato l’aspetto procedimentale della vicenda traslativa, modulando l’acquisto in proprietà da parte dell’acquirente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori sul bene; parimenti il legislatore della novella, ricorrendo all’istituto della trascrizione, ha esaltato la valenza procedimentale del trasferimento in proprietà con l’introdurre una sorta di prenotazione dell’acquisto dell’immobile da costruire, la cui opponibilità a terzi viene graduata nel tempo in ragione dello stato del bene: immediato è l’effetto prenotativo della trascrizione con riguardo al suolo su cui l’edificio deve costruirsi, seppur nei limiti della quota del diritto, spettante al promissario acquirente, diversamente differito, al momento cioè della venuta ad esistenza dell’edificio, il prodursi di tale effetto con riguardo alle singole unità immobiliari (porzioni materiali dell’edificio) (in senso contrario si esprime Luminoso, A., in La trascrizione del contratto preliminare. Regole e dogmi, cit., 55 ss., per il quale l’efficacia prenotativa della trascrizione è immediata in ordine all’acquisto sia della proprietà dell’unità immobiliare che della comproprietà delle parti condominiali, fra cui il suolo).

Se dunque il legislatore con la l. 28 feb. 1997/30 ha inteso acquisire al formante legislativo i modelli contrattuali che, nella prassi della contrattazione immobiliare, erano venuti delineandosi senza dettare disciplina alcuna se non sotto il profilo degli effetti della trascrizione del preliminare avente ad oggetto edifici da costruire; in prosieguo di tempo il legislatore, con un secondo intervento (d.lgs. 20.6.2005, n. 122), ha invece introdotto una disciplina ad hoc per il contratto preliminare di vendita di immobili da costruire in quanto accordo con il quale le parti contraenti si obbligano rispettivamente a trasferire il diritto di proprietà dell’immobile e all’obbligazione di pagamento del prezzo, differendo all’atto definitivo l’effetto traslativo sul bene. Con tale disciplina si può quindi asserire che il preliminare di vendita c.d. ad effetti anticipati è stato acquisito al sistema come variante del modello tradizionale di contratto preliminare (Contratto preliminare ex art. 6 del d.lgs. n. 122/2005) in cui a fronte di un obbligo di «trasferimento non immediato della proprietà» (nel correlato disposto con l’art. 2 d.lgs. n. 122/2005) si delinea un’obbligazione (attuale) di pagamento del prezzo (art. 6, lett. f, d.lgs. n. 122/2005). È questo, riteniamo, il senso da attribuire a quelle prescrizioni di forma-contenuto, dettate dall’art. 6 d.lgs. n. 122/2005, che impongono alle parti contraenti una certa definizione del regolamento contrattuale – sia relativamente all’attribuzione traslativa sia con riguardo al pagamento del prezzo – ogniqualvolta l’operazione economica, programmata attraverso la sequenza preliminare-definitivo, abbia ad oggetto un immobile da costruire.

Se le parti, nell’assumere un obbligo a contrarre, intendono già vincolarsi nell’immediato al pagamento del prezzo ed al trasferimento (differito) in proprietà del bene, il legislatore, nei soli casi in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile da costruire, richiede che in tale accordo debbano certo individuarsi le parti e l’oggetto del contratto (sub lett. a, art.. 6 d.lg. n. 122/2005), ma debbano anche determinarsi gli impegni reciprocamente assunti dalle parti con riguardo alle rispettive obbligazioni di trasferire (e costruire) il bene e di pagamento del prezzo: tant’è che con riguardo all’impegno traslativo, assunto dal promittente venditore, dovranno individuarsi gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche (stipulati per l’ottenimento di eventuali titoli abilitativi alla costruzione) oltreché del permesso di costruire o (quanto meno) della sua richiesta (sub lett. c); con riguardo all’obbligazione di pagamento, assunta dal promissario acquirente, dovranno indicarsi non solo il prezzo ed ogni altro eventuale corrispettivo ma anche i termini e le modalità per l’adempimento (se con bonifici bancari/versamenti su conti correnti bancari o postali ecc.), oltreché eventuali caparre (sub lett. f) (in dottrina, Luminoso, A., Sulla predeterminazione legale del contenuto dei contratti di acquisto di immobili da costruire, in Riv. dir. civ., 2005, II, 713 ss., 725).

Si tratta dunque di prescrizioni che, nell’essere finalizzate ad imporre alle parti contraenti un determinato contenuto per il contratto preliminare di immobili da costruire, interferiscono non solo sul piano dell’oggetto del contratto ma anche nella definizione del contenuto degli impegni (Luminoso, A., Sulla predeterminazione legale, cit., 713 ss.) vicendevolmente assunti dalle parti – nel riferimento sia all’attribuzione traslativa sia all’attribuzione pecuniaria – dando vita ad un tipo di preliminare che devia dal modello tradizionale in cui è invece il nudo contrahere a vincolare le parti contraenti.

Di ciò si ha riscontro, sul piano della tutela riconosciuta al promissario acquirente, nella previsione di una garanzia fideiussoria (per il recupero dei pagamenti fatti in conto prezzo da parte del promissario acquirente) escutibile a condizione che lo scioglimento del preliminare, facendo venire meno il rapporto di sinallagmaticità tra attribuzione traslativa e prestazione pecuniaria, converta in debito restitutorio del promittente venditore quanto dallo stesso ricevuto come corrispettivo per un trasferimento non più attuabile perché privo di causa solvendi: è infatti il venir meno dell’obbligo di trasferimento del diritto che, rendendo sine causa i pagamenti effettuati dal promissario acquirente a titolo di pagamento del prezzo, legittima il sorgere in capo al promittente venditore di un debito restitutorio sorretto da una garanzia fideiussoria escutibile da chi aveva già adempiuto l’obbligazione di pagamento del prezzo.

Dall’insieme delle prescrizioni, contenute nell’art. 6 d.lgs. n. 122/2005, nel collegamento, in esse instaurato, non tanto e non solo tra “forma” dell’accordo e tutela dell’acquirente, quanto, ritengo, tra “contenuto” dell’accordo e tutela dell’acquirente, emerge una ulteriore conferma dell’emersione di un tipo di contratto preliminare che, già conosciuto nella prassi delle contrattazione preliminare, è stato acquisito al formante legislativo per i trasferimenti immobiliari relativi ad immobili da costruire come accordo nel quale il promittente venditore si obbliga a trasferire l’immobile (edificando) nel rispetto dei requisiti di regolarità giuridica del bene ed il promissario acquirente si obbliga ad effettuare il pagamento del prezzo nella determinazione dell’importo (ai fini della individuazione dell’oggetto), delle modalità e dei termini in esso previsti. Operazioni immobiliari per le quali lo stato del bene (“immobile da costruire”) orienta verso una procedimentalizzazione della vicenda traslativa che, scandita da atti esecutivi (di pagamento del prezzo e di consegna del bene), evolve nella progressione dal preliminare al definitivo in modo tale da introdurre, prima dell’atto definitivo di trasferimento, la possibilità di un controllo, non solo delle sopravvenienze giuridicamente rilevanti, ma anche della regolarità degli adempimenti e della conformità del bene al modello legale e a quello convenzionalmente pattuito. Si sa che il legislatore, pur riferendosi nel contesto del d.lgs. n. 122/2005 a diversi schemi contrattuali in grado di disporre i trasferimenti di immobili da costruire, ha sostanzialmente inteso disciplinare come strumento contrattuale d’elezione la sequenza preliminare-definitivo: e non è casuale che in tale contesto normativo il c.d. “atto definitivo” venga sovente equiparato ad un “atto di trasferimento” più che ad una “vendita” (cfr. il testo originario dell’art. 3, co. 7, come risultante dalla Relazione illustrativa che accompagna il decreto e l’art. 10, nel riferimento agli «atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà»).

Il regime degli acquisti mediante preliminare delle case di abitazione

Il legislatore prosegue ancora nell’attenzione riservata alla sequenza preliminare-definitivo dedicando apposite norme di tutela per le fattispecie in cui il promissario acquirente abbia espresso l’intenzione di acquistare una casa d’abitazione per soddisfare esigenze abitative per sé o per parenti e affini entro un certo grado: disposizioni che si trovano sia nell’ambito del provvedimento già analizzato (d.lgs. n. 122/2005), sia, ancora, in documenti successivi (d.lgs. 12.9.2007, n. 169) di modifica e/o integrazione della legge fallimentare (approvata con d.lgs. 9.1.2006, n. 5), e che si collocano in continuità con il trend che a livello legislativo ha preso il via con la riforma del VI libro del codice civile. Norme in parte sovrapponibili in quanto disciplinanti fattispecie analoghe ma non identiche che creano indubbie sovrapposizioni e intersecazioni tra ambiti operativi solo parzialmente diversi (v. l’art. 10 d.lgs. n. 122/2005, che disciplina l’esenzione dall’azione revocatoria degli atti a titolo oneroso relativi ad immobili da costruire e l’art. 67 l. fall., che disciplina una medesima esenzione, ma con riguardo alle vendite e ai preliminari di vendita di case d’abitazione già costruite). Norme ancora che sono dirette a proteggere la sicurezza dell’acquisto della casa d’abitazione (v. ancora l’art. 9 d.lgs. n. 122/2005) in ragione della rilevanza costituzionale del diritto all’abitazione e che perseguono tale obiettivo tutelando l’interesse all’acquisto del bene tramite l’operazione contrattuale che lo incorpora.

Le norme, dunque, che mirano a garantire la sicurezza dell’acquisto di una casa di abitazione, hanno in comune il fatto di presupporre tutte una “situazione di crisi” del promittente venditore pur differenziandosi per una differente estensione dei rispettivi ambiti di operatività: alcune (artt. 9 e 10 d.lgs. 122/2005) si riferiscono ai soli acquisti di case d’abitazione da costruire, altre (art. 67, lett. c, l. fall.) agli acquisti di case di abitazione già costruite, altre ancora (art. 72, ult. co., l. fall.) ad entrambe le fattispecie (case d’abitazione da costruire o già costruite).

Con tali norme si viene a delineare un regime speciale per gli acquisti, effettuati tramite preliminare, aventi ad oggetto case destinate a soddisfare esigenze abitative di chi è acquirente in preliminare o parente/affine (entro un certo grado); un regime speciale in base al quale il promissario acquirente può fruire: i) di un diritto di prelazione da esercitare in sede di espropriazione forzata onde poter (ri)acquistare la casa già adibita ad abitazione principale per sé o per un parente entro il primo grado; ii) di una “esenzione” dall’azione revocatoria fallimentare dei preliminari di acquisto purché trascritti e conclusi a giusto prezzo; iii) di una “deroga” (ex art. 72, ult. co., l. fall., introdotto con il d.lgs. n. 169/2007) alla regola generale della sospensione automatica (ex art. 72, co. 1, l. fall.) dei contratti sinallagmatici (ineseguiti totalmente o parzialmente da entrambe le parti).

Fonti normative

Art. 1351, 2645 bis, 2775 bis, 2825 bis, 2932 c.c; 67, 72; 72 bis l. fall.

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