CONTRAPPUNTO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

CONTRAPPUNTO (XI, p. 248)

Antonio FERDINANDI

Nell'ultimo ventennio la pratica artistica ha confermato la storica legittimità del movimento che, precorso sotto il segno bachiano da alcuni maestri del primo Novecento (quali M. Reger e F. Busoni), variamente poi esemplato in singole opere di compositori delle generazioni intorno al 1880 (quali A. Casella, I. Stravinskij e altri) e da teorici (da E. Kurth in primo luogo) variamente illustrato, già vivente, infine, negli esordî di P. Hindemith e coetanei, dai supremi sviluppi d'un'armonia giunta ormai a involuzione traeva impulsi e risorse per un richiamo al culto del contrappunto: d'un contrappunto alle cui varie voci le nuove condizioni armonistiche consentivano maggiore autonomia e pertanto più coerente linea di svolgimento melodico.

Tanto più valida si mostra codesta conferma quanto più largamente, con il maturarsi dell'età nei maestri già da tempo attivi e con la già naturale inclinazione dei più giovani, la pratica è venuta a superare le iniziali sue sforzature d'indole polemica e le pur polemiche corrività ad atteggiamenti quali per es. gli "oggettivistici" o gli "astrattistici" (celebranti nella musica un cosiddetto "puro gioco di suoni"), riavviandosi a più serena valutazione e assunzione degli ordini stilistici.

Nel quale nuovo quadro non è, in verità, apparsa fallace alcuna delle aspirazioni che al contrappunto avevan ricondotto. Più che mai, anzi, si mostra attiva la contrappuntistica virtù nell'irrobustirsi delle strutture, nel natural germinare di ritmici moti, nel concreto determinarsi d'una legittima, necessaria pluralità di timbri strumentali (tanto da potersi parlare d'un "contrappunto di timbri"). Giacché a tali sviluppi conduce, di fatto, proprio quel che del contrappunto costituisce l'intima ragione, l'istanza, cioè, di melodica individualità in ciascuna delle voci in concerto (istanza oggi così sentita che ad essa si adegua, moderandosi, il numero delle voci stesse); e quel che di esso contrappunto determina il procedimento tecnico (ossia il suo prodursi su melodia prestabilita, o su di un "ostinato", o in canone, in fugato, ecc.) e il piano architettonico, che appropriatamente si delinea spesso nel quadro delle forme contrappuntistiche per tradizione o per odierna attitudine, quali la Fuga e i varî Canoni, la Ciaccona e la Passacaglia, la Partita, la Suite e - nelle accezioni propriamente polifoniche - la Sonata, la Sinfonia, il Concerto.

La vasta diffusione della tecnica contrappuntistica (oltre ai musicisti già citati e quelli delle generazioni più recenti quali T. Harsányi I. Markevič, G. Petrassi, V. Mortari, L. Dallapiccola, N. Rota, sono da aggiungere i musicisti che, aderenti all'inizio della loro carriera artistica alle forme armonistiche, si sono poi rivolti alle forme contrappuntistiche, quali per esempio B. Bartók e G.F. Ghedini) produce una grande varietà di forma di scrittura, a seconda dei rapporti istituibili fra i diversi e variabili elementi e fattori concorrenti alla scrittura stessa. Importanti senza dubbio i fattori ambientali oltre che i personali, ma allo scopo di una definizione degli aspetti tecnici del contrappunto può valere meglio la classificazione sotto il segno della tonalità, in quanto termine di necessaria assunzione di tutto ciò che si muove fonicamente in un determinato senso orizzontale e verticale.

Si tratta, naturalmente, di schemi, tra i quali sono possibili passaggi e combinazioni intermedie, mentre si può riconoscere, a guisa di premessa, con D. Milhaud, la fondamentale natura diatonica o cromatica delle forme dalle quali gli stessi schemi si determinano. Tali forme, localizzate al principio, sempre secondo il Milhaud, in determinati ambienti (Europa meridionale-occidentale per il diatonismo, medio-centrale per il cromaticismo), non senza eccezioni già all'inizio, si sono diffuse ormai senza distinzioni di confini.

Forme di scrittura tonale. - In queste forme il contrappunto ubbidisce assolutamente alle funzioni armoniche determinantisi dalla logica armonico-tonale. L'indipendenza delle singole linee è puramente ritmica o anche modale, ma senza che tale modalità si sottragga al predominio della tonalità principale. L'imitazione è quivi il procedimento preferito, come quello che permette lo svolgersi di un gioco dialettico tra le varie voci del complesso polifonico entro una logica determinata. Usate principalmente nella scuola, dove conservano alta validità in funzione pedagogica per la comprensione dell'arte del passato, tali forme possono comunque rispondere, talvolta, anche ad esigenze d'ordine artistico.

Forme di scrittura polimodale. - Si determinano con l'aumento dell'importanza melodica di ogni parte (spesso derivata dagli antichi modi greci o gregoriani e dal canto popolare) e della libertà dalla sintassi propria del sistema Maggiore-Minore, pur senza che entrino suoni estranei alla determinata cerchia tonale. Si tratta quindi di un facile ampliamento o sviluppo delle forme precedenti nel quale viene mantenuta una certa parentela (che si può accentuare più o meno nei varî momenti cadenzali) tra i suoni del complesso polifonico. L'apparizione, frequente, di dissonanze non dà, in genere, effetti di asprezza.

Tali forme, già frutto di reazione al cromaticismo melodico ed armonico di marca wagneriana o straussiana, concretano l'aspirazione, sempre attuale, ad una semplicità che possa profittare delle conquiste della tecnica e della sensibilità moderna; e assai spesso infatti interferiscono, sia pure a tratti, nella pratica di moltissimi musicisti (quali A. Roussel, F. Poulenc, A. Casella, I. Pizzetti e G. F. Malipiero), talché si può affermare che questa semplicità costituisca (quando si sia tenuto conto, per un verso, della diversa natura dei temperamenti e, per l'altro, della comunanza della principale fonte ispiratrice, ossia del canto gregoriano) la caratteristica più saliente del loro linguaggio.

Forme di scrittura politonale. - Qui le linee si muovono ciascuna in una propria cerchia tonale ben definita. Si tratta quindi della coesistenza di due o più toni, a seconda del numero delle voci partecipanti alla polifonia (o anche, nella formula di A. Casella, di "modulazione nella simultaneità"). Anticipazioni più o meno decise s'incontrano anche nell'arte passata e si può dire a rigore che si verifichi bitonalità già nella realizzazione di un canone alla quinta o alla quarta.

È facile che al senso di squilibrio destato dalla politonia del concerto valga, quale efficace contrappeso, la massima diatonicità delle singole melodie ed anzi, secondo D. Milhaud (ancor oggi forse il più sistematico politonalista) proprio nella semplicità, chiarezza, essenzialità della melodia si trovano le condizioni più propizie all'affermarsi della vitalità di questa pratica; tra l'altro, anche per l'offerta possibilità di rendere accettabili e comunque più giustificate le crude dissonanze che spesso risultano dal sovrapporsi e scontrarsi delle voci. Dopo il periodo di maggior fortuna, iniziatosi con opere quali il Sacre du Printemps di I. Stravinskij e Nove pezzi op. 24 di A. Casella, il volger dei tempi ha fatto sì che gli stessi esponenti della politonalità, dai già nominati ad A. Honegger, a P. Hindemith, a E. Toch, come anche i più giovani, sian venuti a trattare queste forme con minore sistematicità, fondendole (non senza il conseguimento di una maggiore scorrevolezza di linguaggio) con le altre.

Sempre nel campo della politonalità si suol parlare anche di "contrappunto di armonie", intendendo con ciò il coesistere e il muoversi non più di semplici linee melodiche, bensì di piani armonici, ciascuno chiuso in una sua cerchia tonale.

Tali forme, per quanto non interamente scomparse, appartengono in proprio al periodo precedente l'attuale.

Forme di scrittura atonale. - Di queste, premessa la relatività del significato negativo del termine (in quanto non vi è musica da cui non risulti una concezione tonale) si ha un aspetto generico, sotto il quale si possono raggruppare tutte le forme sfuggenti all'esatto inquadramento nella polimodalità e politonalità, impostate principalmente sulla scala cromatica: forme, codeste, praticate più che altro episodicamente e sfocianti spesso, dopo avventurose scorribande, in una più calma corrente tonale, e perciò rintracciabili in moltissimi musicisti. Frequenti esemplificazioni si trovano in B. Bartók, A. Honegger, E. Krĕnek, I. Markevič.

L'altro aspetto, più sistematico, di atonalità (accompagnato anche dalle formulazioni tecniche dello stesso iniziatore A. Schönberg e di altri) è quello che vien definito appunto dall'impiego, particolare ed assoluto, dei dodici suoni cromatici, quale dodecafonia (v. in questa App.). L'esclusione tecnica e pratica di tutti i riferimenti di carattere tonale del linguaggio tradizionale, ha condotto lo Schönberg fin dal primo lavoro dichiaratamente dodecafonico (Quintetto per fiati, op. 26,1924), ad appoggiarsi non solo agli elementi costruttivi di natura contrappuntistica, come canoni ed imitazioni in tutte le forme, ma a fare di essi, data la loro essenziale vitalità costruttiva melodica, l'unico principio generatore formale.

Il fatto che l'esperienza dodecafonica non si possa considerare, nonché chiusa, neppure in via di chiudere il suo ciclo vitale (ed anzi per taluni è appena incominciata la sua feconda azione), mantiene inalterata l'importanza già notata di valore formale del contrappunto. Negli altri campi della tecnica invece, alla esclusiva esaltazione precedente, torna di nuovo ad opporsi una certa rivalutazione del fatto armonico. E cioè, di fronte ad una concezione polifonica nella quale le linee melodiche liberamente svolgentisi vengono ad essere l'unica ragione del risultato armonico (qui naturalmente non si parla delle scritture tonali), si comincia a contrapporre di nuovo il valore e l'efficienza di una certa determinazione armonica.

Elementi di coscienza di questa nuova esigenza si ritrovano nella abbastanza recente trattazione teorica del Hindemith (Unterweisung im Tonsatz, Magonza 1937, riesposta poi in inglese con titolo The Craft of Musical Composition), oltre che nelle sue ultime musiche. Nella teoria, la creazione musicale risulterebbe effettivamente della "composizione" di due forme di energia: quella lineare (melodico-contrappuntistica) avente la sua massima intensità nel movimento per intervalli di seconda, e quella armonica, risultante dalle varie tensioni pur creantisi con il sovrapporsi dei suoni.

Forme di scrittura paratonale. - si possonoo definire così quelle forme che, pur risultando inscritte in una cerchia tonale riconducibile in ultima analisi alla tonalità tradizionale, si esplicano in linee melodiche muoventisi con più o meno accentuata libertà nei riguardi della logica armonico-tonale della tradizione. E cioè la visione verticale, secondo gli usuali riferimenti metrici, trova combinazioni armoniche da quella logica più o meno indipendenti. Combinazioni che perciò appaiono derivare sia da una specie di voluto sfasamento dei rapporti tradizionali tra le diverse linee, sia dall'inserzione, sulla base fondamentale di tali rapporti, di suoni estranei a questi (appoggiature in ispecie), donde la frequenza delle dissonanze; con effetti, anche qui, non necessariamente aspri. Non è difficile che, in rapporto con l'osservata indipendenza dai rapporti armonici tradizionali, vengano a porsi in risalto o si facciano entrare in gioco, in forme più evidenti, i diversi valori modali pur sempre determinabili entro qualsiasi cerchia tonale: valori da ricondursi storicamente ai sistemi greci, ai gregoriani, alle primitive forme popolari autentiche o concepite dal compositore per analogia.

Cosicché, se non per tutte, almeno per molte di tali forme di scrittura, anche se non sempre chiaramente determinate nella molteplicità e nella chiara specificazione delle singole linee, potrebbe forse convenire la denominazione di forme "polimodali"; che s'accorderebbe, del resto, con i criterî che alcuni rigorosi e conseguenti teorici già applicavano a siffatte pratiche nell'epoca antecedente alla decisa affermazione della concezione armonico-tonale.

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