Consumatore

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Consumatore

Guido Alpa

I diritti dei consumatori nella Carta dei diritti dell'Unione Europea e nella Costituzione europea

La dimensione costituzionale dei diritti dei c. ha ottenuto la sua definitiva consacrazione con l'approvazione della Carta di Nizza, nel dicembre 2000, e con l'approvazione della Costituzione europea (v.), nell'ottobre del 2004, subordinata, quest'ultima, alla ratifica dei venticinque Paesi membri. Tuttavia, la Carta di Nizza, ora inglobata nel testo della Costituzione, è utilizzata non più solo come documento politico, ma anche come documento giuridico, e su essa si incentrano ormai molte decisioni nazionali e della stessa Corte di giustizia.

Già tra gli obiettivi dell'Unione Europea (UE) si pone quale valore di base la dignità umana (art. i-2) e si precisa che lo sviluppo sostenibile dell'Europa è basato su una "crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su una economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale" (art. i-3). Viene riconosciuto e garantito il diritto della persona all'integrità fisica e psichica (art. ii-63), ribadito sotto forma di protezione della salute (art. ii-95) nonché il rispetto della vita familiare (art. ii-67) e dei dati a carattere personale (art. ii-68) e si enuncia quindi specificamente per i c. la garanzia di "un elevato livello di protezione" (art. ii-98).

Appare subito chiaro che un conto sono i diritti dei c. che attengono ai diritti fondamentali, riconosciuti nelle costituzioni dei Paesi membri e ribaditi, in forma più estesa, nella Costituzione europea, un conto sono i "diritti economici", collocati sullo stesso piano dei diritti che fanno capo al professionista. Già la Risoluzione dei diritti e gli interessi dei consumatori del 1975 trattava di entrambe le categorie di diritti, ma agli inizi del 21° sec. la prospettiva è cambiata. Occorre infatti considerare che anche nel diritto comunitario (che pure costituisce un ordinamento a sé stante, non assimilabile a quelli nazionali) si possono ormai utilizzare le categorie formali che distinguono le fonti del diritto e le ordinano secondo una priorità, come accade per gli ordinamenti nazionali. In questo senso i diritti fondamentali sono anteposti ai diritti di natura economica.

Poiché non è concepibile che le politiche della UE possano porsi in contrasto con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione europea, essi diventano un limite all'azione comunitaria nel settore. Pertanto l'art. 153 (ex 129) del Trattato di Amsterdam (1997) - che impone alla Comunità europea il compito di "contribuire" a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei c. e di tener conto delle loro esigenze - deve essere riletto alla luce delle disposizioni della Costituzione europea. L'incorporazione della Carta di Nizza, che prevede tali diritti, nel testo della Costituzione implica il riconoscimento della sua valenza giuridica e non soltanto politica: pertanto comporta l'applicabilità diretta di queste disposizioni ai rapporti tra privati. L'elevazione dei diritti della persona - intesa come c. - al rango costituzionale europeo ha dunque una duplice valenza: vincola gli organi comunitari e gli Stati membri, ma vincola anche i giudici nazionali. In tal modo, la Drittwirkung dei principi riconosciuti e garantiti può avvenire in modo indiretto - oppure di riflesso - nei rapporti tra privati.

Nella graduatoria dei diritti e degli interessi si conferma la distinzione tra diritti, che attengono alla persona e interessi economici, che attengono al consumatore. Tuttavia, nello svolgimento della loro attività i professionisti non possono violare i diritti fondamentali. Il principio è ribadito dall'art. ii-114 della Costituzione, che fa divieto di esercitare una attività o compiere atti che mirino a distruggere diritti e libertà da essa riconosciuti. Più complessa è l'individuazione dei rimedi posti a favore del consumatore. L'acquis communautaire è carente da questo punto di vista, e in ogni ordinamento nazionale i rimedi sono disciplinati in modo diverso. Occorrerà, dunque, distinguere i rimedi esperibili in ambito comunitario e quelli esperibili nella sfera nazionale, sulla base delle disposizioni della Costituzione. È su questa linea che si debbono impegnare gli organismi di protezione dei c., ma anche gli enti esponenziali delle professioni forensi che hanno a cuore la difesa dei diritti della persona.

Gli obiettivi della politica comunitaria dei consumatori

La storia, se così si può dire, del diritto dei c. in Italia si intreccia con la storia del diritto dei c. in ambito comunitario e con l'evolvere del diritto costituzionale e della situazione politica, economica e sociale del Paese. I piani di sviluppo elaborati dalla Commissione europea costituiscono dunque la linea secondo la quale dovrebbe evolvere anche il diritto dei c. nelle esperienze nazionali. Non si può dire che il modello italiano in questo settore sia mai stato leading (non a caso il discorso ha preso l'avvio proprio dalla inadeguatezza dell'ordinamento interno rispetto a quelli assai più evoluti di altri Paesi) e che esso sia all'avanguardia. Tuttavia l'esperienza delle associazioni e del CNCU (Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti) può essere indicata anche in ambito europeo come una pagina davvero significativa.

Se si dovessero considerare i contenuti del Codice del consumo alla luce delle politiche strategiche della Commissione espresse nel piano di azione per gli anni 2002-2006 (Comunicazione 2002/208, definizione del 7 maggio 2002) si può affermare che la posizione italiana sia perfettamente in linea con quelle della Commissione. Nella sopra citata Comunicazione, infatti, si sottolinea la necessità di "dotare i consumatori degli strumenti per tutelare i propri interessi mediante la formulazione di scelte autonome e informate", l'esigenza di porre i c. in grado di promuovere la loro tutela attraverso una maggiore consapevolezza dei loro diritti, l'esigenza di rappresentare i pericoli degli acquisti on-line, ma anche l'opportunità di fare acquisti transfrontalieri. Restano fuori dalla considerazione del Codice i servizi di interesse generale e quelli finanziari.

I codici di settore e il Codice del consumo

La grande novità che la nostra esperienza registra è data dall'approvazione di un codice di settore destinato al consumo. Il Codice del consumo costituisce una delle innovazioni più significative dell'attività parlamentare e di governo della legislatura conclusasi agli inizi del 2006. Predisposto secondo le regole e al fine di perseguire gli scopi stabiliti dalla l. 29 luglio 2003, nr. 229, questo corpus di regole sostituisce le raccolte che, a livello dottrinale, si erano promosse con la finalità di riunire in un unico testo le norme concernenti i consumatori. La sua denominazione riflette una concezione oggettiva della materia regolata, che si contraddistingue per il fatto che le disposizioni organicamente inserite in questo contenitore si riferiscono a un atto economico, per l'appunto il consumo, intorno al quale si intrecciano i rapporti giuridici instaurati dagli individui, in qualità di c. e imprenditori, o dalle loro rispettive associazioni. Anche se formulata in modo oggettivo, come è accaduto per l'omologo codice dell'esperienza francese o i progetti non portati a compimento dell'esperienza belga, questa compilazione si presenta come una sorta di 'manifesto' dei diritti dei c., perché qui sono raccolte tutte, o quasi, le regole che istituiscono i diritti in capo al c. e i rimedi consentiti dall'ordinamento per farli valere.

Diritti e rimedi. - Il Codice è organizzato secondo la tecnica normativa propria delle esperienze continentali, che dapprima istituiscono il diritto e in seguito la tecnica per tutelarlo, cioè il rimedio, a differenza di quanto accade in common law, ove si pensa, si ragiona e si opera sulla base dei rimedi. Al di là delle novità che il testo presenta, è importante sottolineare che sono rare le esperienze in ambito comunitario giunte a questo stadio. Nella gran parte dei casi, la disciplina riguardante i diritti dei c. è affidata a leggi speciali, non coordinate tra loro, oppure è inserita nei codici civili, almeno per quanto riguarda le regole afferenti a materie di quell'ambito. Un'esperienza recente, in tal senso, è data dalla riforma del Buch 2 delle obbligazioni del codice civile tedesco, il Bürgerliches Gesetzbuch (BGB), in cui alle vecchie disposizioni si sono sostituite quelle provenienti dal diritto comunitario per i singoli argomenti riguardanti i c., in larga parte concentrati nella disciplina dei contratti.

Il Codice del consumo costituisce dunque l'ultimo tassello di una lenta e difficile costruzione del diritto dei c. nel nostro Paese. I molteplici problemi incontrati dalla Commissione sono stati risolti tenendo conto dei limiti della delega conferita al Governo per la realizzazione di quest'opera di codificazione. Alcune riserve o appunti rivolti al testo, da parte del Consiglio di Stato, avrebbero potuto essere evitati se il testo a esso sottoposto fosse stato più fedele a quello predisposto dal gruppo di lavoro. In particolare due sono stati i problemi esaminati approfonditamente dal gruppo di lavoro. Il primo ha riguardato il collegamento/coordinamento tra il testo del codice di settore e il testo del Codice civile. Al riguardo il Consiglio di Stato ha espresso l'opzione per lo stralcio delle disposizioni in materia di clausole vessatorie (artt. 1469 bis e segg.) e per la loro inclusione nel codice di settore. Dal punto di vista sistematico, l'opzione espressa dal Consiglio di Stato ha il pregio di consentire all'interprete di ritrovare, nel codice di settore, l'intera materia normativa riguardante i rapporti dei c. con i professionisti. Contro tale opzione - contemplata dal gruppo di lavoro - si erano considerate due obiezioni: la prima riguardava i limiti della delega, nel senso che lo "scorporo" avrebbe interamente travolto una sezione del Codice civile, giusta o sbagliata che fosse stata a suo tempo la volontà legislativa di novellare il codice con la disciplina contrattuale di derivazione comunitaria. La seconda, più pregnante, è stata quella che sottolineava come - fossero pure quelle disposizioni destinate a tutelare diritti e interessi dei c. - l'interprete, vedendole collocate nel Codice civile, avrebbe potuto (come è avvenuto in altre esperienze) darne un'interpretazione estensiva, comprendendovi anche rapporti contrattuali conclusi tra il professionista e i soggetti che, per la loro posizione, si possano assimilare ai c., come i piccoli imprenditori, i professionisti che effettuato l'acquisto del bene o del servizio per scopi misti, gli enti non-profit. Se invece quelle regole fossero state collocate in un codice di settore, sarebbero prevalse le regole dell'interpretazione della legge che impediscono di generalizzare disposizioni aventi natura speciale.

Il secondo problema, acutamente segnalato dal Consiglio di Stato e ripreso solo marginalmente nella discussione alla Camera, ha riguardato la correzione dell'espressione "malgrado la buona fede" di cui all'art. 1469 bis del Codice civile. Tutto il gruppo di lavoro condivideva la proposta di correggere il testo inserendovi la sua esatta versione, che significa "in contrasto con la buona fede". A tale riguardo l'obiezione formale che si poteva considerare apprezzabile in ordine alla ristrettezza della delega non avrebbe avuto legittimazione, perché proprio la nuova disciplina in merito alla redazione dei codici di settore autorizza il Governo ad adeguare la disciplina vigente alle disposizioni del diritto comunitario. L'obiezione è prevalsa perché i confini della delega sono stati interpretati nel senso che il gruppo di lavoro, e quindi il Governo, non avrebbe potuto modificare tout-court le disposizioni del Codice civile.

Gran parte della discussione ha riguardato le regole processuali per la difesa in giudizio dei diritti dei consumatori. Erano state proposte alcune semplificazioni e alcune precisazioni in ordine soprattutto alla estensione della res iudicata e alla tutela degli interessi collettivi. Anche queste regole sono state cassate. Il problema è però rimasto aperto, lasciando pendenti in Parlamento diverse proposte di legge concernenti le class actions. È un tema complesso e delicato all'esame del Consiglio nazionale forense coadiuvato da un gruppo di esperti, in modo da poter rendere un parere al riguardo, nel momento in cui il Parlamento dovesse discutere i testi citati.

Diritto dei consumatori, diritti della persona e tutela del mercato

Gli interrogativi sulle ragioni che sorreggono la politica e gli interventi comunitari rivolti alla tutela dei c., come la legislazione e la giurisprudenza degli Stati membri dell'UE si sono rinnovati nel momento in cui le definizioni legislative di c. hanno fatto ingresso nei codici civili. In particolare, H. Micklitz (2004) ha sottolineato come nelle definizioni comunitarie si insista sullo scopo per il quale la persona fisica agisce, ovvero se all'interno o all'esterno della sua attività economica. Ha però anche posto in evidenza due diverse linee (o concezioni) dell'intervento: l'una presuppone che il c. sia "soggetto debole" - in sé e per sé - rispetto alla sua controparte, il "professionista"; l'altra lo considera come "parte svantaggiata" che deve ricevere una compiuta e trasparente informazione per poter effettuare le sue scelte nell'ambito dell'autonomia privata. Sicché la prima linea assume valori e compiti di natura sociale, l'altra rimane entro i confini della libertà negoziale, per sua natura individualista.

Se si ha riguardo alle fonti del diritto dei c. ci si avvede che esse in parte coincidono con le fonti del diritto della persona e in generale del diritto civile e del diritto commerciale, in parte divergono: ciò significa che il diritto dei c. costituisce non tanto una disciplina autonoma, scientificamente, e un settore autonomo, normativamente, rispetto alle altre regole del diritto civile (incluse quelle del diritto commerciale) e all'"ordinamento civile", quanto piuttosto ne costituisce una sottospecificazione. In altri termini, il diritto dei c. appartiene all'area tematica, scientifica e normativa del diritto comune, pur presentando rispetto a essa una serie di deroghe, regole speciali, fattispecie normate che se ne differenziano. Alla domanda dunque se la disciplina dei contratti dei c. rientri o meno nell'ambito della materia generale della disciplina dei contratti la risposta è certamente positiva, anche se quello non è l'unico settore di riferimento. Occorre infatti considerare il coté pubblicistico del diritto dei c., che è incentrato sui servizi, ma anche sulla disciplina dei prezzi, sull'intervento delle autorità amministrative indipendenti, sulla disciplina del commercio e così via.

Il dibattito attuale sul diritto dei consumatori

Legato al diritto comunitario, il nostro diritto dei consumi è dunque esposto a scelte 'eterodirette'. Il Codice del consumo ne registrerà gli sviluppi, dal momento che esso può considerarsi anche come un contenitore nel quale si possono collocare tutte le nuove regole in materia di rapporti tra c. e imprenditori. Esso è inoltre esposto alle valutazioni critiche e alle proposte migliorative che provengono da vari centri di studio diffusi in Europa e da alcuni esperti autorevoli che hanno incentrato la loro attenzione su quest'area.

Alcuni tra i maggiori studiosi del diritto dei c. hanno sollevato questioni fondamentali che investono l'intera disciplina comunitaria e la sua applicazione nel diritto interno dei Paesi membri. Il dibattito così introdotto si svolge su un piano generale, perché, ovviamente, la situazione all'interno dei singoli ordinamenti è varia. Varietà, questa, dovuta ai diversi modelli adottati in momenti anteriori alla produzione comunitaria: ve ne sono alcuni che hanno adottato un quadro generale di regole che riconoscono diritti a tutti i c., e altri che tutelano non solo il c. ma, più estesamente, la parte debole; quelli che recano norme speciali in singoli settori; altri ancora che hanno addirittura costituito la falsariga dell'azione comunitaria che a essi si è generosamente ispirata. Tuttavia vi sono anche modelli, come quello italiano, che ignoravano il c., presente soltanto in una letteratura vastissima che però non aveva avuto alcuna presa sul legislatore nazionale. Ciascuno di questi meriterebbe un'analisi accurata, che tenesse conto non solo della componente legislativa, ma anche degli orientamenti della case law, dell'operato degli organismi amministrativi, delle iniziative delle organizzazioni di categoria, dei sistemi di self-control con codes of conduct. Tenendo conto di questa varietà e del complesso della normativa comunitaria che compone l'acquis in materia di protezione dei c., si possono tuttavia sviluppare alcune considerazioni di prospettiva, muovendo dalle questioni di base da riconsiderare criticamente.

In un saggio, pubblicato nel 2003, EC consumer law: has it come of age?, G. Howells e Th. Wilhelmsson hanno individuato quattro direttrici secondo le quali si sta evolvendo il diritto dei c. in ambito comunitario secondo le linee d'azione della Commissione europea: l'uso del paradigma incentrato sulla informazione del c., al fine di ridurre le asimmetrie di posizione esistenti tra professionisti e clienti; l'affidamento della disciplina a clausole generali; l'agevolazione di sistemi di autocontrollo; l'approvazione di direttive che promuovono l'armonizzazione della disciplina al livello più elevato. Questo modo di procedere della Commissione potrebbe comportare, secondo gli autori, discrasie ed effetti negativi. Finirebbe infatti per mortificare l'evoluzione dei diritti nazionali, a beneficio di uno sviluppo più appagante per i c. dei singoli Stati membri, vanificherebbe il rapporto dialettico e proficuo tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario; nello stesso tempo; l'armonizzazione portata a livello massimo, anziché a livello minimo, condurrebbe alla determinazione di limiti allo sviluppo degli ordinamenti nazionali che avrebbero quale risultato il contenimento della protezione dei c., anziché il suo innalzamento.

Una politica "massimalista" - secondo gli autori - dovrebbe essere condivisa a livello nazionale, e comunque dovrebbe richiedere un'approfondita valutazione critica. In altri termini, le linee di questa politica comunitaria si affidano ai meccanismi interni al mercato, mentre un'accurata protezione dei diritti e degli interessi dei c. potrebbe richiedere un intervento più incisivo da parte dell'Unione Europea. D'altra parte, la creazione di regole riguardanti l'intera categoria dei c., senza distinguere al suo interno i c. più deboli rispetto a quelli medi conseguirebbe il risultato di appiattire gli obiettivi da raggiungere. In conclusione, il diritto comunitario dei c. viene a privarsi dell'apporto delle novità introdotte dai sistemi nazionali, e a operare come un disincentivo per il loro sviluppo.

Anche Micklitz ha espresso preoccupazioni sull'evoluzione del diritto comunitario in questo settore. Egli muove dalla constatazione che i cinque diritti fondamentali dei c. - la salute e la sicurezza, la protezione degli interessi economici, il risarcimento del danno, l'educazione e l'informazione, la rappresentanza, così come identificati nella Risoluzione del 1975 - sono divenuti una realtà. Alcuni di essi hanno raggiunto il rango costituzionale, come la salute. Anche il diritto contrattuale europeo ha ormai attinto un livello ragguardevole. Ma quali sono stati gli effetti del diritto comunitario dei c. sui diritti nazionali?

Micklitz innanzitutto sottolinea come il diritto dei c. sia l'espressione più significativa del primato del diritto comunitario su quello interno. Ogni sistema però ha reagito secondo le proprie caratteristiche: allora si pone il problema se il diritto comunitario possa soppiantare le tradizioni nazionali. Il diritto dei c. - osserva Micklitz - è un diritto in movimento: nella prima fase, durata fino all'introduzione dell'Atto unico, era fondato sull'idea di Stato sociale; nella seconda fase, che si è estesa fino all'inizio degli anni Novanta, il diritto dei c. è stato inglobato nel diritto del mercato interno, che ha inaugurato il principio del consumatore responsabile. La terza fase vede la trasformazione del diritto dei c. nel diritto dei cittadini: il consumatore-cittadino riflette la concezione di una persona che è 'europea' in senso politico, sociale e culturale.

Rispetto a queste spinte progressive, il diritto dei c. si è trasformato da sistema aperto in sistema chiuso: le direttive più recenti, dettagliate e precise, sono rivolte all'armonizzazione massima, e la stessa Corte di giustizia, nelle sue decisioni, ha limitato la possibilità dei legislatori nazionali di andare al di là del livello di protezione posto dalle direttive: l'omogeneità prevale sulla creatività. Di più. Appare evidente, nelle diverse direttive, la reattività della Comunità ai gruppi di interesse che frenano l'evoluzione del diritto dei consumatori. Inoltre il coordinamento di questo settore con quello del diritto della concorrenza (si pensi agli accordi anticoncorrenziali e alle pratiche sleali) è divenuto tecnicamente complesso. La protezione dei c. è vista, nella prospettiva dello sviluppo della concorrenza, come un obiettivo da raggiungere, ma ne diviene anche lo schermo.

Molte sono ancora le lacune del diritto dei c., come per es., il difetto di una direttiva sulla responsabilità dei produttori di servizi. Allo stesso tempo, non esiste un coordinamento a livello comunitario degli orientamenti dei giudici nazionali. Micklitz ritiene che l'inclusione del diritto dei c. nell'area del diritto del mercato interno finisca per deprimere lo sviluppo di tale settore dell'ordinamento, perché le iniziative nazionali che fuoriescono dai limiti delle direttive non possono essere considerate compatibili con l'omogeneità della disciplina postulata dal mercato interno. Inoltre questa situazione pone in evidenza una questione politica di carattere fondamentale: ovvero se la politica normativa in materia di consumi costituisca una tessera della politica comunitaria condivisa (quasi si trattasse di uno Stato federale) con i legislatori nazionali, oppure sia oggetto di competenza esclusiva della Commissione europea. È la seconda alternativa a prevalere; e allora spetta ai giudici nazionali - che applicano le direttive in modo peraltro difforme - recuperare la dimensione sociale del diritto dei consumatori. Soprattutto però - osserva Micklitz - il diritto dei c. è rimasto ancora un diritto economico, mentre le politiche dei c. hanno, o dovrebbero avere, una intonazione di natura sociale.

L'influenza del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali ha fatto sì che la Comunità introducesse regole concernenti il diritto contrattuale per segmenti: si pensi all'informazione precontrattuale, al diritto di recesso, alla trasparenza del contratto, alle clausole abusive. Ma - si chiede Micklitz - per tutelare i c. è sufficiente concentrare l'attenzione sul diritto contrattuale? Tale diritto, nella concezione della Commissione e della stessa Corte di giustizia, è divenuto un segmento del diritto della concorrenza, e quindi tende a proteggere gli interessi economici delle imprese piuttosto che gli interessi delle loro controparti. Vi sono poi le differenze dei sistemi nazionali nella fase dell'attuazione delle direttive. Secondo Micklitz, i sistemi non codificati hanno il vantaggio di introdurre regole più precise, con una tecnica pragmatica puntuale. Nei sistemi romanisti si registra il tentativo di rendere omogeneo il diritto di derivazione comunitaria al diritto interno, ma si evidenziano molte lacune. I sistemi a modello germanico incontrano maggiori difficoltà nel raggiungere questa coerenza.

L'evoluzione del diritto dei c. verso un diritto dei 'cittadini' incontra difficoltà; favorite, d'altra parte, dalla nozione restrittiva di c. accolta in sede comunitaria: il diritto dei c. continua a essere un diritto separato rispetto al contesto dei diritti nazionali e un diritto a dimensione economica nel contesto europeo. Le considerazioni degli studiosi sopra citati sono assai pertinenti e da queste indicazioni ci si dovrà muovere per individuare le prospettive di un diritto dei c. che non sia solo piegato sul componimento degli interessi economici tra le parti in conflitto, ma debba essere primariamente fondato sulla protezione dei diritti della persona, che, nella scala dei valori, non possono essere né posposti né equiparati ai diritti di natura economica. La realizzazione del Codice del consumo potrebbe dunque essere promozionale anche di questo passaggio, dalla dimensione della semplice fruizione di beni e servizi alla titolarità di una serie di diritti - quasi che il Codice ne fosse il 'manifesto' - che compongano un frammento della cittadinanza europea intesa in senso alto.

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