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Nome attribuito a un’operetta della giurisprudenza romana postclassica da I. Cuiacio, che nel 1577 la pubblicò sulla base di un codice oggi perduto. Essenzialmente consta di un parere rilasciato nel 5° sec. da un giurisperito proveniente dalla Gallia meridionale, che suffraga le sue opinioni avvalendosi di testi elementari, giuridici e legislativi, d’uso nelle scuole di quella parte dell’Impero (Pauli Sententiae, costituzioni imperiali comprese nei codici Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano). Al testo originario si sono sovrapposti scritti di produzione più tarda (6° sec.). L’opera risente di tutte le mancanze proprie della scienza giuridica del tempo, che specie in Occidente versava in uno stato di grave decadenza, donde la tendenza costante alla sintesi e alla semplificazione.

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