CONSERVAZIONE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

CONSERVAZIONE.

Giovanni Carbonara

– Nuove prospettive storiche. Fra conservatorismo e ricostruzione. Terminologia. Questioni e considerazioni attuali. Il dibattito sulla tutela dei beni culturali. La nuova tecnologia. Le declinazioni e implicazioni moderne del concetto di conservazione. Bibliografia

Non è possibile ripercorrere i più recenti sviluppi in tema di c. dei beni culturali senza prima richiamare i progressi che, in quest’ultimo decennio, si sono avuti nel campo degli studi storici sulle ragioni che hanno motivato sin dall’origine, al di là di interessi pratici, economici, strettamente religiosi o politici, l’atteggiamento di rispetto e sollecitudine verso le memorie materiali del passato. Atteggiamento che si è dimostrato risalire nel tempo molto più indietro di quanto comunemente si pensasse.

«Nova construere sed amplius vetusta servare», questa affermazione di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (Variae, III, 9, 1), risalente alla prima metà del 6° sec. d.C., rappresenta l’inizio di una ‘moderna’ concezione conservativa nei confronti delle antiche testimonianze storico-artistiche e architettoniche. In essa si riconosce l’esito di una nuova cultura derivante dalla originale fusione del pensiero classico, con speciale riferimento alla filosofia greca e al diritto romano, con la nuova sensibilità giudaico-cristiana (nei confronti del tempo, della memoria e della stessa materia, concepita in termini positivi, ma anche nella sua innegabile finitudine e caducità) per la quale tanto si deve alla riflessione di Agostino d’Ippona.

Non che nell’antichità greco-romana e anche prima mancassero esempi di voluta e accurata c. (la cosiddetta capanna di Romolo o la nave di Enea, in Roma), ma in quei casi si trattava di memorie legate alle origini stesse della città, cariche quindi di valori simbolici e politici. In altri (statua lignea del tempio di Artemide a Efeso) la ragione era eminentemente religiosa. Nelle affermazioni di Cassiodoro tali motivazioni non mancano, ma sono accompagnate e illuminate da altre espressamente legate a ragioni di apprezzamento storico ed estetico, oltre che di nostalgia per un passato capace di esprimere vette di perfezione e nobiltà, che si stava rapidamente perdendo. Passato che si cercava di conservare sicuramente tramite l’accurato lavoro di copia dei testi antichi, ma anche attraverso la c. e perpetuazione fisica delle antiche testimonianze di civiltà, con speciale riguardo alle opere d’arte. Volontà di c., quindi, tutt’altro che ‘immateriale’ o puramente mnemonica o letteraria (come sempre, in tutto il mondo, è accaduto), ma legata alla ‘materia’ costitutiva di quelle testimonianze, quasi ‘reliquie’ di un passato considerato ancora vitale pur se ormai visto in una prospettiva storica.

Ecco quindi che il dato di c., tutela e salvaguardia della ‘materia’ degli antichi manufatti (intesa come veicolo affidabile e veritiero di significati spirituali e culturali) e non solo della loro ‘forma’, carica simbolica o anche semplice capacità di riprodurli, si dimostra come un’acquisizione che, da allora, pur con notevoli alti e bassi, caratterizzerà l’atteggiamento europeo e più latamente ‘occidentale’ fino a oggi, in ciò distinguendosi da posizioni prevalenti in altri ambienti e culture, come quelle dell’Asia e, in specie, dell’Estremo Oriente, più indirizzate a una c. ‘immateriale’, dei dati formali e delle sole tecniche o ritualità esecutive. Da cui la ciclica ricostruzione in copia, come nel caso del santuario scintoista di Ise, detto Jingū (3° sec.), in Giappone, e la contemporanea distruzione dell’originale, senza particolari rimpianti.

Si vede come il ragionamento, a questo punto, tenda a spostarsi sui concetti di autenticità e originalità, tempo (ciclico o lineare), memoria, innescando una dialettica fra culture e sensibilità diverse che, ancora oggi, non è affatto risolta, nonostante gli sforzi dell’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) e dell’ICOMOS (International Council on Monuments and Sites) per la ricerca di una soluzione ‘politicamente corretta’, ma, in effetti, agnostica e indifferente al cuore filosofico della questione.

Nuove prospettive storiche. – La visione che proviene dall’età tardoantica e dal Medioevo cristiano è, in sostanza, quella legata a una concezione lineare del tempo, che va inesorabilmente dall’alfa all’omega, ma anche a quella moderna del Secondo principio della termodinamica, fondamentalmente connesso alla freccia del tempo e alla irreversibilità dei fenomeni naturali, vale a dire al criterio dell’entropia crescente, della progressiva ‘degradazione dell’energia’. Da qui l’imperativo di una cura costante dei cosiddetti monumenti, vale a dire delle ‘memorie’ e dei ‘documenti’ materiali ereditati dal passato. Cura mirante non a mantenere o ritrovare una scintillante bellezza e una perenne gioventù ma, più semplicemente, a rallentare i processi di decadimento della materia costitutiva di quelle venerabili testimonianze. Da qui anche il concetto basilare di una ‘manutenzione’ conservativa e non sostitutiva o innovativa, espresso per la prima volta proprio da Cassiodoro (Pergoli Campanelli 2013 e 2015), riguardo a un monumento bronzeo sulla Via Sacra in Roma, con parole che sembrano anticipare di un millennio e più quelle di John Ruskin (Carbonara 1997), e ripreso di recente in termini di manutenzione programmata o, meglio, di c. programmata, come espressione del più avanzato pensiero contemporaneo in materia.

Fra conservatorismo e ricostruzione. – Quanto sopra affermato in modo necessariamente generale e sintetico non esclude particolarità o eccezioni per le quali, per es., in un grande Paese di antica civiltà come la Cina, espressioni di sensibilità religiosa buddista portano a un atteggiamento, per quanto minoritario, di attenta c., oggi favorito, rispetto alla facile replica in copia dei decenni scorsi, dagli stessi orientamenti ufficiali di politica culturale, non a caso interessati, in questa materia, proprio al pensiero italiano. Ciò mentre, per es., nell’Europa settentrionale, e con maggiore evidenza in Inghilterra, si assiste a una sorta di scissione concettuale e metodologica, fra un certo conservatorismo in ambito archeologico e una pratica architettonica di ricostruzione ‘in stile’ piuttosto disinvolta. Scissione motivata anche dal rifiuto di un impegno verso l’approfondimento teoretico a favore di un, pur raffinato, empirismo. Diverso ancora, come si vedrà in seguito, l’atteggiamento degli Stati Uniti, grande nazione tuttavia di origini piuttosto recenti, guidato dalla volontà di ‘costruirsi una storia’.

Dopo le interessanti anticipazioni del 6° sec., in qualche modo vive almeno fino agli inizi del 7°, ancora negli anni del pontificato di Gregorio Magno e del suo interessamento, al contrario di quanto si è da lungo tempo sostenuto, per la c. e non la distruzione degli antichi templi («fana idolorum destrui [...] minime debeant»,Epistulae, XI, 56) purché liberati dalle rappresentazioni degli dei pagani e sottoposti a una esplicita interpretatio christiana, la riflessione su questo tema si riduce drasticamente. Poco ci dicono Isidoro di Siviglia, per il quale il restauro è ricostruzione, e anche, pur se con accenti diversi, gli autori carolingi. Bisogna giungere al 13° e, ancor più, al 14° e 15° sec. per incontrare una rinnovata attenzione alle testimonianze materiali del passato, a partire dalle antiche rovine, non più viste come incomprensibili e inquietanti presenze, ma come documenti leggibili di storia (dalle anticipazioni di Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio alle mature acquisizioni di Poggio Bracciolini e Biondo Flavio). In ambiente francescano, sulla base del concetto di haecceitas si era posto per la prima volta, con Giovanni Duns Scoto, l’accento sulla singolarità delle testimonianze materiali, intese come uniche e irripetibili. Non casualmente, quindi, alla fine del Quattrocento, nel medesimo ambiente si riscontrano le prime attestazioni di misure, raffronti di materiali e tecniche costruttive, dei quali si indagano le capacità datanti, per definire l’antichità e l’eventuale autenticità di famose reliquie, come la Santa Casa di Loreto; nel Cinque e Seicento l’innesto con la rinascente cultura scientifica (in riferimento, per es., ai diversi strati geologici, alla definizione della loro età e di quella dei manufatti in essi eventualmente presenti) che vedrà poi, con Galileo Galilei (il cui invito a imparare dal ‘grandissimo libro’ della natura si estenderà, rapidamente, all’imparare dal ‘grande libro della storia e delle civiltà’, vale a dire dai manufatti prodotti, nel tempo, dall’uomo), ulteriori progressi. Tutto ciò, tramite un rapido processo di laicizzazione di una cultura che aveva mantenuto per secoli un’innegabile impronta religiosa, porta, fra il pieno Seicento e la prima metà del Settecento (grazie a personaggi come Francesco Bianchini, prelato veronese operante soprattutto in Roma, non a caso in contatto con un filosofo come Giambattista Vico e con il mondo scientifico dell’Europa settentrionale) a riconoscere il giusto peso alle testimonianze materiali viste come «figure de’ fatti e [...] pruove dell’istoria» (Istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi, 1697, cap. I).

Conciatetti

In parallelo, si manifestano i primi casi di attenta c. e non di rifacimento o, peggio, di ‘rinfrescatura’, per es., delle pitture murali parzialmente guaste della Galleria dei Carracci a palazzo Farnese e nella Loggia di Psiche nella Villa della Farnesina a Roma, anche sperimentando inedite forme di collaborazione interdisciplinare (fra architetto, pittore e tecnico dei materiali) per rimuovere insieme le cause e le manifestazioni del danno; oppure le accurate e rispettosissime indicazioni di Francesco Bartoli per il restauro interno del Pantheon (1715). Infine dagli scritti di metà Settecento del canonico Luigi Crespi (1756), da quelli di Giovanni Casanova (1770) sui restauri che ‘sciupano le statue’ e, progressivamente, anche dalla migliore pratica restaurativa emerge la chiara formulazione dei più importanti principi-guida del restauro: la ‘distinguibilità’ o riconoscibilità di antico e nuovo; la ‘reversibilità’ o rimovibilità delle eventuali opere di reintegrazione, nella raggiunta consapevolezza che si tratta sempre di ipotesi storico-critiche tradotte in atto e non di certezze; in ultimo, il fondamentale criterio del ‘minimo intervento’. Con il che si è ormai dentro la contemporanea accezione conservativa di restauro.

Cadono quindi le ipotesi, ancora oggi da più parti sostenute, che tale coscienza conservativa e il conseguente atto di restauro siano il prodotto di un’improvvisa maturazione che vede nel tardo Settecento e, in specie, negli anni della Rivoluzione francese e in quelli, contemporanei, della rivoluzione industriale inglese, la sua origine. Non è così perché la storia dei secoli precedenti attesta una continua elaborazione in materia e una maturazione, non piana, ma piuttosto tormentata, comunque ben rilevabile.

Terminologia. – Negli ultimi anni il termine conservazione è stato, sulla scorta di suggestioni provenienti dall’uso anglosassone del vocabolo, adoperato di preferenza e sempre più di frequente per designare, non la finalità ultima, vale a dire la perpetuazione del bene, ma le concrete operazioni condotte su di esso; in adesione all’orientamento di pensiero volto a privilegiare la natura ‘conservativa’ rispetto a quello ‘reintegrativa’ e ‘rivelativa’ dell’intervento, ha mirato a soppiantare la più antica e consolidata dizione di restauro. Lo stesso vale per la parola monumento, vista come incapace di designare l’attuale allargato interesse per la totalità dei beni culturali e architettonici. In realtà, la dizione di ‘restauro’ e quella conseguente di ‘restauro dei monumenti’ meritano di essere conservate proprio per aver subito, nel linguaggio scientifico, soprattutto in ambito neolatino, un processo di rinnovamento semantico e di aggiornamento dei contenuti. Restauro da intendere, in prima definizione, come intervento diretto sull’opera e anche come sua eventuale modifica, condotta pur sempre con somma cautela; c., come opera di prevenzione e salvaguardia, da attuare proprio per evitare che si debba poi intervenire con il restauro, il quale costituisce pur sempre un evento traumatico. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. legisl. 22 genn. 2004 nr. 41), all’art. 29 non definisce la c., come invece fa per la prevenzione, la manutenzione e il restauro, ma precisa che essa, relativamente al «patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro»; ne sottolinea, quindi, il senso di un fine da raggiungere tramite una serie di opportune azioni e provvidenze. Si può conservare attraverso un atto di restauro, dunque, ma ancora più efficacemente tramite un atto di prevenzione o di sollecita rimozione delle cause di danno (come un’energica iniziativa per ridurre il tasso di inquinamento atmosferico urbano o come la geniale soluzione adottata per correggere l’inclinazione della Torre di Pisa, sì da metterla in sicurezza, lavorando sul terreno circostante e senza toccare il monumento).

Restauro Torre di Pisa

Questioni e considerazioni attuali. – Quali sviluppi più recenti, per molti aspetti propri dell’ultimo decennio, si possono osservare, in primo luogo, un continuo processo di estensione geografica e temporale dell’attenzione conservativa, fino a saldarla con le istanze ecologiste e di tutela dell’equilibrio energetico del nostro pianeta. Accanto alla c. dei prodotti del fare umano si è sempre più sviluppata la sensibilità nei confronti del territorio e del paesaggio (aria, acque, verde, difesa delle varietà biologiche, vegetali e animali, quindi della natura generalmente intesa) come espressione di un sentire odierno meno interessato, di fronte ai rischi globali di disastro ambientale e al malessere abitativo proprio dei grandi agglomerati urbani, alla tutela dei monumenti che all’ambiente di vita. Inoltre, emerge con forza il tema dell’integrazione fra c. e sostenibilità ambientale.

Da qui anche l’attenzione alla ricerca del ‘bello’ presente, per es., nel ‘brutto’ delle periferie urbane (Renzo Piano con il suo gruppo di lavoro, denominato G124, sul tema del ‘rammendo urbano’ e, con riferimento alle potenzialità dell’autocostruzione e dell’autorecupero, Alfonso Giancotti); al ‘diritto al buio’ e ‘al silenzio’; alla piena accessibilità per tutti, abili e disabili, anche temporanei, ai siti naturali e ai monumenti; parallelamente all’attenuazione dell’invadenza di molti restauri a favore di una più rispettosa e meno dispendiosa, anche in termini energetici e materiali, c. attuata tramite virtuose pratiche di ‘restauro timido’ (Ermentini 2010).

Un altro aspetto rilevante è lo sviluppo dell’associazionismo di tutela nel mondo intero, compresi i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, con fondamentali esperienze dal basso, come nel caso di alcune nazioni dell’America Latina, degli Stati Uniti (con un grande impegno di volontariato a difesa, per es., delle architetture di Frank Lloyd Wright, Richard Neutra ecc.) e della preventive conservation inglese. Realtà molto importante per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, unica garanzia di successo in un momento di crisi generalizzata delle istituzioni statuali, specie se rappresentata da libere istituzioni che, come il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), sanno associare al compito di vigilanza anche una sana e colta operatività, acquisendo, conservando e valorizzando culturalmente sempre nuovi siti.

Il dibattito sulla tutela dei beni culturali. – A ciò tuttavia, specie a partire dai Paesi anglosassoni, si accompagna spesso un’inclinazione sociopolitica e, per così dire, ‘democratica’ nel rapporto con i beni culturali e la loro tutela. Si persegue un dibattito, considerato profondamente educativo, fra competenze e sensibilità diverse e non ristretto all’ambito scientifico. Ne è derivata, specie in quest’ultimo decennio, una fioritura di pubblicazioni, gruppi di lavoro e concrete iniziative. Soprattutto negli Stati Uniti, nazione di cultura occidentale, ma con un peculiare atteggiamento nei confronti del proprio patrimonio, si esalta il messaggio simbolico e identitario dei monumenti, assieme alla loro perseguita efficacia comunicativa, relegando in secondo piano un autentico rispetto storico; ciò porta, da un lato, a forme di pura c., da un altro, con maggiore frequenza, ad altre, opposte, di spinta e teatrale ricostruzione, non priva di connotazioni emozionali, che supera i singoli monumenti e investe anche personaggi e avvenimenti storici, in forma quasi di kermesse.

Lì stesso e altrove le attività conservative e di restauro sono viste essenzialmente come ‘servizi’ sociali erogati; altre volte intese quasi commercialmente e orientate a esigenze di customer satisfaction, di turismo globalizzato e di massa, con discutibili esempi di ‘clonazione’ architettonica e, sicuramente, con attenuazione delle componenti culturali, formative e di studio. Risulta, quindi, sempre più necessaria una rinnovata e meno selettiva educazione alla c., che sappia tuttavia tornare alle sue ragioni fondative, di memoria e di cultura. Non aiutano, in questo, la carenza informativa e soprattutto la distorsione e banalizzazione dei messaggi provenienti dai mass media, in specie dalla televisione, ma anche dai giornali che continuano a esaltare il restauro non come atto eminentemente conservativo ma come ‘ritorno all’antico splendore’, non come paziente attività di ricerca e artigianale esercizio progettuale, ma come estrinsecazione gestuale, meglio se affidata a personaggi di successo o all’archistar di turno, capaci, in primo luogo, di superare d’impeto le resistenze delle soprintendenze di Stato, spingendo per interventi non certo conservativi quanto piuttosto distruttivi o, come si usa dire con compiacimento, che ‘lascino il segno’ e, in secondo luogo, di attirare i riflettori della cronaca e di un giornalismo frettoloso, totalmente lontani da un approccio meditato alla materia che, è bene ricordarlo, deve la sua stessa origine e i conseguenti sviluppi concettuali a una cultura eminentemente letteraria, filosofica e storica, con innesti e apporti, solo molto tardivi, di quella propriamente artistica e architettonica.

Rammendo di portone

Basti pensare a certi contenuti, molto pubblicizzati, della mostra Cronocaos, allestita e presentata dall’architetto Rem Koolhaas nella Biennale di Venezia del 2010, ove si trovano affermazioni difficilmente condivisibili: la c. è stata ‘inventata’ come parte di un’ondata innovativa moderna tra la Rivoluzione francese e quella industriale inglese (ma si è visto, invece, che si tratta di un fenomeno culturale molto più antico); nel clima culturale di oggi l’importanza della c. cresce ogni anno, ma la ‘assenza di una teoria’ e la ‘mancanza d’interesse’ in materia sono preoccupanti (questo può valere forse per l’Europa settentrionale, ma in Italia e Francia gli sviluppi teoretici contano più di due secoli di storia); una ‘straziante simultaneità di c. e distruzione’ sta annientando qualsiasi ipotesi di ragionevoli sviluppi futuri (ma nei Paesi avanzati non è certo l’eccesso di tutela che frena lo sviluppo e la stessa economia; ben diverse e forse opposte ne sono le cause); la c. e la modernità non si contrappongono, ma il momento attuale non ha quasi alcuna idea di come contemperarle (tuttavia, per es., in Italia molti sono gli architetti che hanno dimostrato di sapere coniugare c. e innovazione, si pensi, limitandosi all’ultimo ventennio, a Guido Canali, in Santa Maria della Scala a Siena, a Francesco Scoppola, in palazzo Altemps, e a Gianni Bulian, nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano, a Roma. Insomma, sotto il profilo divulgativo si presenta ancora come fosse attuale la scontata contrapposizione fra Ruskin ed Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, come se nulla dopo di loro fosse stato scritto, pensato o realizzato.

La nuova tecnologia. – Un’ultima riflessione sull’attualità riguarda, invece, gli apporti in materia di c. e restauro dei nuovi materiali (come il titanio, i profilati pultrusi, il poliuretano espanso usato, per es. all’Aquila, in funzione provvisionale, le recenti fibre composite, come quelle di basalto, per il consolidamento strutturale; o le nanocalci, per il consolidamento di malte e intonaci; il ciclododecano per protezioni temporanee di aree circoscritte); delle nuove tecniche di rilevamento, datazione, analisi dei materiali, diagnostica, monitoraggio (scanner laser, termoluminescenza, cromatografia ionica, spettroscopia Raman e indotta da laser, tomografia computerizzata, misura dell’assorbimento acustico, ‘microscopia acustica’ ultrasonora e a scansione, recenti sistemi di trasmissione automatica dei dati, impiego dei droni per la ripresa fotografica e il rilevamento ecc.) e di quelle operative (come le biopuliture con l’impiego di enzimi e batteri desolforanti, i nuovi sistemi elettrosmotici di deumidificazione ecc.). Si aprono così nuove e impensate possibilità destinate, tuttavia, a venire anch’esse rapidamente superate dagli sviluppi della scienza e della tecnica (che si manifestano prima in altri campi, dalla ricerca aerospaziale a quella medica e oltre, per ricadere poi, come una sorta di fall out tecnologico, nell’ambito conservativo). In ogni modo, consistenti novità possono derivare dallo sforzo in atto di integrazione dei vari sistemi diagnostici e di riduzione dimensionale e semplificazione delle strumentazioni, anche tradizionali, in uso, al fine di poterle impiegare sul luogo e non necessariamente in laboratorio.

Le declinazioni e implicazioni moderne del concetto di conservazione. – Gli sviluppi concettuali, vale a dire il nucleo filosofico e di pensiero della c., si dimostrano invece molto più stabili e, come si è visto, chiedono soltanto di essere declinati tenendo conto delle acquisizioni recenti di cui s’è detto (con interessanti aperture verso il sociale e un’autentica ‘valorizzazione’ culturale, oltre che verso gli aspetti economici e giuridici della globalizzazione in atto anche in quest’ambito). Restano tuttora valide le formulazioni teoretiche del Novecento (anche quelle relative all’ardua c. delle espressioni d’arte contemporanea o di una materia viva e in perenne modificazione come i parchi e giardini), frutto di una riflessione propriamente europea o, meglio, sud-europea e italiana in specie (se si considerano gli apporti di studiosi come Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan, Guglielmo De Angelis d’Ossat, Paul Philippot, Roberto Pane e Renato Bonelli) ancora sostanzialmente attuale e in-superata. Ciò pur con i necessari adattamenti, specie in una società di massa e, soprattutto, votata al nuovo, tanto più se espressione di un’economia capitalistica.

Infine, non deve essere dimenticato il continuo lavoro del MiBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), non tanto nella promozione, forse eccessiva, di leggi e decreti, ma nella predisposizione di utilissime linee guida (prima per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale, 2006, poi per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale, 2008, ora d’indirizzo per il miglioramento dell’efficienza energetica nel patrimonio culturale, 2015) su temi di grande attualità e rilevanza pubblica oltre che (con i tre rapporti di Roma archæologia. Interventi per la tutela e fruizione del patrimonio archeologico, 2009-2011, e Pompei archæologia. Progetto di conservazione e fruizione, 2011, a cura di R. Cecchi) su quelli fondamentali della manutenzione e della pubblica fruizione.

Bibliografia: G. Carbonara, Avvicinamento al restauro. Teoria, storia, monumenti, Napoli 1997; S. Muñoz-Viñas, Contemporary theory of conservation, Amsterdam 2005; A. Hernández Martínez, La clonación arquitectonica, Madrid 2007 (trad. it. Milano 2010); M. Ermentini, Architettura timida. Piccola enciclopedia del dubbio, Firenze 2010; A. Carandini, Il nuovo dell’Italia è nel passato, intervista a cura di P. Conti, Roma-Bari 2012; G. Carbonara, Restauro architettonico: principi e metodo, Roma 2012; F. Choay, Patrimonio e globalizzazione, Firenze 2012; S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino 2012; L. Vlad Borrelli, Etica della conservazione e tutela del passato, a cura di G. Basile, G. Lauro, A. Mignosi Tantillo, Roma 2012; A. Pergoli Campanelli, Cassiodoro alle origini dell’idea di restauro, Milano 2013; A. Pergoli Campanelli, La nascita del restauro. Dall’antichità all’Alto Medioevo, Milano 2015.

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