Condanna alle spese

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Con il provvedimento che chiude una fase di giudizio il giudice deve liquidare le spese processuali e condannare la parte soccombente al pagamento delle stesse, comprensivo del rimborso di quanto eventualmente anticipato dalla controparte (art. 91 c.p.c.). La soccombenza va individuata con criteri oggettivi: soccombente è la parte le cui domande, difese o eccezioni sono state respinte.

La condanna alle spese non ha natura sanzionatoria in quanto non è conseguenza del compimento di un fatto illecito. Il comportamento di chi ha agito o resistito in giudizio ed è rimasto soccombente, infatti, non può considerarsi come antigiuridico: è esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti, che è inviolabile e costituzionalmente garantita (art. 24 Cost.), a prescindere dall’eventuale esito sfavorevole del processo. Diverso è il caso in cui il soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. In tal caso è ravvisabile una condotta illegittima, per cui, il giudice, oltre a ordinare la condanna alle spese del processo, liquida e condanna anche ai danni subiti dalla parte vittoriosa a causa della lite che è stata temeraria. Il risarcimento dei danni è dovuto anche per l’attuazione di una misura cautelare o per aver iniziato l’esecuzione forzata senza la normale prudenza, se viene accertata giudizialmente l’inesistenza del diritto a cautela del quale era stata attuata la misura o si era provveduto all’esecuzione (art. 96). Il legislatore con l. n. 69/2009 ha tuttavia introdotto un ulteriore terzo comma all'art. 96 c.p.c. attribuendo al giudice il potere di condannare anche d'ufficio la parte soccombente al pagamento, in favore dell'altr parte, di una somma equitativamente determinata, quindi indipendentemente dal dalla sussistenza o meno del danno.

Il generale principio della condanna alle spese processuali della parte soccombente subisce delle deroghe legali dettate da ragioni di opportunità. Il giudice può ridurre le spese di cui è stata chiesta la ripetizione se le ritiene eccessive o superflue; può anche condannare la parte vittoriosa ai costi del giudizio se valuta che si è comportata in violazione dei doveri di lealtà e probità di cui all’art. 88; può compensare le spese, in tutto o in parte, se la soccombenza è reciproca o concorrono gravi ed eccezionali ragioni (art. 92). Altra peculiare deroga al principio generale è disciplinata dall'art. 91 c.p.c., il quale prevede che, in caso di proposta conciliativa, se la sentenza accoglie la domanda in misura non superiore alla proposta, le spese maturate successivamente alla proposta sono a carico della parte che l'ha rifiutata, anche se vittoriosa nel merito.

Voci correlate

Condanna. Diritto processuale civile

Soccombenza

Approfondimenti di attualità

La «lite temeraria attenuata» dell'art. 96, comma terzo, c.p.c.: prime applicazioni di Francesco Fradeani

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