Concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità

Libro dell'anno del Diritto 2015

Concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità

Gian Luigi Gatta

Il più rilevante nodo interpretativo posto dall’ultima riforma dei delitti contro la p.a. (l. n. 190/2012) è ben presto venuto al pettine, dando luogo a un contrasto giurisprudenziale composto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza Maldera (n. 12228/2014), chiamata a individuare «quale sia la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater c.p., di nuova introduzione), soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione e alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo». Facendosi interpreti dello spirito della riforma del 2012, tesa a soddisfare istanze della lotta internazionale alla corruzione, le S.U. circoscrivono fortemente l’ambito di applicazione della concussione e, pertanto, gli spazi di impunità del “privato” che prometta o effettui la dazione dell’indebito al funzionario pubblico.

La ricognizione

All’indomani della riforma dei delitti di concussione e corruzione, attuata dalla l. 6.11.2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, nota anche come legge Severino o legge anticorruzione)1, è subito risultato evidente quale fosse la più rilevante questione interpretativa posta dalla riforma stessa: l’individuazione – attraverso la non agevole distinzione tra i concetti di “costrizione” e di “induzione» alla promessa/dazione dell’indebito all’agente pubblico – della linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p., che continua a punire il solo fatto dell’intraneus) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater c.p., di nuova introduzione, che punisce invece anche l’extraneus, cioè il “privato” che promette o paga l’indebito).

La questione – con i connessi risvolti di diritto intertemporale e le immediate ricadute sui termini di prescrizione del reato – è stata ben presto rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, che si sono pronunciate con la sentenza Maldera, depositata nel marzo del 20142. Le S.U. sono state chiamate a comporre un contrasto giurisprudenziale che vedeva contrapposti tre diversi orientamenti3.

a) Un primo orientamento, inaugurato dalla sentenza Nardi4, risolveva il problema impiegando il criterio della intensità della pressione prevaricatrice. Si tratta di un criterio tradizionale nella giurisprudenza ante-riforma, relativa ai rapporti tra concussione e corruzione: a modalità di pressione molto intense e perentorie, tali da limitare gravemente la libertà di determinazione del soggetto, corrisponderebbe la “costrizione” ex art. 317 c.p.; a forme più blande di persuasione, suggestione, o pressione morale, che non condizionino gravemente la libertà di determinazione, corrisponderebbe “l’induzione” ex art. 319 quater c.p. (la punibilità del privato, in quest’ultima fattispecie, si giustificherebbe proprio in ragione del residuo margine di libertà di non accedere alla richiesta indebita proveniente dal pubblico agente, ovverosia per non aver resistito alla richiesta medesima).

b) Un secondo orientamento, inaugurato dalla sentenza Roscia5, individuava invece la linea di discrimine tra le due ipotesi delittuose nell’oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione; danno legittimo (giusto) e secundum ius nell’induzione indebita. A sostegno di questo diverso criterio si osservava, da un lato, che è del tutto ragionevole la più severa punizione dell’agente pubblico che (nella concussione) prospetta un danno ingiusto, e non già, come nell’induzione indebita, una conseguenza sfavorevole derivante dall’applicazione della legge (cd. danno giusto); dall’altro lato, si rilevava come fosse parimenti ragionevole punire il privato nella sola ipotesi (induzione indebita) in cui, aderendo alla pretesa dell’indebito avanzata dall’agente pubblico, perseguisse un vantaggio indebito (evitare un danno giusto).

c) Un terzo orientamento, inaugurato dalla sentenza Melfi6, si collocava infine in una posizione intermedia tra i primi due: individuava il criterio discretivo tra le due figure di reato nella diversa intensità della pressione psichica esercitata sul privato, con la precisazione però che, per le situazioni dubbie, si sarebbe dovuto far leva, in funzione complementare, sul criterio del vantaggio indebito da questi perseguito.

La focalizzazione

Per comprendere appieno il richiamato contrasto giurisprudenziale è opportuno tracciare, in sintesi, il quadro normativo risultante dalla riforma del 2012.

2.1 Il quadro normativo risultante dalla l. n. 190/2012

Uno dei punti nodali della riforma del 2012 è indubbiamente rappresentato dalla riformulazione della fattispecie di concussione (art. 317 c.p.), realizzata su un duplice versante: a) dal lato dei soggetti attivi, attraverso l’estromissione dell’incaricato di un pubblico servizio (la concussione è pertanto oggi un reato proprio del solo pubblico ufficiale); b) dal lato della condotta, circoscrivendola all’ipotesi della costrizione dell’extraneus a dare o promettere indebitamente a sé o un terzo denaro o altra utilità: è infatti stato amputato, nel testo dell’art. 317 c.p., il riferimento “all’induzione” alla promessa o alla dazione dell’indebito, in precedenza individuata dal legislatore quale modalità alternativa della condotta, equivalente sotto il profilo sanzionatorio.

Correlativamente, la legge Severino ha dato autonomo rilievo alla condotta di “induzione” nell’ambito di un nuovo delitto proprio del pubblico ufficiale e, questa volta, anche dell’incaricato di un pubblicato servizio. Si tratta della Induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.); una figura di reato che riproduce pedissequamente lo schema della vecchia concussione per induzione, con due sole ma fondamentali differenze:

a) il pubblico agente risponde del fatto con una pena (la reclusione da tre a otto anni) meno severa di quella comminata per la concussione-costrittiva (la reclusione da sei a dodici anni): costrizione e induzione non sono pertanto più considerate modalità equivalenti della condotta sotto il profilo del giudizio di disvalore espresso dal legislatore nella comminatoria di pena;

b) risponde del fatto anche l’extraneus, con una pena – la reclusione fino a tre anni – ben più mite di quella comminata per l’agente pubblico (art. 319 quater, co. 2, c.p.). Il soggetto “indotto” alla dazione o alla promessa dell’indebito da parte del pubblico ufficiale, che abusi delle sue qualità o dei suoi poteri, non è dunque più considerato dalla legge un concorrente non punibile in un reato necessariamente plurisoggettivo: dismette la veste del concusso per assumere quella inedita del correo, al pari del corruttore (art. 321 c.p.), rispetto al quale è però punito meno severamente (con la reclusione da 15 giorni a tre anni).

Come riconosce la sentenza Maldera, la nuova figura dell’induzione indebita appare dunque – nelle prospettive, rispettivamente, del pubblico agente e del soggetto privato – come una sorta di “concussione attenuata” e di “corruzione mitigata dall’induzione”: si colloca figurativamente – come affermano altresì le S.U. – «in una posizione intermedia tra la condotta sopraffattrice, propria della concussione, e lo scambio corruttivo, quasi a superamento del cosiddetto canone della mutua esclusività di questi due illeciti».

2.2 L’ambiguo volto dell’induzione indebita

La reale cifra della questione rimessa alle S.U. è messa in luce proprio da quest’ultima considerazione: la riforma del 2012 ha collocato la nuova incriminazione di cui all’art. 319 quater c.p. a cavallo tra concussione e corruzione, in uno spazio attraversato da una linea di confine la cui individuazione è tradizionalmente problematica, nella teoria e ancor più nella prassi.

Senonché l’esigenza di tracciare con un solco il confine tra concussione e corruzione risponde, ormai da tempo, a una pressante istanza della prassi, ancor più in ragione di un indebito utilizzo processuale della concussione, specie durante la stagione di Tangentopoli. In quel periodo infatti «la distinzione tra corruzione e concussione si processualizzò, nel senso che venne tracciata in funzione delle esigenze repressive che si profilavano in sede di accertamento delle vicende di malaffare. Il privato loquace...si candidava al ruolo di offeso da una concussione...; se muto, o renitente alla leva delle dichiarazioni, rischiava di entrare nel cerchio dell’accordo corruttivo»7.

All’indebito utilizzo processuale del discrimen tra concussione e corruzione fu funzionale proprio il concetto di “induzione”, oggi traslato nella nuova figura dell’art. 319 quater c.p. Si deve a tal riguardo ricordare che la concussione per induzione è nata, nella nostra tradizione, come concussione fraudolenta, realizzata cioè con l’inganno, contrapposta alla concussione violenta: quella vera e propria, implicante costrizione attraverso violenza ominaccia8. Ben presto si fecero però strada interpretazioni sempre più late del concetto di “induzione”, esteso fino ad abbracciare le ipotesi, assai diverse, della persuasione e della suggestione tacita, cioè di forme di pressione psicologica più blanda rispetto alla minaccia vera e propria. La tendenza a interpretare a maglie larghe il concetto di “induzione”, diffusa nella prassi talora anche e proprio per perseguire le segnalate finalità processuali, rese da un lato ancor più incerto il confine con le limitrofe fattispecie di corruzione, e, dall’altro lato, favorì la tendenza ad ampliare l’ambito applicativo della concussione (emblematica, a tal riguardo, la figura pretoria della “concussione ambientale”) con conseguente impunità del privato, anche in assenza di una vera sopraffazione da parte del pubblico agente.

2.3 Gli obblighi internazionali nel contrasto alla corruzione

In un simile contesto non si fatica a comprendere perché i progetti di riforma presentati negli ultimi decenni – pur assai diversi tra loro – convergessero sulla necessità di rivedere la conformazione del delitto di concussione e, in particolare, i rapporti con i delitti di corruzione: una necessità imposta d’altra parte dagli obblighi internazionali in tema di lotta alla corruzione assunti dal nostro Paese, rispetto ai quali la legislazione italiana presentava lacune e insufficienze9. La stessa riforma del 2012 è stata approvata sotto la spinta di sollecitazioni internazionali, comprese le indicazioni provenienti da strumenti di soft law, quali le raccomandazioni formulate nel recente passato da gruppi di lavoro operanti all’interno dell’OCSE e del Consiglio d’Europa.

Quelle raccomandazioni auspicavano una radicale riforma della concussione, che nel panorama internazionale rappresentava pressoché un unicum italiano, e che veniva percepita per quel che, in buona parte, si è in effetti rivelata nella nostra più recente storia giudiziaria: un meccanismo di esenzione della responsabilità del privato che effettui la promessa o la dazione indebita, in assenza di una vera e propria costrizione o di un inganno.

2.4 La ratio della riforma del 2012

La riforma del 2012 ha dunque cercato di soddisfare una precisa istanza della lotta internazionale al fenomeno corruttivo: ha inteso, con le parole del Ministro Severino, «radicare il messaggio secondo cui i pubblici agenti non vanno pagati per l’esercizio delle proprie funzioni». Chi effettua la dazione o anche solo la promessa dell’indebito concorre nell’offesa di interessi facenti capo alle istituzioni pubbliche, nazionali o sovranazionali, e alla collettività; ne risponde pertanto penalmente, salva l’ipotesi in cui l’indebito venga estorto dall’agente pubblico; salvo cioè il caso in cui il privato subisca un’offesa a interessi facenti capo alla propria persona (a partire dalla libertà di autodeterminazione), rimanendo vittima di un abuso di potere incarnato in un atto di vera e propria sopraffazione.

È questo un principio diffuso a livello internazionale, che veicola un preciso messaggio etico e culturale: il mercimonio della cosa pubblica è socialmente dannoso e inaccettabile, perché attenta a un’ampia gamma di interessi superindividuali che ciascun cittadino deve sentire come propri (tra gli altri, l’efficienza, l’efficacia, l’imparzialità e l’economicità dell’azione amministrativa, l’economia pubblica, la libera concorrenza).

2.5 Il nuovo delitto di induzione indebita

Per tradurre in atto la scelta politico-criminale sottesa alla riforma, la legge Severino non ha adottato la soluzione radicale di abolire tout court la concussione, con conseguente espansione dell’ambito applicativo dell’estorsione, che rispetto alla prima è figura generale: soluzione che comporterebbe la sostituzione dell’annoso problema del confine tra corruzione e concussione con quello dei rapporti tra la prima figura e l’estorsione10.

La legge Severino ha percorso un’altra strada: in ossequio alla nostra tradizione giuridica P oltre che per contingenti ragioni di Realpolitik11 – non ha estromesso la concussione dal catalogo dei reati, ma ne ha circoscritto l’ambito applicativo, facendo confluire i fatti di induzione nella nuova figura di cui all’art. 319 quater c.p., che punisce anche il privato.

A distanza di due anni dalla riforma risulta evidente che la soluzione adottata non solo è andata incontro alle critiche della dottrina maggioritaria, ma è anche risultata problematica nella prassi, come testimonia il contrasto giurisprudenziale del quale si è detto. Ed infatti, senza aver risolto il problema nodale del criterio discretivo tra concussione e corruzione, la legge ne ha introdotto un altro, non meno importante, relativo ai rapporti tra induzione indebita, concussione e corruzione12. L’impressione diffusa è che a seguito dell’introduzione della nuova figura dell’induzione indebita, accanto alla concussione e alle fattispecie di corruzione, il quadro normativo in materia risulti eccessivamente complesso e frammentato: troppe norme incriminatrici, dai reciproci confini incerti, rendono a dir poco arduo inquadrare il fatto oggetto del giudizio nell’una o nell’altra.

La riforma non è insomma venuta incontro a un’esigenza di semplificazione del quadro normativo e dei problemi, che è anzi oggi ancor più avvertita dalla prassi. E ciò in quanto la nuova figura dell’induzione indebita «ripropone tutte le incertezze legate alla vecchia concussione per induzione»13.

2.6 La sentenza Maldera delle S.U.

Il nuovo assetto normativo presentava dunque alla Sezioni Unite una questione di diritto estremamente ardua da risolvere, e un compito al quale d’altra parte non era possibile sottrarsi: la prassi reclamava principi e criteri direttivi, che le Sezioni Unite – senza avallare alcuno dei tre orientamenti giurisprudenziali contrapposti, dei quali si è detto – hanno cercato di rinvenire nella ratio legis, da un lato, e nel sistema dall’altro, a partire dai principi costituzionali che lo fondano. L’esito è una nozione restrittiva del concetto di “costrizione”, che in linea con la ratio di fondo della riforma circoscrive l’ambito di applicazione della concussione e, pertanto, gli spazi di impunità del privato che prometta o paghi la tangente.

Il giudice, chiamato ad applicare la disciplina riformata, può infatti “chiudere il più possibile gli spazi di impunità del privato” – in linea con gli obblighi internazionali – solo riducendo la “costrizione” al suo nucleo concettuale forte (“eterodeterminazione dell’altrui volontà” realizzata con violenza o minaccia) dandone cioè un’interpretazione restrittiva: è evidente che quanto più si restringe l’ambito di applicazione della “concussione riformata”, tanto più si riducono quegli spazi di impunità.

2.7 La nozione restrittiva di “costrizione”: suo fondamento

La via dell’interpretazione restrittiva della concussione è d’altra parte indicata dai princìpi, di rango costituzionale, che reggono il sistema e guidano l’interprete; a partire da quello, sancito dall’art. 117, co. 1, Cost., che impone di attribuire alla disciplina interna un significato compatibile con gli obblighi (di contrasto alla corruzione) assunti dal nostro Paese in ambito internazionale. Non deve, infatti, passare sotto silenzio che l’assetto normativo risultante dalla l. n. 190/2012 potrà risultare soddisfacente – sul piano internazionale – solo se nella prassi si consoliderà un’interpretazione fortemente restrittiva del concetto di “costrizione” (e quindi della concussione).

In questo senso già si sono espressi i primi reports dei citati organismi internazionali, successivi alla riforma del 201214.

La sentenza Maldera sottolinea d’altra parte come una netta distinzione tra i concetti di “costrizione” e di “induzione” – cioè tra le sfere della concussione e della induzione indebita ex art. 319 quater c.p. – sia altresì imposta dai principi di legalità e di precisione (o, con altro lessico, di determinatezza).

Si tratta, infatti, da un lato, nel contesto di reati a forma vincolata, di non calpestare la funzione selettiva delle diverse modalità della condotta descritte dal legislatore; dall’altro lato, e non secondariamente, di chiarire il significato dei concetti in gioco (“costrizione” e “induzione”) per evitare nella prassi soluzioni arbitrarie, analoghe a quelle già sperimentate in passato sul terreno dei rapporti tra concussione e corruzione.

È però il principio di offensività a rappresentare, nelle trame della sentenza Maldera, il canone ermeneutico fondamentale per la soluzione del quesito rimesso alle S.U. In un diritto penale retto da quel principio, infatti, la mutata valutazione politico-criminale circa la meritevolezza di pena del fatto realizzato dal privato indotto alla promessa o alla dazione dell’indebito – che non è più vittima impunita, bensì complice dell’agente pubblico – non può che riverberarsi sulla fisionomia della fattispecie legale, e sul giudizio di disvalore che vi è incarnato. Il concusso non risponde penalmente perché è considerato dalla legge persona offesa dal reato, plurioffensivo, di cui all’art. 317 c.p.: la sua cooperazione – estorta dal pubblico agente – è sì necessaria per la perfezione della fattispecie,ma proprio perché estorta non è valutata alla stregua di un concorso nell’offesa al bene giuridico pubblicistico del buon andamento/imparzialità della pubblica amministrazione. Il privato è anzi vittima della concussione perché subisce un’offesa a beni personali: la libertà di autodeterminazione e, in ragione dei mezzi di esecuzione del reato (violenza o minaccia), l’integrità psico-fisica15.

Per contro, chi non è costretto, bensì soltanto “indotto” alla promessa o alla dazione indebita, concorre nel reato monoffensivo di cui all’art. 319 quater c.p. perché, senza esservi costretto – cioè senza subire un’offesa a interessi propri; anzi, mirando a perseguire un vantaggio, all’esito di una valutazione utilitaristica P contribuisce alla realizzazione di un fatto che offende beni facenti capo esclusivamente alla pubblica amministrazione16. E il precipitato di questo riformato e inedito assetto normativo, che emerge dalla motivazione della sentenza Maldera quale una delle più rilevanti affermazioni sul piano della sistematica dei delitti contro la pubblica amministrazione, è che la nuova induzione indebita ex art. 319 quater c.p. non rappresenta un’ipotesi minore di concussione (come farebbe pensare la metafora dello “spacchettamento” della concussione stessa, che ha avuto una certa fortuna dopo la riforma), gravitando bensì nell’orbita della corruzione, della quale condivide la logica negoziale di reato-contratto bilateralmente illecito17.

2.8 La nozione restrittiva di “costrizione”: interpretazione sistematica

Una nozione restrittiva di “costrizione” è altresì imposta, d’altra parte, da esigenze di coerenza intrasistematica, che la sentenza Maldera non manca di valorizzare. Il punto di partenza è rappresentato dalla stretta “correlazione” con il delitto di estorsione, al cui genus appartiene la concussione. In entrambe le fattispecie la costrizione indica una “etero determinazione dell’altrui volontà” non già assoluta (come nel caso della rapina), bensì relativa: la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo è fortemente compressa, ma non del tutto annullata18. E i mezzi tipici per realizzare un simile effetto di coazione – nel diritto penale come nel diritto civile (si pensi alla materia dei vizi del consenso negoziale) – sono rappresentati dalla violenza e dalla minaccia.

Sebbene la norma incriminatrice della concussione – a differenza di quella dell’estorsione – si limiti a fare riferimento all’effetto (la costrizione, appunto), senza indicare il mezzo, è da sempre pacifico che nella concussione (per costrizione) il mezzo del reato, con il quale si incute il caratteristico metus publicae potestatis, è costituito normalmente dalla minaccia, sub specie, più precisamente, di vis psichica relativa; alla violenza fisica si riconosce infatti uno spazio solo residuale, atteso il collegamento funzionale della condotta con l’abuso della qualità o dei poteri, che di regola (salvo che per talune categorie di pubblici ufficiali, come le guardie penitenziarie) non implicano l’uso – evidentemente lecito – di poteri coercitivi.

Individuare la nozione di “costrizione” nell’art. 317 c.p., e il discrimine con “l’induzione” dell’art. 319 quater c.p., impone allora giocoforza di fare i conti con i concetti di “violenza” e di “minaccia”; e se è vero che nessuno dubita che sia configurabile la concussione – e non già la corruzione o l’induzione indebita ex art. 319 quater c.p. – nella (rara) ipotesi in cui la promessa o la dazione indebita sia estorta dal p.u. con violenza fisica, è allora evidente – e non è sfuggito alle S.U. – che per la soluzione della questione che ci occupa risulta decisiva la nozione di minaccia.

Orbene, lo sforzo teso ad individuare nel (e ad ancorare al) sistema un criterio ragionevole per distinguere la costrizione concussiva dall’induzione indebita spinge la sentenza Maldera verso una nozione unitaria e restrittiva di minaccia – tendenzialmente valida in tutto l’ordinamento giuridico: nel diritto penale (nella concussione, nell’estorsione, ecc.) come nel diritto civile (in particolare, nella già citata materia dei vizi del consenso negoziale); una nozione che – non possiamo fare a meno di rilevarlo – si rifà a un nostro recente lavoro monografico19.

Facendo tesoro delle indicazioni di una lunga tradizione giuridica, la sentenza Maldera individua l’essenza della minaccia – che può anche essere implicita, velata o allusiva – nella “prospettazione ad altri di un male futuro e ingiusto, che è nel dominio dell’agente realizzare”. La minaccia, per essere tale – e per poter reggere il confronto con la violenza, quale modalità alternativa ed equivalente della condotta, nella concussione come nell’estorsione – deve connotarsi come atto aggressivo incidente sull’altrui sfera psichica; deve apparire cioè come un atto di sopraffazione prepotente con il quale l’agente – ingenerando il timore di subire un male – mette il destinatario con le spalle al muro, costringendolo – per l’appunto – ad assecondare la sua volontà: a fare ciò che non farebbe se potesse determinarsi liberamente, in assenza di una prevaricazione.

La sentenza Maldera ricorda a ragione che in tutto l’ordinamento, d’altra parte, il concetto di minaccia presuppone un autore e una vittima20; e la direzione offensiva della condotta, che sfruttando meccanismi psichici incute timore producendo un effetto di coazione sul soggetto passivo, fa luce sui beni giuridici aggrediti: l’integrità psichica (il benessere psichico, il diritto a non avere paura) e la libertà di determinarsi liberamente, senza il condizionamento di un male ingiusto agitato come uno spettro. Non va, infatti, dimenticato quel che ha ricordato Carrara nel suo Programma: l’origine latina del termine “concussione” rappresenta l’idea dello scuotere un albero per farne cadere i frutti: si deve allora pensare al concusso come alla vittima di un’aggressione, che promette o paga l’indebito perché scrollata dal pubblico ufficiale, che la mette spalle al muro, con le mani al collo. Solo in questa prospettiva si giustifica la severa comminatoria di pena dell’art. 317 c.p., che configura il più grave tra i delitti contro la pubblica amministrazione; così come – anche agli occhi dei citati organismi internazionali – solo in questa prospettiva si legittima la scelta di lasciare impunito il privato, “costretto” alla promessa o alla dazione dell’indebito. Costui non è perseguito penalmente perché – sono parole delle S.U. – «in uno Stato democratico di diritto non può pretendersi che i cittadini ingiustamente prevaricati e coartati dai detentori dei pubblici poteri sprigionino risorse inesigibili di resistenza, per scongiurare la deviazione dell’attività amministrativa dalle finalità di imparzialità e di corretto funzionamento che devono guidarla».

Affatto diversa deve allora essere la situazione in cui versa chi, per effetto di un abuso di qualità o poteri dell’agente pubblico, è meramente indotto – ma non costretto – alla promessa o alla dazione dell’indebito.

L’indotto è complice e non già vittima dell’induttore: non può pertanto essere il destinatario di una minaccia, che come si è detto presuppone per definizione una vittima. Il criterio per distinguere “costrizione” e “induzione” risiede allora – come affermano le S.U. richiamando un’espressione da noi impiegata nel citato lavoro monografico21 – nella dicotomia “minaccia”/“non minaccia”, che è poi l’altro lato della medaglia rispetto alla dicotomia “costrizione”/“ induzione”, evincibile dal dato normativo. La nozione di “induzione” si ricava, dunque, essenzialmente in negativo: nell’art. 319 quater c.p., affermano le S.U., «il verbo “indurre” spiega una funzione di selettività residuale rispetto al verbo “costringere” presente nell’art. 317 c.p., nel senso che copre quegli spazi non riferibili alla costrizione,

vale a dire quei comportamenti del pubblico agente, pur sempre abusivi e penalmente rilevanti, che non si materializzano però nella violenza o nella minaccia di un male ingiusto e non pongono il destinatario di essa di fronte alla scelta ineluttabile ed obbligata tra due mali parimenti ingiusti». L’induzione, affermano le S.U., «non costringe ma convince», e le modalità della condotta induttiva possono essere le più varie; rappresentano forme di pressione psichica diverse dalla minaccia (esplicita o implicita), più o meno ai margini di essa: la persuasione, l’allusione, il silenzio e persino l’inganno (purché non verta sulla doverosità della dazione o della promessa, del cui carattere indebito il privato resta perfettamente conscio; diversamente sarebbe vittima di una truffa e la pena nei suoi confronti non si giustificherebbe). Il meccanismo dell’induzione alla promessa o alla dazione della tangente è pur sempre psichico: si regge però sulla prospettazione non già di un male ingiusto, che conferisce alla minaccia (un aliud) le tinte della prevaricazione –, bensì di un vantaggio indebito, che il privato, sedotto dall’allettante prospettiva del pubblico agente che abusi delle proprie qualità o dei propri poteri, si risolve liberamente a perseguire. La figura descritta dall’art. 319 quater gravita infatti nell’orbita della corruzione; e la previsione della punibilità del privato “è il vero indice rivelatore del significato dell’induzione”. L’indotto, al pari del corruttore, certat de lucro captando (e non già de damno vitando): agisce secondo la logica dell’homo oeconomicus; persegue interessi privati a danno di interessi pubblici, che concorre ad offendere.

La sentenza Maldera finisce così per individuare il criterio discretivo tra “costrizione” concussiva e “induzione” indebita affiancando alla dicotomia minaccia/non minaccia la corrispondente dicotomia danno ingiusto/indebito vantaggio: si tratterebbe infatti, come taluno ha sostenuto in dottrina22, di «elementi costitutivi impliciti», rispettivamente, della concussione riformata e della nuova figura di cui all’art. 319 quater c.p.

2.9 Il banco di prova dei “casi difficili”

Senonché, con esercizio di sano realismo, la sentenza Maldera riconosce quel che è evidente, e cioè che il criterio del danno/vantaggio è “fruibile senza alcuna difficoltà” nei “casi facili”, che rispondono a una logica manichea: si pensi all’ipotesi della minaccia brutale, non accompagnata da alcuna, anche solo velata, prospettazione di un vantaggio per il privato; oppure si ponga mente, specularmente, all’ipotesi della palese prospettazione di un vantaggio, conseguente a un “abuso di potere”, senza alcuna minaccia, anche solo implicita.

La realtà presenta tuttavia una variegata costellazione di casi «ambigui, border line»23:

a) talvolta perché non è chiara la sussistenza di una vera e propria minaccia (sono ad esempio i casi in cui si controverte di una minaccia implicita o avente oggetto generico, oppure si discute sulla provenienza ab intrinesco del timore patito dalla vittima, come nei casi di timore reverenziale; come d’altra parte può, altresì, essere dubbia (ad es. perché implicita) la prospettazione di un vantaggio (che potrebbe in ipotesi essere generico o indeterminato);

b) altre volte perché la prospettazione di un danno, in caso di rifiuto di pagare la tangente, è accompagnata dalla prospettazione di un vantaggio, per il caso opposto.

Danno ingiusto e vantaggio indebito possono, in altri termini, essere compresenti nella vicenda di malaffare posta sotto la lente del giudice. Orbene, contrariamente a quanto si potrebbe a prima vista ritenere, per la soluzione di questi “casi difficili” le S.U. non introducono eccezioni che tradiscono la regola suesposta, contraddicendola24: si mostrano invece consapevoli di come, proprio nei casi difficili, il problema del criterio discretivo tra concussione e induzione indebita – così come, ieri e oggi, tra concussione e corruzione – si scarica sul processo, giocandosi sul terreno della prova (della sussistenza di una minaccia di un danno ingiusto, piuttosto che della prospettazione di un indebito vantaggio). E va da sé, per quanto si è detto, che lo standard probatorio in materia deve essere particolarmente elevato: l’interpretazione restrittiva della concussione impone in particolare la prova rigorosa dell’esistenza di una minaccia, cioè quantomeno di un minimum di comportamento minatorio, desumibile sulla base di riscontri oggettivi25. Se la prassi dovesse in futuro abbassare lo standard probatorio, facendo rientrare nella “costrizione” concussiva ipotesi inquadrate, prima della riforma, nella concussione per induzione (è ad es. il caso della cd. concussione ambientale), le intenzioni della riforma risulterebbero inesorabilmente tradite, gli spazi di impunità del privato si estenderebbero, e il nostro Paese si esporrebbe ai rimproveri degli organismi internazionali impegnati nella lotta al fenomeno corruttivo.

Quando poi danno e vantaggio sono compresenti – affermano le S.U. – il giudice, sempre sul terreno della prova, deve individuare “il dato di maggiore significatività” all’esito di “una valutazione approfondita ed equilibrata del fatto”: deve, in altri termini, compiere “un’indagine sulle spinte motivanti” che hanno sorretto la condotta degli agenti. Se prevale la prospettazione del danno ingiusto – e si può ritenere provato che il privato certat de damno vitando – siamo nell’orbita della concussione; se, viceversa, prevale in concreto la prospettiva di conseguire un vantaggio indebito – e si può pertanto affermare che il privato certat de lucro captando – la logica è quella negoziale propria dell’induzione indebita (piuttosto che, in caso di accertata par condicio contractualis, della corruzione).

Coerenti con le proprie premesse, le S.U. hanno escluso la concussione nella vicenda sottoposta al loro giudizio. Il caso è quello – classico – del pubblico ufficiale (in questo caso un ispettore del lavoro) che, rilevate alcune irregolarità, prospetta all’imprenditore la possibilità, dietro la promessa o la dazione di denaro o altra utilità, di porre nel nulla le relative contestazioni: il privato che ne asseconda la volontà è vittima di una concussione o coautore di un fatto di induzione indebita (piuttosto che di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio)? Le S.U. escludono la concussione perché “non risulta essere stata provata” laminaccia di un danno ingiusto, cioè una condotta costrittiva ravvisata dall’accusa in un’asserita – ma indimostrata – prospettazione di “gonfiare” gli importi delle sanzioni. In assenza di questa prova non può dirsi che l’imprenditore è stato “spinto alla tangente” dalla prospettiva di evitare un danno ingiusto; per contro, si deve concludere che egli, per conseguire un indebito vantaggio, conseguente a un atto del pubblico ufficiale contrario ai doveri d’ufficio, ha deliberatamente approfittato di una situazione favorevole, occasionata da un abuso di potere.

Qualora fosse invece stata provata laminaccia di un male ingiusto (nel caso di specie, quello di “gonfiare” gli importi delle sanzioni), il criterio formulato dalle S.U. avrebbe imposto alle stesse di pesare gli elementi, compresenti, del danno ingiusto e del vantaggio indebito, onde poter individuare quello prevalente, perché determinante nel processo motivazionale del privato, e inquadrare quindi il fatto nella figura della concussione o dell’induzione indebita ex art. 319 quater c.p. (piuttosto che della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio).

A ben vedere, come riconosce la sentenza Maldera, la coartazione del privato è possibile pur a fronte della prospettiva di un vantaggio, reale o apparente, che si accompagni alla minaccia di un danno ingiusto.

È però ben possibile, se non fisiologico – come ci sembra che finiscano per riconoscere le stesse S.U. nelle trame della loro articolata motivazione – che la prospettiva di un vantaggio indebito possa altresì fare da contraltare alla minaccia di un danno giusto; cioè di una conseguenza sfavorevole derivante dall’applicazione della legge (è proprio il caso, ad es., dell’irrogazione di una sanzione legittima per una violazione legittimamente accertata).

In quest’ultima ipotesi – che si pone al confine tra concussione, indebita induzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio – il criterio del danno ingiusto/ vantaggio indebito, scolpito dalla sentenza Maldera, sembrerebbe escludere la configurabilità in via di principio della concussione: parrebbe infatti mancare, per definizione, laminaccia di un danno ingiusto.

Il fatto sarebbe pertanto sempre inquadrabile nella previsione dell’art. 319 quater c.p., o dell’art. 319 c.p., con conseguente punibilità del privato. Questa soluzione, tuttavia, non persuade: se si muove dalla premessa teorica e metodologica di una nozione unitaria di minaccia – come fanno le S.U. – coerenza vuole che questa possa avere ad oggetto – nella concussione come nell’estorsione, nella violenza privata, nella violenza sessuale e così via – tanto un male ingiusto quanto un “male giusto”, cioè – lo ribadiamo – una conseguenza sfavorevole derivante dall’applicazione della legge: dall’esercizio di un diritto, di una facoltà o di un potere. L’ingiustizia del maleminacciato – nel diritto penale come nel diritto civile – ben può infatti essere determinata dall’uso distorto (abuso) del potere (o del diritto), che l’agente indirizza verso il conseguimento di un risultato estraneo a quelli per il conseguimento dei quali il potere stesso (o il diritto) gli è attribuito dall’ordinamento. Se ciò è vero, la minaccia realizzata con abuso di poteri e qualità (o di un diritto) ha allora per definizione ad oggetto un danno sempre ingiusto (o solo apparentemente giusto)26.

Sarebbe però affrettato ed errato ritenere che il prezzo da pagare per siffatta estensione del concetto di minaccia – imposta da esigenze di coerenza intrasistematica – sia la configurabilità della concussione (e la conseguente impunità del privato) in ogni caso in cui l’agente pubblico prospetti l’inflizione di un male “giusto”. Il giudice dovrà infatti pur sempre accertare l’idoneità della minaccia a incutere timore, nonché, ancor prima, la sua efficienza causale rispetto alla promessa o alla dazione dell’indebito.

Orbene, la concussione è in via di principio configurabile qualora, sulla base di riscontri oggettivi, si fornisca la prova, certo non agevole, che l’integerrimo privato, pur conseguendo un vantaggio per la mancata applicazione della legge in senso a lui sfavorevole, ha promesso o pagato la tangente contro la sua volontà, perché sopraffatto dal pubblico ufficiale.

L’ipotesi non è irrealistica, almeno in via di principio: da tempo i civilisti, in particolare nella materia dei vizi del consenso negoziale, riconoscono che la minaccia è compatibile con l’interesse del destinatario, come nel caso di chi viene costretto ad accettare una donazione27. È indubbia, anche in questo caso, l’offesa alla libertà di autodeterminazione di chi viene coartato a fare ciò che liberamente non avrebbe fatto (il penalista potrà d’altra parte scorgere, in una simile fattispecie, gli estremi di una violenza privata).

Senonché, in ragione di quanto abbiamo detto circa la necessaria interpretazione restrittiva del concetto di “costrizione”, il giudice che in casi analoghi a quello deciso dalle S.U. intendesse affermare la configurabilità della concussione – e mandare pertanto esente da pena il privato – dovrebbe in sostanza fornire la prova di una sopraffazione in presenza di un vantaggio indebito: dovrebbe cioè superare un decisivo elemento indiziario – la prospettiva di una locupletazione – che parla decisamente in senso contrario.

Non si tratta peraltro di una prova impossibile, per quanto certamente ardua. A ben vedere, infatti, le stesse S.U. ritengono configurabile la concussione in alcuni leading cases di minaccia di un male “giusto”, con conseguente vantaggio per il privato che promette o paga la tangente: a) il primario di cardiochirurgia, operante presso una struttura pubblica, che per dare indebitamente la precedenza su altri a un paziente pretenda una somma di denaro, allarmandolo circa l’urgenza dell’intervento salvavita; b) il poliziotto che, dopo aver chiesto i documenti a una prostituta extracomunitaria “irregolare”, la inviti a seguirlo per consumare un rapporto sessuale gratuito, pena una denuncia e la conseguente espulsione dal territorio dello Stato.

In entrambi i casi siamo in presenza della minaccia di un male giusto, come anche della prospettiva, per il privato, di conseguire un indebito vantaggio (scavalcare la lista d’attesa, evitare un procedimento di espulsione). Ciò che fa pendere l’ago della bilancia verso la concussione, piuttosto che verso l’induzione indebita (o la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio) – che comporterebbe l’odiosa punizione del privato (il paziente cardiopatico, la prostituta) – è la natura sopraffattoria della condotta, che assume i toni della prevaricazione prepotente in ragione della situazione di debolezza/vulnerabilità della vittima, intenta, come sottolineano le S.U., a preservare beni di rango elevato (la vita in un caso, la libertà di circolazione, nell’altro). Se però cambiamo le carte in tavola, e, ad esempio, al posto di un paziente cardiopatic omettiamo una anziana e ricca signora spregiudicata, che su pressante richiesta promette o porge al medico una bustarella per scavalcare una lunga lista di attesa per un intervento di chirurgia estetica non necessario e senz’altro differibile (una mastoplastica addittiva), non fatichiamo ad escludere la concussione, in favore della indebita induzione – punita nel minimo, si ricordi, con soli quindici giorni di reclusione.

Il fatto non si colora, qui, delle tinte della sopraffazione prepotente; prevalgono invece i colori del pactum sceleris.

A risultare decisiva è insomma l’indagine sul processo motivazionale dell’agente privato, tesa a cogliere, o a escludere, lo stato di vera e propria costrizione, che ci pare evidente nei due casi di scuola anzidetti: la sostanziale assenza di ragionevoli alternative rappresenta infatti il motivo dominante, se non assoluto, che spinge il cardiopatico in pericolo di vita a pagare il chirurgo per scavalcare una lunga lista d’attesa, ovvero la prostituta extracomunitaria a concedersi

gratuitamente al poliziotto, per evitare l’espulsione e il ritorno nel paese di origine che ha lasciato in cerca di fortuna.

I profili problematici

Restano ancora da affrontare alcuni profili problematici relativi:

a) ai criteri indicati dalla sentenza Maldera per distinguere la concussione dall’induzione indebita;

b) ai rapporti tra quest’ultima figura e le fattispecie di corruzione;

c) alle questioni di diritto intertemporale poste dalla riforma del 2012.

3.1 Oggettivo e soggettivo nei criteri indicati dalle S.U.

Per tracciare il confine tra concussione e indebita induzione la sentenza Maldera individua dunque parametri oggettivi (minaccia/non minaccia; danno/vantaggio), che nei casi difficili rendono centrale l’indagine, soggettiva, sulle spinte motivanti la promessa o la dazione indebita. Non si tratta di una contraddizione (l’abbandono di un criterio oggettivo, cercato in premessa, in favore di un criterio soggettivo)28; è invece una necessità imposta dalla fisionomia delle norme incriminatrici di cui si tratta, e dal relativo sostrato criminologico29. La minaccia – cioè la modalità della condotta decisiva per configurare la concussione – è caratterizzata dall’incidenza sulla psiche, e si regge giocoforza su meccanismi psichici (come d’altra parte l’induzione); la costrizione poi, che è l’evento della concussione (come dell’estorsione) è legata a quella condotta da un nesso di causalità, per l’appunto, psichica30. È evidente allora tutta la difficoltà del problema, annoso e forse irrisolvibile, affrontato dalla sentenza Maldera; un problema che, se non vediamo male, lascerebbe aperto anche una futuribile abolizione della concussione: si riproporrebbe infatti, tale e quale, rispetto alla figura generale dell’estorsione.

Detto ciò, ci sembra che la sentenza Maldera fornisca all’interprete importanti linee-guida, a cominciare dalla lettura restrittiva della concussione. È però vero, per quanto si è detto, che formule magiche non esistono – de lege lata e, forse, anche de lege ferenda – e che sarebbe auspicabile, dopo la sentenza Maldera, una maggiore consapevolezza, in primis da parte dei giudici, del carattere in gran parte probatorio/processuale del problema, che il diritto penale sostanziale non è in grado, da solo, di risolvere.

3.2 I rapporti tra induzione indebita e corruzione

La questione di diritto rimessa alle S.U. pone, se non altro indirettamente, il problema del confine tra l’induzione indebita e le fattispecie di corruzione.

È un problema non meno importante e complesso di quello dei rapporti tra induzione indebita e concussione, che però, a differenza di quest’ultimo, non riguarda l’an della punibilità del privato. L’alternativa preliminare che il giudice è chiamato a sciogliere, riguarda l’inquadramento del fatto oggetto del giudizio nello schema della concussione/costrizione, piuttosto che nella logica negoziale propria tanto dell’induzione indebita quanto della corruzione.

Solo quando gli elementi di prova indirizzino verso quest’ultimo esito si porrà la domanda sulla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 319 quater c.p., piuttosto che degli artt. 318, 319 o 322 c.p., con rilevanti conseguenze sul trattamento sanzionatorio.

Quanto al criterio discretivo tra induzione indebita e corruzione, la sentenza Maldera valorizza a ragione l’unico elemento di fattispecie valorizzabile de jure condito: l’abuso dei poteri e delle qualità dell’agente pubblico, che nella fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. rappresenta “strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita” da parte del privato. Mentre infatti la corruzione è caratterizzata “da un accordo liberamente e consapevolmente concluso, su un piano di sostanziale parità sinallagmatica, tra i due soggetti, che mirano ad un comune obiettivo illecito”, l’induzione indebita, invece, «è designata da uno stato di soggezione del privato, il cui processo volitivo non è spontaneo ma è innescato, in sequenza causale, dall’abuso del funzionario pubblico, che volge a suo favore la posizione di debolezza psicologica del primo». Per questa via le S.U., richiamando un tradizionale criterio di distinzione tra concussione e corruzione, riconoscono quale “indice sintomatico dell’induzione” l’iniziativa assunta dal pubblico agente31. È condivisibile al riguardo il giudizio, tranchant, di chi ha parlato in proposito di “molte ombre e poca luce”, per alludere alle persistenti difficoltà di distinguere la (vecchia) concussione per induzione (ora induzione indebita) dalla corruzione32; non ce la sentiamo però di muovere particolari rilievi alla sentenza Maldera, perché le “ombre” sono proiettate da un dato normativo che per nulla aiutava ieri, e aiuta oggi, l’interprete.

3.3 I profili di diritto intertemporale

Le questioni di diritto intertemporale poste dalla riforma della concussione, e dall’introduzione della nuova figura delittuosa di cui all’art. 319 quater c.p., vengono affrontate dalle S.U. impiegando, quale criterio di accertamento dell’abolitio criminis, il raffronto strutturale tra le fattispecie legali astratte in successione temporale. Viene così ribadito un punto di vista cristallizzato ormai da oltre un decennio nella giurisprudenza delle S.U. L’abolitio criminis comporta la perdita di rilevanza penale di una certa classe di fatti e, in un sistema retto dal principio di legalità, è la fattispecie legale lo strumento di “selezione” o di “de-selezione” dei fatti penalmente rilevanti33.

Ne consegue – si legge nella sentenza Maldera – che «l’interprete, nel condurre l’operazione di verifica circa la sussistenza o no di continuità normativa tra leggi penali succedutesi nel tempo, deve procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte, quelle precedenti e quelle successive, al fine di stabilire se vi sia o no uno spazio comune alle dette fattispecie, senza la necessità di ricercare conferme o smentite al riguardo nei criteri valutativi del bene giuridico tutelato e delle modalità di offesa, inidonei ad assicurare approdi interpretativi sicuri.

È il solo confronto strutturale a consentire, in via autonoma, l’individuazione della continuità o della portata demolitoria che l’intervento legislativo posteriore ha eventualmente spiegato sugli elementi costitutivi del fatto tipico previsto dalla normativa precedente»34. Con l’ulteriore precisazione che «può accadere anche che il sistema giuridico risultante dopo l’abrogazione di una norma incriminatrice (nella specie, la concussione per costrizione commessa dall’incaricato di pubblico servizio) continua ad allegare rilevanza penale al fatto in essa descritto, in quanto inquadrabile in altra fattispecie che, già prevista dall’ordinamento giuridico, diviene applicabile, nel caso considerato, solo dopo la modifica legislativa.

In tale evenienza, si parla comunemente di abrogatio sine abolitione, fenomeno che si verifica quando ad essere abrogata è una norma incriminatrice in rapporto di specialità con altra norma avente regolare efficacia operativa, perché preesistente a quella abrogata».

Sulla scorta di questi principi, che regolano la materia della successione di leggi penali, le S.U. finiscono per negare che la riforma del 2012 abbia comportato una abolitio criminis.

I fatti di concussione per costrizione, realizzati prima della novella legislativa dall’incaricato di un pubblico servizio, – estromesso dai soggetti attivi del delitto di cui all’art. 317 c.p. – conservano rilevanza penale (per gli effetti di cui all’art. 2, co. 4, c.p.) in quanto riconducibili a fattispecie generali già previste dall’ordinamento: l’estorsione (in presenza di un fine di profitto), piuttosto che la violenza privata o la violenza sessuale35.

I fatti di concussione per induzione realizzati dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio restano penalmente rilevanti, senza soluzione di continuità, perché riconducibili, dal lato del soggetto attivo (l’unico sanzionato prima della riforma), alla previsione dell’art. 319 quater, co. 1, c.p., che ricalca alla lettera quella del previgente art. 317 c.p.36.

La perdurante rilevanza penale di quei fatti non viene influenzata dalla sopravvenuta incriminazione del privato (art. 319 quater, co. 2, c.p.)37, fatta eccezione per i fatti di “concussione fraudolenta”. La scelta politico-criminale di punire il privato indotto si ripercuote infatti, a nostro avviso, sulla fisionomia della fattispecie legale e sul relativo disvalore legale, nella limitata misura in cui attribuisce alla condotta di ‘induzione’ un significato incompatibile con l’inganno (sarebbe irragionevole punire chi ne resta vittima38); ne consegue che i fatti di concussione fraudolenta realizzati prima della l. n. 190/2012 conservano rilevanza penale solo se inquadrabili nell’ipotesi generale della truffa39; diversamente l’esito – nonostante il silenzio della sentenza Maldera – sarà quello della (parziale) abolitio criminis.

1 Si rinvia a tale riguardo alla voce pubblicata in una precedente edizione della presente opera: Viganò, F., La riforma dei delitti di corruzione, in Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, p. 153 s.

2 Cass. pen., S.U., 24.10.2013, n. 12228, (dep. 14 marzo 2014), “sentenza Maldera”, in www.penalecontemporaneo.it, 17.3.2014.

3 Sui quali v. Garofoli, R., Concussione e indebita induzione: il criterio discretivo e i profili successori, in www.penalecontemporaneo.it, 3.5.2013.

4 Cass. pen., sez. VI, 4.12.2012, n. 8695, “sentenzaNardi”, in www.penalecontemporaneo.it, 28.2.2013, con annotazione di F. Viganò.

5 Cass. pen., sez. VI, 3.12.2012, n. 3251, “sentenza Roscia”, in www.penalecontemporaneo.it, 4.2.2013.

6 Cass. pen., sez. VI, 11.2.2013, n. 11794, “sentenza Melfi”, in www.penalecontemporaneo.it, 15.3.2013.

7 Così Padovani, T.,Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Arch. pen., 2012, p. 788.

8 Cfr., da ultimo,Mongillo, V., La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale. Effetti, potenzialità e limiti di un diritto penale “multilivello” dallo Stato nazione alla globalizzazione, Napoli, 2012, p. 59 s.

9 Cfr., tra gli altri,Dolcini, E., Appunti su corruzione e legge anti-corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 537 s.; Viganò, F., La riforma dei delitti di corruzione, cit., p. 160 s.

10 Cfr. Spena, A., Per una critica dell’art. 319 quater c.p. Una terza via tra concussione e corruzione?, in Dir. pen. cont., 2013, fasc. 3, p. 219. È d’altra parte ciò che avviene negli ordinamenti che non conoscono la concussione. Non solo: è un problema che già oggi si pone nel nostro ordinamento in rapporto ai fatti commessi dall’incaricato di un pubblico servizio, estromesso dal novero dei soggetti attivi della concussione riformata, che – lo sottolinea la sentenza Maldera – se non può rispondere di concussione ben può rispondere di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 61, n. 9, c.p.

11 Non si dimentichi che nel periodo di gestazione della riforma l’ex Presidente del Consiglio e leader del centro-destra, Silvio Berlusconi, era stato rinviato a giudizio dal Tribunale diMilano, proprio e anche per il delitto di concussione, nell’ambito del noto “caso Ruby”.

12 È un rilievo diffuso in dottrina. V., per tutti, Romano, M., I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali. Commentario sistematico al codice penale, Milano, III, 2013, sub art. 319 quater, p. 233.

13 Così Forti, G., Sulle riforme necessarie del sistema penale italiano: superare la centralità della risposta carceraria, in Dir. pen. cont., 2012, fasc. 3-4, p. 181.

14 Cfr., quanto al Working Group on Bribery, costituito nell’ambito dell’OCSE, il rapporto del maggio del 2014 (p. 4) intitolato “Italy: Follow-up to the Phase 3 Report&Raccomandations”. Quanto al Groupe d’États contre la Corruption (GRECO), costituito nell’ambito del Consiglio d’Europa, v. il rapporto approvato nel corso della 64ª riunione plenaria del 16-20 giugno 2014, intitolato “Third Evaluation Round. Compliance Report on Italy. “Incriminations (ETS 173 and 191, GPC 2)” P Transparency of Party Fundig”. Entrambi i rapporti possono leggersi in www.penalecontemporaneo.it, 9.10.2014, con osservazioni di M. Montanari.

15 Cfr., tra gli altri, Antolisei, F.,Manuale di diritto penale, pt. spec., II, XV ed., a cura di C.F. Grosso,Milano, 2008, p. 353 s. V. anche, volendo, Gatta, G.L., La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Roma, 2013, p. 81 s.

16 Cfr., tra gli altri, Padovani, T., Metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 789 e, volendo,Gatta,G.L., La minaccia, cit., p. 221 s.

17 In questo senso v., tra gli altri, Padovani, T., op. cit., p. 788; Pulitanò, D., La novella in materia di corruzione, in Cass. pen., 2012, supplemento n. 11, p. 9; Romano,M., I delitti contro la Pubblica Amministrazione, cit., p. 234; Seminara, S., I delitti di concussione e induzione indebita, in Mattarella, B.G.-Pelissero,M., a cura di, La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, 383; Ronco,M., L’amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in Arch. pen., 2013, p. 47 s. Sia consentito rinviare, inoltre, a Gatta, G.L., La minaccia, cit., p. 221 s.

18 Cfr., per tutti, Mantovani, F., Diritto penale, pt. spec., II, Delitti contro il patrimonio, IV ed., Padova, 2014, p. 104.

19 Gatta, G.L., op. cit.

20 Ci sia consentito rinviare, sul punto, a Gatta, G.L., op. cit., p. 218. Tra i civilisti v. Trabucchi, A., Violenza (vizio della volontà) (diritto vigente), in Nss. D. I., vol. XX, Torino, 1975, p. 947.

21 Cfr. Gatta, G.L., op. cit., p. 216.

22 Cfr. Mongillo, V., L’incerta frontiera. Il discrimine tra concussione e induzione indebita nel nuovo statuto penale della pubblica amministrazione - Aspettando le Sezioni Unite, in Dir. pen. cont., 2013, fasc. 3, p. 202.

23 Per questa terminologia, ripresa dalle Sezioni Unite, e per la casistica cui si riferisce, v. l’ampio e articolato studio di Mongillo, V., L’incerta frontiera, cit., p. 168.

24 Per questo rilievo critico v. invece, tra gli altri, Seminara, S., Concussione e induzione indebita al vaglio delle Sezioni Unite, in Dir. pen. e processo, 2014, p. 564.

25 Attorno a questa idea ruota lamotivazione della sentenza con la quale la Corte d’Appello diMilano ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dal delitto di concussione, ascrittogli nell’ambito della già ricordata “vicenda Ruby”. Cfr. App.Milano, 18.7.2014, (dep. 16.11.2014), Berlusconi, in www.penalecontemporaneo.it, 17.11.2014.

26 È questa la ragione per la quale, come abbiamo altrove sostenuto, non persuade il criterio, adottato dall’orientamento giurisprudenziale inaugurato con la citata sentenza Roscia, che fa leva sulla dicotomia minaccia di danno ingiusto (concussione) / minaccia di danno giusto (induzione indebita). Cfr., diffusamente, Gatta, G.L., La minaccia, cit., p. 212 s.

27 Cfr. Funaioli, G.B., La teoria della violenza nei negozi giuridici, Roma, 1927, p. 102.

28 Per questo rilievo v., invece, tra gli altri, Donini,M., Il corr(eo)indotto tra passato e futuro. Note critiche a SS.UU., 24 ottobre 2013-14 marzo 2014, n. 29180, Cifarelli, Maldera e a., e alla l. n. 190 del 2012, in Cass. pen., 2014, p. 1499.

29 Cfr. Pelissero,M., Il ruolo della vittima ad un bivio: il fenomeno della corruzione, in Venafro, E.-Piemontese, C., a cura di, Ruolo e tutela della vittima in diritto penale, Torino, 2004, p. 169.

30 Cfr. Stella, F., Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, II ed., Milano, 2000, p. 104 s. e, in particolare, p. 107.

31 Ancora più difficoltoso – affermano le S.U. – è distinguere l’istigazione alla corruzione attiva (art. 322 c.p., co. 3 e 4) dall’induzione indebita nella forma tentata. A tal proposito le S.U. osservano come «sotto il profilo linguistico, il concetto di “induzione” presuppone un quid pluris rispetto al concetto di “sollecitazione” di cui all’art. 322 c.p., commi 3 e 4, e deve essere colto nel carattere perentorio ed ultimativo della richiesta e nella natura reiterata ed insistente della medesima. Sul piano strutturale, la condotta induttiva, diversamente dalla sollecitazione, deve coniugarsi dinamicamente con l’abuso, sì da esercitare sull’extraneus una pressione superiore rispetto a quella conseguente alla mera sollecitazione. Rimane integrata quest’ultima, invece, nell’ipotesi in cui il pubblico agente propone al privato un semplice scambio di favori, senza fare ricorso ad alcun tipo di prevaricazione, sicché il rapporto tra i due soggetti si colloca in una dimensione paritetica».

32 Cfr. Seminara, S., Concussione e induzione indebita, cit., p. 564.

33 Troviamo qui conferma di quanto abbiamo sostenuto in Gatta, G.L., Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Milano, 2008, p. 145.

34 Cfr. Cass. pen., S.U., 26.2.2009, n. 24468, “sentenza Rizzoli”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 887 s., con nota di Gatta, G.L., Abolizione dell’amministrazione controllata e abolitio criminis della bancarotta impropria ex art. 236, comma 2, n. 1 legge fallimentare; Cass. pen., S.U., 26.3.2003, n. 25887, “sentenza Giordano”, ivi, 2003, p. 1503 s., con nota di Pecorella, C., C’è spazio per criteri valutativi nell’abolitio criminis?

35 Cfr., tra gli altri, Dolcini, E., Appunti su corruzione e legge anti-corruzione, cit., p. 550 (in nota).

36 Nello stesso senso v., tra gli altri, Pulitanò, D., La novella in materia di corruzione, cit., p. 17; Viganò, F., La riforma dei delitti di corruzione, cit., p. 156.

37 Cfr., in questo senso, Seminara, S., op. cit., p. 567. Per la tesi contraria v. tra gli altri, diffusamente, Donini, M., Il corr(eo)indotto, cit., p. 1482 s.

38 Cfr., per tutti, Padovani, T., Metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 789.

39 Cfr. Seminara, S., op. cit., p. 5.