Concorso eventuale nel reato associativo [dir. pen.]

Diritto on line (2014)

Concorso eventuale nel reato associativo [dir. pen.]

Elvira Dinacci

Abstract

Viene esaminata, alla luce delle molteplici elaborazioni dottrinali e dei numerosi precedenti giurisprudenziali, la dibattuta e controversa figura del concorso eventuale nei reati associativi, con particolare riguardo all’operatività e conseguente applicabilità della normativa generale disciplinante il concorso di persone nel reato (artt. 110 e ss. c.p.) alle fattispecie necessariamente plurisoggettive.

Premessa

Il costante incremento della criminalità organizzata, sia di tipo politico-terroristico che di stampo mafioso, ha creato problematiche interferenze tra l’istituto del concorso di persone nel reato ed il reato associativo.

Il profilo maggiormente problematico attiene alla eventualità di ravvisare, pur nella consapevolezza dei differenti connotati di peculiarità che contraddistinguono le due diverse figure, una possibile compatibilità tra le fattispecie criminose necessariamente plurisoggettive e le disposizioni generali di cui agli artt. 110 ss. c.p., con conseguente operatività della relativa disciplina anche avuto riguardo ad illeciti strutturalmente concorsuali.

In altre parole, a fronte dell’inevitabile interazione tra le fattispecie associative e la disciplina generale della partecipazione criminosa, la questione di maggiore attualità e di massimo interesse teorico è rappresentata dalla possibile configurabilità di un concorso eventuale, ex art. 110 c.p., ad un’associazione criminosa da parte di soggetti estranei all’associazione stessa, ovvero da parte di soggetti diversi dai concorrenti necessari.

La questione agita tuttora il dibattito giuspenalistico creando un singolare processo osmotico tra elaborazioni dottrinali ed intuizioni giurisprudenziali.

La problematica deve buona parte della sua notorietà, che ha ormai travalicato i confini delle aule giudiziarie e dei dibattiti accademici, all’esigenza politico-criminale, progressivamente sempre più avvertita, di garantire un’adeguata risposta repressiva alle condotte di “contiguità” e di “fiancheggiamento” delle organizzazioni criminali realizzate da soggetti ad esse estranei.

Profili sistematici e origine storica

Il fondamento normativo su cui ancorare la responsabilità penale dell’extraneus viene individuato nell’art. 110 c.p.; disposizione questa secondo la quale, come noto, quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, senza alcun riferimento alla natura monosoggettiva o plurisoggettiva del reato rispetto al quale si realizza la partecipazione.

Benchè l’ordinamento giuridico preveda fattispecie incriminatrici ad hoc, appositamente create per sanzionare condotte “contigue” al sodalizio criminale, il ricorso all’art. 110 c.p. costituisce lo strumento più idoneo per attribuire rilevanza penale a tutte quelle condotte tese a contribuire al “rafforzamento” dell’associazione ed al raggiungimento degli scopi propri della stessa, nella misura in cui tali comportamenti siano realizzati da soggetti formalmente estranei alla societas sceleris.

Se si muove, infatti, dal presupposto che la rilevanza penale di una partecipazione al reato associativo implichi necessariamente l’acquisizione del ruolo precostituito e formale di associato, ne consegue l’apertura di vuoti di tutela in tutti quei casi in cui il soggetto che pone in essere comportamenti vantaggiosi per l’associazione non sia organicamente inserito in essa; a tal fine, è stata prospettata l’ipotesi-soluzione del concorso eventuale cd. “esterno”, ex art. 110 ss. c.p. nel reato associativo che di volta in volta viene in questione (associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, banda armata etc.).

La compatibilità di un concorso eventuale nei reati associativi trova appunto fondamento nella disciplina generale del concorso di persone, il cui significato è la costruzione di una fattispecie plurisoggettiva nella quale la tipicità di condotte di per sé atipiche si costruisce rispetto alla fattispecie di parte speciale.

Il concorso eventuale-esterno nei reati associativi sembrerebbe essere ammesso in via di principio, sui medesimi presupposti secondo cui il concorso mediante condotte atipiche è ammesso in relazione agli altri reati. Ciò, però, costituisce sola la premessa, senza risolvere il problema della individuazione dei presupposti di un concorso “esterno” in relazione ai delitti di associazione, per l’evidente “brama estensiva” che connota l’art. 110 c.p. (non dice quando si concorre, ma solo che è punito chi concorre) e per la vuotezza di contenuti tipizzanti che è caratteristica delle fattispecie associative.

Storicamente,la prima importante analisi giurisprudenziale dell’argomento, è stata compiuta sul finire degli anni ‘60, in relazione a fattispecie di reati associativi di eversione politica, ponendosi il problema dell’an e del quomodo della punibilità delle condotte di sostegno “esterno” alle organizzazioni terroristiche. Con specifico riferimento al reato previsto all’art. 305 c.p., la configurabilità del concorso eventuale venne per la prima volta affermata dalla I Sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 1569 del 27.5.1969. La teorica del concorso eventuale nel reato associativo, elaborata nella sentenza citata anticipava i profili fondamentali dell’istituto: un elemento oggettivo costruito sull’efficienza causale di un contributo “fattivo” all’attività del gruppo; la riconoscibilità del concorrente quale non “membro” dell’associazione, e l’elemento soggettivo, incentrato sulla consapevolezza dei vantaggi arrecati al gruppo.

Successivamente gli stessi principi vennero affermati dalla giurisprudenza nei grandi processi di terrorismo; va ricordata in proposito la sentenza “Arancio” del 1984, concernente la condotta di un avvocato che aveva assicurato il collegamento tra terroristi detenuti e complici esterni, con la quale la Suprema Corte riconobbe che le norme sul concorso eventuale di persone nel reato possono trovare applicazione rispetto al reato di partecipazione a banda armata, specificando che «commette il delitto di concorso in banda armata, e non già quello di favoreggiamento, il difensore che svolge il ruolo di tramite tra i terroristi detenuti e quelli liberi, al fine di comunicare notizie utili all’esistenza della banda in quanto tale».

Eppure, quella giurisprudenza non suscitò reazioni dottrinali o culturali di particolare dissenso, analoghe a quelle registratesi, successivamente, per le decisioni relative al concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso (Ardizzone, S., Il concorso esterno di persone nel delitto di associazione di tipo mafioso e negli altri reati associativi,in Riv. trim. dir. pen. econ., 1998, 745).

Gli orientamenti dottrinali

L’orientamento dottrinale contrario

Parte della dottrina, tuttavia, con riguardo ai reati associativi, sulla base di argomentazioni di ordine costituzionale, dogmatico nonché interpretativo-sistematico, ha criticato, laddove addirittura negato, l’ammissibilità sic et simpliciter di un concorso “esterno”.

Sotto il profilo costituzionale, si sono evidenziati i rischi che potrebbero derivare, in termini di lesione al principio di legalità, dalla crasi tra la vocazione estensiva della punibilità, propria dell’istituto del concorso (in grado di attribuire rilevanza penale anche a condotte rispetto a quelle tipizzate dalla fattispecie incriminatrice cui, di volta in volta, si fa riferimento) e la strutturale indeterminatezza delle condotte punite nell’ambito del reato associativo; in altre parole, si provocherebbe una perniciosa mescolanza suscettibile di fornire alla giurisprudenza l’ancoraggio normativo per operare al di fuori del canone di tassatività nell’applicazione della legge penale (in questi termini, cfr. Insolera, G., Il concorso esterno in delitti associativi: la ragione di stato e gli inganni della dogmatica, in Foro it., 1995, II, 243).

Rimanendo ancora sulla quaestio costituzionalistica, si è altresì denunciata la violazione del principio costituzionale dell’eguaglianza; violazione che discenderebbe dall’incriminazione a titolo di concorso “esterno” delle condotte di “fiancheggiamento” dell’associazione delittuosa, col risultato di una (irragionevole) equiparazione sanzionatoria tra queste ultime e le più gravi condotte di partecipazione (in tal senso, cfr. Manna, A., L’ammissibilità di un c.d. concorso esterno nei reato associativi, tra esigenze di politica criminale e principio di legalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1194; sul tema, v. Insolera, G., Il concorso esterno in delitti associativi: la ragione di stato e gli inganni della dogmatica, cit., 425).

Anche la dottrina favorevole alla configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo, non disconosce il fondamento dei rilievi sopra prospettati, sottolineando tuttavia come l’equiparazione del trattamento penale del concorrente a quello del partecipe e l’ampio spazio interpretativo di cui gode la giurisprudenza nell’individuare delle condotte punibili, rappresentino una diretta conseguenza dell’opzione in favore di un modello indifferenziato e sensibilmente indeterminato di responsabilità concorsuale: un modello che almeno tendenzialmente, prescinde da una differenziazione “qualitativa” dei singoli contributi e consente l’ingresso, nell’area della responsabilità penale di condotte “atipiche” rispetto alle fattispecie incriminatrici di parte speciale (relativamente al primo aspetto, si veda Paci, C.G., Osservazioni sull’ammissibilità del concorso eventuale nel reato di associazione a delinquere di tipo mafioso, in Cass. pen., 1995, 548; sul secondo cfr. De Francesco, G.A., Dogmatica e politica criminale nei rapporti tra concorso di persone ed interventi normativi contro il crimine organizzato, in Riv. dir. proc. pen., 1994, 1292).

Sotto il profilo dogmatico, secondo alcuni autori la configurabilità del concorso esterno dovrebbe essere esclusa a fronte dell’impossibilità di differenziare in concreto la condotta “passiva” dell’extraneus da quella “attiva” del partecipe all’associazione; ambedue le condotte, infatti, andrebbero individuate attraverso il medesimo criterio di tipizzazione causale, giacchè entrambe si risolverebbero in un contributo al consolidamento, al mantenimento od al rafforzamento dell’organizzazione criminale, senza altri connotati di tipicità fuorchè l’accertamento di un nesso causale tra il contributo medesimo e le sorti della societas sceleris.

In altri termini, posto che la partecipazione all’associazione è una condotta a “forma libera”, consistendo in un «obiettivo contributo idoneo ed adeguato a dar vita autonoma al sodalizio (nel caso di associazione al momento della sua organizzazione) o ad arricchirlo e potenziarlo (nel caso di associazione in un momento successivo)» (così, Ingroia, A., Associazione di tipo mafioso, Milano, 1993, 41), se il soggetto fornisce un contributo alla vita dell’organizzazione illecita sarà punibile a titolo di partecipazione, diversamente la sua condotta sarà penalmente irrilevante (sul punto cfr. Insolera, G., Problemi di struttura nel concorso di persone nel reato, Milano, 1986, 148).

Se così fosse, però, il medesimo rilievo dovrebbe valere per tutte le fattispecie criminose causalmente orientate a forma libera (ivi comprese quelle monosoggettive), laddove le condotte concorsuali punibili vengono selezionate in funzione del loro legame al medesimo decorso causale che ha prodotto l’evento; è l’ipotesi dell’omicidio, nel quale «pur tuttavia, rimane agevole distinguere, sul piano eziologico, colui che ha sparato, da chi ha fornito la pistola» (Visconti, C., Il tormentato cammino del concorso esterno nel reato associativo, in Foro it., 1994, II, 570).

Altra parte della dottrina ha proposto di differenziare la condotta di partecipazione, accogliendo una nozione “restrittiva” di quest’ultima, intesa come stabile inserimento all’interno della compagine sociale (Iacoviello, F.M., Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazione per delinquere, in Cass. pen., 1995, 862), con la conseguenza che «per far parte dell’associazione è necessario che questa tramite i suoi organi, abbia accettato il soggetto come socio o comunque gli abbia riconosciuto, per facta concludentia, tale qualità» (in questi termini, Spagnolo, G., L’associazione di tipo mafioso, 1993, 138; in tal senso anche De Liguori, A., Concorso eventuale e reati associativi, in Cass. pen., 1989, 37).

Si sono inoltre segnalate tre “aporie dogmatiche” cui andrebbe incontro la figura del concorso esterno nelle fattispecie associative, la quale finirebbe per essere assoggettata ad un regime penale addirittura più sfavorevole rispetto alla piena partecipazione dell’associazione: ciò dipenderebbe dalla contemporanea applicabilità, a carico del concorrente, ma non del partecipante, delle norme che disciplinano il concorso di persone.

In primo luogo il concorrente “esterno” potrebbe subire l’applicazione della circostanza aggravante del numero di persone concorrenti nel reato prevista dall’art. 112, n. 1, c.p.

In secondo luogo, nell’eventualità che muti il piano delittuoso inizialmente stabilito dai componenti del sodalizio criminale, trasformandosi in più grave delitto associativo per volontà di alcuni soltanto dei partecipanti, l’estraneo risponderebbe di quest’ultimo diverso reato in forza dell’art. 116 c.p., come conseguenza della sua azione od omissione: lo stesso non accadrebbe, invece, per coloro che non abbiano voluto aderire al successivo proposito criminale, benché partecipi della prima ora.

Infine, egli troverebbe un significativo ostacolo al riconoscimento in suo favore della desistenza di cui all’art. 56, comma 3, c.p.: secondo gli orientamenti della giurisprudenza in materia di concorso di persone, non gli sarebbe sufficiente il mero recesso dall’associazione (come per il partecipante), bensì dovrebbe comunicare tale intenzione agli ex soci ed adoperarsi per neutralizzare l’azione precedentemente compiuta (Martusciello, V., Profili giurisprudenziali verifiche dogmatiche sul concorso eventuale in fattispecie associative, in Studi in memoria dell’Andro, II, 1994, 589).

Con specifico riferimento al delitto di associazione di tipo mafioso, sulla base di una interpretazione sistematica della normativa antimafia, un autore ha ritenuto di poter escludere la configurabilità del concorso esterno nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. posto che il legislatore, non trascurando il problema del disvalore inerente alle condotte di “contiguità”, ha previsto disposizioni idonee a sanzionarle penalmente, al di fuori però del paradigma del concorso in associazione mafiosa (Siracusano, D., Il concorso esterno e le fattispecie associative, in Cass. pen., 1993, 1870). In tal modo il legislatore avrebbe ricondotto tutte le condotte di sostegno esterno all’associazione mafiosa esclusivamente nell’alveo della fattispecie di «Assistenza agli associati» (art. 418 c.p.), ovvero qualora tali forme di sostegno integrino gli estremi di altri autonomi reati, sotto l’art. 7 della legge del 12.7.1991, n. 203, il quale dispone una circostanza aggravante ad effetto speciale «per i delitti con pena diversa dall’ergastolo commessi … al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416 bis c.p.». Diversamente, a detta di tale autore, si perverrebbe ad una soluzione contraddittoria sotto il profilo politico-criminale e, prima ancora, di ordine logico: ovvero punire l’extraneus più gravemente (a titolo di concorso esterno nell’associazione mafiosa) per una condotta di per sé lecita, mentre soltanto con una circostanza aggravante (il citato art. 7) per una condotta già illecita (in quanto integrante gli estremi di un autonomo reato) e realizzata al fine di agevolare l’ente criminale.

L’orientamento dottrinale favorevole

Tali osservazioni sono state sottoposte ad un duplice vaglio critico. Da una lato si è evidenziata la non coincidenza tra i requisiti oggettivi ritenuti necessari per la configurabilità del concorso eventuale ed il contenuto della sopra menzionata circostanza aggravante, che risulta invece incentrata su un dato esclusivamente soggettivo e cioè sulla finalità di agevolare l’ente criminale; per la sua integrazione, quindi, non è chiesto che lo scopo sia concretizzato in un esito di effettivo rafforzamento del sodalizio, qualora ciò avvenga, il delitto così aggravato potrebbe affiancarsi al concorso eventuale nel reato associativo (in tale direzione, De Francesco, G.A., Dogmatica e politica criminale nei rapporti tra concorso di persone ed interventi normativi contro il crimine organizzato, in Riv. dir. proc. pen., 1994, 1297). Per altro verso, si è giudicata logicamente scorretta la comparazione tra la natura già delittuosa della condotta cui è applicabile la circostanza aggravante e la presunta liceità della condotta sussunta contro la figura del concorso esterno; in realtà tale condotta dovrebbe considerarsi ab origine penalmente illecita nella misura in cui integri gli estremi di una forma di contributo concorsuale alla vita dell’associazione criminale punibile ex art. 110 c.p. (così Visconti, C., Il tormentato cammino del concorso esterno nel reato associativo, in Foro it., 1994, II, 573).

Altra dottrina, sempre in una prospettiva di ordine interpretativo-sistematico, ha individuato nel codice penale un dato testuale che avallerebbe la tesi favorevole all’ammissibilità del concorso esterno nei reati associativi: si tratta dell’espressione «fuori dei casi di concorso nel reato», clausola rinvenibile, rispettivamente, negli artt. 307 e 418 c.p., ove si punisce «chiunque da rifugio e fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluni che partecipano all’associazione». L’uso del termine «concorso» nella prima parte delle norme citate e del termine «partecipi» nella rimanente parte del testo, non sarebbe altrimenti spiegabile se non con la tesi secondo cui il legislatore, con la locuzione «concorso nel reato», ha voluto far riferimento ad una condotta diversa da quella del partecipante e cioè, al concorrente eventuale (cd. esterno) nel reato associativo (Saglia, S., Osservazioni in tema di concorso eventuale nel reato di associazioni mafiosa, in Giust. pen. 1992, II, 310; Grosso, C.F., Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed irrilevanza penale, in Riv. dir. proc. pen., 1993, 1190; per una confutazione di tale argomento, v. Insolera, G., voce Concorso di persone nel reato, in Dig. pen., II, Torino, 1988, 429).

Non è mancato tuttavia chi, pur condividendo la tesi possibilista del concorso esterno, attribuisce un significato diverso alla locuzione «concorso nel reato»: questa, infatti, potrebbe essere stata dettata dalla necessità di sintetizzare in un’unica espressione l’intero fascio di condotte punibili in ambito associativo (promotore, capo, organizzatore, partecipe), in quanto tutte suscettibili di ricomprendere e quindi assorbire la fattispecie di assistenza agli associati (Visconti, C., Il tormentato cammino del concorso esterno nel reato associativo, cit., 568).

Per quanto attiene l’elemento soggettivo del reato, si segnala come la maggioranza della dottrina e prevalente giurisprudenza, oramai, ammetta pacificamente la possibilità che si concorra con dolo generico in un reato a dolo specifico, purchè altri concorrenti (o anche solo uno tra essi), siano provvisti di tale profilo soggettivo (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2001, 457; la posizione è condivisa anche da autori pur avversi al concorso “esterno”: v. significativamente Insolera, G., voce Concorso di persone nel reato, cit., 476).

In conclusione, l’orientamento favorevole al concorso esterno si basa su argomentazioni di natura preminentemente politico-criminale, soprattutto in relazione alle associazioni di stampo mafioso: la necessità di colpire con la sanzione penale il fenomeno della contiguità mafiosa, riconoscibile nei comportamenti di quei soggetti, esponenti del mondo delle professioni, dell’imprenditoria, della politica, i quali pur essendo estranei al sodalizio e non condividendone gli scopi, sovente sono disponibili, per ragioni di interesse personale o per compromissione ambientale, a compiere atti a vantaggio dell’organizzazione criminale contribuendo alla sopravvivenza e/o consolidamento di quest’ultima (Grosso, G.F., Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed irrilevanza penale, cit., 1190; Turone, G., Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 1995, 327).

Le critiche a tale impostazione prendono viceversa le mosse dalla considerazione che in un sistema penale ispirato al principio di legalità, le scelte di incriminazione sono demandate al legislatore, ragion per cui le condotte criminali dovrebbero essere sanzionate attraverso la previsione di specifiche fattispecie incriminatrici, sul modello dell’art. 416 ter c.p., da affiancare alle altre figure tipiche che già inquadrano apporti esterni al sodalizio, quali gli artt. 307 e 418 c.p., ovvero alla generale ipotesi di favoreggiamento (Martusciello, V., Profili giurisprudenziali verifiche dogmatiche sul concorso eventuale in fattispecie associative,cit., 617; Manna, A., L’ammissibilità di un c.d. concorso esterno nei reati associativi, tra esigenze di politica criminale e principio di legalità, cit., 1199).

Il contrasto giurisprudenziale

La tesi negazionista

La cd. tesi “negazionista” rispetto alla configurabilità del concorso materiale esterno nel reato associativo è stata sostenuta, con specifico riferimento al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., sul finire degli anni ’80, argomentando, principalmente, dalla pretesa indistinguibilità tra condotta del partecipe e quella del concorrente esterno, sul presupposto che la condotta partecipativa tipica si sostanziasse non già in uno status o in un mero atteggiamento psicologico di adesione agli scopi del sodalizio criminale, bensì in un fattivo contributo alla sua esistenza ed attività; con la conseguenza che «una condotta che concretamente favorisce le attività e il perseguimento degli scopi sociali, posta in essere da un soggetto esterno al sodalizio, ove sia accompagnata dalla coscienza e dalla volontà di raggiungere attraverso quegli atti, anche se di per sé leciti, pure i fini presi di mira dall’associazione e fatti ‘propri’, non può essere punita a titolo di concorso eventuale, trattandosi piuttosto di un’attività che realizza, perfezionandosi l’elemento oggettivo e quello soggettivo, il fatto tipico previsto dalla norma istitutiva della fattispecie associativa» (così, Cass. pen., 21.3.1989, n. 8864). In altre parole, essendo la condotta associativa e quella concorsuale tipizzate attraverso il medesimo criterio di orientamento causale, si è ritenuto che esse fossero, di fatto, indistinguibili: chiunque fornisca un tale consapevole contributo va considerato “partecipe” dell’organizzazione, mentre, se il contributo manca, neppure può esservi concorso nel reato.

Tale indirizzo, rimasto inizialmente isolato, ha ripreso vigore grazie a due sentenze della I Sezione della Cassazione, entrambe del 18.3.1994 (Cass. pen, 18.3.1994, n. 2342 e n. 2348), con le quali si è ribadita l’impossibilità di distinguere, in concreto, la figura del concorrente esterno da quella del “partecipe”, atteso che le condotte risulterebbero perfettamente sovrapponibili sia sul piano oggettivo (apporto causale alla vita dell’associazione), sia sotto il profilo soggettivo (consapevolezza e volontà illecite perseguite dall’associazione). In particolare, nella prima decisione si afferma che «al di fuori dell’ipotesi del concorso morale consistente nel determinare o, comunque, rafforzare la volontà altrui di partecipare ad un’associazione per delinquere o di promuoverla o dirigerla od organizzarla, non è configurabile il concorso eventuale, ex art. 110 c.p., nell’associazione per delinquere, sia essa di tipo mafioso o non. Ed invero, affinchè una condotta sia ritenuta punibile a titolo di concorso in un determinato reato ai sensi dell’art. 110 c.p., sono necessari un contributo causale (materiale o semplicemente morale o psichico), e il dolo richiesti per il reato medesimo. Ne consegue che quando tali condizioni si siano verificate in relazione al delitto di associazione per delinquere, sono integrati gli estremi della partecipazione a detta associazione; mentre, allorchè le dette condizioni non si siano verificate, il fatto potrà integrare gli estremi di altri reati (corruzione, favoreggiamento o altro), ma non quello di concorso in associazione per delinquere». Analogamente, la sentenza n. 2348/1994, dopo aver premesso che «la possibilità del concorso eventuale dell’estraneo nelle figure di reato cosiddetto plurisoggettivo non può essere negata in via di principio, occorrendo invece esaminare in concreto la struttura del singolo reato plurisoggettivo al fine di acclarare la possibilità di un concorso eventuale di persone nel medesimo», osserva però che «nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p., che è appunto reato plurisoggettivo, è ipotizzabile soltanto il concorso necessario di persone, mentre quello eventuale non può sussistere in considerazione della particolare struttura di detto reato, atteso che comunque l’elemento oggettivo e soggettivo di ciascun rapporto alla realizzazione della fattispecie criminosa in questione, per essere rilevante ai fini della integrazione della stessa, non può differire dagli elementi soggettivi ed oggettivi caratterizzanti la ‘partecipazione’ al reato medesimo». Si è altresì affermato che l’ammissibilità del concorso eventuale non possa neppure desumersi dal tenore letterale dell’art. 418 c.p. (con riferimento alla locuzione «al di fuori del caso di concorso nel reato») poiché «l’interpretazione sistematica di altre norme penali interessanti la materia porta a ritenere che la citata espressione si riferisce al solo concorso necessario di persone nel reato di cui all’art. 416 bis c.p. e non anche al concorso eventuale nel medesimo».

La Corte ha dunque aggiunto che «le condotte in vario modo agevolatrici o del singolo appartenente all’associazione per delinquere di stampo mafioso ovvero dell’attività dell’associazione di per sé considerata, che nella sostanza concretizzerebbero i comportamenti del concorrente eventuale nel reato di cui all’art. 416 bis c.p., sono state specificamente prese in considerazione dal legislatore il quale, nella lodevole intenzione di sanzionare ogni possibile contiguità con dette organizzazioni criminose da parte di soggetti non organicamente inseriti nelle stesse, ha previsto (art. 378, comma 2, c.p.) un’aggravante per il delitto di favoreggiamento personale allorchè l’agente abbia inteso agevolare l’elusione delle indagini o la sottrazione alle medesime da parte di soggetto responsabile della commissione del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., nonché ha introdotto con l’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con l. 12 luglio 1991, n. 203 un’ulteriore aggravante per chi commetta delitti, punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo, al fine di agevolare le attività delle associazioni per delinquere di tipo mafioso e di quelle ad esse equiparate dall’ultimo comma dell’art. 416 bis c.p., disposizione che sarebbe stato superfluo emanare … qualora l’ordinamento vigente avesse invece consentito la possibilità di ipotizzare il concorso eventuale dell’estraneo nel più volte indicato reato associativo».

L’elenco delle norme dimostrative dell’irrilevanza dell’istituto concorsuale è stato, poi, accresciuto da un’altra pronuncia negazionista dello stesso periodo (Cass. pen., 5.6.1994, Della Corte), la quale ha rilevato come la concettuale impossibilità di configurazione del concorso esterno nell’associazione trovi conferma, oltre che nel reato di «assistenza agli associati» di cui all’art. 418 c.p., anche in una serie di altre disposizioni normative, quali gli artt. 7 e 8 del d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. in l. 12.7.1991, n. 203, l’art. 12 quinquies del d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356, il comma 3 bis dell’art. 51 c.p.

In altra decisione, l’impossibilità di configurare il concorso esterno viene ricondotta al peculiare elemento soggettivo che connota la fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., consistente nel dolo specifico, ovvero nella consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio con la volontà di realizzare i fini propri dell’associazione e di avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per conseguire le finalità previste dalla norma incriminatrice (Cass. pen., 5.5.1994, n. 2699). Secondo la Corte se il concorrente esterno agisce con tale dolo specifico, «la sua posizione non viene a distinguersi, in nulla, da quella del partecipante prevista dal primo comma dell’art. 416 bis c.p.; per tali motivi non è configurabile la figura del concorrente esterno nei reati associativi, specie in quelli a stampo mafioso … nei quali, proprio per il peculiare dolo specifico che li contraddistingue, o si partecipa a pieno titolo, ovvero si pongono in essere delle attività di favoreggiamento o di agevolazione di tale crimine da ritenersi, strutturalmente e concettualmente, distinte e separate rispetto al reato associativo agevolato e/o favorito».

La tesi favorevole

La tesi giurisprudenziale favorevole all’ammissibilità del concorso eventuale nell’associazione di tipo mafioso reca in sé diversi indirizzi. Stando ad una prima impostazione, le condotte di partecipazione all’associazione devono essere caratterizzate «sul piano soggettivo, da quella che è stata chiamata in dottrina l’affectio societatis, ossia dalla consapevolezza e dalla volontà di far parte dell’organizzazione criminosa, condividendone le sorti e gli scopi (alternativamente definiti dal comma terzo dell’art. 416 bis) e, sul piano oggettivo, dall’inserimento nell’organizzazione, che prescinde da formalità o riti che lo ufficializzano, ben potendo esso risultare per facta concludentia, attraverso cioè un comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso della norma, alla vita dell’associazione»; pertanto, «per far parte dell’associazione e realizzare quindi la condotta tipica, non basta che (l’agente) aiuti o si attivi a favore dell’associazione: deve farne parte» (Cass. pen., 13.6.1987, n. 1812). Il concorso eventuale si configura, invece, «non soltanto nel caso di concorso psicologico, nelle forme della determinazione e dell’istigazione nel momento in cui l’associazione viene costituita, ma anche successivamente, quando questa è già costituita, tutte quelle volte in cui il terzo non abbia voluto entrare a far parte dell’associazione o non sia accettato come socio, e tuttavia presti all’associazione medesima un proprio contributo, a condizione però che tale apporto, valutato ex ante, e in relazione alla dimensione lesiva del fatto ed alla complessità della fattispecie, sia idoneo se non al potenziamento almeno al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione criminosa. Esso, pertanto, deve consistere in un apporto obiettivamente adeguato e soggettivamente diretto a rafforzare o mantenere in vita l’associazione criminosa, con la consapevolezza e la volontà, elementi minimi per la realizzazione della fattispecie dell’art. 110 c.p., di contribuire alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere. Con la conseguenza che il concorso non sussiste quando il contributo è dato ai singoli associati, ovvero ha ad oggetto specifiche imprese criminose e l’agente persegua fini suoi propri, in una posizione di assoluta indifferenza rispetto alle finalità proprie dell’associazione».

Una simile impostazione è stata poi seguita da una successiva pronuncia, secondo cui «in tema di associazione per delinquere, perché assuma rilevanza la condotta individuale, occorre l’esistenza del pactum sceleris, con riferimento alla consorteria criminale, e dell’affectio societatis, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata. È punibile, pertanto, a titolo di partecipazione colui che presti la sua adesione e il suo contributo all’attività associativa, anche per una fase temporalmente limitata. Risponde, invece, a titolo di concorso nel reato associativo il soggetto che, estraneo alla struttura organica del sodalizio, si è limitato anche ad occasionali prestazioni di singoli comportamenti aventi idoneità causale per il conseguimento dello scopo sociale o per il mantenimento della struttura associativa, avendo la consapevolezza dell’esistenza dell’associazione e la coscienza del contributo che ad essa arreca» (Cass. pen., 23.11.1992, Altomonte).

Nel senso dell’ammissibilità del concorso esterno si è altresì posta la sentenza n. 2902 del 18.6.1993, pronunciata dalla I Sezione penale della Corte di cassazione, la quale ha, ancora una volta, fondato la distinzione tra partecipante e concorrente esterno sulla base dell’inserimento o meno del soggetto all’interno dell’organizzazione.

Tuttavia, la giurisprudenza ha fatto registrare alcune divergenze in ordine al se la condotta del concorrente debba caratterizzarsi come contributo “episodico” ovvero “permanente”.

Nel primo senso va ricordata una pronuncia secondo la quale «va ravvisato concorso nel reato di associazione per delinquere, e non partecipazione all’associazione, quando l’agente, estraneo alla struttura organica dell’associazione, si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conseguimento dello scopo del sodalizio, che costituisca autonoma e individuale manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento della sua espressione perché ontologicamente concepita e determinata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia» (così, Cass. pen., 4.2.1988, Barbella). In senso contrario, è stato affermato che concorre nel delitto di associazione per delinquere colui che con azione tipica rispetto a quella propria del delitto stesso, aiuta a realizzare l’evento giuridico dell’associazione, specificando che tale concorso deve essere permanente, come è permanente il delitto di associazione; la decisione ha concluso nel senso che «si realizza il concorso eventuale di persone nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso ogniqualvolta la condotta dell’agente non sia intrinsecamente connaturata con la struttura e le finalità del sodalizio criminoso, ma ne costituisca solo un supporto esterno non direttamente incidente sugli elementi costitutivi dell’associazione stessa, contribuendo alla sua costituzione o alla partecipazione degli aderenti od alla sua efficacia. Si configura l’agevolazione, invece, quando taluno, con specifica e singola condotta, aiuti l’associazione ad attuare il suo programma criminoso» (Cass. pen., 6.6.1994, Bargi).

Con altra sentenza del 1.9.1994 (ric. Graci) della sezione feriale della Cassazione si è rilevato che «nella nozione di partecipazione all’associazione di tipo mafioso non possono farsi rientrare tutte quelle condotte atipiche che potrebbero far configurare il concorso eventuale e in particolare che non basti un consapevole apporto causale ad alcune attività dell’associazione per integrare una condotta di partecipazione. … Deve infatti considerarsi, da un lato, che l’associazione si basa su un accordo associativo, su un’organizzazione e su regole, anche se è possibile che questi ultimi due elementi siano di carattere rudimentale e, dall’altro, che la condotta di partecipazione secondo l’art. 416 bis, comma 1, c.p. consiste nel “far parte” dell’associazione cioè nell’esserne divenuto membro attraverso un’adesione alle regole dell’accordo associativo e un inserimento, di qualunque genere, nell’organizzazione con carattere di permanenza. Inoltre, l’adesione deve trovare un riscontro da parte dell’associazione, nel senso che questa, a sua volta, deve riconoscere la qualità di associato alla persona che ha manifestato l’adesione». In altre parole, la pronuncia in parola afferma che la fattispecie della partecipazione non è suscettibile di ricomprendere le condotte che si esauriscono in un consapevole contributo causale ad alcune attività dell’associazione, senza tuttavia implicare una vera e propria aggregazione al sodalizio: simili condotte atipiche sono, invece, sussumibili nell’ipotesi del concorso eventuale.

La soluzione del problema negli ultimi progetti di riforma del codice penale

Gli ultimi progetti di riforma del codice penale hanno dimostrato una certa “timidezza” nei confronti di una reale ricostruzione dell’odierno sistema dei reati associativi. Il progetto Pagliaro (in Indice pen., 1992, 579) accorpa i delitti associativi politici nel Capo III del Libro IV tra i reati contro la Repubblica, mentre ripropone l’associazione per delinquere, come reato contro la sicurezza collettiva, nell’ambito dei reati contro la comunità (Libro III). Tuttavia, salvo tale modifica, non è dato rinvenire significative innovazioni strutturali.

Il progetto Grosso ha incaricato una sottocommissione sul tema congiunto del concorso di persone e reati associativi, i cui lavori sono confluiti nella prima relazione della Commissione (in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 574). Questa soluzione prospettava una più precisa identificazione della partecipazione al sodalizio come «inserimento consapevole nella organizzazione» e del concorso esterno come «rilevante contributo colpevole e volontario al conseguimento dei fini dell’associazione o alla sua conservazione o stabilità». Siffatta prospettiva venne successivamente abbandonata.

Per ciò che concerne i lavori sul progetto di riforma condotti dalla Commissione Nordio, all’art. 139 si prevedeva, accanto all’associazione per delinquere, definita come struttura organizzata e dotata di stabilità, le associazioni mafiose, eversive terroristiche, militari, segrete e le associazioni qualificate da varie tipologie criminose, con applicabilità della disciplina del concorso. L’elemento di novità di tale progetto è da ritrovare nella dettagliata disciplina elaborata in tema di concorso di persone, mirante a meglio garantire la determinatezza di tale fattispecie. L’attenzione si è soffermata soprattutto sulla definizione del contributo agevolatore (art. 43) rapportato alla sua efficacia causale (in tal senso anche il Progetto Pagliaro) e, quanto ai reati associativi o a concorso comunque necessario, l’art. 47 ha esteso ad essi le disposizioni sul concorso eventuale.

Un apprezzabile sforzo definitorio delle fattispecie associative è stato effettuato dai lavori della terza sottocommissione Pisapia (www.giustizia.it, 27.7.2006), la quale ha prospettato non solo il recepimento del modello già elaborato dalla commissione Grosso sull’idoneità dell’associazione a perdurare nel tempo ed alla realizzazione dei delitti scopo, ma ipotizzava anche la subordinazione della configurabilità del reato alla realizzazione, quantomeno tentata, di uno dei delitti scopo. Quanto al concorso esterno, si valutava l’opportunità di una specifica tipizzazione di forme di favoreggiamento. Tuttavia, anche tale progetto non fu mai approvato in sede parlamentare.

Fonti normative

Artt. 110, 305, 378, 416, 416 bis, 416 ter, 418 c.p.; art. 7 d.l. 13.5.1991, n. 152, convertito con l. 12.7.1991, n. 201; artt. 3, 24 Cost.

Bibliografia essenziale

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