FERRARA-FIRENZE, Concilio di

Enciclopedia Italiana (1932)

FERRARA-FIRENZE, Concilio di

Pio Paschini

Con questo nome si suol designare il concilio aperto a Ferrara l'8 gennaio 1438 e che, trasferito l'anno seguente a Firenze, proclamò (6 luglio 1439) la unione fra la chiesa greca e quella latina. L'unione raggiunta dal concilio durò di fatto fino alla presa di Costantinopoli (29 maggio 1453), e fu ufficialmente dichiarata rotta da un concilio della chiesa greca tenuto a Costantinopoli nel 1472.

Mentre il concilio raccoltosi a Basilea (v. VI, p. 200) sino dal 1431 continuava ancora a discutere sulla pratica riforma della chiesa e sulla riduzione all'ubbidienza degli ussiti della Boemia, si presentò il problema dell'unione fra l'Oriente e l'Occidente, che i Bizantini mostravano di desiderare. I Padri del concilio pretesero di avocare a sé il negozio; mandarono a questo scopo nel settembre 1434 una propria legazione a Costantinopoli, e il 6 dicembre 1436 proposero ai Bizantini di portarsi a Basilea oppure ad Avignone o in una città della Savoia. Ma a questo proposito sorsero fiere discordie in seno al concilio, che passò ad aperta ribellione contro Eugenio IV; il quale con bolla del 18 settembre 1437 decretò il trasferimento del concilio a Ferrara. Eugenio IV aveva preso a cuore la riunione della chiesa greca con la latina sin dal principio del suo pontificato, seguitando così i tentativi che, già sotto Martino V, gl'imperatori Manuele e Giovanni VIII Paleologo avevano avviato a questo scopo, anche per avere il concorso del papa e dei principi d'Occidente nella lotta contro i Turchi: pure Venezia favoriva questo movimento, preoccupata di salvare i suoi interessi nel Levante. I negoziati si strinsero nel 1437, quando i Greci, rompendo ogni trattativa col concilio di Basilea, accettarono le offerte di Eugenio IV. L'imperatore Giovanni VIII con suo fratello Giuseppe II, patriarca di Costantinopoli, e 22 vescovi con un seguito di 700 persone, s'imbarcarono a Costantinopoli alla fine di novembre e sbarcarono a Venezia l'8 febbraio 1438. A Ferrara avevano intanto cominciato a raccogliersi parecchi vescovi, e l'8 gennaio 1438 il cardinale Nicolò Albergati, delegato del papa, aprì solennemente il concilio, e il 10 tenne la I sessione, nella quale proclamò che il concilio era stato legittimamente tiasferito da Basilea a Ferrara e che per conseguenza era di nessun valore qualunque promulgazione o decisione che si stesse per prendere a Basilea. Eugenio IV giunse a Ferrara il 24 gennaio, e il 15 febbraio presiedette la II sessione del concilio, durante la quale furono fulminate nuove censure contro i Basileesi. Il 20 febbraio giunse a Ferrara il cardinale Giuliano Cesarini, ch'era stato legato papale a Basilea. Il 4 marzo giunse da Venezia l'imperatore Giovanni VIII ed il 7 anche il patriarca Giuseppe.

Dopo superate le difficoltà riguardanti le precedenze e il cerimoniale, fu possibile tenere il 9 aprile una sessione solenne d'apertura alla quale parteciparono i delegati dei patriarchi d'Alessandria, d'Antiochia, e di Gerusalemme, e fu letta una lettera del patriarca Giuseppe assente per malattia, e una bolla di Eugenio IV in cui si annunciava il principio del concilio d'unione. Dopo ciò si ritenne necessario affidare l'esame dei punti controversi fra le due chiese a due commissioni composte di dieci persone ciascuna. In quella degli Orientali i personaggi più eminenti furono Marco Eugenico metropolita di Efeso e Bessarione metropolita di Nicea, avverso il primo, favorevole il secondo alla riunione; in quella dei Latini erano i cardinali Cesarini ed Albergati, Andrea arcivescovo di Rodi, Giovanni di Torquemada domenicano spagnolo, e Giovanni di Montenigro. Solo nella terza conferenza riuscì al Cesarini di fissare le differenze principali in quattro punti:1. dottrina della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio; 2. questione degli azimi nell'Eucaristia; 3. dottrina del purgatorio; 4. dottrina del primato romano su tutta la Chiesa. L'imperatore, volendo stornare la discussione dai punti più importanti, consentì ai suoi prelati di discutere sul purgatorio. I Greci ammettevano un periodo di espiazione dopo la morte per le colpe non debitamente scontate in questa vita, ma rifuggivano dall'ammettere che tale espiazione si facesse con la pena del fuoco, e questa questione, affatto secondaria, si complicava presso alcuni di loro con l'altra, che la pena eterna dei reprobi e la gloria celeste dei giusti non potesse esser completa sino alla risurrezione universale alla fine del mondo; tuttavia in una dichiarazione del 17 luglio 1438 i Greci professarono che la beatitudine dei giusti era piena anche prima della resurrezione. E su questo argomento non si fecero più discussioni. Il concilio andava in lungo senza alcun risultato, giacché l'imperatore confidava più nelle trattative con i principi, che non si facevano vedere a Ferrara, che nelle intese teologiche. Finalmente l'8 e l'11 ottobre si ebbero due sessioni solenni, ed il 14 nella terza fu incominciata a trattare la questione del filioque. Nel simholo niceno-costantinopolitano (v. credo) alla frase originaria riguardante lo Spirito Santo qui ex Patre procedit era stata in Occidente aggiunta la parola filioque, prima di procedit, con grande disappunto degli Orientali. a arco Eugenico affermò che con quell'aggiunta si era trascurata una formale prescrizione conciliare, che vietava di fare aggiunte al simbolo, e su questa accusa s'irrigidì, pretendendo che i Latini levassero dal simbolo il filioque. Questi invece rispondevano: se la dottrina che insegna procedere lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio era esatta, niente vietava che potesse essere anche espressa chiaramente nel simbolo. Le discussioni si svolsero serrate nelle sessioni seguenti, finché si decise l'8 dicembre nella XV sessione da parte dei Greci di affrontare la discussione, anche sul campo dottrinale della processione dello Spirito Santo, e di affidarne l'esame a una commissione di 12 teologi greci e di altrettanti latini.

Frattanto Eugenio IV, desideroso di assecondare il desiderio dei Fiorentini, che bramavano di avere il concilio nella loro città, propose il trasferimento del concilio stesso a Firenze. I prelati greci si opposero da principio; ma considerazioni finanziarie e il timore di un'epidemia che serpeggiava a Ferrara li indussero il 2 gennaio 1439 a consentire sotto determinate condizioni: e il papa promulgò la bolla solenne di trasferimento. Il 16 gennaio Eugenio IV si mise in viaggio per Firenze, dove a metà febbraio lo raggiunsero anche i Greci. La dottrina sullo Spirito Santo formò oggetto esclusivo delle discussioni, nelle quali tennero il campo Marco Eugenico e Giovanni di Montenigro; ma poiché tali dispute non conducevano affatto all'unione, il patriarca Giuseppe convocò il 30 marzo i prelati orientali in casa sua, e sottopose loro il quesito se era possibile trovare un modus unionis, per non ritornare a Costantinopoli senza avere nulla concluso. Si manifestarono due correnti; quella di Bessarione di Nicea e di Isidoro di Kiev favorevole all'unione, e quella contraria guidata da Marco Eugenico di Efeso e da Antonio di Eraclea; tuttavia si convenne che era necessario preparare una formula d'unione, lasciando in disparte le discussioni teologiche. Dopo difficili trattative col papa, i Greci aderirono (eccetto Marco di Efeso) alla dottrina dei Latini ed ammisero come legittima l'aggiunta del filioque e diedero lettura al papa del loro atto d'unione su questo punto (8 giugno). L'indomani essi si dichiararono pronti a togliere i disaccordi e le difficoltà sugli altri punti controversi, e ammisero essere legittima la consacrazione tanto con pane azimo quanto con fermentato; ammisero pure il purgatorio, senza definire la qualità delle pene; riconobhero inoltre che la consacrazione del pane avviene alle parole Questo è il mio corpo, ecc. Rimaneva ancora da trattare riguardo al primato del papa. Il 10 giugno moriva il patriarca Giuseppe, che era stato assai malato durante il concilio, professando di credere quello che credeva la chiesa romana e di riconoscere il papa come capo della Chiesa; fu sepolto con grande solennità a S. Maria Novella. Le discussioni per preparare la formula d'unione continuarono, convergendo appunto sul riconoscimento del primato. Un abbozzo proposto dal papa fu cominciato a discutere fra 6 deputati latini e 6 greci; il 28 fu compilata la formula, la quale, dopo le ultime discussioni provocante dalla necessità di chiarire l'origine dell'autorità pontificia, fu finalmente resa definitiva, scritta tanto in latino quanto in greco, sottoscritta dai Greci nel palazzo Peruzzi, dove dimorava l'imperatore, e dai Latini nel convento di S. Maria Novella, dove abitava il papa, il 5 luglio e pubblicata il giorno seguente. È la celebre bolla di Eugenio IV Laetentur coeli, della quale furono trascritti tosto cinque altri esemplari e sottoscritti dai prelati presenti: l'originale è tuttora conservato nella Biblioteca Laurenziana a Firenze.

Nonostante il buon volere dell'imperatore, ritornato a Costantinopoli, e del nuovo patriarca Metrofane II, l'unione fu accolta ostilmente in Oriente, a causa soprattutto del fanatismo antilatino dei monaci e dell'attività di Marco di Efeso, che s'era rifiutato di sottoscrivere la bolla del 6 luglio. Ufficialmente però l'unione durò sino alla presa di Costantinopoli (29 maggio 1453). Maometto II fece eleggere patriarca Giorgio Scolario, che prese il nome di Gennadio II. Questi, che s'era mostrato favorevole all'unione durante il concilio, mutò parere; tuttavia solo in un concilio tenuto a Costantinopoli nel 1472 la chiesa greca ruppe ufficialmente l'unione sancita a Firenze.

Con la partenza dei Greci non fu chiuso il concilio a Firenze. Già nel settembre 1439 vi erano state condannate le pretese "verità" che il concilio di Basilea aveva definito nella sessione XXXIII del 16 maggio. Il 18 dicembre 1439 Eugenio IV creò cardinali Bessarione ed Isidoro di Kiev, tanto benemeriti dell'unione; il 23 marzo 1440 condannò come eretico e scismatico Felice V, ch'era stato eletto papa a Basilea. Inoltre il papa perseverava nel suo proposito di ottenere l'unione, oltre che con la chiesa bizantina, anche con le chiese scismatiche d'Oriente. Infatti nel luglio 1439 giunsero a Firenze quattro rappresentanti del patriarca armeno Costantino e nella sessione del 22 novembre si potè leggere una bolla papale nella quale gli Armeni, accettando il concilio di Calcedonia, abiuravano l'eresia monofisita, aderivano alla dottrina dei Latini riguardo ai sette sacramenti, ed accettavano il calendario latino per le principali feste dell'anno. Il 31 agosto 1441 si presentò dinnanzi al papa e al concilio, Andrea rappresentante di Giovanni patriarca monofisita di Alessandria; ed il 2 settembre si presentò pure l'inviato di Nicodemo, abate di Gerusalemme e capo dei giacobiti (monofisiti) di quella regione, il quale rappresentava anche Zar'a Jacob re d'Etiopia. Poi nella sessione generale del concilio, tenuta a S. Maria Novella il 4 febbraio 1442, fu pubblicata una nuova bolla di Eugenio IV relativa all'unione dei giacobiti con la chiesa romana. Nel settembre 1443 Eugenio IV poté finalmente rientrare in Roma e trasferirvi il concilio. Nella sessione del 30 settembre1444 tenuta al Laterano egli sanzionò l'unione con la chiesa giacobita di Siria e Mesopotamia, il cui patriarca Ignazio si era fatto rappresentare presso il papa da ‛Abdallah metropolita di Edessa; in quella del 7 agosto 1445 egli sanzionò l'unione con la chiesa caldea e la chiesa maronita, rappresentata la prima da Timoteo vescovo nestoriano di Tarso, che viveva a Cipro, la seconda da un inviato del vescovo Elia che risiedeva pure a Cipro. Con queste unioni per le quali Eugenio IV pubblicò solenni bolle, si concluse il concilio di Firenze.

Bibl.: Gli atti ufficiali del concilio non furono conservati, siamo perciò informati sull'attività interna del concilio solo da fonti private; sulle quali cfr. Hefele-Leclercq, Histoire des conciles, VII, Parigi 1916, p. 956 segg. Sulle vicende del concilio e sulle discussioni, ibid., pp. 951-1106 e G. Hergenröther, Storia universale della Chiesa, trad. ital., V, Firenze 1906, p. 244 segg. Le fonti sia pubbliche sia private si hanno in J. Hardouin, Acta Conciliorum, ecc., Parigi 1714, IX, coll. 1-1080; ed in parte anche in I. Mansi, Conciliorum amplissima collectio, XXIX. Ad esse si deve aggiungere: Vera historia unionis non verae inter Graecos et Latinos sive Concilii Florentini exctissima narratio graece scripta per Sylvestrum Sguropulum (cioè Syropulum), ecc., transtulit in sermonem latinum Robertus Creyghton, L'aia 1660, opera confutata da Leone Allacci, In Rob Creygtoni apparatum versionem et notas ad historiam Concilii Florentini scriptam a Silv. Syropulo etc., parte 1ª (unica pubblicata), Roma 1674; Sanctum Florentinum universae Ecclesiae Concilium editum a Monacho Benedictino, Roma 1865 il testo greco fu edito a parte a Roma 1864 (ristampa di collezione prec.); E. Cecconi, Studi storici sul Concilio di Firenze, Firenze 1869; Th. Frommann, Kritische Beiträge zur Geschichte der Florentiner Kircheneinigung, Halle 1872. Per una questione particolare riguardante il concilio, L. Lohn, Doctrina s. Basilii M. de processionibus divinis, in Gregorianum, X (1929), p. 461 segg.; La mentalità dei Latini e dei Greci al cincilio ecumenico di Firenze, in Civiltà catt., 1930, I, p. 518 segg.

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