Comunicazioni di massa

Enciclopedia del Novecento (1975)

Comunicazioni di massa

Wilbur Schramm

di Wilbur Schramm

Comunicazioni di massa

sommario: 1. L'era dei media elettronici. 2. Evoluzione storica dei media. 3. I media e il processo della ccmunicazione. 4. Il sistema dei mezzi di comunicazione di massa. 5. Effetti dei diversi media. 6. Le funzioni sociali della comunicazione di massa. 7. Alcuni effetti sociali della comunicazione di massa: a) effetti sull'informazione del pubblico; b) effetti sulle istituzioni e sulla vita politica; c) effetti sull'istruzione; d) effetti sul comportamento sociale. 8. Finanziamento e controllo dei mezzi di comunicazione di massa.9. Quali gli sviluppi futuri delle comunicazioni di massa? □ Bibliografia.

1.L'era dei media elettronici

Il XX secolo è l'era della comunicazione elettronica. Al principio del secolo i mezzi a stampa dominavano il flusso dell'informazione destinato alla società. La radio era ancora agli inizi della sua fase sperimentale, mentre il telefono, il fonografo e il cinema avevano appena superato la loro. Ma già nel 1920 si effettuavano trasmissioni radiofoniche secondo programmi regolari e, sul finire di quel decennio, il film muto si tramutò in ‛film sonoro'. A metà degli anni trenta cominciarono le trasmissioni televisive regolari. Nel corso del decennio successivo comparvero i primi calcolatori e i primi registratori su nastro. Il primo satellite fu lanciato nel 1957, e già cinque anni dopo (nel 1962) erano in funzione satelliti che consentivano il collegamento televisivo tra Europa e Nordamerica. In questi primi anni settanta sta divenendo d'uso corrente il cavo coassiale per effettuare servizi di comunicazione destinati a abitazioni private, scuole e uffici; e inoltre dai laboratori sta uscendo una nuova famiglia di sistemi di trasmissione, che comprende guide d'onda e raggi laser. In conclusione, nel corso del secolo l'evoluzione tecnologica si è spostata dalla stampa alla comunicazione elettronica. Intorno al 1900 la macchina che caratterizzava i processi di comunicazione era la pressa da stampa; è perfettamente possibile che alla fine di questo stesso secolo tale macchina sia, invece, il calcolatore elettronico numerico: esso infatti ha già ampiamente dimostrato la sua capacità di immagazzinare, recuperare e selezionare l'informazione, e promette inoltre grandi realizzazioni quale strumento ausiliario del pensare e dell'apprendere.

Il XX secolo rimarrà nella storia anche come l'epoca in cui la maggior parte della popolazione mondiale è passata da culture puramente orali a culture basate sui media. La radio e il cinema hanno ormai posto termine all'isolamento dei villaggi e delle più remote sacche di analfabetismo. La rapidità con cui ciò è avvenuto ha provocato mutamenti sociali profondi e, talvolta, rivoluzionari. Per mezzo dei media elettronici è arrivata ovunque la possibilità di ‛andare a scuola', di imparare a leggere: ciò, ovviamente, ha contribuito ad incoraggiare le aspirazioni verso le comodità offerte dal mondo moderno, verso la partecipazione al governo della cosa pubblica, verso il nazionalismo e verso mutamenti politici tali che nel 1900 sarebbe stato pressoché impossibile prevedere (v. Lerner, 1958).

In conclusione, il XX secolo sarà descritto dagli storici come il periodo in cui la comunicazione sulle lunghe distanze e i mezzi di trasporto veloci hanno messo per la prima volta in reciproco e stretto contatto la maggioranza dei popoli della terra. La politica internazionale è divenuta la politica mondiale. La cronaca è divenuta la cronaca del mondo. Le guerre sono divenute guerre mondiali. Gli imperi si sono dissolti nelle sfere d'influenza e una complessa struttura dei rapporti internazionali si è venuta sviluppando tra più di un centinaio di disparati gruppi di popolazione. Per la prima volta un ordine e un'organizzazione mondiali sono divenuti una concreta e reale possibilità; e concetti come ‛l'uomo di massa', che l'Ottocento aveva teorizzato, hanno finito col divenire qualcosa che merita di esser preso in seria considerazione (v. Rosenberg e White, 1971). Infine, in virtù di tutti questi sviluppi, la comunicazione interculturale è emersa come un problema la cui notevole importanza va ben oltre la considerazione puramente accademica.

2. Evoluzione storica dei media

Se assimiliamo la lunga storia della comunicazione umana all'arco delle ventiquattro ore, la comunicazione elettronica ci appare nata soltanto negli ultimissimi secondi che precedono la mezzanotte (per una trattazione più completa di questa storia v. Hogben, 1949, e anche Fabre, 1963).

La storia della comunicazione è più antica dell'uomo, dato che anche altri animali sono in grado di comunicare. Infatti, senza tale capacità essi non potrebbero neppure entrare in relazione con il proprio ambiente e tra di loro. Ma gli animali che chiamiamo esseri umani' hanno compiuto, nel momento in cui si sono realizzati come tali, un passo che forse più di ogni altra cosa li ha resi appunto ‛umani', contraddistinguendo e caratterizzando così tutta la loro vicenda successiva: hanno cioè elaborato un linguaggio di tale sottigliezza e flessibilità quale nessun'altra specie vivente era riuscita a raggiungere.

Quanto al modo esatto in cui il linguaggio è nato, possiamo soltanto fare delle ipotesi. Verosimilmente l'uomo imparò ad associare certi suoni vocali con certe esperienze fisiche. Apprese quindi gradualmente a fare astrazione da queste associazioni, in modo che il linguaggio divenisse ‛portatile', ed egli potesse così disporre dei suoni senza doversi portare appresso anche i loro referenti. Per esempio, imparò a dire che i molluschi sono buoni da mangiare senza dover necessariamente indicarne uno col dito. Questo passo, all'apparenza così semplice, fu ciò che rese possibile all'uomo discutere le idee e registrare i fatti della storia; che consentì ad un dato individuo di comprendere cos'era stato il mondo prima di lui e che cosa sarebbe stato dopo; che, infine, ha dato all'umanità un Platone, un Dante e un Isaac Newton.

Non conosciamo alcun Marconi che abbia inventato il linguaggio, e le origini di questo sono avvolte nelle ombre della protostoria. Invece, il successivo passo importante nella storia della comunicazione umana può essere datato: un vero e proprio sistema di scrittura fu, infatti, elaborato attorno al quarto millennio avanti l'era volgare. Di tale elaborazione ci è noto, peraltro, non molto più di quanto sappiamo sugli inizi del linguaggio. È probabile che la scrittura sia nata all'interno della più antica esperienza umana del disegnare immagini (si pensi alle figure di animali e guerrieri ancora visibili nelle grotte della Francia meridionale, dell'Africa e dell'Australia). La prima scrittura fu indubbiamente una scrittura figurata. Ma, a un certo punto, l'uomo imparò a fare astrazione dalle figure, come aveva già fatto con i suoni vocali. Anziché usare una figura per ogni oggetto o evento particolare, imparò ad utilizzare una figura per una classe generale di oggetti o di eventi; quindi ad utilizzarla per un particolare suono vocale e, infine, per qualcosa che non esisteva nel mondo fisico, ma aveva realtà soltanto nel mondo delle idee. In una certa area della terra questo sviluppo portò l'uomo dai geroglifici egizi agli alfabeti dei popoli semitici e, in seguito, agli alfabeti greco e romano. In un'altra parte del mondo, invece, furono mantenuti alcuni particolari specifici della figura disegnata, dando così luogo agli ideogrammi cinesi, giapponesi e coreani (dove ciascun ideogramma stava bensì per un suono, ma oltre a ciò trasmetteva ulteriori elementi di informazione attraverso la configurazione del segno scritto).

Lo sviluppo della scrittura fu così un nuovo passo sulla stessa via aperta dalla nascita del linguaggio: esso rese la comunicazione umana più facilmente trasmissibile. Con la scrittura fu possibile comunicare in assenza di uno degli attori del processo comunicativo. L'uomo poteva ora affidare il suo messaggio ad una lettera, oppure fissare ricordi che potevano così essere letti in un tempo successivo da altre persone. Prima che fossero messi per iscritto, i poemi omerici potevano essere goduti soltanto dai pochi che li avevano uditi recitare, e che erano in grado di rammentarli; divenuti opere scritte essi hanno potuto essere di diletto e d'insegnamento per generazioni di lettori.

La scrittura rese necessaria l'introduzione della tecnologia nel processo della comunicazione. Doveva esserci, infatti, qualcosa su cui scrivere e qualcosa con cui scrivere. Quelli che scrissero per primi dovevano farlo incidendo tavolette di pietra o di argilla; i loro successori dipinsero o scrissero su papiro o su pelli di animali disseccate o, ancora, su carta ricavata da fibre vegetali. Questo processo incoraggiò gli scribi a semplificare i segni che adoperavano e a standardizzarli, talché lettori e scrittori non fossero costretti ad imparare le particolarità individuali di ciascuno scriba.

I tempi erano ormai maturi per una vera e propria comunicazione di massa; anche se è difficile dire quando essa divenne una realtà. Per esempio, gli Acta diurna - tavolette di pietra su cui venivano incisi giornalmente i verbali del Senato romano - possono fondatamente aspirare al titolo di primo giornale quotidiano. I libri e i rotoli che, nell'Asia e nell'Europa medievali, venivano impressi con procedimenti simili a quelli xilografici o calcografici erano certamente esempi di stampa, con una tiratura sufficiente per un certo numero di lettori. Ma il primo metodo tecnicamente efficiente per moltiplicare la comunicazione umana, in modo da renderla utilizzabile ovunque, in qualsiasi momento e da un numero illimitato di ricettori, fu il processo di stampa mediante caratteri metallici mobili. Esso rese possibile ai mezzi della comunicazione di massa di beneficiare del progresso tecnologico e di essere utilizzati regolarmente da vaste masse di persone: è nella nascita della stampa, infatti, che viene tradizionalmente indicato l'inizio della comunicazione di massa.

Dal punto di vista dell'individuo, i media non sono che semplici mezzi atti ad ampliare la portata dei sensi dell'uomo e la sua capacità di trasmettere informazioni (‟estensioni dell'uomo", li chiama appunto McLuhan). Il telefono estende la portata della voce e dell'udito dell'uomo; il telescopio e la televisione ampliano la sua capacità di vedere; il servizio postale amplia la sua capacità di distribuire i suoi messaggi scritti; e così via. Ma dal punto di vista sociale si usa distinguere l'istituzione dal processo. I mass media sono organizzazioni sociali destinate all'uso specializzato di certi strumenti e processi di comunicazione. La stampa può essere un processo di comunicazione di massa, ma il quotidiano, la rivista e il libro sono mass media. Un determinato operatore radiofonico può realizzare la comunicazione di massa, ma radio, televisione e cinema, nel modo in cui oggi ne abbiamo per lo più esperienza, sono mass media. Essi sono organizzati in reti, stazioni e studi dotati di una struttura, di una funzione e di un apparato di comunicazione interno assolutamente peculiari.

Dunque, se lo sviluppo del linguaggio e della scrittura è stato in primo luogo un fatto psicologico e concettuale, lo sviluppo della comunicazione di massa è stato in buona parte un fatto tecnologico. Come supporti su cui scrivere, le tavolette di pietra offrivano certi vantaggi tecnici rispetto alle pareti delle grotte. Il papiro, la pergamena e la carta presentavano a loro volta altri vantaggi rispetto alle tavolette di pietra o d'argilla. I pigmenti minerali, e vegetali impiegati mediante pennelli o piume risultavano preferibili allo scrivere con scalpelli e mazzuoli. L'inchiostro di lunga durata offriva certi vantaggi sui coloranti vegetali. Una qualsiasi tecnica che permettesse la duplicazione di un testo era evidentemente più vantaggiosa dello scrivere direttamente ogni singolo esemplare. Si comprende dunque come, durante i cinquemila e più anni intercorsi tra la nascita della scrittura e la nascita della stampa, l'uomo sia andato in cerca di un qualche efficace mezzo che servisse a fare più di una copia. Ma perché trovasse un modo davvero efficace per realizzare quello a cui aspirava, bisognò arrivare al XV secolo. Solo allora egli mise insieme i mezzi tecnici necessari - la carta, l'inchiostro, dei caratteri che potevano essere riprodotti e riutilizzati, un torchio - e cominciò a stampare grandi tirature. Fu questo il terzo passo importante nell'evoluzione della comunicazione umana.

Tale passo venne fatto simultaneamente in Asia orientale e nell'Europa occidentale. Noi siamo abituati a pensare alla nascita della stampa come ad una vicenda europea, ma la verità è che ignoriamo i nomi di coloro che in Corea realizzavano, nello stesso periodo, pressappoco le stesse cose. Sappiamo invece che, poco dopo il 1440, Johannes Gensfieisch, detto Gutenberg, di Magonza, combinò insieme un inchiostro, ch'era stato elaborato in Asia, una carta, che aveva le sue origini nell'Asia orientale e in Egitto, un carattere metallico mobile, che assomigliava molto ad un tipo inventato in Asia orientale (benché fuso mediante un processo perfezionato in Europa), un torchio da vino europeo appositamente adattato e l'alfabeto europeo, e cominciò a tirar fuori annunci, documenti e infine libri in un gran numero di copie.

A tutt'oggi non abbiamo ancora finito di valutare le profonde conseguenze sociali di questa invenzione. Poiché la comunicazione è il processo sociale di base, questo nuovo metodo di diffusione dell'informazione penetrò rapidamente in tutte le sfere dei rapporti sociali. Esso contribuì a ridistribuire il potere estendendo la capacità di apprendere e di conoscere molto oltre i ristretti confini delle élites sociali. Contribuì, mediante la nuova velocità acquistata dall'informazione, ad accelerare i processi innovativi. Contribuì a far sembrare meno esteso lo spazio, perché ormai l'informazione copriva agevolmente le grandi distanze. Sulla base della nuova tecnica si svilupparono servizi nuovi: fogli di notizie e, più tardi, giornali, opuscoli e riviste; e, infine, l'editoria libraria. La stampa, consentendo una vasta diffusione delle idee e dei libri importanti, svolse un ruolo essenziale nella rinascita intellettuale del Quattrocento e del Cinquecento. Fornendo, mediante manuali e libri di consultazione, una possibilità reale di estendere l'istruzione, la stampa contribuì ai mutamenti sociali verificatisi nel corso del Cinquecento e dei secoli successivi. Ancora, essa rappresentò un fattore essenziale nelle rivoluzioni politiche del XVII e XVIII secolo, giacché per suo mezzo poterono diffondersi gli argomenti e le ragioni degli insoddisfatti. Infine, diffondendo il sapere e incoraggiando la scienza, la stampa contribuì, sullo scorcio finale del XVIII secolo e durante il XIX, a rendere possibile la rivoluzione industriale, che avrebbe, a sua volta, prodotto i nuovi media elettronici.

L'applicazione di un'energia non muscolare alla pressa da stampa fu uno dei primi contributi della rivoluzione industriale alla comunicazione di massa. Ma contributi ancora più significativi vennero dalla sempre maggiore conoscenza dell'ottica, dell'elettricità e delle onde hertziane. Il telegrafo cominciò ad esser usato nel quarto e quinto decennio del XIX secolo, e provocò la nascita di agenzie di stampa che per suo mezzo fornivano ai giornali informazioni di attualità concernenti luoghi anche remotissimi. Nel corso degli anni venti e trenta dello stesso secolo, L. Daguerre e J.-N. Niepce elaborarono, in Francia, un metodo fotografico. Negli anni settanta divenne tecnicamente possibile realizzare il telefono e così, per la prima volta, l'uomo poté far udire la propria voce ad una distanza maggiore di quella consentita dal megafono. La serie straordinaria di invenzioni tecniche, che si ebbero nella seconda metà dell'Ottocento, contribuì a realizzare un'intera serie di nuovi strumenti, tra cui uno dei primi fu la macchina compositrice. Sul finire degli anni settanta, il fonografo a rullo di Edison riuscì, per la prima volta, a registrare e a conservare la voce dell'uomo e il suono degli avvenimenti. La proiezione pubblica dei film iniziò nell'ultimo decennio del secolo. Il lavoro svolto da Marconi in campo radiofonico - sempre negli anni novanta - emancipò gli esseri umani dai fili e dai dischi, consentendo loro di essere uditi sin dove le onde hertziane potevano trasportarne la voce. All'inizio del nuovo secolo, la scena era quindi pronta perché vi apparissero i media elettronici. Esistevano strumenti capaci di registrare ciò che l'uomo vedeva e udiva, nonché di trasmettere - sulle lunghe distanze e a gran velocità - sia i suoi scritti che la sua voce. Il nostro secolo ha sviluppato tali strumenti e tali procedimenti sino a farne dei mezzi di comunicazione numerosi e onnipresenti e ha creato anche nuovi media elettronici ad un ritmo che non ha riscontro in nessuna epoca precedente.

Tabella 1

Il ritmo con cui la comunicazione umana si è sviluppata è esso stesso degno di nota. Il passaggio dal linguaggio alla scrittura richiese decine di migliaia di anni. Per arrivare dalla scrittura alla stampa (e con essa alla comunicazione di massa) occorsero migliaia di anni. Il periodo che separa questa prima forma di comunicazione di massa dai primi media elettronici conta alcune centinaia di anni. Infine, dai primi esperimenti televisivi alle riprese in diretta dalla Luna sono passati soltanto cinquanta anni. È evidente, dunque, come il ritmo con cui la comunicazione è mutata e si è sviluppata, si sia costantemente accelerato, intrecciandosi in stretto rapporto con l'incidenza della comunicazione stessa sul mutamento sociale.

3.I media e il processo della comunicazione

Il processo della comunicazione di massa non è altro che il processo di comunicazione di base, con l'aggiunta di una macchina comunicante e di un'organizzazione apposita inserite nella catena degli eventi.

Ogni comunicazione umana implica tre elementi principali: un emittente, una serie di segni generalmente denominati messaggio, e un ricevente. Nella comunicazione interpersonale questi elementi operano nel modo seguente.

1. L'emittente sviluppa certe tensioni, bisogni e aspettative che ritiene possano trovare soddisfazione nel ‛comunicare'. In altri termini, egli avverte un bisogno, o trova una ragione, tali da spingerlo ad inviare un messaggio a qualcuno.

2. Egli codifica ed emette il suo messaggio attingendo a tutta la sua esperienza, a tutte le sue capacità, a tutti i segni e comportamenti che riconosce come appropriati a tale bisogno. Si badi che il messaggio non coincide precisamente con quello che l'emittente percepisce: esso è soltanto un gruppo di segni tale da sembrare verosimilmente in grado di provocare la risposta desiderata. L'emittente può scegliere di codificarlo in parole scritte, in parole pronunciate, in gesti, in espressioni facciali, in immagini, in musica, o in qualsiasi altra serie di segni suscettibile di essere interpretata da un ricevente.

3. Dopo ch'è stato codificato ed emesso, un messaggio esiste per qualche tempo indipendentemente sia dall'emittente che dal ricevente. Può trattarsi di inchiostro sulla carta, di onde sonore nell'aria, di onde luminose riflesse da un volto umano o di ogni altro insieme di segni: ciò che conta è che in ognuno di questi casi il messaggio è qualcosa di altrettanto disgiunto dall'emittente, di altrettanto fuori dal suo controllo quanto una lettera dopo che è stata impostata. Durante questo arco di tempo, esso è un fenomeno fisico, ed è privo di significato se qualcuno non ve lo legge.

4. I segni codificati giungono all'attenzione di un ricevente, il quale li accetta e li decodifica ricorrendo a tutta l'esperienza che possiede, a tutto ciò che sa in materia di segni e di comportamenti di comunicazione. Non esistono due individui che abbiano esattamente la stessa esperienza, e non esisteranno quindi due individui che leggeranno nel medesimo insieme di segni il medesimo significato. Ma, se l'esperienza del ricevente è sufficientemente simile a quella dell'emittente e se il messaggio è stato codificato con sufficiente abilità, è probabile che una buona parte del significato che l'emittente contava di trasmettere vi sarà effettivamente letta dal ricevente. D'altro canto, parecchie sono le cose che, a questo punto, possono non funzionare. Il messaggio può addirittura non giungere all'attenzione del ricevente. Un qualche ‛rumore' estraneo può interferirvi e far sì che il ricevente lo percepisca erroneamente. Il ricevente può decidere, passando in rassegna il suo ambiente, che il messaggio in questione è meno meritevole della sua attenzione di altri stimoli disponibili. Oppure la sua esperienza è così diversa da quella dell'emittente da fargli fraintendere il messaggio. Per esempio, egli può non conoscere alcune delle parole impiegate, o addirittura la lingua in cui il messaggio è stato codificato. O, magari, le parole, pur essendogli familiari, designano un diverso tipo di esperienza: ad esempio una persona che sia vissuta sempre nell'Artico e abbia visto soltanto cani eschimesi leggerà probabilmente nella parola ‛cane' un significato diverso da quello lettovi da una persona vissuta in Messico e che abbia visto soltanto i minuscoli Chihuahua.

5. Infine, il ricevente ‛fa qualcosa' del messaggio: lo decodifica. Egli lo interpreta nei termini di ciò ch'esso significa per lui. Può rifiutarlo, sbarazzandosene. Può immagazzinarlo nella sua memoria senza prendere nessuna iniziativa esterna. Può interpretarlo in modo completamente diverso dalle intenzioni dell'emittente, specialmente se esso costituisce un attacco a credenze o atteggiamenti in lui saldamente radicati, e se prenderne atto sarebbe cosa sgradevole (gli studi di psicologia sociale abbondano di esempi di questo tipo di distorsione; si vedano, tra gli altri, Cooper e Jahoda, 1947). Egli può infine dar corso ad una qualche azione: può codificare un messaggio in risposta a quello ricevuto o fare qualche altra cosa che sia stata stimolata dalla comunicazione. Se ad esempio legge il messaggio come ‟vorresti una sigaretta?", darà verosimilmente una risposta verbale; se lo legge come ‟l'edificio sta bruciando", è probabile che si allontani in fretta (v. Johnson, 1946; v. Westley e MacLean, 1957; v. Berlo, 1960).

In questo processo vi sono alcune cose che è importante rilevare. Intanto, è chiaro che si tratta di un processo straordinariamente attivo. Nel rapporto di comunicazione sono attive entrambe le parti. Per molti anni si è ritenuto che l'emittente fosse attivo, ma che il ricevente fosse, invece, relativamente passivo; e che, a causa di ciò, un ricevente fosse relativamente indifeso rispetto ad un emittente che disponesse dei canali della comunicazione o fosse esperto del loro uso. A ciò si deve se la propaganda, e specialmente la propaganda effettuata tramite i mezzi di comunicazione di massa, suscitava tanti timori. Noi oggi non crediamo più che il ricevente si comporti passivamente; pensiamo, anzi, ch'egli sia attivo non meno dell'emittente: che passi in rassegna il suo universo alla ricerca di quegli stimoli di comunicazione ai quali è disposto a prestare attenzione, che vi operi una selezione, che li interpreti secondo i suoi bisogni e la sua esperienza, disponendo di loro nel modo che gli conviene meglio.

In secondo luogo, nulla in questo processo passa direttamente dall'emittente al ricevente. Un tempo era abituale assimilare il flusso della comunicazione al fluire degli elettroni dalla fonte di corrente al filamento di una lampada elettrica, che appunto da questo fluire è reso incandescente. Ma ora sappiamo, grazie ad una serie di sviluppi teorici (su cui riferiscono Lazarsfeld e Katz, Hovland, Bauer ed altri ancora), che le cose non stanno così. Nulla che faccia parte del sistema nervoso dell'emittente si trasferisce al sistema nervoso del ricevente. La comunicazione non è come una pallottola che venga sparata sul ricevente. Essa assomiglia piuttosto all'operato di un fornaio che, avendo fatto un dolce lo esponga in vendita, senza sapere chi lo vedrà, chi ne sarà attratto, a chi piacerà e chi lo comprerà; oppure può essere assimilata all'opera di un generale che addestri i suoi soldati e li mandi quindi a combattere privi del suo comando: non sapendo perciò se si batteranno da valorosi o da vigliacchi, se combatteranno il nemico vero oppure se finiranno con l'ammutinarsi e rivoltarglisi contro. Come ha dimostrato chi scrive (v. Schramm, 1972), il processo della comunicazione consiste in realtà di due serie di azioni: quella del codificare e dell'offrire i segni, e quella (propria del ricevente) del decidere se prestare o meno attenzione ad essi, se - in caso positivo - accettarli e infine che cosa eventualmente farne.

La comunicazione non è dunque qualcosa che ‛qualcuno faccia a qualcun altro', ma piuttosto qualcosa che ‛le due parti fanno insieme'. La relazione ch'esse stabiliscono determina in larghissima misura l'uso che faranno dei messaggi reciprocamente inviatisi (v. Schramm e Roberts, 1971 pp. 22 ss.). Ad esempio, un insegnante e uno studente, un commesso e un possibile acquirente, un artista e il suo pubblico, un innamorato e la sua amata, entrano in rapporto di comunicazione con aspettative diverse per ciascuno dei due. Lo studente vi entra attendendosi che l'insegnante sia preciso e interessante, e l'insegnante si aspetta dallo studente attenzione e rispetto. Il compratore vi entra pronto ad essere scettico, e il commesso, che di ciò si rende ben conto, è al contrario pronto a fare la migliore presentazione possibile del prodotto. Il pubblico vi entra predisposto al rilassamento e allo svago, e così via. In ciascuna occasione quindi il messaggio viene interpretato, almeno in parte, nei termini di ciò che il ricevente conosce dell'emittente ed è - a sua volta - codificato nei termini di ciò che l'emittente conosce del ricevente.

Un messaggio è una cosa complessa. È rarissimo che consista di un unico tipo di segni. Ad esempio, un uomo che parli comunica non soltanto mediante le parole che pronuncia, ma anche mediante il tono di voce, il variare delle modulazioni, la velocità con cui parla, e inoltre con le sue espressioni facciali, con la posizione del suo corpo, con i suoi gesti e, persino, con gli abiti che indossa. Un giornale comunica non soltanto mediante le parole che stampa, ma anche mediante il corpo dei caratteri impiegati, la posizione di un dato articolo nella pagina, le caratteristiche del titolo, la presenza o l'assenza di illustrazioni o fotografie, la collocazione di certe notizie in questa o in quella pagina.

Tutte queste caratteristiche vanno viste in blocco, così come avviene nella comunicazione interpersonale. Ma per due individui che si parlino direttamente la comunicazione è un fatto relativamente semplice. Essi possono conoscersi bene l'un l'altro, e aver stabilito tra loro efficienti modi di comunicazione. Per esempio, due matematici si accorgono che sono in grado di comunicare su questioni matematiche ad un elevato livello di astrazione e che invece non possono usare con la stessa disponibilità il linguaggio matematico per parlare con un tassista o un poliziotto. Ancora: si conoscano oppure no, due persone possono sempre osservare ciascuna le reazioni dell'altra. Un emittente può prestare ascolto al proprio messaggio e decidere se è appropriato allo scopo; può osservare l'aspetto del ricevente e interpretare ciò che questi dice o fa in risposta al messaggio. Può rendersi conto se al messaggio si badi oppure no e, se necessario, fare qualcosa per attirare l'attenzione del ricevente. In altre parole, egli riceve un feedback sia dal messaggio che emette sia dal ricevente cui lo invia, e può quindi, se necessario, rivedere o fare delle aggiunte alla sua comunicazione.

Il feedback contribuisce quindi considerevolmente all'efficacia di una comunicazione e il fatto che nella comunicazione di massa esso abbia un valore relativamente scarso, costituisce una delle differenze più significative tra quest'ultima e la comunicazione interpersonale. In una qualsiasi comunicazione di massa l'emittente non conoscerà che pochi individui del suo pubblico. Egli saprà soltanto che questo pubblico è costituito da molti e diversi tipi di persone, con differenti interessi e capacità. Sino a molto tempo dopo, non saprà quante persone costituivano il suo pubblico e non avrà mai una vera conoscenza dei singoli individui che lo componevano.

Egli riceve un esiguo feedback: qualche lettera o telefonata, una valutazione numerica del pubblico o della diffusione. E sono tutte cose che giungono di gran lunga troppo tardi per consentirgli di rimanipolare il suo messaggio. Di conseguenza egli deve fare in modo che il suo programma, o articolo, o racconto si adatti al maggior numero possibile dei componenti il pubblico. È questa una delle ragioni per cui spesso i mezzi di comunicazione di massa imitano le formule di successo e cercano di soddisfare certi denominatori comuni delle esigenze del pubblico anziché le specifiche richieste e interessi dei vari sottogruppi presenti in esso.

Una seconda importante differenza tra la comunicazione di massa e quella interpersonale dipende dall'ampiezza del pubblico. Una persona che parli ad un amico, o un insegnante che parli alla sua scolaresca sanno se i rispettivi ascoltatori stanno prestando loro attenzione oppure no, e possono rendersi conto in maniera attendibile se vengono o meno fraintesi. Gli ascoltatori a loro volta si sentono in qualche modo obbligati a prestare attenzione, e a tentare di comprendere e di reagire in modo adeguato. Invece, in un processo di comunicazione di massa il pubblico è lontano dall'emittente, e non sente altro obbligo che non sia quello di scegliere tra le varie attrattive che i media gli mettono a disposizione. Attualmente in una grande città europea o nordamericana, una persona di medie possibilità economiche ha a sua disposizione, più o meno, una mezza dozzina di quotidiani, una cinquantina di riviste, un certo numero di sale cinematografiche; dispone inoltre di non meno di 400 ore giornaliere di radiotrasmissioni e di 200 ore di teletrasmissioni, di una biblioteca pubblica, di conferenze, di riunioni di ogni genere (oltre all'intera sfera delle sue comunicazioni personali con i familiari, gli amici e i colleghi di lavoro). Di tutto ciò tale persona può scegliere soltanto una piccola parte. Anche nel caso degli Stati Uniti o del Giappone (paesi in cui l'utilizzazione dei media elettronici è assai intensa), una persona non potrà tenere acceso il suo televisore per più di tre ore al giorno (in media) e il suo apparecchio radio per più di due ore, e dedicherà soltanto un'ora o poco più ai mezzi a stampa.

Nella comunicazione di massa anche l'emittente differisce, sotto un importante aspetto, dall'emittente relativo ad un rapporto di comunicazione a due. Nella comunicazione di massa l'emittente è una grossa organizzazione sociale. Essa pone di fronte alla telecamera o al microfono un certo individuo oppure gli affida la rubrica di un giornale, ed egli deve, grazie alla sua individuale personalità, attirare un pubblico. Ma questo individuo ha in realtà alle spalle un'organizzazione la cui funzione è di produrre per periodi di tempo prefissati (addirittura per venti ore consecutive al giorno, nel caso di una stazione o di una rete radiofonica o televisiva) un prodotto di informazione o di intrattenimento. Il medium è perciò inserito in una programmazione ed è vincolato a quella particolare formula che il sistema di distribuzione di volta in volta richiede. Esso non possiede in alcun modo la libertà e l'informalità caratteristiche della comunicazione interpersonale. Deve avere a sua disposizione un'organizzazione specifica mediante la quale ricercare e mettere insieme l'informazione che intende comunicare; deve, cioè, raccogliere le notizie, trovare gli attori e i copioni, assumere i musicisti, procurarsi i filmati, acquistare dalle reti di distribuzione e da altri produttori programmi già realizzati oppure raccogliere la materia prima per suoi propri programmi. Deve insomma mettere insieme tutti quei materiali di cui come medium ha bisogno. Per questo anche un cronista o un commentatore televisivo famosi di regola non parlano a proprio nome, così come parla una persona che ha una comunicazione interpersonale. Essi parlano per l'organizzazione, e l'organizzazione da parte sua sostiene - e in una certa misura fornisce - ciò che essi debbono comunicare. Per spiegarsi con un esempio: dietro una qualsiasi tramissione televisiva sta un'organizzazione di ampiezza mondiale, anche se il programma va comunemente sotto il nome di un individuo. Il processo dei media è un processo complesso. Mettere insieme il prodotto esige all'interno della stessa organizzazione una gran quantità di rapporti e di scelte nelle linee di condotta; solleva problemi di autorità, di struttura, di funzione, di finanziamento e di controllo che hanno ben scarsa somiglianza con quanto avviene nella comunicazione interpersonale. Ad un profano appare spesso come un piccolo miracolo il fatto che un giornale, una rete radiotelevisiva, o uno studio cinematografico riescano a riconnettere insieme tutti i pezzi del processo in modo da realizzare un programma prestabilito.

4.Il sistema dei mezzi di comunicazione di massa

La dimensione stessa del sistema dei mezzi di comunicazione di massa è un dato sociale di notevole importanza.

In tutto il mondo esistono approssimativamente 7.900 giornali quotidiani, 23.000 stazioni radiofoniche, 18.000 stazioni televisive, 260.900 sale cinematografiche. Quanto ai libri, vengono pubblicati mezzo milione di titoli ogni anno. Ogni giorno feriale circa 390 milioni di copie di giornali quotidiani arrivano agli abbonati o ai clienti delle edicole (una copia ogni sette o otto persone nel mondo). C'è un apparecchio radio ogni quattro-cinque persone e un televisore ogni tredici.

La distribuzione di tutto ciò non è uniforme. Uno sguardo alla tab. 11, che contiene le ultime cifre messe a disposizione dalle Nazioni Unite (purtroppo ferme al 1971), basterà a mostrare che circa i tre quinti della tiratura mondiale di giornali quotidiani e i tre quinti della capienza totale delle sale cinematografiche sono concentrati in Europa e in URSS, e che la metà di tutti gli apparecchi radio è nelle Americhe (più del 46% nel solo Nordamerica). Circa il 70% di tutti i televisori è in Nordamerica e in Europa. Nelle regioni scarsamente industrializzate il sistema dei mezzi di comunicazione di massa è assai meno sviluppato. L'Asia orientale si troverebbe molto più indietro rispetto alle regioni economicamente avanzate di quanto risulti dalla tab. Il, se non fosse per il contributo straordinario dato dal Giappone, dove i media hanno raggiunto uno dei massimi punti di saturazione su scala mondiale. L'America Latina registra uno sviluppo dei media maggiore rispetto sia all'Asia che all'Africa. La regione a minore densità di media è l'Africa subsahariana.

Tabella 2

La tabella mostra anche che i media elettronici aumentano ad una velocità maggiore di quelli a stampa. Il numero dei quotidiani, nonché la loro diffusione in rapporto alla popolazione, sono aumentati solo in lieve misura durante gli anni sessanta, mentre la diffusione della radio è più che raddoppiata e quella della televisione più che triplicata.

I mezzi di comunicazione di massa sono parte di una realtà di assai più vaste dimensioni, che può essere denominatà l'organizzazione del sapere della società. F. Machlup ha fornito alcune indicazioni sulle dimensioni di questo settore della società, da lui chiamato l'‟industria del sapere" (v. Machlup, 1962). Le branche principali di tale industria sono le seguenti: 1) diffusori di messaggi: mezzi di comunicazione di massa (quotidiani, riviste, libri, film, radio, televisione); 2) vettori di messaggi: telefono, telegrafo, servizi postali, sistemi via satellite, cavi e così via; 3) fornitori di informazione per esigenze individuali: servizi di selezione bibliografica nelle biblioteche, servizi di elaborazione mediante calcolatore, banche di dati, e così via; 4) produttori e operatori di attrezzature per la comunicazione: società tipografiche, produttori di attrezzature elettroniche e tipografiche, tecnici per la messa in opera e il funzionamento delle apparecchiature utilizzate dai media e dal loro pubblico, e simili; 5) servizi speciali per fornire il contenuto della comunicazione: agenzie di stampa, studi per la preparazione di programmi e di film, scrittori, attori, artisti, programmatori di materiali educativi, produttori di programmi per calcolatori, e così via; 6) agenzie di promozione e vendita: agenzie pubblicitarie e reparti pubblicitari delle imprese, agenzie di distribuzione e vendita, e simili; 7) agenzie di consulenza amministrativa: consulenza e patrocinio legale per le organizzazioni operanti nel campo della comunicazione, servizi stampa e pubbliche relazioni, servizi finanziari e contabili, consulenti amministrativi e quanti altri servono con le loro specializzazioni l'industria del sapere; 8) enti operanti nel campo del personale: sindacati e organizzazioni professionali, organizzazioni per l'addestramento del personale prima e dopo la sua assunzione in servizio, agenzie di reclutamento, e così via; 9) servizi per la raccolta dei dati: assistenza globale di ricerca e sviluppo, ricerche di settore e indagini sul pubblico, servizi di raccolta d'informazioni, sondaggi d'opinione, censimenti e altre importanti fonti di informazioni statistiche, e così via; 10) istruzione istituzionale: scuole e colleges, università, scuole per corrispondenza, scuole di addestramento per l'industria, l'esercito, l'amministrazione statale, e così via; 11) istruzione non istituzionale: enti governativi e privati che forniscono possibilità di apprendere fuori della scuola e che si interessano dell'agricoltura, dell'organizzazione sanitaria, del commercio, delle specializzazioni tecniche, di corsi di riaddestramento e di aggiornamento, dell'educazione globale degli adulti, e simili.

In alcuni paesi, in cui la tecnologia o l'industrializzazione sono rimaste indietro, l'‛industria del sapere' è meno pienamente sviluppata che negli altri. Ma la precedente elencazione mostra che non è lecito considerare isolata- mente i mezzi di comunicazione di massa impiegati nei processi di comunicazione: essi sono parte di una sfera amplissima di attività sociale, i cui settori sono strettamente interrelati. Essi utilizzano i servizi offerti dall'ambiente e a un tempo vi apportano il loro contributo.

Ecco ad esempio alcuni dei servizi in connessione attiva con le trasmissioni radiotelevisive negli Stati Uniti (le cifre che ne fissano le dimensioni risalgono al 1971).

1. Fonti di programmi: a) tre reti televisive, quattro reti radiofoniche, parecchie reti che forniscono servizi speciali (per es., quelli sportivi); b) 404 distributori e produttori di programmi radiofonici; c) 688 produttori e distributori di programmi televisivi; d) 50 grosse organizzazioni per il reclutamento di talenti; e) circa 50 organizzazioni per la produzione e la distribuzione di film; f) 74 laboratori d sviluppo e stampa di filmati televisivi; g) due enti di servizi stampa nazionali e un certo numero di agenzie straniere specializzate che riforniscono reti e stazioni radiotelevisive.

2. Servizi del personale: a) 137 associazioni e ordini professionali; b) 47 sindacati in rappresentanza degli operai; e della gente dello spettacolo.

3. Servizi tecnici: a) più di 100 produttori di apparecchiature; b) 267 ingegneri specializzati nel settore radiotelevisivo; c) ponti radio mediante microonde, cavi e satelliti gestiti dalla American Telephone and Telegraph Company o da altri; d) produttori di apparecchiature riceventi; servizi di manutenzione presenti in tutto il paese.

4. Servizi di promozione e vendita: a) alcune centinaia grossi inserzionisti (molti dei quali con propri uffici pubblicitari) e parecchie centinaia di agenzie pubblicitai b) 154 centri ufficiali di rappresentanza; c) rete commerciale (servizio vendita); d) 470 produttori di programmi pubblicitari televisivi; e) 281 produttori di programmi e motivi pubblicitari per la radio; f) ditte di registrazione disco o su nastro che forniscono ‟accompagnamenti musicali, specialmente per le stazioni radio.

5. Servizi di gestione: a) un gran numero di legali specializzati nella legislazione e nella regolamentazione radiotelevisiva; b) 73 consulenti professionisti nel settore della gestione, del personale, eccetera; c) 68 servizi per le pubbliche relazioni, la stampa e la promozione; d) 41 agenti specializzati nel noleggio di stazioni e di servizi via cavo; e) 16 compagnie specializzate nel finanziamento delle organizzazioni radiotelevisive.

6. Servizi opinioni: 54 società che effettuano indagini di mercato.

Sin qui si tratta dei soli servizi connessi con i media radiotelevisivi e, anzi, soltanto di una parte di essi. Altri media hanno connessioni analoghe con i servizi sussidiari. In misura maggiore o minore, una tale situazione esiste ovunque ci siano dei media. Ad esempio, in un paese in via di sviluppo la televisione può difficilmente essere introdotta finché non siano disponibili i servizi di manutenzione e gli altri tipi di assistenza tecnica. I mezzi di comunicazione di massa interagiscono dunque con un settore di affari e di attività produttive assai più ampio di quello dei media stessi e, anzi, di tale settore essi costituiscono la ragion d'essere.

Essi assorbono, inoltre, un'ampia quota della spesa destinata ai servizi sociali. Le cifre fornite da Machlup mostrano che intorno al 1960 gli Stati Uniti spendevano nell'industria del sapere una quota del loro prodotto nazionale lordo vicina al 20%. Poiché di questo ammontare una parte compresa tra il 35 e il 45% veniva assorbita dall'istruzione, circa un altro 15% dai servizi postali, dal telefono e dal telegrafo, e pressappoco altrettanto dalla ricerca in tutti i settori, le spese connesse direttamente ai mezzi di comunicazione di massa non sono così ingenti come il totale sopra riportato farebbe sembrare. Ma resta il fatto che negli Stati Uniti radio e televisione ebbero nel 1970 un fatturato di circa cinque miliardi di dollari, i quotidiani di circa otto miliardi e mezzo, e i libri e i periodici di circa due miliardi e mezzo. Queste cifre vanno viste nel quadro della più ampia industria del sapere e dei servizi connessi con i media. Ad esempio, negli Stati Uniti la spesa totale in stampati si avvicinò nel 1967 ai 22 miliardi di dollari. Nel 1970 la spesa totale relativa a tutti i tipi di pubblicità superò i 25 miliardi. Il costo totale delle attrezzature per la comunicazione si aggirò intorno ai 12 miliardi. E le cartiere ebbero un fatturato di quasi 5 miliardi.

Un modo di considerare il costo dell'industria del sapere è di esaminarlo in rapporto alle spese delle famiglie. B. H. Bagdikian ha calcolato nel 1970 che la famiglia media statunitense spende per servizi di comunicazione (istruzione esclusa) circa 688 dollari. Tale somma va così suddivisa:

Tabella

Negli ultimissimi anni le spese scolastiche della famiglia americana si sono mediamente aggirate intorno ai 1.000 dollari. Ne segue che i costi ‛diretti' dell'industria del sapere per la famiglia media americana non sono lontani dalla cifra di 1.700 dollari l'anno.

Abbiamo citato cifre americane perché gli Americani si sono particolarmente occupati di tali questioni, e sono più solleciti nel fornire i dati relativi. Ma non c'è alcuna ragione di pensare che in altri paesi le spese risulterebbero, in proporzione al reddito, considerevolmente ridotte.

Concentrando l'analisi sui media anziché sul complesso delle relazioni da essi istituite con l'esterno, possiamo descrivere la loro struttura tipica in termini di unità amministrative incaricate rispettivamente della produzione, della distribuzione e della direzione.

In media diversi tali unità assumono forme differenti. Ad esempio, in un quotidiano il settore di produzione comprende i cronisti che seguono i fatti del giorno, i fotografi che ne riprendono le immagini, i redattori che preparano il materiale per la pubblicazione e rielaborano le notizie provenienti da altre parti (per es. quelle giunte per telescrivente o quelle d'agenzia), i titolari di rubriche speciali e gli editorialisti che scrivono le loro opinioni o le loro analisi, i produttori di pubblicità e gli elaboratori dei testi pubblicitari, i grafici e i tipografi che compongono e stampano il materiale. Dalla tipografia la comunicazione prodotta è trasmessa agli addetti alla distribuzione - venditori, strilloni, edicole, spedizionieri - il cui compito principale consiste appunto nel porla in circolazione. Infine la funzione della direzione è quella di effettuare le scelte di linea politica, di curare le relazioni del giornale con il governo e il mondo degli affari, di mantenere un rapporto ragionevole tra costi e ricavi e di far funzionare in modo armonico il complesso insieme delle unità di produzione e di distribuzione (v. Peterson e altri, 1965).

Una stazione trasmittente dispone nella sua unità di produzione di impresari, scrittori, attori, cameramen (se è una stazione televisiva), tecnici audio e tecnici per la registrazione; la sua unità di distribuzione dispone invece dei tecnici addetti alla trasmissione; l'unità di direzione svolge infine molte delle funzioni già viste nel caso dei giornali. Se la stazione è finanziata dalla pubblicità commerciale, essa disporrà di un vasto settore per la vendita dei tempi di trasmissione. Mentre nel caso di un grande giornale il finanziamento dipende dalla pubblicità per una quota che va dai due terzi ai tre quarti, nel caso di una stazione trasmittente commerciale il totale delle entrate proviene in genere da questa fonte.

Un ente di produzione cinematografica avrà sceneggiatori, registi, impresari, operatori, tecnici del suono e in più tutto il personale tecnico necessario alla lavorazione di un film, come gli attori, gli scenografi, i direttori di edizione, nonché i musicisti: tutti coloro, insomma, che costituiscono il suo settore di produzione. Tale ente può possedere le proprie sale di proiezione o può dipendere da un gruppo di distributori che cureranno i modi di porre in circolazione il prodotto filmico. Un ruolo importante in un'organizzazione cinematografica è poi spesso quello del direttore di produzione. Egli rappresenta la direzione, badando che i costi rimangano sotto controllo, e assolve una funzione produttiva quando si occupa del personale, delle attrezzature e del lavoro in esterni.

Tutti i mezzi di comunicazione di massa presentano questa struttura generale: tutti sono cioè diretti a produrre e a distribuire un certo prodotto di comunicazione. Va tuttavia rilevato che solo molto raramente l'intero prodotto dei media nasce all'interno dell'organizzazione. Il giornale quotidiano riempie una buona parte del suo spazio con notizie e fotografie fornite dalle agenzie, con rubriche, articoli e annunci pubblicitari scritti altrove. La stazione trasmittente dipende in larga misura dai programmi delle reti di distribuzione e dai film acquistati presso agenzie; inoltre, nel caso di una stazione commerciale, questa manda in onda una gran quantità di pubblicità prodotta altrove. L'ente di produzione cinematografica compra spesso dei soggetti o i diritti per la trasposizione di commedie e romanzi di successo.

I mezzi di comunicazione di massa svolgono quindi una funzione di tipo selettivo, nel senso che decidono ‛quali' notizie, ‛quali' programmi, ‛quali' versioni dei fatti saranno mandati in lavorazione e distribuiti al loro pubblico.

La figura più avanti riprodotta faciliterà la comprensione della relazione tra questa descrizione della struttura dei media e quanto già detto sul processo della comunicazione. Come appunto la figura mostra, il processo è fondamentalmente lo stesso: un emittente codifica in segni un messaggio che per un certo periodo di tempo avrà un'esistenza indipendente sia dall'emittente sia dal ricevente; un ricevente decide quindi se prestare attenzione oppure no al messaggio, se - in caso positivo - accettano oppure no e infine - sempre in caso positivo - come interpretarlo e come reagire nei confronti di esso. Solo che, nel caso dei mezzi di comunicazione di massa, il messaggio è costituito da un certo numero di prodotti di comunicazione identici e praticamente simultanei: le copie di un giornale, le trasmissioni di un programma radiofonico o televisivo, i film o i libri. Il ricevente non è un semplice individuo, ma un certo numero di individui che fanno parte di un pubblico potenziale. Certo, un qualche effetto di feedback arriva al medium, ma è più lento e più debole - in rapporto alle dimensioni del pubblico - di quanto avvenga nella comunicazione interpersonale. La differenza maggiore è, tuttavia, quella che concerne l'emittente, il quale nella comunicazione di massa è un'intera organizzazione - suddivisa nelle sue rispettive unità di produzione, di distribuzione e di direzione - che attinge per il contenuto dei suoi messaggi a numerose fonti esterne e che è in parte dipendente da diversi servizi collegati.

Grafico
Inventore statunitense (Milan, Ohio, 1847 - West Orange 1931), uno dei più grandi della storia. Autore di alcune delle invenzioni fondamentali della fine del 19° secolo, come la lampada a incandescenza e la registrazione del suono, ha anche introdotto quella che oggi si chiama ricerca e sviluppo, cioè lo sforzo continuo di innovazione e sperimentazione per immettere sul mercato nuovi prodotti.

Vita e attività

A 12 anni cominciò a lavorare come venditore di giornali sui treni. In un piccolo scompartimento riservatogli creò una stamperia per un settimanale; più tardi vi attrezzò un piccolo laboratorio chimico nel quale fece le prime esperienze. Nel 1862 un incendio da lui causato distrusse il laboratorio; altri incidenti costellarono la sua carriera di inventore. Assunto come telegrafista dalla Grand Trunk Railway, nel 1864 ideò un telegrafo duplex per inviare contemporaneamente su uno stesso filo comunicazioni nei due sensi. Nel 1868 impiantò a Boston il suo primo laboratorio, fabbricando varî apparecchi telegrafici da lui inventati. Negli anni seguenti inventò il telefono quadruplex, il mimeografo, e quindi il microfono a carbone (1876) e aiutò C. L. Sholes a costruire la sua macchina per scrivere (1875). Nel 1877 ideò il fonografo, perfezionato dieci anni dopo, e costruì le prime lampade elettriche a filamento di carbone, dalle quali passò (1879) a quella con filamento di cotone carbonizzato che durava 40 ore (le altre duravano appena 10÷15 minuti). Apportò (1879) perfezionamenti alla dinamo, a seguito dei quali fu costruita, a New York, la prima centrale elettrica del mondo. Nel 1883 scoprì l'emissione di elettroni da superfici metalliche riscaldate (effetto E.-Richardson o effetto termoelettronico) e nel 1889 costruì il cinetoscopio. Introdusse nell'industria mineraria i trasportatori a nastro, largamente applicati in seguito. Nel 1900 costruì l'accumulatore leggero al ferro-nichel che porta il suo nome. Lavorò poi alla ricerca e alla selezione di una nuova pianta di gomma, che potesse essere raccolta e trattata economicamente con mezzi meccanici. Estese i suoi interessi a svariati altri campi, dalla impermeabilizzazione dei tessuti all'impiego del cemento nelle costruzioni, alle segnalazioni ferroviarie, ecc. I suoi brevetti ammontano complessivamente a circa 1500.

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5. Effetti dei diversi media

A cominciare dal XV secolo, l'Europa è passata da una cultura orale ad una cultura di media. Il medium era allora la stampa. Oggi, nei paesi in via di sviluppo, centinaia di milioni di persone stanno uscendo da una cultura orale, ma è caratteristico ch'esse si accostino ai media audiovisivi anziché a quelli a stampa. Di solito la prima ad arrivare è la radio, mentre cinema e televisione giungono con un certo ritardo; ma tutti e tre questi media hanno sulla stampa il vantaggio di scavalcare completamente le barriere dell'analfabetismo e della distanza. I giornali sono molto diffusi nelle città e nell'ambito dell'élite istruita, ma la loro penetrazione nei villaggi è lenta.

Questi mutamenti nel senso di una cultura di media hanno provocato, sia in Europa che negli attuali paesi in via di sviluppo, un grande aumento del flusso delle informazioni. Ne è seguito l'elevarsi del livello delle aspirazioni e l'offerta di nuovi modelli di comportamento a vaste masse di persone raggiunte da distanze molto grandi. È vero che il sapere è fonte di potere sia nelle culture orali che nelle culture di media; ma mentre nelle prime il potere-sapere tende a essere nelle mani di coloro che dispongono dell'informazione concernente il ‛passato' (quelli che sono in grado di ricordare la storia, le leggi, i testi sacri, le genealogie familiari e così via), nelle culture di media esso tende a essere nelle mani di coloro che dispongono dell'informazione proveniente da ‛lontano'. Ricordare il remoto passato perde importanza in quanto i media provvedono in modo più efficiente a fornire questo tipo di informazione. Diventa invece importante sapere quali siano le cose favorevoli o quelle pericolose che esistono in un ambiente che ci riguarda pur essendo lontano. Secondo la formulazione, forse troppo netta, di H. Innis (v., 1950 e 1951), le culture orali tendono ad essere tempocentriche, mentre quelle di media tendono ad essere spaziocentriche.

Meno chiara è invece la differenza intercorrente tra gli effetti del passaggio da una cultura orale ad una cultura di media a stampa (come nel caso dell'Europa) e quelli del passaggio da una cultura orale ad una cultura di media audiovisivi (come nel caso dei paesi in via di sviluppo). Tale confronto è di particolare interesse, giacché la civiltà occidentale, dopo quattro secoli di dominio della stampa, è anch'essa entrata in una fase in cui una parte cospicua della comunicazione di massa si svolge tramite canali audiovisivi (televisione, radio e cinema). Ne segue che il mondo intero si trova o sta entrando nel pieno di un'epoca in cui una buona parte dell'informazione che passa attraverso i media proviene dai canali audiovisivi piuttosto che dalla stampa.

M. McLuhan (v., 1962 e 1964) ritiene che la lettura ha sugli esseri umani un effetto individualizzante, mentre un medium come la televisione avrebbe un effetto socializzante. Egli crede inoltre che la struttura lineare, logica, del linguaggio stampato impone all'immagine dell'ambiente che l'uomo si costruisce una qualità lineare e logica, contraddittoria sia rispetto alla realtà di fatto, sia rispetto al modo in cui viene ordinariamente esperito l'incontro con l'ambiente medesimo. Egli sostiene pertanto che ‟il medium è il messaggio". Con ciò vuole chiaramente intendere che il medium, per il cui tramite l'informazione è trasmessa, svolge un ruolo fondamentale nel determinare il tipo di risposta che il messaggio ottiene, e che l'uso prevalente di un medium anziché di un altro ha un effetto profondo e di lunga durata sul pensiero individuale e sugli schemi di comportamento di una data cultura. In generale, egli si attende dal crescere dell'uso dei media elettronici influenze sociali benefiche.

La ricerca empirica ha fornito scarsissimo sostegno alle provocatorie generalizzazioni di McLuhan. Sta di fatto che, secondo la maggior parte delle indagini scientifiche, i rapporti di causa-effetto variano più all' ‛interno' dei singoli media che ‛tra' l'uno e l'altro medium. È tuttavia evidente che i vari media presentano, come portatori di questo o quel tipo di informazione e rispetto a questa o quella finalità, punti di forza o di debolezza diversi. A mano a mano che la nostra conoscenza di queste differenze migliorerà, saremo anche meglio in grado di valutare i loro effetti globali (v. Cantril e Allport, 1935; v. Lazarsfeld, 1940).

La stampa è forzatamente caratterizzata da un grado di astrazione maggiore rispetto alla televisione o al cinema e, pertanto, è meno in grado, rispetto a questi ultimi, di trasmettere la sensazione di esser presente, di sperimentare qualcosa in prima persona. Ne segue che i media elettronici sono in posizione di vantaggio quando si tratta di presentare gli avvenimenti d'attualità, o di esporre qualcosa che si presta ad essere compreso meglio vedendo e ascoltando piuttosto che attraverso una riflessione sul testo scritto. A ciò si deve se la fiducia della gente nelle notizie provenienti dalla televisione (v. Roper, 1971) è cresciuta così rapidamente rispetto alla fiducia nelle notizie fornite dalla stampa: nel primo caso, infatti, ‛vediamo con i nostri occhi'. E a ciò si deve se, anche nel campo dell'istruzione, televisione e cinema vengono oggi così largamente usati ad integrazione dei libri di testo.

Va peraltro osservato che il beneficio per lo spettatore, che assiste ad un dato evento direttamente, è in buona parte illusorio. In un certo senso anche la televisione è lineare: lo spettatore non può far altro che seguire passo passo la telecamera, e la sua esperienza non è quindi nè più completa nè più oggettiva di quanto gli consentano il cameraman o il regista. Il pubblico non può nè piazzare il microfono nè puntare la telecamera. Non può fermare il suo sguardo per tutto il tempo che vorrebbe, nè può ascoltare chi vorrebbe ascoltare. Tali decisioni sono necessariamente prese ‛per' il pubblico e il criterio che le guida è spesso quello di ciò che fa più ‛spettacolo'. Esiste uno studio (v. Lang e Lang, 1955) in cui la cronaca televisiva della sfilata in onore di MacArthur a Chicago è messa a confronto con ciò che gli spettatori in strada videro effettivamente di essa. Quelli che avevano visto la sfilata in televisione, la considerarono come un avvenimento estremamente eccitante e persino elettrizzante, che stimolava un grande entusiasmo nel pubblico, mentre coloro che erano effettivamente presenti la trovarono assai meno interessante e avvincente. In media questi ultimi non erano gran che entusiasti. La spiegazione va ricercata nel fatto che la telecamera aveva isolato le parti eccitanti dell'avvenimento al fine di rendere interessante il programma televisivo.

Sotto alcuni aspetti, il lettore ha un controllo maggiore sull'informazione che riceve dalla stampa rispetto a quella dei media audiovisivi. Egli può leggere un giornale, una rivista o un libro quando vuole, mentre può guardare un programma televisivo soltanto quando gli viene offerto. Può, a sua scelta, limitarsi a sfogliare le pagine soffermandosi qua e là oppure leggere lentamente e attentamente, mentre può ricevere un medium audiovisivo soltanto alla velocità fissata dal produttore o dal presentatore. Può leggere un certo passo più volte, o anche fermarsi a riflettervi: cosa che nè la radio nè la televisione gli consentono. Ancora, la stampa gli mette a disposizione una quantità di informazione maggiore rispetto agli altri media: un notiziario radiofonico o televisivo di mezz'ora conterrà meno parole di una sola pagina di giornale. Inoltre, la stampa può impiegare una gamma praticamente illimitata di livelli di astrazione per venire incontro alle esigenze dell'argomento o dei lettori: essa mette in grado gli studiosi di comunicare sulla carta mediante un linguaggio essenzializzato, altamente astratto, ma può anche servire a far leggere una filastrocca ad un bambino di sette anni.

La verità è che ciascun medium ha i propri particolari vantaggi e risente dei propri particolari limiti. La radio è veloce e relativamente poco costosa. Per un decimo del costo della televisione, può trasmettere bollettini di notizie e provvedere a tutti quei tipi di attività d'insegnamento che non richiedono l'accompagnamento di illustrazioni visuali. Essa è particolarmente efficace nel caso della musica, mentre la televisione e il cinema sono senza eguali per quanto concerne la prosa e gli spettacoli di varietà, ovvero tutti i tipi di spettacolo in cui è preferibile vedere ed udire contemporaneamente. D'altro canto la stampa e la radio sono particolarmente adatte alla presentazione di forme verbali di intrattenimento, ad es. le composizioni poetiche. I libri corredati da illustrazioni rimangono tuttora il più efficace e completo sussidio che l'uomo abbia inventato per istruire, anche se un filmato può avere una sua specifica utilità quando si tratta di presentare un argomento che implica il movimento: in questo caso va anche considerato che lo studente può, analogamente a quanto avviene per uno stampato, interrompere la proiezione e ricominciarla a suo piacimento, e riutilizzare, se ne ha bisogno, parti del materiale. La televisione (videocassette a parte) non consente nè la ripetizione nè le pause, ma presenta un grosso vantaggio logistico per i costi e le possibilità di mettere a disposizione filmati ad uso didattico ‛dove' e ‛quando' ne sorge la necessità. La differenza basilare sta tuttavia nella capacità propria ai media audiovisivi di trasportare un pubblico nel luogo stesso dove è in corso un evento o una lezione, talché lo spettatore può direttamente vedere e udire, con la conseguenza di una straordinaria sensazione di realtà e di verità. Contro ciò sta la capacità della stampa di presentare e di offrire una grande quantità di informazione, cui lo scrittore può conferire qualsiasi livello di astrazione, e che, efficacemente presentata e trasmessa, lascia poi al lettore il massimo di libertà in rapporto al come, al quando e al dove utilizzarla.

6.Le funzioni sociali della comunicazione di massa

H. D. Lasswell (v., 1948) ha individuato come funzioni sociali dei mezzi di comunicazione di massa quelle della sorveglianza dell'ambiente, della correlazione delle varie parti della società nel reagire all'ambiente, e della trasmissione del retaggio sociale da una generazione all'altra. La sorveglianza è una sorta di funzione radar, mediante la quale gli esseri umani sono in grado di individuare i pericoli e le possibilità favorevoli, e di scoprire ciò che si ritiene ci sia al di là del proprio orizzonte. La correlazione comprende tutte le funzioni del governare e dell'agire politico, del prendere le decisioni e dell'annunciarle, del render note le leggi e le norme sociali che danno alla società la possibilità di funzionare in modo ordinato. La trasmissione del retaggio sociale è una formula come un'altra per designare l'istruzione, sia quella istituzionale che quella non istituzionalizzata.

Dopo Lasswell questa tipologia delle funzioni è stata ridefinita e precisata (v. Wright, 1959; v. De Fleur, 1970), ma l'unico mutamento sostanziale apportatole consiste nell'aggiunta di un nuova funzione, cui i media elettronici hanno dato un risalto particolare: l'intrattenimento. Oggi la stragrande maggioranza dei prodotti cinematografici, radiofonici e televisivi ha scopi di intrattenimento, e in parecchi paesi i giornali quotidiani hanno inserito nelle loro pagine un numero considerevole di articoli su argomenti non impegnativi, di fumetti e talvolta anche di racconti fantastici, al fine appunto di poter competere con gli altri media.

Tabella 3

Nell'essenziale, la comunicazione soddisfa i medesimi bisogni sociali sia nelle società caratterizzate dalla comunicazione orale che nelle società caratterizzate dai media (v. tab. III). Tuttavia nelle società caratterizzate dai media linee di comunicazione di lungo raggio sono venute ad integrare le linee brevi della comunicazione diretta tra persona e persona, e i potentissimi moltiplicatori d'informazione introdotti nel sistema mettono in grado molta più gente di accedere agevolmente al flusso dell'informazione. Questi mutamenti nel quadro generale della comunicazione hanno reso possibile la formazione di raggruppamenti sociali più vasti, di Stati più saldamente organizzati e di istituzioni politiche ed educative strutturate in modo più complesso.

7. Alcuni effetti sociali della comunicazione di massa

Le pagine seguenti vogliono essere una succinta esposizione delle conoscenze attuali sugli effetti sociali dei media in ciascuno dei campi relativi alle funzioni appena menzionate (per un esame generale di tali effetti v. Klapper, 1960, e anche Weiss, 1968).

a) Effetti sull'informazione del pubblico

Oggi le conoscenze comunemente diffuse in fatto di attualità e circa l'ambiente che oltrepassa i confini dell'esperienza personale derivano quasi per intero dai mezzi di comunicazione di massa.

Numerosi studi mostrano che la gente apprende da ciascuno e da tutti i media. Apprende fatti, idee, atteggiamenti, norme, comportamenti, maniere, espressioni linguistiche e musicali. Apprende sia ciò che si è voluto che imparasse, sia ciò che a questo è incidentalmente connesso. Per esempio, alcune indagini hanno mostrato che i bambini apprendono dalla televisione, dal cinema e dalla narrativa come comportarsi nelle varie situazioni sociali e che cosa attendersi da un estraneo: e ciò, anche se il programma o il racconto ha scopi di mero intrattenimento e non mira affatto ad impartire insegnamenti (v. Hale e altri, 1968). Analogamente, si è riscontrato che certe donne utilizzano gli sceneggiati ad episodi, mandati in onda dai media elettronici, come modelli per risolvere i propri problemi di vita: cosa, questa, lontanissima dalle intenzioni esplicite dei programmi in questione.

L'apprendimento attraverso i media interagisce con la comunicazione personale. La gente ripete e discute ciò che ha appreso dai media: il che rinvia spesso chi ha parlato o chi ha ascoltato ai media medesimi per un'informazione ulteriore (per uno studio del rapporto tra comunicazione personale e comunicazione di massa, v. Katz e Lazarsfeld, 1964). Anche se uno è stato presente ad un dato avvenimento (per es., ad una partita di calcio), è probabile che leggerà qualcosa su di esso, o ne osserverà delle fotografie, per avere maggiori particolari. Non diversamente, l'apprendimento attraverso i media interagisce con l'istruzione: il lavoro scolastico stimola capacità ed interessi che rinviano ai media per informazioni ulteriori, nonché gusti che aiutano a determinare ciò che nei media si vuole trovare. D'altro canto, l'informazione proveniente dai media si risolve in nuove richieste poste alla scuola (v. Wade e Schramm, 1969).

In modo estremamente caratteristico, l'informazione corrente appare nei media come una serie di avvenimenti. La politica, per esempio, diviene una successione di riunioni, interviste, discorsi, accuse, dibattiti, elezioni, votazioni, ecc. La scienza appare come una serie di invenzioni o scoperte, successi o fallimenti, spesso imperniati attorno a singole personalità. I luoghi lontani assumono nell'immagine dei media l'aspetto di palcoscenici con guerre, trattati, negoziati diplomatici, calamità, mutamenti nelle direzioni politiche o, infine, avvenimenti singolari che possono essere descritti in un linguaggio drammatizzato. L'ambiente, così come viene mostrato dai media, tende dunque a consistere di una molteplicità di avvenimenti separati (spesso una serie di calamità, conflitti o delitti) piuttosto che di una trama coerente. Ciò, ovviamente, se non viene compiuto un tentativo deliberato di collegare i singoli eventi ad una visione filosofica e politica della società: come, ad esempio, nel caso della stampa dell'Europa orientale e di quella cinese.

Per quanto concerne la presentazione delle notizie, i mezzi di comunicazione di massa offrono tre vantaggi specifici. Innanzitutto le portano molto rapidamente ad un numero assai elevato di persone. In particolare, i media elettronici possono presentarle con grande vivezza. Ciò ha l'effetto di accelerare molti processi sociali - o meglio, di accelerare tutta la vità umana - nonché di portare questi processi all'attenzione di un numero maggiore di persone. Ad esempio, il procedere lento, prudente e segreto della diplomazia ha subito trasformazioni radicali da quando i media elettronici hanno cominciato a trasportare i messaggi velocemente e ad informare il grande pubblico su questioni che in precedenza erano materia riservata alle ambasciate e ai ministeri degli esteri.

In secondo luogo, i media possono concentrare l'attenzione del pubblico su certi problemi, temi ed avvenimenti. Politici, propagandisti e venditori sono ben consapevoli di questo grande potere e si adoperano ad impiegarlo ai propri fini ‛costruendo notizie' che poi i media diffonderanno. Ma i media esercitano necessariamente una funzione selettiva rispetto al flusso dell'informazione. Essi possono riferire solo un'esigua frazione del materiale totale disponibile. Per esempio, un'agenzia di stampa è in grado di raccogliere dall' 1 al 5% delle notizie che appaiono sui giornali di un paese come l'India. Immesse nella catena delle informazioni fornite dall'agenzia, queste notizie devono quindi competere con le notizie in arrivo da numerosi altri paesi. E ciò che infine compare nel giornale locale di un altro paese non sarà che il 1o-2o% del materiale iniziale, vale a dire meno dell1% di ciò ch'era disponibile in India (v. Cutlip, 1954). Analogamente, quando la televisione fa la cronaca di un avvenimento importante - un congresso politico nazionale, o una battaglia - deve decidere per ogni determinato momento che cosa merita di essere mostrato al proprio pubblico e che cosa ha più bisogno di spiegazioni o commenti. E si tratta di decisioni estremamente importanti, giacché influenzano ciò che in ciascuna occasione il pubblico penserà e le opinioni che esprimerà.

In terzo luogo, i media hanno il potere di conferire status. Essi possono presentare al pubblico soltanto un limitato numero di individui. Essi valutano perciò chi potrà interessare maggiormente il pubblico, chi in quel determinato momento sta facendo la cosa più significativa, chi assicura la migliore utilizzazione dei media, e, in molti casi, chi è meglio adatto per illustrare una certa novità. Ma, a parità di condizioni, il semplice fatto di comparire in qualche modo nei media è una sorta di certificato di status. Il fatto che il tale è stato citato, udito o visto nei media suggerisce al pubblico che deve trattarsi di una persona importante: è certamente uno che dice o fa qualcosa di significativo (v. Lazarsfeld e Merton, 1971).

Data questa funzione selettiva dei media rispetto alle fonti del sapere pubblico, è problema importante la limpidezza delle lenti attraverso cui essi mostrano l'ambiente. In che misura il pubblico dipende dal quadro che i media gli forniscono? In che misura sono veramente importanti le personalità e gli eventi che vengono presentati? Quali eventi o situazioni significative vengono tralasciati? Ad esempio, il flusso delle notizie, su scala mondiale, si muove prevalentemente dai paesi economicamente avanzati a quelli sottosviluppati: a meno che non si tratti di guerre o calamità naturali. Ebbene, i media non tralasciano di riferire sui paesi in via di sviluppo qualcosa che, per il bene della società internazionale, meriterebbe invece di essere reso noto?

b) Effetti sulle istituzioni e sulla vita politica

Un effetto evidente della diffusissima utilizzazione dei media è che le decisioni tendono ad essere discusse pubblicamente più di quanto non sia avvenuto in passato. I metodi di governo sono stati resi pubblici in una misura tale che, prima dell'avvento dei media elettronici, sarebbe stato impossibile. Se ciò abbia contribuito a rendere le amministrazioni più efficienti è cosa opinabile. È invece incontestabile che ciò porta un numero maggiore di persone a contatto con il processo di formazione delle decisioni, ostacola la tendenza a prendere in privato decisioni di interesse pubblico e rende più difficile far tacere o ignorare il dissenso.

Un secondo effetto è il passaggio ai media di buona parte della responsabilità per quanto concerne l'insegnamento delle norme, delle credenze e dei comportamenti sociali: cose queste il cui insegnamento era un tempo competenza pressoché esclusiva della famiglia, della scuola e delle Chiese. È noto, infatti, che buona parte di queste conoscenze è appresa attraverso l'esempio o ben precisi schemi di premio e di punizione. Ora, i media sono pieni di esempi di gente che si comporta in modi socialmente accettabili (o inaccettabili) e che viene premiata (o punita) per ciò che fa. Lazarsfeld e Merton ne concludono che, sotto questo profilo, l'effetto principale dei media è di rafforzare le norme vigenti così da conservare lo status quo; ma è anche vero che i media sono stati veicolo di grandi mutamenti in materia di norme e di credenze. Un esempio di questo secondo aspetto è dato dagli enormi mutamenti verificatisi nelle convinzioni concernenti il controllo demografico e la conservazione dell'ambiente naturale, mutamenti che difficilmente avrebbero potuto aver luogo se i media non avessero portato questi problemi in primo piano ed esposto gli argomenti pro e contro.

Il più spettacolare tra gli effetti particolari dei media elettronici riguarda i metodi di scelta dei dirigenti politici e le tecniche impiegate per ottenere il consenso. Già la radio iniziò a modificare la natura delle campagne politiche e l'immagine pubblica dei dirigenti; la televisione ha poi considerevolmente potenziato tutti questi effetti della radio. In paesi come gli Stati Uniti, dove i mezzi di comunicazione di massa sono proprietà di privati e il tempo televisivo può essere acquistato a fini politici, per una campagna elettorale nazionale che voglia essere efficace si debbono effettuare enormi investimenti in propaganda televisiva, e così pure devono essere considerevoli gli investimenti per una campagna locale o nei singoli Stati. I costi televisivi delle campagne elettorali sono perciò oggetto di serie preoccupazioni, perché i vantaggi ottenibili dal mezzo televisivo sono più o meno direttamente proporzionali alla capacità dei vari partiti e candidati di raccogliere fondi. Nei paesi in cui la televisione è un ente pubblico senza fini di lucro, o è proprietà dello Stato, la prassi corrente è di assegnare ai principali candidati tempi uguali di trasmissione.

L'importanza crescente della televisione nelle campagne elettorali è illustrata da una serie ininterrotta di inchieste effettuate negli Stati Uniti su scala nazionale. In tali inchieste si chiede ai votanti di indicare la fonte da cui hanno ottenuto la maggiore informazione politica in occasione delle campagne che si sono svolte dal 1952 al 1964. Durante questi dodici anni un po' più del 2o% degli intervistati ha dichiarato, dopo ogni campagna, di aver ricevuto la maggior parte delle informazioni dai giornali. Invece la quota di coloro che affermano di essersi giovati soprattutto della radio e delle riviste è caduta, tra il 1952 e il 1964, da circa il 25% a circa il 3o%, mentre la quota di coloro che affermano di avere ricavato le loro informazioni soprattutto dalla televisione è salita dal 25 circa a oltre il 50%. Nel 1964 e nel 1968 il Roper Poll fece un'inchiesta su un ampio campione nazionale, domandando da quale fonte si fosse appreso di più sui candidati ‛statali', locali e nazionali. Ed ecco i risultati:

Tabella

Dato che i media sono divenuti così importanti nelle campagne elettorali e dato che i media di informazione tendono a presentare gli ‛avvenimenti', in molti casi i politici e i loro consiglieri hanno trovato utile, per richiamare l'attenzione del pubblico dei media; creare degli ‛pseudo-avvenimenti' (v. Boorstin, 1964). Avviene così che un candidato venga mostrato in pose fotogeniche, tutto preso a dire cose molto importanti o a lanciare contro il suo avversario accuse che di per sé costituiscono notizia, oppure mentre visita luoghi o persone che sono a loro volta interessanti per la televisione. Inoltre, un certo numero di organizzazioni per le pubbliche relazioni hanno cominciato a specializzarsi nel dare consigli al candidato su come meglio utilizzare i media e, particolarmente, su come utilizzare nel modo più efficace la televisione: gli insegnano come può meglio apparire sul video, che cosa deve dire per attirare l'interesse di un pubblico medio, in che modo fare le sue brevi dichiarazioni politiche, e così via (v. Kelley, 1958; v. Nimmo, 1970). Si parla a questo proposito di ‛reclamizzazione del candidato', come se si trattasse di un qualsiasi prodotto commerciale destinato ad essere pubblicizzato mediante i mezzi di comunicazione di massa.

Tuttavia, benché sia cresciuta in modo spettacolare la dipendenza del giuoco politico dalla televisione, due antichi principi delle campagne elettorali mantengono la loro validità. Innanzi tutto i voti che cambiano segno durante una campagna non sono molti (v. Berelson e altri, 1954; v. Trenaman e McQuail, 1961). La battaglia elettorale ha dunque come primo obiettivo quello di conservare l'appoggio dei votanti già favorevoli ad un dato partito o candidato prima della campagna, e solo in via secondaria si propone di conquistare quel 10% circa di elettori che, essendo incerti all'inizio della campagna, sono maggiormente suscettibili di venire persuasi. In secondo luogo, nessuna campagna davvero efficace è probabile che possa esser condotta attraverso i soli media, oppure completamente senza di essi. Anche il candidato che ripone le sue maggiori speranze nell'impiego della televisione si adopererà ad organizzare assemblee locali e gruppi capaci di intervenire presso gli elettori direttamente nelle loro case. Inversamente, anche il gruppo politico meglio organizzato a livello locale non può fare a meno dell'appoggio dei media.

Le risultanze di inchieste recenti tendono a porre in dubbio uno dei più temuti effetti politici dei mezzi di comunicazione di massa. Dopo la prima guerra mondiale si manifestò una paura quasi patologica della propaganda, specialmente di quella che si avvaleva dei mezzi di comunicazione di massa. Invalse allora la teoria che la propaganda fosse una sorta di pallottola magica che poteva essere sparata sul pubblico, e che, utilizzando i media, si potesse aggredire una folla praticamente illimitata. Ciò implicava l'idea che il pubblico fosse passivo e relativamente disarmato di fronte alla comunicazione di massa. Ma le ricerche degli ultimi trent'anni hanno demolito questa visione delle cose. Il pubblico è lungi dall'essere disarmato. E neppure è passivo: esso è anzi attivissimo, in quanto seleziona ciò che vuole dai media e lo interpreta secondo i suoi desideri (v. Schramm, 1972). Si può dunque ragionevolmente concludere che finché ci sarà, in materia di informazione e di idee, una possibilità di scelta, la propaganda politica non sortirà effetti troppo spettacolari. Se, invece, un particolare punto di vista monopolizzerà i canali costituiti dai media, sì che il pubblico non possa ricevere che un solo tipo di informazione e di idee, l'influsso della propaganda sarà verosimilmente assai maggiore (v. Klapper, 1960).

c) Effetti sull'istruzione

Il manuale stampato, più di ogni altra invenzione, rese possibile una vasta istruzione pubblica. Ma negli ultimi anni numerosi nuovi strumenti - film didattici, radio, televisione, istruzione programmata e istruzione assistita dai calcolatori - hanno fornito ulteriori contributi al processo educativo in termini sia di qualità che di riduzione dei costi.

I risultati di varie ricerche mostrano che gli scolari, non diversamente da ogni altro pubblico, imparano da tutti i media e che ciascun medium possiede, per quanto riguarda la sua possibilità di istruire, punti di forza e di debolezza particolari. La tendenza attuale è di muovere verso un'effettiva istruzione multimediale come dimostrano il sistema educativo svedese e l'Open University inglese, i quali tentano di piegare il particolare medium che risulta di volta in volta più efficace agli specifici fini di apprendimento di ciascuna parte del corso. Per esempio, in Svezia si deciderà che un corso di scuola primaria ha bisogno per certe lezioni della televisione, di film o di filmine per certe altre, della radio per scopi che non richiedano un aiuto visivo, di esercizi programmati in certi casi particolari, di materiali a stampa per l'intero corso e, infine, di un insegnante che aiuti a collegare insieme tutte queste esperienze e che fornisca la possibilità di un orientamento e di una discussione individuali. L'Open University inglese metterà in programma, per un corso di scienze, una lezione televisiva e una radiofonica ogni settimana, fornità letture da manuali, esercizi da fare a casa, lavori da inoltrare per corrispondenza, attrezzature per effettuare esperimenti a casa e, infine, darà la possibilità di visitare un centro sito nelle vicinanze e, all'occorrenza, di consultare un insegnante.

Il principio che emerge dalla tecnologia educativa è che qualsiasi impiego dei media a fini didattici che voglia essere davvero efficace deve essere inserito in un sistema didattico organico. Anche se un qualsiasi studente serio può apprendere moltissimo da un dato medium preso isolatamente tuttavia egli imparerà assai di più se gli si offrirà una combinazione di esperienze di apprendimento: uno o più media elettronici per esporre dimostrazioni molto complesse, un manuale per dare un panorama sistematico dell'argomento, esercizi o compiti con cui far pratica di ciò che si sta studiando, e, infine, il contatto con un insegnante preferibilmente diretto, se non si tratta di un corso per corrispondenza), affinché lo studente possa avere il necessario scambio di opinioni e, all'occorrenza, ottenere aiuto e orientamento (v. Dieuzeide, 1965; v. Lefranc, 1966).

I mezzi di comunicazione di massa si sono rivelati particolarmente importanti per le regioni in via di sviluppo, dove sono stati utilizzati per superare alcune delle barriere che impedivano la realizzazione di un'istruzione efficace: anaifabetismo, livello dei costi, carenza di personale addestrato, e così via (v. Schramm, 1964). In questi paesi - ma anche in altri più opulenti - i media sono stati utilizzati per raggiungere una vasta gamma di scopi educativi, di cui diamo qui qualche esempio.

1. Integrare e migliorare la qualità dell'istruzione: i manuali sono di uso universale, e più di 100 paesi hanno impiegato a tale scopo uno o più media elettronici.

2. Riformare l'istruzione: in paesi come El Salvador, le Samoa americane, il Niger e la Costa d'Avorio, la televisione è stata utilizzata in modo massiccio per contribuire a realizzare una rapida trasformazione del sistema educativo.

3. Estendere l'istruzione. La Telescuola italiana è stata uno dei primi esempi di impiego dei media elettronici per offrire la possibilità di studi secondari dove non erano disponibili normali strutture scolastiche; ma i paesi che hanno usato i media allo stesso fine si contano a dozzine. Alcuni esempi: la Telesecundaria messicana, che offre settimo, ottavo e nono corso, con un supervisore di classe, a tutte le città che non posseggono una scuola ma sono disposte a fornire un luogo di riunione (c'è anche una Radioprimaria, che impiega la radio per consentire alle scuole con corsi triennali di realizzare un ulteriore triennio di studio); l'Australia, che per più di trent'anni ha offerto per corrispondenza e mediante la radio un'istruzione primaria e secondaria completa ai ragazzi residenti in zone remote; la scuola secondaria giapponese, funzionante per corrispondenza e mediante l'impiego della radio e della televisione; il Telekolleg tedesco, che offre un addestramento tecnico di base mediante la televisione, la corrispondenza e, all'occorrenza, riunioni delle classi; e, infine, le open universities.

4. Fornire un'istruzione extrascolastica agli adulti. Citiamo, a titolo di esempio: l'Indian radio rural forum che fornisce una serie di informazioni ai villaggi mediante la radio e gruppi di discussione (uno schema che è stato adottato in numerosi altri paesi); l'impiego di radio, film e televisione per trasmettere informazioni concernenti questioni sanitarie, agricole e di sviluppo delle comunità; l'integrazione e il rafforzamento dei corsi di alfabetizzazione sia tramite i media elettronici che i materiali a stampa.

Nell'insieme, l'effetto dei mezzi di comunicazione di massa sull'educazione è stato di introdurvi la possibilità di un'assai maggiore flessibilità, sia per quanto concerne i processi didattici che la diffusione dell'istruzione. Ormai per l'insegnante non è più necessario essere la sola fonte del sapere e, anzi, neppure la fonte principale. Egli può trasferire questo compito ai libri di testo e ai materiali audiovisivi, specializzandosi, invece, nell'indirizzare le attività di apprendimento individuale degli studenti. L'apprendimento individuale è stato inoltre reso più facile dalla disponibilità di materiali didattici che ciascuno studente può utilizzare quando vi si senta preparato. Ancora, l'impiego dei media a fini educativi ha molto facilitato le attività di istruzione e di apprendimento al di fuori delle aule scolastiche (v. Schramm, 1964; v. Rogers e Shoemaker, 1971). Infine, è pressoché certo che negli ultimi decenni di questo secolo crescerà considerevolmente l'importanza dello studio per corrispondenza, delle attività di aggiornamento e dell'educazione permanente.

d) Effetti sul comportamento sociale

Un'abbondante documentazione mostra che dai mezzi di comunicazione di massa vengono facilmente appresi mode e stili di vita, e anche che da essi vengono insegnate - intenzionalmente o meno - norme sociali. Una questione di grande interesse è quella concernente l'effetto probabile dei media (e specialmente dei media elettronici, ai quali i bambini dedicano tanto del loro tempo) sul comportamento che la società giudica come inaccettabile. In altri termini: attraverso spettacoli o racconti di violenza i media incoraggiano il comportamento violento? Mostrando con tanta vivezza i delitti, insegnano come si commette un crimine?

L'effetto della televisione sul comportamento aggressivo infantile è stato oggetto di importanti ricerche condotte in Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Giappone e altri paesi ancora (v. Himmelweit e altri, 1958; v. Maletzke, 1964; v. Schramm e altri, 1961; v. Furu, 1971), e di recente è stato al centro di una serie di ricerche (il cui costo ha superato il milione di dollari) finanziate dal Surgeon General statunitense (v. Scientific Advisory Committee..., 1972). Lo stato attuale delle conoscenze al riguardo può essere riassunto come segue: a) in molti paesi i mezzi di comunicazione di massa (e specialmente la televisione) presentano programmi pieni di violenza; b) i bambini apprendono rapidamente dai media comportamenti aggressivi, compreso l'uso di coltelli, pistole e altre armi; c) in esperimenti condotti sotto controllo essi mettono facilmente in pratica i comportamenti aggressivi che hanno appreso vedendo un film o un programma televisivo; va osservato inoltre che, in generale, vedere sotto controllo un programma violento tende ad accrescere anziché ridurre la loro aggressività; d) nella vita di tutti i giorni, è molto meno probabile ch'essi mettano in pratica il comportamento aggressivo appreso, perché la società impone numerosi freni all'aggressività e al crimine; inoltre le radici dell'aggressività sociale sono indubbiamente assai più ampie e profonde degli eventuali influssi dei mezzi di comunicazione di massa: la famiglia di un bambino, la sua personalità, il suo ambiente sociale, i suoi problemi personali influiscono in maniera fondamentale sul suo comportamento sociale; e) ciononostante e questa è stata la conclusione del Surgeon General americano - i programmi violenti diffusi attraverso i media accrescono, a parità di altre condizioni, la probabilità che un bambino, presentandosene l'occasione in una reale situazione di vita, compia un atto violento. (Per una trattazione ulteriore di questo tema v. Biumer, 1933; v. Holaday e Stoddard, 1933; v. Peterson e Thurstone, 1933; v. Emery e Martin, 1957; v. Berkowitz, 1962. Per lo studio di un risultato inatteso di un programma di intrattenimento v. Cantril, 1940).

8. Finanziamento e controllo dei mezzi di comunicazione di massa

Ogni società controlla i suoi media. I controlli possono essere politici e giuridici (leggi, regolamenti, licenze e censura), economici (proprietà privata, agevolazioni fiscali, facoltà degli utenti di ritirare il proprio sostegno) e sociali (approvazione o disapprovazione pubblica). Nei vari paesi lo schema e la portata di tali controlli differiscono, ma vi si rispecchiano sempre la natura e gli obiettivi della società che li impone.

Avviene così che nell'Unione Sovietica i media siano diretti dal partito e integrati nello Stato, esattamente come tutte le altre istituzioni sociali di rilievo. Negli Stati Uniti i media riflettono la fede americana nella proprietà privata e nel profitto, nonché l'indipendenza dei mezzi di comunicazione dal governo. I controlli serrati cui i media sono sottoposti nei paesi in via di sviluppo rispecchiano la fragilità dei nuovi Stati.

I media a stampa vennero alla luce in un mondo autoritario. Di conseguenza essi venivano controllati (non diversamente dal resto della società) affinché non arrivassero a minacciare i detentori del potere. Erano soggetti ad autorizzazione e a censura. Si consentiva di pubblicare soltanto alle persone politicamente ‛sicure'. Ma dalle rivoluzioni contro i regimi autoritari verificatesi nei secc. XVII e XVIII emerse una stampa di tipo nuovo. Come la concezione autoritaria della stampa poggiava sull'ininterrotta tradizione di filosofia autoritaria che va da Platone a Hobbes, così la forma nuova assunta dalla stampa nell'Europa occidentale poggiò su una filosofia libertaria che aveva a suo fondamento i principi dell'illuminismo, la credenza nei diritti naturali dell'uomo e la fiducia che l'uomo razionale fosse in grado di distinguere la verità dall'errore. Il principio basilare di questa concezione fu espresso da Mill: ‟Se tutta l'umanità meno uno avesse una certa opinione, e una sola persona l'opinione contraria, l'umanità non avrebbe maggiori giustificazioni nel mettere a tacere quell'unica persona di quanto questa, se ne avesse il potere, sarebbe giustificata nel mettere a tacere l'umanità" (v. Mill, 1947, p. 16). Mentre la vecchia stampa era stata sottoposta ad oculate restrizioni affinché non minacciasse i centri del potere, la nuova stampa libera fu oculatamente protetta, affinché potesse esercitare un controllo e riferire sull'azione del governo (v. Siebert e altri, 1963).

Queste due tradizioni si prolungarono sino al XX secolo, quando alcuni nuovi avvenimenti vennero ad accrescere la varietà dei sistemi di controllo. Uno di questi fu la nascita dell'Unione Sovietica, e più tardi degli altri paesi socialisti, in cui vige la persuasione (derivata dalle dottrine di Marx, Engels e Lenin) che la stampa non possa essere libera finché sia soggetta alla proprietà privata e funzioni in vista del profitto privato. È sorprendente rilevare come, mentre quasi ogni singola costituzione esistente promette libertà di stampa e di parola, tale libertà sia poi interpretata, in società diverse, in modi diversissimi. Un osservatore occidentale direbbe che la stampa sovietica non è libera perché non è politicamente libera dallo Stato e dal partito; un osservatore sovietico direbbe, al contrario, che la stampa occidentale non è libera perché non è libera dal controllo economico e dalla proprietà di una sola classe della società.

Due altri avvenimenti verificatisi in questo secolo hanno reso ancora più complesso lo sviluppo dei sistemi di controllo. Il primo è la nascita dei media elettronici, che anche nei paesi liberali è sembrato necessario sottoporre a controlli diversi da quelli applicati alla stampa. Ad esempio, paesi come la Francia e l'Inghilterra, in cui si è conservata la proprietà privata dei giornali, hanno fatto della propria organizzazione radiotelevisiva rispettivamente un elemento dell'amministrazione pubblica e un'azienda pubblica senza fini di lucro. Il secondo fattore intervenuto è il dubbio crescente che un sistema di comunicazioni di massa genuinamente libero possa continuare a funzionare a totale vantaggio del pubblico interesse in un'epoca in cui i media elettronici e il processo di concentrazione dei giornali sembrano minacciare l'esistenza del libero mercato in materia di circolazione delle idee. Nei paesi in cui la tradizione liberale era più forte, i media hanno dovuto porsi il problema di un'autoregolazione e di una maggiore responsabilizzazione sociale nell'aprire i loro canali a tutti i punti di vista rilevanti (v. Rivers e Schramm, 1969). In alcuni paesi, organismi e commissioni addetti all'informazione sono incaricati di vagliare il comportamento complessivo dei media. In altri ancora, una legislazione sulla stampa e una regolamentazione delle trasmissioni radiotelevisive hanno imposto un certo grado di controllo.

I sistemi di controllo debbono essere considerati in rapporto ai metodi di finanziamento, che variano da un paese all'altro e da un medium all'altro. Quotidiani e riviste sono normalmente finanziati dagli abbonamenti, dalle vendite in edicola e dalla pubblicità. Il cinema si finanzia quasi ovunque attraverso la vendita dei biglietti d'ingresso agli spettacoli, e il libro mediante la vendita delle singole copie. La maggiore diversificazione si riscontra nel finanziamento delle trasmissioni radiotelevisive, in cui si va dalla pura e semplice proprietà governativa (con il finanziamento interamente fondato sulle entrate fiscali), alla pura e semplice proprietà privata finanziata esclusivamente dalla pubblicità (al pubblico non si richiede alcun onere diretto anche se in realtà è esso che paga, indirettamente, le spese pubblicitarie). A metà tra questi due poli vi è un regime basato sulla proprietà da parte di un ente pubblico che si finanzia con i proventi di una tassa sugli apparecchi riceventi.

Dunque, i sistemi di controllo e di finanziamento variano considerevolmente da un paese all'altro. In alcuni casi (per es., Inghilterra e Giappone) emittenti private e pubbliche coesistono le une accanto alle altre. In Svezia le trasmissioni radiotelevisive sono nelle mani di una compagnia privata posta sotto la direzione di un consiglio di undici membri, sei dei quali nominati dal governo. In India radio e televisione fanno parte dell'apparato governativo: sono state interamente finanziate - sino a tempi recenti - mediante un'imposta sugli apparecchi e sono soggette ad un controllo piuttosto stretto. Quanto al cinema, una vasta produzione governativa coesiste con una delle maggiori industrie cinematografiche private su scala mondiale. Così pure i giornali sono di proprietà privata e, in linea di principio, indipendenti, anche se di fatto soggetti a leggi sulla stampa abbastanza restrittive e al controllo governativo sulla carta. In conclusione, nessun singolo principio - come la distinzione posta da Terrou e Solal tra sistemi subordinati e sistemi non subordinati al governo, o i ‛quattro principi della stampa' di Siebert e altri (v., 1963) - è in grado di definire tutte le possibilità di controllo dei media e i sistemi per il loro finanziamento esistenti nel mondo, se non il principio generale per cui la natura di una qualsiasi società determina la natura del sistema di media ch'essa avrà.

9. Quali gli sviluppi futuri delle comunicazioni di massa?

Nessun medium di qualche importanza ha cessato di esistere quando si sono resi disponibili nuovi media. È accaduto piuttosto che i nuovi media hanno tolto ai vecchi i compiti ch'essi erano in grado di assolvere meglio, e che i vecchi abbiano trovato altre funzioni, in precedenza non adeguatamente assolte, per le quali essi erano più adatti. Ad esempio, prima dell'avvento della televisione, la radio era un medium generale di intrattenimento e di informazione per l'intera famiglia. Ebbene, la televisione ha sostituito la radio come strumento generale di intrattenimento: contemporaneamente essa incideva pesantemente sul pubblico del cinema, cui offriva, in casa, forme di svago equivalenti, senza bisogno di recarsi nelle sale cinematografiche; e così pure essa danneggiava i giornali portandosi via una grandissima parte della loro pubblicità. Dapprima tale novità colpì duramente la radio, ma poi ci si accorse che questa era in grado di assicurare certi servizi meglio di tutti gli altri media esistenti. Poteva, ad esempio, fornire programmi d'intrattenimento e notiziari agli automobilisti. Poteva fornire ininterrottamente musica leggera ai giovani e musica classica ad altri ascoltatori, lasciandoli liberi di usare i loro occhi per altre occupazioni. Poteva fornire bollettini d'informazione ad ascoltatori desiderosi di essere tenuti aggiornati con una frequenza maggiore di quella consentita dai giornali o dalla televisione. Analogamente, i giornali hanno trovato un nuovo mercato nella pubblicità locale, sostitutiva di quella nazionale che avevano perduto. Il cinema non si è ripreso dalla contrazione del suo pubblico, ma sta scoprendo che certi tipi di film sono ancora in grado di competere vantaggiosamente con la televisione. Inoltre la stessa televisione è divenuta un importante mercato per la produzione cinematografica e ci si attende che avvenga lo stesso con la televisione via cavo e le videocassette. Si può dunque concludere che l'avvento di nuovi media tende a modificare le funzioni dei vecchi, ma non a farli sparire.

Va poi menzionata un'altra caratteristica dello sviluppo dei media. McLuhan (v., 1964) ha sottolineato come un nuovo medium cominci con l'assorbire il contenuto e le funzioni di uno o più media preesistenti e come poi finisca per elaborare sistemi di messaggi ignoti ai vecchi media. Così i primi film non erano che racconti o romanzi sceneggiati, mentre in seguito il cinema inventò effetti fuori della portata della letteratura. L'impiego didattico della televisione soppiantò l'istituto della lezione corredata di illustrazioni, e riempì le aule di immagini parlanti. Solo da pochissimo tempo si è cominciato ad individuare il contributo peculiare che la televisione in quanto tale può fornire all'insegnamento. I calcolatori furono usati all'inizio soltanto come velocissimi strumenti di calcolo o di contabilità, ma ora stanno cominciando a trovare funzioni loro proprie che oltrepassano la mera velocità di calcolo o la grande capacità di accumulare dati. Insomma, i media tendono a muoversi verso la loro utilizzazione ottimale, e a sviluppare le loro migliori capacità al servizio dei bisogni e degli interessi dell'uomo.

Possiamo ragionevolmente attenderci che, negli anni che ci separano dalla fine del secolo, i media continuino a migliorare le proprie prestazioni nell'ambito dei Servizi che sono in grado di assicurare con maggiore efficienza, e che essi, nelle regioni del mondo in via di sviluppo, continuino ad aumentare fino a toccare il grado di saturazione già raggiunto in Europa, Nordamerica e Giappone. È tuttavia probabile che certe innovazioni tecnologiche producano alcuni mutamenti.

È prevedibile che nei prossimi decenni abbiano un largo sviluppo nuovi sistemi di distribuzione. I satelliti sono già in uso per i collegamenti da un paese all'altro e si sta iniziando a sperimentarli per la trasmissione diretta. La cosa può rivelarsi di grande utilità per le regioni difficilmente accessibili e non sviluppate, perché le metterà in grado di disporre di comunicazioni televisive e radiofoniche efficienti molto tempo prima che possano riceverle da stazioni a terra. Ne deriveranno anche imbarazzanti questioni di diritto internazionale, giacché è verosimile supporre che i segnali trasmessi dai satelliti raggiungeranno paesi in cui non sono desiderati. Il cavo coassiale è già sotto sperimentazione per una vasta gamma di impieghi, ma promette di essere usato assai più largamente come sostitutivo dei collegamenti per mezzo di antenna nel servire le case e i luoghi di lavoro. Guide d'onda e raggi laser possono fornire un sistema di trasmissione sulle lunghe distanze di potenza ancora maggiore dei satelliti per comunicazioni. E, infine, è praticamente certo che il calcolatore si assumerà una buona parte dei compiti di immagazzinamento e di recupero dell'informazione: e ciò in aggiunta agli altri suoi impieghi, per cui esso può interagire con gli esseri umani nelle loro attività di studio, di pianificazione, di elaborazione di problemi complessi e di ricerca dell'informazione di volta in volta necessaria.

Gli sviluppi tecnologici più recenti nel campo delle comunicazioni hanno avuto generalmente l'effetto di facilitare la circolazione di una massa maggiore di informazioni, in modo più veloce e con una diffusione più larga. Ad esempio, la televisione, la radio, la velocissima composizione elettronica di caratteri, i satelliti di collegamento, i cavi a larga banda, i nuovissimi raggi laser e le guide d'onda contribuiscono tutti a un accrescimento del potere dell'emittente per quanto concerne la velocità di diffusione dell'informazione. Il risultato è stato una situazione alquanto paradossale. Gli scienziati ricevono una quantità di informazione specializzata maggiore di quella che sono in grado di assorbire. La disponibilità di notizie va oltre ciò che un qualsiasi giornale o un qualsiasi individuo può utilizzare. D'altro canto, invece, lo scienziato trova grandi difficoltà nel setacciare l'enorme massa di informazioni alla ricerca di ciò che gli serve in un dato momento, e al lettore riesce arduo, malgrado il flusso straripante delle notizie, rintracciare quella particolare notizia che gli serve nel momento in cui ne ha bisogno. È perciò probabile che il calcolatore, che conferisce maggior potere al ricevente, svolgerà nel processo della comunicazione un ruolo sempre crescente.

Uno sviluppo perfettamente possibile, nel corso dei prossimi decenni, è la comparsa di un ‛servizio d'informazione a domicilio' funzionante via cavo, con 20-40 canali a disposizione per convogliare informazioni di tutti i tipi. Esso potrebbe convogliare più programmi televisivi di quanti ne siano oggi disponibili in qualsiasi luogo e all'occorrenza registrare un programma per vederlo nel momento più opportuno. Potrebbe convogliare un flusso di notizie ininterrotto, e persino registrarle, se lo si desidera, su un riproduttore in facsimile. Potrebbe, almeno in teoria, consentire agli utenti di indicare ciò che vogliono ricevere: quali notizie in dettaglio, quali film, quali programmi televisivi da registrare, quali corsi d'istruzione a domicilio, quali avvenimenti sportivi, quali acquisti effettuare per televisione, quale informazione richiedere ad una biblioteca, e così via. Naturalmente in un qualsiasi sistema di questo tipo il calcolatore svolgerebbe un ruolo importante, perché sarebbe esso a dover assolvere i compiti complessi di direzione, di reperimento dell'informazione e di collaborazione, nella forma di un'istruzione assistita elettronicamente, con i giovani che studiano nelle loro case.

Mettere in opera un siffatto sistema di informazione a domicilio presenta difficoltà evidenti. Ci sono problemi di finanziamento, giacché la cosa sarebbe assai costosa. Altri problemi concernono l'effetto del nuovo sistema sui media esistenti: la televisione si troverebbe di fronte alla sostituzione della trasmissione a circuito aperto con quella via cavo, i giornali dovrebbero affrontare la possibilità di servizi a stampa distribuiti elettronicamente, i prodotti cinematografici vedrebbero crearsi una concorrenza tra il nuovo mercato e quello tradizionale delle sale. La possibilità di un apprendimento permanente a domicilio avrebbe contraccolpi considerevoli sul sistema educativo.

Da tutto ciò segue che siamo lontani dal poter prevedere con certezza quali forme assumerà domani la comunicazione di massa destinata alle famiglie. Ma il tipo di sviluppo qui suggerito sembra avere dalla sua parte il futuro, perché sarebbe in grado di fornire informazione nel modo più comodo, e in una forma tale da dare al ricevente un controllo maggiore su che cosa, quando e come ricevere.

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