Comportamento

Universo del Corpo (1999)

Comportamento

A. Charles Catania e Accursio Gennaro

Per comportamento si intende in generale il modo in cui un soggetto agisce in determinate situazioni, ponendosi in rapporto con l'ambiente e con le persone con cui è a contatto. Nel linguaggio psicologico viene definito come comportamento il complesso degli atteggiamenti che l'individuo assume in reazione a determinati stimoli ambientali o a bisogni interni, oppure l'attività globale di un soggetto considerata nelle sue manifestazioni oggettive.

Analisi sperimentale del comportamento

di A. Charles Catania

I.

Definizione

L'analisi sperimentale del comportamento è nata con le ricerche condotte da B.F. Skinner, il cui modello è stato definito comportamentismo radicale. Una delle sue caratteristiche è infatti quella di analizzare il comportamento in sé, quale interazione fra l'organismo e l'ambiente, e non come derivazione o indice di un'altra attività, come quella mentale o cognitiva. Un altro aspetto distintivo dell'analisi sperimentale è l'enfasi posta sul modo di comportarsi dei singoli individui. Una procedura sperimentale che abbia effetti ampi e affidabili può essere condotta solo su un numero limitato di soggetti, verificando successivamente i risultati con ricerche allargate. Se un esperimento dà risultati variabili, si cerca di affinare i dettagli della procedura sperimentale in maniera da identificare le origini di tale variabilità, piuttosto che limitarsi semplicemente ad aumentare il numero dei soggetti e calcolare medie su campioni più ampi. L'analisi sperimentale è quindi definita più dai suoi metodi, i quali consentono la separazione delle varie componenti di un comportamento, che dalla presunta priorità di determinati processi comportamentali.

Alcuni tra i primi approcci della psicologia al problema del comportamento, come il comportamentismo metodologico di J.B. Watson (1919), prendevano in considerazione soltanto i movimenti muscolari e le secrezioni ghiandolari. Ma l'analisi non può limitarsi a simili parametri di tipo fisiologico, in quanto va intesa come comportamento qualsiasi interazione fra un organismo e il suo ambiente, che possa o meno essere misurata in termini di contrazioni muscolari o attività ghiandolari. Pensare, immaginare e porre attenzione sono evidentemente manifestazioni comportamentali, che possono quindi essere oggetto di studio vero e proprio, pur non implicando necessariamente movimento. Un esempio è l'esperimento condotto da G. Sperling e A. Reeves (1980): se una sequenza di lettere e una di numeri vengono fatte scorrere rapidamente accanto a un punto su cui si fissa lo sguardo di un soggetto, questi può spostare la propria attenzione dall'una all'altra sequenza senza muovere gli occhi; se al soggetto viene richiesto di spostare l'attenzione dai numeri alle lettere solo all'apparire di un certo numero, dalla prima lettera che risulta osservata è possibile valutare quanto tempo richieda lo spostamento dell'attenzione. Si tratta, quindi, in questo caso, di un tipo di comportamento misurabile anche in assenza di movimento. Caratteristica del comportamentismo di Watson era anche l'esclusione dalla propria indagine di fenomeni di tipo 'personale', aspetti recuperati invece, quanto meno in modo indiretto, dall'analisi sperimentale contemporanea, che pur riconosce le difficoltà esistenti nell'adozione di un vocabolario comune a proposito di esperienze soggettive, quali i sentimenti, i dolori, le emozioni.Alcuni ricercatori hanno ritenuto che il loro compito principale fosse quello di cercare spiegazioni del comportamento in altri sistemi, come quelli fisiologici, piuttosto che analizzarlo in sé, quale componente essenziale della vita. Un approccio riduzionistico, secondo il quale il comportamento andrebbe compreso facendo riferimento a concetti e variabili propri della fisiologia (Hull 1943), risulta prematuro se non sono comprese a fondo le proprietà del comportamento in sé stesse. Le modifiche comportamentali sono senza dubbio correlate a modifiche nel sistema nervoso, ma il comportamento coinvolge l'intero organismo. Un sistema nervoso che non avesse niente a che fare con gli organi di senso attraverso cui l'organismo entra in contatto con il mondo, o con il sistema motorio con cui agisce, sarebbe di ben scarso interesse. È per questo motivo che il comportamento ha priorità sulla fisiologia, nel senso che non possiamo studiare la fisiologia del comportamento se non conosciamo le proprietà di quest'ultimo.

2.

Filogenesi e ontogenesi

Alcuni comportamenti sono istintivi o innati, mentre altri vengono appresi nel corso della vita. Uno degli scopi dell'analisi sperimentale è distinguere fra i comportamenti che derivano dalla storia evolutiva di un organismo (la sua filogenesi) e quelli che derivano dalle esperienze individuali (la sua ontogenesi). Un esempio di comportamento determinato filogeneticamente sono i riflessi, per i quali un particolare stimolo produce una particolare risposta (per es., un colpetto sul tendine patellare provoca una rapida estensione del ginocchio, o una cipolla affettata causa lacrimazione). Va tuttavia notato che non tutti i comportamenti determinati filogeneticamente si attuano in risposta a uno stimolo: alcuni si verificano spontaneamente, come nel caso degli schemi comportamentali del corteggiamento, indotti dai cambiamenti ormonali stagionali anche in assenza di individui dell'altro sesso.

Nel linguaggio comune si fa spesso un uso improprio del termine 'riflesso', per es. quando di un atleta si dice che ha i riflessi pronti. Sebbene alcuni aspetti della coordinazione motoria possano implicare vere e proprie azioni riflesse (come il posizionamento delle gambe per mantenere l'equilibrio), la maggior parte delle azioni caratteristiche degli sport competitivi non richiede azioni riflesse, ossia azioni filogeneticamente programmate indotte da uno stimolo. Piuttosto, esse sono esempi di comportamento operante (v. oltre). Tali azioni fanno parte di uno schema operativo a tre elementi, in cui una risposta si determina in presenza di uno stimolo in quanto produce una particolare conseguenza in quella situazione (i tre elementi dello schema sono lo stimolo, la risposta e le sue conseguenze). Sebbene risposte di questo tipo possano avvenire con tempi di reazione molto brevi, non è corretto in tal caso parlare di 'riflessi pronti', poiché esse derivano in maniera prevalente dalle esperienze individuali, hanno cioè componenti sostanzialmente ontogenetiche.

Questo aspetto può essere chiarito grazie all'esempio classico dell'imprinting (v.), descritto in dettaglio da K. Lorenz (1937): se un anatroccolo appena uscito dal guscio vede sua madre o un altro oggetto in movimento, lo stimolo acquisisce uno speciale significato per l'anatroccolo che comincia a seguire la madre (o l'oggetto in movimento) ovunque essa (o esso) vada. Nei primi studi sull'imprinting si riteneva che lo stimolo in movimento provocasse direttamente la risposta del seguire, ma tale impostazione è stata corretta grazie agli esperimenti di N. Peterson (1960): questi organizzò l'ambiente sperimentale in modo che per continuare a vedere lo stimolo in movimento l'anatroccolo non dovesse seguirlo, così come avviene nell'ambiente naturale, ma dovesse invece restare fermo su una piattaforma o beccare un tasto, e dimostrò che gli anatroccoli imparavano a fare qualsiasi cosa fosse necessaria per mantenere lo stimolo nel proprio campo visivo. L'elemento filogenetico dell'imprinting non è quindi la relazione fra lo stimolo (l'oggetto in movimento) e la risposta del seguire, bensì la capacità di attribuire un significato particolare a uno stimolo visto precocemente. Una volta che ciò sia avvenuto, la relazione fra lo stimolo e il comportamento deriva da una componente ontogenetica, per la quale l'anatroccolo impara quale comportamento può mantenerlo in prossimità dello stimolo. Quindi la risposta corretta alla domanda se un certo comportamento è il risultato della filogenesi o dell'ontogenesi è che esso, in molti casi, come anche in quello citato, è il prodotto congiunto di entrambe (Skinner 1966).

3.

Comportamento rispondente e comportamento operante

Una risposta provocata da uno stimolo è detta comportamento rispondente. Tuttavia, non tutti i comportamenti vengono così indotti, in quanto la risposta può avere altre cause. Di particolare importanza è il tipo di comportamento detto operante, che viene messo in atto a causa delle conseguenze che ha avuto in passato (Skinner 1938). Il comportamento operante è agito più che indotto; esso corrisponde, in linea di massima, a ciò che colloquialmente è chiamato comportamento volontario o 'diretto a uno scopo'. Ne sono esempi manipolare oggetti, parlare, andare da un posto all'altro: con il comportamento operante un organismo interagisce con l'ambiente, non è sospinto qua e là passivamente dagli eventi. L'aver ammesso che il comportamento può verificarsi spontaneamente ed essere condizionato più dai suoi effetti che dalle sue cause ha rappresentato un punto di svolta degli studi, in quanto la critica precedente aveva sostenuto che a ogni risposta comportamentale dovesse corrispondere uno stimolo. Il rifiutare questo assunto non implica che le risposte comportamentali siano prive di causa, ma che se ne possano riscontrare altre oltre agli stimoli immediati. Consideriamo il pianto di un bambino. Il dolore o il disagio fisico possono essere sufficienti a provocarlo, ma il bambino può anche piangere perché sa che così facendo attrae l'attenzione del genitore. Il pianto che deriva dalla capacità di suscitare attenzione è operante piuttosto che rispondente.

Le conseguenze di una risposta possono aumentare o diminuire la frequenza con cui si riproporrà. Per es., la frequenza con cui un ratto affamato abbassa una leva aumenterà se questo provoca la caduta nella mangiatoia di un pezzetto di cibo, mentre diminuirà se il ratto riceve una scossa elettrica. Tali conseguenze vengono chiamate rispettivamente rinforzo e punizione. Se una risposta smette di avere uno degli effetti suddetti, la sua frequenza tornerà ai livelli iniziali. Questo processo, detto estinzione, non va considerato separatamente dal rinforzo; esso dimostra infatti che gli effetti del rinforzo sono temporanei (v. condizionamento). I rinforzi devono essere definiti in relazione alle risposte che determinano (Premack 1971). Quando una risposta è più probabile di un'altra, essa può essere utilizzata per rinforzare quella meno probabile: queste relazioni offrono un criterio comportamentale più che fisiologico per predire l'efficacia di un rinforzo. Uno dei più importanti settori dell'analisi del comportamento è lo studio dei programmi di rinforzo, che specificano quale risposta verrà rinforzata sulla base del numero di risposte, del momento in cui avvengono o della loro frequenza. Questi dati hanno andamenti caratteristici, e possono anche essere combinati in maniere diverse così da produrre dei comportamenti analoghi ai comportamenti umani complessi, basati su fattori quali scelte, preferenza e autocontrollo (Ferster-Skinner 1957). Il comportamento non si definisce sulla base della sua forma, bensì della sua funzione nell'interazione tra l'organismo e il suo ambiente. Come illustrato nell'esempio del bambino che piange, la funzione di un comportamento è spesso più significativa della sua struttura. Un genitore può essere in grado di distinguere fra il pianto indotto dal dolore e quello che serve ad attirare l'attenzione, e l'importanza di ciò sta nel fatto che i due tipi di pianto hanno funzioni differenti anche se una forma simile. Una risposta indotta da uno stimolo è diversa da una che avviene perché è stata rinforzata.

Il rinforzo può essere usato per creare nuove forme di comportamento con una procedura detta modellamento, che consiste nel rinforzare in successione le risposte in modo che si avvicinino sempre più al modello prescelto. Il modellamento assume rilevanza nelle più svariate attività, quali per es. la ginnastica, lo scrivere a mano o il suonare uno strumento musicale, ed è probabilmente utilizzato (anche se solo in maniera intuitiva) da ogni buon insegnante o allenatore. A ogni stadio di una procedura di modellamento alcune risposte vengono rinforzate e altre no. L'aspetto più importante è che i criteri utilizzati per questo rinforzo differenziale che cambia con il procedere del modellamento hanno il fine di approssimarsi sempre più al modello voluto. In tal modo il rinforzo può creare nuove strutture comportamentali.

4.

Organizzazione temporale

Il comportamento ha una sua organizzazione temporale, la cui natura è stata al centro di una lunga controversia. Alcune sequenze comportamentali possono essere distinte in diverse componenti, così che ogni risposta produce le condizioni che danno luogo alla successiva. Per es., nell'entrare in una stanza l'abbassamento della maniglia consente l'apertura della porta che a sua volta consente l'ingresso vero e proprio. Una simile sequenza è detta 'catena di risposte' e le sue proprietà sono determinate dall'ambiente (in questo caso dalle caratteristiche della maniglia e della porta).

Alcune sequenze comportamentali sono facilmente riconducibili alle loro componenti unitarie, ma esistono anche sequenze che non possono essere ridotte a catene comportamentali (Lashley 1951). Per es., quando una dattilografa scrive 'il', le due lettere non possono agire da stimolo discriminante per la battitura della lettera successiva, perché nessuna lettera può agire da stimolo discriminante univoco, visto che è sempre possibile continuare in diverse maniere (nel nostro esempio, con 'illusione', 'illogico', o uno spazio bianco e una nuova parola). In alcune sequenze comportamentali ogni risposta produce le condizioni che stimolano la risposta successiva, mentre in altre le risposte avvengono in un certo ordine, senza che ciascuna di esse sia dipendente dalle conseguenze della precedente.

Disturbi del comportamento

di Accursio Gennaro

I.

Aspetti neurofisiologici

Il comportamento è caratterizzato da processi biologici e neurofisiologici, da organizzazioni psicologiche individuali direttamente osservabili e da condizioni dell'esperienza, che possono configurarsi in modi manifesti o meno rispetto alle diverse situazioni. Il comportamento è quindi un concetto dimensionale-qualitativo che comprende diversi fattori connessi tra di loro. I disturbi comportamentali non possono che essere compresi secondo una visione il più possibile estesa e generale, che si liberi da un lato dalla rigidità strettamente nosografica e privilegi dall'altro la loro complessità, secondo un'impostazione rigorosa e sistematica.

Nella patologia neurologica questi disturbi rappresentano una categoria univoca che include tutte le alterazioni neurofisiologiche del comportamento, particolarmente traumi cranici, lues cerebri, tumori cerebrali, vasculopatie cerebrali, epilessia, malattie infiammatorie (Colucci D'Amato-Vizioli 1981). In neurologia vengono spesso considerati congiuntamente i disturbi del comportamento e delle emozioni. Infatti, a esclusione di quelli che dipendono da un basso livello di vigilanza o da un'insufficiente analisi cognitiva della situazione, tutti gli altri disturbi delle condotte sociali o interpersonali possono essere ricondotti a perturbazioni della sfera emozionale (Gainotti 1996).

La localizzazione delle strutture che influenzano il comportamento e le emozioni è ancora approssimativa, ma si fa riferimento soprattutto al sistema limbico con i suoi collegamenti, in particolare con i sistemi motori e del lobo frontale (Bugiani 1996). Il sistema limbico è costituito da un insieme di strutture cerebrali che, agendo in stretta correlazione funzionale, provvedono alla conservazione dell'individuo e della specie. Esso segna il passaggio da una forma di vita basata sul meccanismo riflesso (la risposta indifferenziata allo stimolo e propria della specie) a una forma di vita in cui la risposta è adeguata alle circostanze, alle risorse dell'individuo e all'organizzazione sociale del gruppo per ciò che attiene alla conservazione della specie. La specializzazione e la complessità della risposta limbica si accrescono con l'evoluzione filogenetica, fino a raggiungere il livello che si riscontra nell'uomo, in cui i meccanismi di conservazione sono filtrati dalla funzione corticale. Risulta chiaro che un sistema cerebrale deputato a compiti vitali così rilevanti debba disporre di un effettore capace di attuare le scelte operate: il soma. Il corretto funzionamento di questa macchina assai complessa dipende dalla omeostasi, cioè dall'equilibrato rapporto tra tutte le funzioni vitali (l'apporto energetico, i processi metabolici splancnici a questo connessi, ivi comprese le adeguate funzioni cardiaca e respiratoria ed endocrina), e dalla possibilità di acquisire esperienza. È grazie a questa condizione che il soma è in grado di operare in funzione delle scelte limbiche. Solo nell'uomo il sistema limbico si completa e acquisisce la componente corticale di eminente significato soppressorio (di dominio e regolazione sulle strutture più antiche).La verifica delle predizioni che i modelli interpretativi consentono nell'ambito neurofisiologico è in grande espansione, ma tuttora in fase preliminare. Attualmente non è plausibile pensare che i disturbi del comportamento determinati dalla patologia neurologica rinviino a una sede neuroanatomica precisa; più probabilmente, lesioni poste in parti diverse della rete neurale che sottende aspetti diversi della sfera emozionale possono determinare disturbi specifici del comportamento emozionale (Gainotti 1996).

2.

Disturbi della condotta in età evolutiva

Con disturbi della condotta, si indica una patologia più ristretta rispetto ai disturbi del comportamento, e limitata all'età dello sviluppo (infanzia, fanciullezza e adolescenza). Si tratta di una persistente modalità di condotta in cui i diritti fondamentali degli altri vengono violati. I soggetti con tali disturbi sono crudeli con le persone e gli animali, sono i primi ad aggredire e tendono a distruggere le cose altrui. Spesso evitano di andare a scuola, mentono, rubano. Possono arrivare a casi estremi, come per es. furti con scasso e aggressione generalizzata. Il disturbo della condotta è più grave del disturbo oppositivo-provocatorio, in cui i diritti degli altri e le norme vengono rispettati.

Tra le manifestazioni associate, sono comuni l'uso e l'abuso di farmaci, alcol e tabacco e un comportamento sessuale precoce e disordinato. L'autostima è solitamente bassa e il rendimento scolastico è inferiore alla media. Sono frequenti come diagnosi aggiuntive il disturbo da deficit di attenzione con iperattività e quelli specifici di sviluppo.Il decorso di queste alterazioni della condotta è variabile; le forme gravi tendono a persistere nell'età adulta come disturbo antisociale di personalità o come comportamento antisociale nell'adulto, che si distingue perché vi è un funzionamento sociale adeguato, pur nel persistere di attività illegali. Le ipotesi dominanti relative alle condotte antisociali fanno riferimento a un deficit del sistema cognitivo connesso con l'impulsività o con il malfunzionamento di specifiche abilità di pianificazione e di autocontrollo. Per impulsività si intende la tendenza ad agire senza pensare e pianificare, anche se tale definizione è controversa. Alcuni studiosi di genetica del comportamento interpretano l'impulsività come una caratteristica del temperamento ereditata tramite il patrimonio genetico. Un'altra definizione del termine è stata data in funzione della scarsità del controllo comportamentale. Secondo alcune teorie esistono due sistemi comportamentali fondati biologicamente: il sistema di inibizione comportamentale e quello di attivazione comportamentale. Sono definiti impulsivi i soggetti che presentano uno squilibrio tra i due sistemi; tendono a eludere gli effetti della punizione e mostrano una particolare sensibilità ai premi (Pastorelli 1994). Fondamentali, in vista del raggiungimento dell'autocontrollo, sono le figure genitoriali, le quali forniscono le condizioni di apprendimento della capacità di valutazione, di risoluzione dei problemi, di contenimento e di concentrazione.

3.

Il comportamento come modalità incongrua

L'organizzazione globale del comportamento tende a una continua integrazione che coinvolge una varietà di processi psichici propri della personalità dell'individuo. In questo senso, da un lato, i disturbi del comportamento possono configurarsi in senso strettamente sintomatico, con diversi quadri clinici in cui la patologia si caratterizza per vari livelli di gravità (dalla sintomatologia nevrotica a quella relativa ai problemi dell'identità e della scissione dell'identità); dall'altro tali disturbi, pur non declinandosi in una patologia specifica, rappresentano dei fattori perturbanti che possono alimentare una condizione conflittuale. In questa prospettiva, che tiene conto del comportamento globale e quindi della personalità, è fondamentale considerare il ruolo delle determinanti inconscie che rendono ragione di comportamenti inadeguati. La matrice di tali disfunzionalità risiede nella natura delle prime esperienze, nel modo in cui esse sono state interiorizzate, nella particolare traiettoria evolutiva che, segnando l'itinerario della vita psichica, viene poi significativamente a incidere sulle manifestazioni comportamentali del soggetto.

La nostra esperienza è regolata da rappresentazioni inconscie e implicite che modulano lo sviluppo (Eagle 1987) e l'emergere o meno di determinati comportamenti. Spesso sono le parti implicite della nostra organizzazione individuale che, mantenendosi a un livello inconsapevole o di bassa consapevolezza, possono attivare processi dissonanti che possiamo sperimentare in maniera conflittuale. In queste condizioni è molto probabile che il comportamento possa emergere attraverso manifestazioni contrassegnate da palesi incongruenze, per es. reazioni umane esagerate e deformate suscettibili di provocare stati di inquietudine, di malessere e di sofferenza. Ciò che è implicito, quindi, costituisce una costante del comportamento ed esercita una forte pressione sul soggetto, la cui reazione dipende dalla natura e dal significato di quel che è sommerso, dalle risorse individuali e da contesti ambientali specifici. L'incongruenza rappresenta una determinante costitutiva del comportamento; in certe condizioni l'individuo 'normale' può perdere temporaneamente l'adeguata organizzazione del suo comportamento o sentirsi sopraffatto da eventi incontrollabili che generalmente riesce a gestire. Il comportamento può essere così frequentemente soggetto a processi instabili: mentre la loro persistenza può innescare particolari disturbi, la loro elaborazione può determinare nuovi elementi di organizzazione che portano a un nuovo e diverso equilibrio comportamentale. L'analisi di tali processi ci porta a riconoscere, come ha chiarito J.B. Rotter (1955, 1972), la necessità di prevedere il comportamento sulla base delle condizioni esterne soggettivamente percepite. In tale ottica, la sua previsione è dovuta alla direzionalità, all'intenzionalità e alla motivazione, che mettono in luce come esso sia un potenziale e non una semplice reazione osservabile. Il 'potenziale di comportamento' concerne la probabilità che un comportamento si verifichi in una data situazione, considerata e calcolata in termini di rinforzo. Anche i bisogni sono delle potenzialità in quanto sottendono e modulano le aspettative-mete del soggetto. Ciò determina un'ampia variabilità circa le espressioni del comportamento. Quello fortemente disadattivo e molte forme di disagio psichico si configurano come le risultanti di aspettative e mete irrealistiche che impediscono l'accessibilità alla soddisfazione e al rinforzo.

Secondo la teoria dell'apprendimento cognitivo-sociale di impronta costruttivista (Mischel 1968, 1990, 1993; Bandura 1986, 1994), l'incongruenza del comportamento può essere analizzata attraverso il modo in cui si organizza il sistema di elaborazione dell'esperienza. Di tale sistema è fondamentale la capacità di autoregolazione che consente all'individuo di motivare sé stesso attraverso obiettivi e standard interni, di darsi delle prescrizioni e di operare una valutazione della propria condotta. L'autoregolazione si riferisce alla pianificazione, alle regole, alle norme autodeterminate che le persone applicano a sé stesse quando mettono in atto il comportamento. Quest'ultimo appare regolato non tanto dalle sue conseguenze immediate ma da quelle attese, e perciò dalla capacità che il soggetto ha di rappresentare un ventaglio di conseguenze possibili, abbracciando una dimensione temporale che comprende il passato e innumerevoli rappresentazioni del futuro. La gran parte del comportamento umano è regolata non dai rinforzi esterni ma dagli effetti che le proprie valutazioni hanno sugli stessi soggetti che le esprimono, sotto forma di soddisfazione di sé, di autoapprovazione, di autocriticismo (Caprara-Gennaro 1994). L'ambiente, la persona e il suo comportamento sono il risultato di un'interazione multipla (reciproco determinismo). Quando il sistema di autoregolazione e i processi di autovalutazione sono inadeguati, la relazione della persona con l'ambiente può essere permeata da comportamenti incongrui che influenzano e a loro volta risultano influenzati dal complesso rapporto persona-ambiente-comportamento. Tale processo apporta variazioni significative rispetto alla percezione della realtà, di sé stessi e della propria condotta. Pensieri di tipo ansiogeno, per es., non contengono solo dubbi circa sé stessi e le proprie capacità, ma possono provocare una distorsione del comportamento e del contesto specifico. Ciò mette in primo piano la difficoltà di attivare processi di autoregolazione in grado di sostenere la motivazione personale. Il comportamento, in tal senso, oltre che inadeguato, può sovente essere ostacolato nella sua espressione o può cristallizzarsi in modi che bloccano le aspettative della persona secondo forme autopunitive o inibitorie, che impediscono il naturale protendersi nella realtà. In particolare, i comportamenti gravemente disfunzionali derivano da processi di autovalutazione e di autoregolazione fortemente inefficaci che minano alla base tutto il sistema motivazionale dell'individuo.

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