ALBANI, Colli

Enciclopedia Italiana (1929)

ALBANI, Colli (A.T., 24-25-26)

Roberto Almagià

, Gruppo collinoso che si eleva del tutto isolato dalla Campagna romana circa 15 km. a S. di Roma, ed è il prodotto dell'attività eruttiva, prolungata per un notevole periodo, ma interrotta da lunghe pause, di un grande vulcano quaternario, il Vulcano Laziale, ora spento, ma assai ben conservato nel suo apparato. Il materiale che lo costituisce è dato in prevalenza da tufi, lapilli, ceneri e scorie assai poco resistenti agli agenti demolitori, in minore misura da tufi molto più compatti (peperini); le lave appaiono prevalentemente alla periferia in forma di lunghe colate radiali; nella parte centrale dell'apparato hanno un'estensione limitata, formando piccole effusioni, o riempiendo lunghe fessure, o emergendo dal sovrapposto mantello dei tufi, in parte asportato. L'apparato consta di una grande cinta esterna, del diametro di circa 10-12 chilometri (all'orlo superiore), che è il residuo del cono più antico, alto forse in origine circa 2000 metri, ora in gran parte demolito, perché formato di materiale incoerente o poco resistente, in modo che non ne rimane più quasi se non il basamento. Le parti più elevate sono costituite oggi da costole di lava più resistente e raggiungono 800-900 m.; le massime altezze (M. Peschio, 939 m.; Maschio dell'Ariano o Algido, 891 m.) sono a SE., e formano una specie di dorsale cui si dà talora il nome di Artemisio, per quanto questa denominazione spetti più propriamente a un cocuzzolo (812 m.) che domina la città di Velletri. A nord la cinta esterna raggiunge altezze minori, mentre a ovest e sud-ovest è interrotta e sfiancata, per effetto della formazione di crateri laterali, più tardi in parte congiuntisi insieme e, dopo l'estinzione del vulcano, trasformatisi in conche lacustri (lago di Albano, lago di Nemi; valle dell'Ariccia e laghetto della Pavona; questi ultimi due prosciugati in età storica).

Il cono centrale del Vulcano Laziale ha un cratere circolare del diametro di circa km. 2,5, ora in gran parte riempito (altezza 725 m. nel punto più depresso), che prende il nome di Campi di Annibale, derivato, a quanto pare, dai fondi di proprietà di una famiglia degli Annibali o Annibaldi (la leggenda collega invece il nome con quello del grande generale cartaginese, che vi si sarebbe accampato nella marcia verso Roma). L'orlo del cratere centrale costituito, nelle parti meglio conservate, da lave che emergono talora con forme aspre e bizzarre, raggiunge i 956 m. nella Cima delle Faete, i 949 nel M. Cavo, i 938 nel Colle Jano, mentre è più depresso, anzi quasi interrotto a nord-ovest, in corrispondenza al punto ove sorge il villaggio di Rocca di Papa.

L'atrio interposto fra la cinta craterica esterna e il cono centrale si chiama Valle della Molara a N. e NE., Valle Vivaro a SE.; la cinta esterna precipita su di esso con pendii assai ripidi, e molto notevole è anche in genere l'inclinazione del cono centrale. Il fondo dell'atrio è a 500-600 m.; nella sua parte maggiore e meglio conservata declina verso l'estremo orientale, dove, nell'area più bassa (339 m.), si è formato un lago temporaneo alimentato da alcune sorgenti (Fontana del Domatore, Fontana del Vivaro) e da scoli superficiali: è il Lago della Doganella.

All'esterno la cinta craterica maggiore declina con pendii più dolci, ed è tipicamente incisa da valli radiali, talora assai incassate, che attestano l'intenso lavoro di demolizione. Ad est le testate di alcune di queste valli (Valle Sarazzano, Valle Fontana Lupa) hanno gia fortemente intaccato l'orlo craterico; una di esse anzi, la Valle della Fontana, allungandosi a ritroso per erosione regressiva e usufruendo probabilmente di una lunga fessura radiale, ha inciso interamente la cinta, ed è arrivata a raccogliere le acque del menzionato lago della Doganella, quando esse sono in eccesso. Pertanto una parte notevole dell'atrio è diventata idrograficamente tributaria - almeno nel periodo in cui le acque sono più abbondanti - di uno scolatore esterno, che porta le acque al fiume Sacco (Liri).

Orograficamente i Colli Albani sono nettamente delimitati tanto a NE. verso il Subappennino, mediante la soglia prenestina (370 m.), quanto a SE. verso i Lepini, mediante un'altra soglia ancora più bassa (280 m.). Ma i materiali emessi dal Vulcano Laziale si estendono su un'area molto più vasta del rilievo collinoso: crateri avventizî si trovano a nord quasi in pianura (Cratere di Castiglione); lunghe colate di lava giungono fino all'Aniene (a monte di Lunghezza) e quasi alle porte di Roma (Tomba di Cecilia Metella); materiali di esplosione, pozzolane, ecc. ricoprono in parte i colli su cui è costruita Roma stessa.

È incerta l'epoca in cui il vulcano si è estinto; probabilmente l'uomo fu testimone degli ultimi parossismi, ma eruzioni in tempi storici non si conoscono e sono anzi da escludere. Come residui attuali dell'attività eruttiva si considerano alcune mofete e sorgenti minerali (Acquapuzza presso le Frattocchie); inoltre i terremoti che, non frequenti e limitati, ma talora assai violenti, si verificano con epicentro in una o in un'altra località dei Colli: fra i più tipici quelli del settembre 1748 e dell'aprile 1773; quelli, ripetuti, del 1829, quelli del maggio-giugno 1855, quelli del gennaio 1873, dell'agosto 1877, del 7 agosto 1884, del 22 gennaio 1892, del gennaio 1898, del 19 luglio 1899, ecc.

Le piogge sono abbondanti sui Colli Albani; la media annua di Rocca di Papa supera i 1300 millimetri. Per questa ragione, per la conseguente abbondanza di sorgenti (due delle quali, l'Acqua Vergine e l'Acqua Felice, giungono con acquedotti a Roma), e soprattutto per il suolo naturalmente fertilissimo, i Colli Albani sono coperti da una rigogliosa vegetazione e sono fittamente abitati, formando come un'oasi in mezzo ai territorî circostanti finora quasi spopolati. Tutta la cinta craterica esterna è coperta da colture - essenzialmente orti, uliveti e vigneti - che, cominciando alle radici dei colli, si spingono qua e là fino a 600-650 m.; più in alto comincia la macchia e il bosco di castagni; nelle aree culminali s'incontrano querce; il faggio, che un tempo doveva esser molto diffuso, è quasi scomparso. I boschi rivestono anche i fianchi esterni del cono centrale. L'Atrio, più povero di acque sorgive, non è quasi affatto coltivato, ma occupato in parte da macchie (ora in più luoghi estirpate), in parte da pascoli, è del tutto disabitato sin dall'età antica; vi è oggi un solo villaggio di capanne, dapprima temporaneo, ora permanente, il Vivaro. Ma nel complesso la densità della popolazione nelle colline è assai rilevante, ragguagliandosi oggi a circa 120 ab. per chilometro quadrato. La popolazione non vive peraltro sparsa in campagna, ma quasi interamente raccolta in quattordici centri - detti comunemente Castelli Romani - a diverse altezze (il più alto è Rocca Priora, 768 m.), oltre a tre o quattro villaggi di capanne divenuti permanenti. Tra i centri maggiori hanno ormai fisionomia cittadina Velletri (23.500 ab.), il più grande, sul versante meridionale della cinta craterica esterna, Frascati (11.000 ab.) e Albano Laziale (10.000 ab.); gli altri sono villaggi agricoli. Nell'antichità, e anche per una buona parte del Medioevo e dell'età moderna, le comunicazioni con Roma si effettuavano per la Via Appia, da Roma ad Albano e Velletri, e per la Via Latina, da Roma per Tuscolo, attraverso l'Atrio, fino alla Cava dell'Aglio, intaccatura della cinta esterna, a nord del Maschio dell'Ariano, donde la via scendeva nella valle del Sacco.

Oggi le comunicazioni si effettuano mediante le ferrovie RomaVelletri-Terracina e Roma-Segni-Napoli; inoltre mediante due ferrovie locali (Roma-Frascati e Roma-Albano-Anzio) e una triplice linea tramviaria da Roma. Una linea tramviaria allaccia pure tutti i Castelli (tranne Rocca Priora e Nemi) fra loro, e si spinge con funicolare fino a Rocca di Papa.

La facilità delle comunicazioni e la salubrità del clima hanno negli ultimi decennî fatto dei Colli Albani un soggiorno estivo frequentatissimo dai Romani; anzi i centri più vicini accennano quasi a trasformarsi in sobborghi di Roma.

A Roma si dirige naturalmente quasi tutta l'esportazione dei prodotti agricoli (vino, olio, ortaggi), la quale solo in parte si fa con mezzi celeri, in parte ancora con tradizionali traini animali, come i caratteristici carri a vino che giornalmente recano a Roma in piccole partite il maggior prodotto dei Colli. Il vino tuttavia, nelle qualità più pregiate, ha un raggio di esportazione alquanto più largo. Tra gli altri prodotti dei Colli merita di essere ricordato il peperino (cave di Marino), usato come materiale da costruzione.

Bibl.: V. Sabatini, I vulcani dell'Italia centrale e i loro prodotti; I: Vulcano Laziale, Roma 1900; G. Zoppi, Le acque sotterranee dei Colli Laziali (Carta idrogr. d'Italia, XII), Roma 1892; O. Raggi, Lettere sui Colli Albani e Tuscolani, Roma 1870; A. Guidi, I paesi dei Colli Albani descritti ed illustrati, Roma 1881.

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