COLERA

Enciclopedia Italiana (1931)

COLERA (gr. χολέρα da χολή "bile")

Aldo CASTELLANI
Filippo RHO

Questo termine fu adoperato fino dai tempi d'Ippocrate per designare una diarrea paragonabile a doccia violenta che sgorghi da un rubinetto; ma la parola copriva diverse infezioni intestinali, raggruppate poi clinicamente col nome di Cholera nostras, aventi una sintomatologia affine a quella del colera asiatico, ma con esito per solito benigno (v. enterite). Tali forme di colera nostrano, o meglio ubiquitario, sporadico o a piccole epidemie, sovente originate da alimenti guasti, possono essere determinate da svariati germi, definiti, ora, come paracolerici (vibrioni diversi) o pseudocolerici (bacilli del tipo aërtrycke), ben differenziabili dal vibrione specifico del colera asiatico.

Lo stesso nome è usato nella patologia degli animali per alcune infezioni acute prodotte da germi del tutto diversi dal vibrione del colera, quali, p. es., il colera da polli (Pasteurellosis avium), malattia acuta contagiosa epizootica, specialmente dei polli, delle oche e delle anitre, dovuta al Bacillus cholerae avicida o Pasteurella avium, la quale decorre come un'infezione generale, con diarrea profusa; e il colera o peste dai suini (Cholera suum), setticemia prodotta da un virus filtrabile con processi infiammatorî e necrotici sostenuti dal Bacillus suipestifer e suisepticus.

Colera asiatico.

Malattia infettiva acuta (lat. Cholera morbus), specifica endemica o epidemica, caratterizzata da violenti scariche diarroiche, vomiti, crampi muscolari, arresto della secrezione urinaria e collasso. Essa è causata dal vibrione colerico, o bacillo virgola, scoperto e isolato da Koch in Egitto nel 1883, ma che il micrografo fiorentino Pacini aveva già ben visto e descritto fin dal 1854.

L'agente causale del colera è classificato fra gli Schizomiceti, nella famiglia delle Spirillacee e nel genere Vibrio (Koch 1884). A piccolo ingrandimento si presenta comee un bastoncello ricurvo a guisa di virgola (fig.1); è munito d'un ciglio a un'estremità, ben visibile a ingrandimento di 1500 diametri; non prende la colorazione di Gram; aerobio; cresce bene a 32°-36° nei comuni terreni di coltura, purché di reazione alcalina; è poco resistente agli agenti fisici e chimici. Nelle brodocolture suole sviluppare indolo e ridurre i nitrati in nitriti; fluidifica la gelatina (fig. 2); è dubbio se secerna anche delle tossine (esotossine), mentre ai prodotti del suo disfacimento (endotossine) s'attribuiscono, almeno in parte, i fenomeni patologici della malattia (figg.1-2 e tav. batterio, VI, p. 384).

Paracolera. - Cosi chiamò il Castellani casi e epidemie in cui la malattia (clinicamente non differenziabile dal vero colera) è prodotta da vibrioni di specie diverse, come il Vibrio kegallensis vel paracholarae isolato da Castellani a Ceylon, il V. gindha isolato dal Pasquale a Ghinda (Eritrea),

V. freseris, isolato da Lomas in Spagna, ecc.

Il colera ha il suo centro d'origine e d'endemicità nella regione del delta del Gange; sembra che in India fosse già noto in tempi remoti; certo se ne hanno dati sicuri fin dal 1438. Vasco da Gama ne fa menzione nel 1490; si susseguono poi ben 66 osservatori, che lo dicono frequente in India e nelle regioni circostanti. Ma solo nel 1817 s'inizia la serie delle grandi pandemie per un'espansione più o meno rapida nell'Asia orientale e occidentale, in Europa, Africa e America. La loro diffusione avvenne sempre per il crescente traffico lungo le grandi vie commerciali: vie terrestri come quella che attraverso Kābul, Buchara e Chiva raggiunge la provincia russa di Orenburg e quell'altra che attraverso la Persia, Tabrīz e Tiflis conduce ad Astrachan; principale via di mare quella che, partendo da Bombay, tocca successivamente i porti d'Arabia, Egitto, Siria, Turchia e le penisole mediterranee. Dal nostro continente si propagò in America trasportatovi con gli equipaggi e i passeggeri delle navi.

Le pandemie coleriche sommano a sette e si seguono in quest'ordine: I: 1817-1823 (non raggiunse l'Europa); II: 1826-1837; III: 1840-1857; IV: 1863-1875; V: 1879-1883; VI: 1891-1896; VII: 1900-1916-1917. La prima comparsa in Italia è del 1832.

Le condizioni climatiche sembrano avere influenza nella diffusione del colera, ma i fattori più importanti sono la mancanza di pulizia, specie riguardo agli alimenti e all'acqua da bere, oltre al cattivo stato degl'impianti igienici.

Il vibrione di Koch si può trovare talvolta nei vomiti ma sempre nelle feci dei colerosi, le quali costituiscono così la principale fonte d'infezione diretta o indiretta. Il colera colpisce indistintamente tutte le classi di persone, predilige però i soggetti deboli, denutriti, o che soffrono di disturbi intestinali accompagnati da diarrea. Nella diffusione del colera hanno grande importanza i cosiddetti portatori di vibrioni, individui che, in buone condizioni di salute, ospitano nel loro intestino ì vibrioni, oppure soggetti che, guariti dal colera, continuano a eliminare con le feci i vibrioni per mesi e magari per anni. Anche gl'insetti (mosche, formiche) possono concorrere a diffondere il colera, posandosi prima su deiezioni di colerosi e poi su alimenti. Secondo D'Hérelle i batteriofagi, di virulenza più o meno esaltata, capaci d'agire come antagonisti dei germi di questa e altre infezioni intestinali (dissenteria batterica, ileotifo), hanno parte attiva nel meccanismo della guarigione e nello spontaneo declinare delle epidemie.

Da ricerche sperimentali del Sanarelli risulta che il vibrione specifico non resiste agli acidi dello stomaco e non può arrivare all'intestino per questa via; invece, dalla faringe penetra nell'organismo attraverso i linfatici, donde arriva nel sangue e vi si sviluppa raggiungendo quindi a tergo la mucosa dell'intestino (enterotropismo, analogo a quello del bacillo di Eberth nell'ileotifo). Ivi si moltiplica nelle ghiandole e nelle cellule epiteliali del tenue e le sue endotossine vi determinano l'enterite specifica con caduta degli epitelî, esosmosi dei liquidi dal sangue all'intestino; donde, una concentrazione del plasma sanguigno per cui il suo peso specifico può salire da 1073 a 1078, mentre i globuli rossi arrivano fino a 8 milioni e i globuli bianchi da 14.000 a 65.000 per mm3. Ne consegue uno stato di acidosi (v.) e la caratteristica sindrome colerica.

La forma tipica del colera ha un periodo d'incubazione che può variare da poche ore a pochi giorni (3-6). L'insorgenza di solito è brusca, ma si possono avere dei prodromi sotto forma di diarrea o semplicemente di malessere. Le manifestazioni colerose s'iniziano con diarrea, accompagnata o no da dolori addominali; le scariche sono dapprima poltacee e miste a bile, ma ben presto assumono l'aspetto tipico d'acqua di riso; sono cioè liquide, scolorate e contengono numerosi fiocchi bianchi costituiti da muco contenente vibrioni e cellule epiteliali; solo eccezionalmente le scariche contengono sangue. Il vomito compare di buon'ora e prima vengono espulsi gli alimenti ingeriti, poi un liquido acquoso che può essere commisto a bile e anche a sangue. Il paziente si lagna intanto di sete intensa e talvolta ha il singhiozzo. Aumentando il numero delle scariche e il vomito, l'emissione d'urina diminuisce e può cessare del tutto; i tessuti cedono liquidi e prosciugandosi tendono a contrarsi, cosicché l'aspetto s'altera, il naso diventa affilato, gli zigomi sporgenti, gli occhi infossati e la pelle delle dita si raggrinza in modo da conferire l'aspetto di mani da lavandaia. Contemporaneamente la circolazione sanguigna si modifica notevolmente; la pressione del sangue diminuisce, il polso si fa debole e frequente, i toni del cuore s'affievoliscono, le labbra, il viso e le unghie delle dita diventano bluastri. Il paziente respira ora con difficoltà, ha la voce debole e roca; compaiono dei crampi dolorosi ai muscoli dei polpacci, delle braccia e dell'addome. La mente si mantiene chiara, ma l'ammalato è apatico. La cute diventa fredda e la temperatura ascellare scende al disotto di 37°, mentre quella rettale può aumentare considerevolmente. Se non si producono miglioramenti, il paziente passa allo stato algido, in cui la temperatura cala molto al disotto della norma, l'abbassamento della pressione sanguigna si fa più marcato, il polso quasi scompare, l'azione del cuore s'affievolisce e diventa irregolare, il respiro affannoso, la pelle fredda e cianotica, cessa l'emissione d'urina, mentre la diarrea può o no scemare. Il paziente entra allora in stato comatoso e la morte avviene da 12 a 36 ore dopo l'inizio dell'attacco. Se invece l'infezione ha tendenza a migliorare, la diarrea diminuisce, la cute diviene più calda, il polso e la pressione del sangue aumentano e in pochi giorni l'ammalato guarisce.

La gravità del colera è molto variabile e in genere, in base all'andamento, se ne distinguono cinque forme: forma ambulatoria, diarrea colerica, colerina, colera grave (che è la forma tipica sopra descritta), colera secco, forma gravissima in cui si ha collasso e morte prima ancora che appaiano i vomiti e la diarrea. Si suole suddividere, un po' troppo scolasticamente, anche il corso della malattia in stadio delle evacuazioni, stadio algido e stadio della reazione, quando il paziente si riprende e s'avvia alla guarigione. Durante la reazione possono però prodursi infezioni secondarie, talora mortali, che gli antichi descrivevano col nome di tifocolera, e che sono da attribuirsi a germi cosiddetti d'uscita.

La diagnosi è facile durante lo svolgersi di un'epidemia, ma può diventare molto difficile, quando si tratti di casi sporadici, perché vi sono infezioni sostenute da altri germi che possono simulare il colera. Tra i numerosi metodi per ottenere i vibrioni del colera in coltura pura dalle deiezioni degli ammalati sospetti e permettere con ciò una sicura diagnosi, sono da ricordare quelli di Dieudonné, di Bandi, di Ottolenghi, di Aronson, e il metodo Castellani, che per la sua semplicità e sicurezza merita la preferenza.

La prognosi del colera, di solito poco buona all'inizio di un'epidemia, migliora se l'epidemia continua. La mortalità è circa del 50%.

La cura mira alla distruzione e all'eliminazione dei vibrioni, a neutralizzarne le tossine, a prevenire le infezioni secondarie, ad attenuare i sintomi. Per raggiungere questi scopi l'ammalato deve stare a letto, anche se l'attacco sembra leggiero, e mantenere la posizione orizzontale. La miglior cura è quella proposta da Rogers, che consiste nel dare a bere all'ammalato una soluzione acquosa molto diluita di permanganato di potassio. Il paziente dev'essere ben coperto e gli si possono anche applicare dei senapismi sull'addome. Se subentra il collasso bisogna circondarlo di bottiglie d'acqua calda, se il polso s'indebolisce si deve subito iniettargli nelle vene una soluzione ipertonica di cloruro di sodio, sorvegliando contemporaneamente la pressione sanguigna che con le sue oscillazioni serve di guida al medico. Lo stato d'agitazione, il delirio, i crampi muscolari sono altrettante indicazioni per l'iniezione endovenosa della soluzione clorurosodica, che serve principalmente a combattere gli effetti dannosi del prosciugamento dei tessuti a causa delle continue scariche diarroiche. Si deve anche sostenere il sistema nervoso con iniezioni di stricnina, con o senza atropina; e mettere in atto tutti i medicamenti che i varî sintomi richiedono.

I metodi profilattici sono individuali e generali. I primi consistono principalmente nel curare la pulizia personale e dell'abitazione, nell'evitare i cibi crudi che possono essere infetti o causa di diarrea, nell'impedire la contaminazione degli alimenti, specie da parte delle mosche, nel filtrare o bollire l'acqua che s'usa per la cucina, per bere, ecc., nel bollire il latte e nel proteggerlo dalle mosche, nella vaccinazione anticolerica, ripetuta ogni anno nei centri endemici, ecc. La profilassi pubblica del colera consiste nel proteggere le frontiere istituendo dei posti di vigilanza e di quarantena, nell'istituire un Ufficio centrale per il colera con pieni poteri, apparecchi per la disinfezione e locali per il ricovero dei malati, ecc. Si deve ispezionare ogni casa per scovarvi i casi sospetti. Un mezzo particolarmente efficace per difendere una collettività dal colera è la vaccinazione anticolerica, che conferisce una parziale immunità che dura circa quattro mesi, dopo di che diminuisce e scompare. Tra i vaccini proposti i più noti sono quelli di Haffkine, di Strong, di Lustig e Galeotti, preparati con metodi varî. Castellani preparò e usò sin dal 1909 un tetravaccino (T. A. B. C.) profilattico contro il colera e le infezioni tifoidi e paratifoidi. Questo vaccino venne adottato nel 1915 dall'esercito serbo e contribuì ad arrestare la diffusione del colera e delle infezioni tifoidi che minacciavano quelle truppe. Durante la guerra mondiale presso tutti gli eserciti belligeranti si praticarono su vasta scala le vaccinazioni anticoleriche che contribuirono senza dubbio a evitare lo scoppio di epidemie tra i combattenti. Per quanto durante il trasporto dei resti dell'esercito serbo venissero a contatto con colerosi, non uno dei marinai italiani si ammalò di colera, perché tutti avevano subito la vaccinazione anticolerica. Secondo recenti esperienze ufficialmente eseguite in India, il batteriofago potrebbe avere importantí applicazioni profilattiche e curative.

Bibl.: C. Cortese, Natura del colera, in Ann. univ. di med. e chir., 1836; F. Pacini, Proc. morboso del colera, Firenze 1855 e 1879; R. Koch, Conferenz z. Erörter. d. Cholera Frage, 1883; id., in Zeitsch. v. Hyg. u. Inf. Krank., 1893; A. Pasquale, Ricerche batteriol. sul col. a Massaua, in Giorn. med. del R. Esercito, 1891; W. Hafkkine, Cholera vaccine, in Brit. med. journ., 1895 e 1899; W. Kolle, Klinik u. Hyg. der Chol., in Deut. Med. Woch., 1909; E. Maragliano, Il colera, Napoli 1910; A. Castellani, Vaccination against Ch., in The Lancet, 1913; id., Paracholera, ibid., 1916; G. Sanarelli, Patogenesi del colera, in Ann. de l'Inst. Pasteur e Annali d'igiene, Roma; P. Krause, Cholera asiatica, in Mense's Handbuch der Tropenkrank., II, 1924; A. Lustig, in Trattato delle malattie infettive, 1926; F. D'Hérelle, Malone, Lahiri, Prophylaxie du chol. avec le bacteriophage, in Bull. de l'Off. int. d'hyg. publ., 1928.

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