CODICI PURPUREI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1994)

CODICI PURPUREI

H.L. Kessler

Si definiscono c. purpurei i manoscritti di lusso nei quali il testo è scritto in genere in oro e argento su pergamena tinta in porpora con una mistura di carminio e azzurro.Già nell'Antichità l'uso della porpora era legato alle classi più elevate e ai rappresentanti del potere a causa del suo notevole costo. Si trattava inoltre di un materiale molto apprezzato per la resistenza del suo colore. Plinio (Nat. Hist., 9, 39-40, 125-141) descrive due tipi di prodotti ricavati da molluschi, tra cui il più prezioso era la porpora di Tiro, ottenuta dal murex. Erano conosciute anche formule meno costose per tinte organiche e minerali: in età altomedievale Beda (Hist. eccl., I, 1; PL, XCV, col. 25) segnala per es. il bel rosso scarlatto che si può ricavare dai buccini, mentre Teofilo (De diversis artibus, I, 33) propone ricette basate sui girasoli e il chèrmes. Come già notava Isidoro di Siviglia (Etym., VI, 11, 4-5; PL, LXXXII, col. 240), le tinte prodotte con questi metodi coprivano svariate gamme cromatiche, dal rosso al blu, al marrone, al nero. Nella concezione antica e medievale il colore porpora era associato alla lucentezza: il legame, da questo punto di vista, della porpora con l'ametista, e quindi con il cielo, può dare ragione dell'associazione (Beda, Explanatio Apocalypsis, III; PL, XCIII, col. 202), mentre il suo aspetto lucente e la sua valenza simbolica aiutano certamente a spiegarne la popolarità. Rabano Mauro (sec. 9°) giunse persino a proporre la derivazione della parola purpura da 'luce' (puritate lucis; De Universo, XXI, 21; PL, CXI, col. 579).In epoca tardoimperiale si fecero continui sforzi per regolare la manifattura e la distribuzione di tinte purpuree di alta qualità. Sebbene Alessandro Severo (222-235) avesse allentato le restrizioni sulla vendita della porpora marina, le leggi suntuarie furono reintrodotte poco dopo e nel corso del sec. 3° la porpora venne sempre più a essere identificata con la figura dell'imperatore. Sotto Diocleziano (284-305), l'uso del porfido fu dichiarato prerogativa imperiale e nel 300 ca. gli opifici della porpora di Tiro divennero proprietà imperiale. Nel 383 la legislazione stabilì tuttavia una chiara distinzione tra la porpora ottenuta da materiali più ordinari (publicus murex) e le porpore imperiali della più alta qualità (sacrae murices).Le tinte purpuree furono impiegate nella produzione libraria almeno fin dal sec. 1° a.C.: Ovidio (Trist., 1, 1, 5) riferisce di un volumen ricoperto da una foderina purpurea, il cui colore alludeva al dolore. Sebbene l'Historia Augusta riporti che Caio Giulio Vero Massimino (imperatore nel 235-238) possedeva l'opera di Omero scritta in oro su pergamena purpurea, la più antica notizia degna di fede su un libro con pagine purpuree è legata alla persona di Costantino. Intorno al 325, infatti, Publilio Ottaziano Porfirio dedicò al primo imperatore cristiano un volume contenente ventotto carmina figurata, scritti in oro e argento su pergamena purpurea, in cui i fogli purpurei e i metalli preziosi alludono al destinatario imperiale dei panegirici di Porfirio. La pergamena, di colore rosso cupo, necessitava di lettere in forte risalto, onde poter essere lette agevolmente; nel volume di Porfirio, così come in c. purpurei più tardi, ciò fu ottenuto utilizzando l'oro e l'argento, che, in esemplari più modesti, vennero imitati con l'impiego del giallo e del bianco.Verso la fine del sec. 4° la trascrizione delle Sacre Scritture in lettere preziose su pagine purpuree doveva già essere piuttosto comune, visto che s. Girolamo si scaglia diverse volte contro questa consuetudine (Ep., XXII, 32, PL, XXII, col. 418; Ep., CVII, 12, ivi, col. 876; Comm. in Zach., VIII, 6, Corpus Christianorum Lat., LXXVIA, 1970, p. 810). Le più antiche testimonianze conservate risalgono, tuttavia, solo al sec. 6°, poiché il Genesi Cotton, del sec. 5° (Londra, BL, Cott. Otho B.VI), che viene spesso citato come un c. purpureo, è scritto in realtà su pergamena bianca scuritasi durante l'incendio del 1731. Rimangono oltre una dozzina di c. purpurei del sec. 6°, tra i quali tre dei più notevoli manoscritti illustrati dell'epoca: il Genesi di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Vind. theol. gr. 31), l'Evangeliario di Rossano Calabro (Mus. Diocesano) e i Vangeli di Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286).Il Genesi di Vienna - un imponente volume che misura cm. 31,525,5, universalmente ascritto alla Siria, in particolare per la sua lussuosa fattura e per la ricchezza della pergamena purpurea - contiene un testo abbreviato della Bibbia dei Settanta, scritto in grandi caratteri onciali in argento sulla metà superiore di ogni pagina purpurea e illustrato nella parte inferiore con numerose miniature di carattere narrativo. Solo un quarto delle originarie novantasei carte, contenenti ca. quattrocento scene, si è conservato. Sebbene in passato sia stato datato da Wickhoff al sec. 4° sulla base dello spiccato classicismo delle sue illustrazioni (Ritter von Hartel, Wickhoff, 1895), attualmente è considerato opera della metà ca. del 6° secolo. Alla sua decorazione lavorarono dai sei agli otto miniatori, il che determina un'eterogeneità stilistica, che non costituisce tuttavia una caratteristica isolata di questo codice ma è un elemento comune in genere dell'arte siriaca del periodo.Lo stile antichizzante, la mancanza di chiarezza in numerosi dettagli delle architetture e del costume, la discordanza tra elementi iconografici e testo abbreviato, nonché la globale mancanza di uniformità, fanno ritenere che il Genesi di Vienna sia una copia di un manoscritto precedente. La teoria che il modello fosse un rotulo continuo - basata sulla duplicazione di due registri che raffigurano il ritrovamento da parte di Giacobbe del fiume Iabbok (Ritter von Hartel, Wickhoff, 1895; Gerstinger, 1931) - è stata respinta in favore dell'ipotesi che tale modello contenesse invece immagini singole, collocate entro le colonne del testo. Da questo modello gli illustratori del Genesi di Vienna selezionarono alcune scene, apportarono le dovute modifiche per adattarle al nuovo formato e inserirono motivi interpretativi e riempitivi spaziali. Molti dettagli iconografici, non basati sul racconto biblico, sono stati posti in relazione con leggende ebraiche e, dal momento che la penetrazione della tradizione ebraica in un manoscritto cristiano del sec. 6° può essere avvenuta verosimilmente attraverso intermediari letterari, ciò suggerisce che il modello potesse essere un manoscritto illustrato ebraico della Bibbia dei Settanta.Al pari del Genesi di Vienna, l'Evangeliario di Rossano si è conservato solo parzialmente. Le centottantotto carte contengono l'intero vangelo di Matteo e la maggior parte di quello di Marco, accompagnati da quattordici miniature, ma originariamente il codice comprendeva tutti e quattro i vangeli, preceduti da un testo introduttivo. Le pagine del testo erano tinte con una porpora bluastra, mentre le carte contenenti le miniature sono di un colore più rossastro. Il titolo e le prime tre righe di ogni vangelo sono scritti con inchiostro d'oro, il resto in argento.Tutte le miniature del codice rossanense sono su fogli riuniti in fascicoli separati. Di conseguenza, la storia della vita pubblica e della passione di Cristo, trattata da tutti e quattro i vangeli, è presentata come un ciclo continuo. Loerke (1987) ha notato che l'ordine delle scene segue quello del Diatessáron di Taziano, un testo popolare in Siria nel 6° secolo. Sotto le miniature narrative compaiono i ritratti a mezzo busto dei profeti del Vecchio Testamento con in mano dei rotuli di pergamena contenenti i testi che si riferiscono agli avvenimenti raffigurati al di sopra. Zaccaria è ritratto, per es., sotto l'Ingresso in Gerusalemme, con il passo: "Il Signore sarà re di tutta la terra" (Zc. 14, 9). L'unione delle profezie del Vecchio Testamento con le immagini della vita di Cristo è intesa quale richiamo all'ultima dichiarazione di Cristo agli apostoli: "Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi" (Lc. 24, 44). Gli espliciti rapporti tipologici non costituiscono però l'unico elemento per l'interpretazione delle miniature. Nella parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte, per es., ponendo Cristo al posto dello sposo e il paradiso al posto della festa di nozze, l'illustratore aderisce alle interpretazioni di Origene, Eusebio e Metodio accolte dalla liturgia. Forse le miniature più notevoli dell'Evangeliario di Rossano sono quelle dedicate al processo di Cristo, che elaborano il tema biblico attraverso il riferimento alle consuetudini giudiziarie tardoromane.Il S. Marco del manoscritto rossanense è l'unico ritratto di evangelista rimasto in vangeli greci di epoca preiconoclasta, dal momento che il recente tentativo di separarlo dal manoscritto originale e datarlo al periodo mediobizantino (Kresten, Prato, 1985) non appare convincente. Derivato in ultima analisi dai ritratti degli antichi filosofi, il S. Marco differisce dai modelli classici in quanto è rappresentato nell'atto di scrivere e la sua 'musa' è una personificazione della divina Saggezza. L'aedicula in cui è collocato identifica il luogo della scena in Alessandria.Al manoscritto di Rossano è strettamente legato il Vangelo di Sinope, costituito da quarantaquattro carte scritte in oro su pergamena purpurea, comprendenti cinque miniature. La struttura dei frammenti del manoscritto sinopense è tuttavia differente: le scene sono collocate sotto il testo evangelico, affiancate dai profeti recanti rotuli di pergamena; per il rapporto tra illustrazioni e testo, questo manoscritto è quindi più vicino al Genesi di Vienna.Tipologicamente collegato a questi tre codici illustrati, ma privo di decorazioni figurate, è il Codex Purpureus Petropolitanus o Codex N, un vangelo frammentario scritto in maestosi caratteri onciali in argento su raffinata pergamena purpurea, con le lettere maiuscole e i nomina sacra in oro. Pagine provenienti da questo manoscritto, smembrato fin dal sec. 17°, sono ora conservate a San Pietroburgo (Saltykov-Ščedrin, gr. 537), a Londra (BL, Cott. Tit. C.XV), ad Atene (Byzantine Mus., inv. nr. 21), a Lerma (prov. Alessandria; Castello Spinola, bibl.), a Vienna (Öst.Nat.Bibl., Vind. theol. gr. 31), a Roma (BAV, gr. 2305), a Patmos (monastero di S. Giovanni, bibl., 67) e a New York (Pierp. Morgan Lib., M.874). Un altro vangelo frammentario, il Codex Beratinus Purpureus, è conservato a Tirana (Arch. di Stato, Mus. storico), mentre pagine di un salterio dello stesso periodo sono custodite a Zurigo (Zentralbibl., Rp.1).Il grosso Codex Argenteus (Uppsala, Universitetsbibl., DG I) è una Bibbia gota scritta in argento su porpora, in cui le righe di apertura di ogni vangelo e di alcuni dei libri restanti sono in oro. Anch'esso non contiene decorazioni figurate, ma solo disegni ornamentali, posti in fondo alle pagine a costituire le tavole dei canoni. Prodotto probabilmente a Brescia, il Codex Argenteus è stato collegato al regno di Teodorico (493-526), ma, al pari dei codici della Siria, non offre legami specifici con la corte.Non vi è dubbio che le connotazioni auliche - probabilmente trasmesse sia attraverso riferimenti letterari sia attraverso modelli concreti - spieghino la continuità dei c. purpurei nel Medioevo. Un preciso legame può forse essere individuato nel Codex Aureus del sec. 8°, conservato a Stoccolma (Kungl. Bibl., A.135), scritto su pagine alternativamente bianche e purpuree. Nordenfalk (1977, p. 96) ha sostenuto che gli elementi geometrici introdotti nel testo di questo manoscritto per mezzo di profili decorativi e variazioni nei colori degli inchiostri (bianco e giallo) possano essere stati ispirati dai carmina figurata di Porfirio. Beda (De arte metrica; PL, XC, col. 173) riferisce che una copia dell'opera di Porfirio era nota in Inghilterra nel sec. 8°, ed è ragionevole supporre che gli Anglosassoni fossero particolarmente interessati a questo testo per la sua associazione con Costantino.Nella Vita di s. Vilfrido, arcivescovo di York, è menzionato un vangelo scritto "de auro purissimo in membranis de purpura coloratis" (Acta Sanctorum Ordinis sancti Benedicti, IV, 2, Paris 1680, p. 552). Un frammento di questo vangelo, resto di un'ampia Bibbia di Canterbury del sec. 8° (Londra, BL, Royal 1.E.VI; Canterbury, Cathedral, Arch. and Lib., Add. 16), presenta le iniziali dei testi ornate in oro e argento su pergamena di color porpora; una recente analisi scientifica ha dimostrato che in questo esemplare la tinta fu ottenuta dal chèrmes. In questo caso è impossibile stabilire se il colore mantenesse la sua associazione con la regalità, ma nella New Minster Charter, del 966 (Londra, BL, Cott.Vesp. A.VIII), il riferimento è chiaro: l'unica pagina purpurea è il frontespizio contenente il ritratto di re Edgardo che offre il codice a Cristo.La dedica dell'Evangelistario di Godescalco (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 1203), eseguito per ordine di Carlo Magno nel 781-783, inizia con le parole Aurea purpureis pinguntur: ciò lascia pochi dubbi sul fatto che la ricerca di simbologie imperiali costituisse uno dei fattori che determinarono l'ampio uso della pergamena purpurea in manoscritti prodotti per l'imperatore. Il S. Matteo di un evangeliario riconducibile alla stessa corte (Bruxelles, Bibl. Royale, 18723) può in realtà essere stato estrapolato da un manoscritto tardoantico. La sua pergamena tinta di porpora quasi trasparente non assomiglia infatti a nessun'altra pergamena carolingia, ma si può tuttavia supporre che le illustrazioni siano state aggiunte all'inizio del 9° secolo.Modelli paleocristiani influenzarono certamente gli splendidi Vangeli dell'Incoronazione (Vienna, Schatzkammer), scritti in oro e argento su fogli purpurei bluastri e rossastri: i ritratti dei quattro evangelisti contenuti in questo codice sono tra le più riuscite pitture illusionistiche dell'intero Medioevo. Le tavole dei canoni e i frontespizi dei vangeli della cattedrale di Aquisgrana (Domschatzkammer), provenienti dalla stessa bottega, sono di color porfido e confermano la ricerca intenzionale di una simbologia imperiale nella scelta della porpora. Pagine purpuree - generalmente dipinte piuttosto che tinte - furono usate anche nei manoscritti del c.d. gruppo di Ada, prodotti per Carlo Magno, quali per es. il Salterio di Dagulfo (Vienna, Öst.Nat.Bibl., 1861) e l'Evangeliario di Lorsch (Roma, BAV, Pal. lat. 50; Alba Iulia, Bibl. Batthyaneum, R.II.I).La tradizione venne continuata dal nipote dell'imperatore, Carlo il Calvo, come attestano per es. il suo libro personale di preghiere (Monaco, Schatzkammer der Residenz) e il grande Codex Aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000). Anche in questo caso la porpora e l'oro furono usati per sottolineare il carattere imperiale e la connotazione antichizzante dei manoscritti.Intorno al secondo decennio del sec. 9° l'uso della pergamena purpurea nella produzione libraria appare diffuso anche al di fuori della corte. A Monaco si conserva un vangelo (Bayer. Staatsbibl., Clm 23631), scritto in oro su pergamena tinta di porpora, prodotto per Anto di Augusta (809-815); nella Bibbia di Teodulfo d'Orléans (Parigi, BN, lat. 9380) la pergamena purpurea è usata per un altro scopo ancora: eccettuate alcune pagine dedicatorie, solo il salterio e i vangeli sono scritti su porpora, attestando in tal modo che il colore della pergamena allude al rapporto tipologico fondamentale tra Vecchio e Nuovo Testamento. Va infine ricordato che nei Gesta abbatum Fontanellensium si citano sia un evangeliario sia un lezionario scritti in oro su porpora.Nel sec. 9° la diffusione dei c. purpurei non è limitata alle regioni dell'impero. La Bibbia di Cava de' Tirreni (Bibl. dell'abbazia, 1), prodotta nelle Asturie, contiene cinque carte tinte di blu e di porpora, scritte in bianco, giallo e rosso. Ancora una volta, la provenienza dalla corte può spiegare l'uso della pergamena tinta: la Bibbia è stata infatti messa in relazione con Alfonso II, re delle Asturie e di León (791-842).È difficile valutare fino a che punto l'uso della porpora riflettesse in Occidente una coeva pratica bizantina o non piuttosto una continuazione o una ripresa di modelli antichi. Nella Bibbia di Teodulfo, l'uso della porpora corrisponde probabilmente più agli interessi antiquariali del mecenate che non a un legame con fonti orientali. Un lussuoso evangeliario conservato a Napoli (Bibl. Naz., Suppl.gr.12), scritto in caratteri onciali d'oro su fogli purpurei, potrebbe essere stato il libro di preghiere dell'imperatore Basilio I (867-886), mentre un manoscritto analogo sembra essere servito da modello per il libro di preghiere di Carlo il Calvo. In generale, tuttavia, l'uso di pergamene purpuree per manoscritti religiosi sembra essere cessato a Bisanzio dopo l'iconoclastia, mentre esemplari del genere guadagnarono popolarità in Occidente nel tardo sec. 10° e nel corso del successivo. In Oriente, la tradizione continua in alcuni documenti di corte, come la lettera scritta tra il 1050 e il 1055 dall'imperatore Costantino IX al califfo al-Qā'im di Baghdad, contenente una traduzione araba tra due colonne in greco. Vennero inoltre scritte su porpora anche alcune lettere indirizzate al papa dagli imperatori Giovanni II (1118-1143) ed Emanuele I (1143-1180).Ispirato da modelli sia carolingi sia bizantini, l'uso di fogli purpurei venne introdotto nei documenti e nei manoscritti ottoniani per sottolineare lo status imperiale: per es. gli atti di donazione di Teofano del 972 (Wolfenbüttel, Niedersächsisches Staatsarch.) sono in oro su porpora, così come il privilegio di Ottone I del 962 (Roma, Arch. Segreto Vaticano). Nel Codex Aureus Epternacensis, del 990 ca. (Norimberga, Germanisches Nationalmus., 2-156142), i margini delle pagine importanti sono di color porpora mentre le iniziali di apertura sono collocate su fondo purpureo e magnifiche copie di tessuti bizantini, riprodotti nella tinta regale, separano tra loro i diversi vangeli. Il coevo Statuto di Niedermünster di Enrico il Litigioso (Bamberga, Staatsbibl., Lit. 142) si colloca nella stessa tradizione per quel che riguarda il ritratto dell'autore e la dedica scritta in lettere d'oro, sebbene in questo caso il colore sia più vicino al rosso fuoco. Nel capolavoro della miniatura ottoniana, l'Evangeliario di Ottone III, del 1000 ca. (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453), la porpora conferisce carattere di particolare sontuosità e regalità sia alle miniature sia ai margini di molti fogli.In epoca ottoniana, sebbene continuasse a essere usata per conferire un'aura imperiale, la porpora conobbe anche applicazioni più estese. Unita all'oro, evidenzia per es. il ritratto dedicatorio dell'arcivescovo Egberto di Treviri e i ritratti degli evangelisti nel Codex Egberti (Treviri, Stadtbibl., 24); porpora e oro sono usati a profusione anche in un sacramentario del tardo sec. 10° proveniente da Fulda (Udine, Bibl. Capitolare, 1). In epoca romanica e gotica la porpora compare frequentemente nei manoscritti, ma generalmente solo come elemento di risalto. Mentre Cennino Cennini descriveva ancora il procedimento di preparazione delle pergamene purpuree (Libro dell'arte, XVIII-XX), il simbolismo specifico connesso a questo colore andava via via perdendosi e in generale, con il passare del tempo, i c. purpurei incontrarono sempre minor favore.Le pergamene tinte di porpora e di blu tornarono a diffondersi nel corso del sec. 15° come uno degli aspetti dell'antiquaria rinascimentale: ne è un esempio il Virgilio di Marco Zoppo (Parigi, BN, lat. 11309), del 1470 circa. Il ritratto del re Ferrante I di Aragona, dipinto in oro su pergamena purpurea nel manoscritto delle Orazioni di Cicerone conservato a Vienna (Öst.Nat.Bibl., 4), testimonia che ancora alla fine di quel secolo non si era del tutto perduto il significato di questa antichissima tecnica.

Bibl.:

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