CODICE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1994)

CODICE

M. Bernardini

Il c. può essere definito come l'insieme di materiale scrittorio (pergamena o carta) costituito di fogli - su una parte dei quali, in genere ben delimitata, trova posto la scrittura a mano ed eventualmente l'ornamentazione e le illustrazioni - ripiegati e riuniti in fascicoli, cuciti fra loro a formare un complesso coerente in forma di parallelepipedo, il più delle volte corredato da una protezione esterna costituita da due piatti collegati fra loro da un elemento semirigido.A partire dai secc. 1° e 2° il c. costituì il supporto su cui il latino e il greco trasmisero la cultura scritta del Medioevo riproducendola, conservandola e diffondendola.Fra il sec. 7° e il 15° la produzione manoscritta aumentò numericamente in modo considerevole, sia pure con ritmi diversi fra aree occidentali (latine) e orientali (greche) dell'Europa; la presenza e l'uso del libro costituirono comunque elementi caratterizzanti di ogni fase della vita culturale medievale. Per comprendere appieno la funzione e l'uso dei libri manoscritti occorre conoscerne anche la natura fisica e il processo di produzione, che nel corso del millennio medievale subirono profonde modificazioni. In epoca altomedievale (secc. 6°-11°), in quella tardomedievale (secc. 12°-14°) e in quella umanistica (sec. 15°), infatti, le caratteristiche del c., anche se rimasero sostanzialmente inalterate, risultano notevolmente differenziate fra loro.Il c. altomedievale, sia in Occidente sia nell'Oriente bizantino, era prodotto di regola all'interno di istituzioni ecclesiastiche, quali chiese cattedrali, chiese urbane di particolare dignità, monasteri urbani ed extraurbani, cui era annessa una scuola (o a volte più di una) destinata all'educazione dei giovani religiosi ed eventualmente dei laici. La fabbricazione materiale del c., in quanto manufatto, e la sua scrittura erano nell'Alto Medioevo, di solito, opera di religiosi addetti a tale compito, a volte riuniti in uno scriptorium, sotto la guida di un maestro responsabile, a volte operanti singolarmente. Il c. altomedievale era scritto quasi esclusivamente su pergamena, cioè su pelle animale (più frequentemente di capra, raramente di pecora o vitello) conciata e preparata in modo da renderla atta a ricevere la scrittura. Molto rari, e limitati ai secc. 6° e 7°, furono i c. scritti su papiro.La pergamena altomedievale può presentare aspetti diversi da un'area geografica all'altra, soprattutto per diversità di tecniche di preparazione; per es. appare caratteristica quella usata nelle isole anglosassoni, che si presenta grigiastra, grossa, rigida e con la superficie scamosciata.Di solito gli scribi disponevano i fogli dei fascicoli in modo che le facciate chiare e lisce fossero tra loro affrontate, così come quelle scure e scabre. Nella maggior parte dei casi ogni fascicolo contava quattro fogli (era cioè un quaternio, 'quaternione' o 'quaderno'), dunque otto carte, corrispondenti a sedici facciate o pagine.Le tecniche di fattura del c. altomedievale europeo non furono omogenee, così come non lo furono le tipologie di scrittura usate nelle diverse regioni e nei centri europei. Le prime comprendevano il taglio delle pelli animali, preventivamente preparate, per determinare la misura dei fogli e quindi il formato del c., nonché le procedure adottate per permettere una precisa delimitazione dello spazio destinato allo scritto e un'ordinata disposizione delle righe di scrittura nella pagina, cioè la foratura e la rigatura di guida. Una volta scritti, decorati, miniati, rubricati, i singoli fogli venivano riuniti a formare i fascicoli, cuciti secondo l'ordine progressivo dei fogli e delle carte e infine protetti da una copertura, in genere costituita da due assi di legno della grandezza delle carte, collegate tra loro e parzialmente o totalmente ricoperte da uno strato di pelle.Il formato dei libri era legato alla loro funzione, al tipo di lettura che si supponeva se ne facesse, ai modi di conservazione che si prevedevano per essi. Il formato era naturalmente determinato anche, se non innanzitutto, dal tipo di testo che il c. era destinato ad accogliere; ciò vale pure per l'Alto Medioevo, quando i c. presentavano formati grandi per i libri liturgici e formati relativamente piccoli per quelli di studio; in tale differenziazione è chiaro anche il rapporto fra le pratiche di uso-lettura da una parte e il formato dall'altra. In alcuni periodi (secc. 6°-7° ed età carolingia, secc. 9°-10°) in Occidente si fece frequentemente ricorso al formato quasi quadrato, che era proprio del c. tardoantico, dapprima per un fenomeno di naturale continuità e poi per consapevole imitazione.Per quanto riguarda la disposizione del testo nella pagina, nell'Alto Medioevo quella su due colonne fu assai frequente per ogni tipo di testo, ma soprattutto per quelli liturgici e scritturali, secondo una tradizione propria del libro manoscritto cristiano più antico; anche la disposizione a piena pagina fu tuttavia molto diffusa, soprattutto nei c. di formato più ridotto.Per vergare le righe di scrittura ordinatamente giustificate e distanziate fra loro lo scriba aveva l'ausilio della rigatura, eseguita di solito a secco, cioè con uno strumento di osso o di metallo, che tracciava dei solchi su ciascun foglio o contemporaneamente su più fogli o anche su un intero fascicolo. La rigatura era tracciata con l'aiuto di una doppia serie di piccoli fori di guida, eseguiti lungo i margini o, nel periodo più antico, al centro di ciascun foglio, secondo un uso tardoromano; anche l'operazione di foratura poteva essere eseguita foglio per foglio o coinvolgere più fogli per volta.La produzione libraria fu nell'Occidente altomedievale suddivisa in aree diverse, ciascuna caratterizzata da tipologie grafiche particolari: le Isole Britanniche, la Spagna, la Francia merovingia, l'area germanica, l'Italia settentrionale e quella meridionale. Con la rinascenza carolingia cominciò un lento moto di riunificazione, che portò nel sec. 11° all'affermazione generalizzata in tutto l'Occidente (tranne isolati fenomeni di resistenza) di un'unica scrittura: la minuscola carolina.In Oriente la produzione manoscritta, numericamente limitata sino al sec. 11°, riprese slancio in concomitanza con l'affermazione in campo librario della minuscola al posto delle tradizionali maiuscole, che rimasero confinate all'uso liturgico e furono destinate a scomparire con l'11° secolo. Nel corso del sec. 10° si era assistito alla messa a punto nei grandi centri di copia bizantini, relativamente a opere di notevole rilevanza, come la Bibbia e i poemi di Omero, di un complesso sistema di impaginazione che permetteva di presentare nella medesima pagina testo, al centro, e commento, nei margini. La carta come materia scrittoria venne adottata, sia pure eccezionalmente, nel mondo bizantino sin dall'8°-9°, ma il suo uso divenne regolare nell'11° secolo.In quanto oggetto presente nelle pratiche religiose e culturali, il c. fu ampiamente rappresentato nell'arte altomedievale europea. Raffigurato in età paleocristiana aperto, perché ancora inteso come strumento di lettura e di conoscenza, già con il sec. 7° cominciò a essere visto e rappresentato come oggetto chiuso in rilegature più o meno lussuose, in quanto simbolo di valori sacrali. Con il sec. 8° la raffigurazione del vangelo chiuso e grande, esposto verso il fedele, divenne consueta, anzi unica, nell'iconografia altomedievale, ove si escluda la rappresentazione degli evangelisti scriventi, che rimase rigidamente legata al modello di origine tardoantica sino all'epoca carolingia e oltre.Fra il sec. 12° e il 13° il sistema di produzione del libro manoscritto cambiò radicalmente nell'Europa occidentale a causa di diversi fattori, quali l'aumento dell'alfabetismo dei laici, il diffuso processo di urbanizzazione, la creazione di nuove chiese, l'opera degli Ordini mendicanti e soprattutto la fondazione delle grandi università. Si verificò allora un sommovimento socio-culturale esteso e generalizzato, che portò alla formazione di un nuovo pubblico di lettori, religiosi e laici, costituito da professori, studenti, professionisti e studiosi, che avevano bisogno di libri in misura incomparabilmente maggiore rispetto al passato.Sotto la spinta di questa forte domanda di lettura, di istruzione e di studio, la produzione del libro aumentò fortemente in tutte le città europee, soprattutto in quelle dove dalle precedenti scuole venivano nascendo le nuove università: Bologna, Parigi, Oxford, Padova. Dopo circa otto secoli la produzione libraria divenne di nuovo, come nel mondo antico, un processo artigianale e commerciale, essenzialmente urbano e laico, volto all'acquisizione di un profitto. I libri venivano materialmente scritti da singoli artigiani (studenti, notai, frati, chierici, maestri, donne) su commissione di clienti o di cartolai-librai.I procedimenti di fattura materiale del c. divennero più uniformi. I fascicoli furono costituiti da un maggior numero di fogli, anche dodici, pur continuando a presentarsi frequentemente come quaternioni. La pergamena impiegata era spesso meglio lavorata e più sottile. Si diffuse largamente l'uso dei 'richiami', cioè l'abitudine di apporre nel margine inferiore dell'ultima pagina del fascicolo le prime parole di quello seguente, per favorire l'ordinamento dei fascicoli stessi. La rigatura divenne visibile, in quanto eseguita a piombo o a inchiostro; essa inglobò inoltre al suo interno il testo, il cui primo rigo fu vergato, di regola, al di sotto e non più al di sopra del primo solco della rigatura.Anche se i formati furono i più vari, il libro comunemente adoperato nel mondo universitario, strumento principe di quella che è stata definita la cultura scolastica, fu assai grande, in modo che ciascuna pagina potesse contenere il massimo possibile di testo e di commento. A tal fine fu adottata la disposizione del testo su due colonne, molto accostate l'una all'altra, in modo da lasciare largo spazio nei margini per il commento e in modo da favorire inoltre la rapidità di lettura, poiché permetteva al lettore di abbracciare con un solo colpo d'occhio un intero rigo.Il libro universitario non doveva essere soltanto letto: doveva essere anche rapidamente consultato e citato. Per questo il testo fu diviso in sezioni, articolato in paragrafi, ordinato da titoletti scritti in rosso (rubriche), da iniziali alternativamente rosse e turchine, collegato al commento vergato nei margini con lettere e segni di richiamo, preceduto e seguito da indici e da tavole alfabetiche del contenuto. Nasceva in questo modo nell'Europa occidentale per la prima volta il moderno libro di studio, programmato per la lettura e per la consultazione, offerto a un pubblico selezionato, ma vasto, di specialisti.Il testo di studio doveva però essere corretto e non arbitrariamente modificabile; non ci si poteva permettere di far circolare per es. esemplari del Corpus iuris civilis giustinianeo con il testo delle leggi contenente errori o con il commento infarcito di citazioni difettose. Le maggiori università (Parigi, Bologna, Oxford) adottarono un sistema, noto con il nome di 'sistema della pecia', che permetteva di controllare in qualche misura il processo di riproduzione del testo e nel medesimo tempo di renderlo rapido ed economico. Un esemplare autentico di ogni opera adottata nei corsi tenuti dai diversi professori veniva depositato presso un libraio riconosciuto dall'università come ufficiale (stazionario); i fascicoli (pecie) di questo esemplare non rilegato, tutti eguali fra loro per estensione, erano affidati contemporaneamente a più scribi; la contemporaneità dell'opera di copia assicurava una grande rapidità di esecuzione, mentre l'uniformità dei fascicoli costituiva una pratica unità di misura per il pagamento del lavoro degli scribi.Un'altra novità, quella del libro manoscritto contenente testi in lingue volgari, caratterizzò la cultura scritta tardomedievale occidentale sin dal 13° secolo. Si trattò sia di libri di lusso (i c.d. libri cortesi), in genere di piccolo formato, membranacei e miniati, sia di libri di uso comune, copiati dagli stessi utenti per uso proprio, della famiglia e degli amici; tali c. erano quasi sempre cartacei, piccoli, rozzamente preparati e privi di miniature, ornati al massimo con disegni eseguiti e colorati con tecniche povere.La carta, apparsa nel Mediterraneo occidentale tra il sec. 11° e il 12°, ruppe in Occidente nel 13°, dopo quasi mille anni, il monopolio della pergamena come materia scrittoria e contribuì ulteriormente, per il suo basso costo, alla diffusione della scrittura e della lettura.Nel mondo bizantino si ebbe, nei secc. 11° e 12°, una diffusa produzione libraria caratterizzata, soprattutto a Costantinopoli, da molti e imponenti c. di lusso. Nel sec. 13° però, in concomitanza con la crisi dell'impero, la produzione divenne più scarsa e di minore qualità, mentre si affermava il c. laico cartaceo, prodotto di dotti e di borghesi colti. Le tipologie grafiche, spesso fortemente corsivizzate o caratterizzate dall'uso di moduli diversi, si differenziarono molto, giungendo a forme personalizzate che continuarono nei secoli seguenti.Nei secoli centrali del Medioevo il c. costituì un soggetto assai diffuso di rappresentazione artistica. Esso veniva raffigurato sia relativamente a pratiche di scrittura, da parte dell'autore o da parte di copisti, sia relativamente a pratiche di lettura, che poteva essere edificante o liturgica, didattica (scuola di grammatica o universitaria) o professionale, sia infine in alcune scene di donazione del c. da parte dell'autore o di un committente a un santo o a un'autorità ecclesiastica o laica. In tutte queste raffigurazioni la rappresentazione del libro è in genere scarsamente realistica e di norma essenzializzata. Solo più tardi, con il pieno Rinascimento, sia in Italia sia nei paesi nordici si affermò una rappresentazione realistica del libro, visto come elemento quotidiano della vita sociale.In Italia tra la fine del Trecento e i primissimi anni del Quattrocento si cominciarono a produrre libri manoscritti di formato medio-piccolo, con il testo disposto a piena pagina, con rigatura a secco, privi di commento e di rubriche, decorati con iniziali di tipo altomedievale. L'iniziativa fu di due umanisti fiorentini, Niccolò Niccoli e Poggio Bracciolini, e il loro esempio venne presto seguito da altri. Il libro umanistico, realizzato e scritto secondo modelli antichi, divenne così in pochi decenni lo strumento della nuova cultura prevalente nelle città italiane sedi di corti e di grandi biblioteche (per es. oltre Firenze, anche Roma, Milano, Urbino, Cesena).Il nuovo libro fu prodotto da scribi professionisti, a volte stanziali a volte itineranti, quasi tutti laici, talvolta legati a un cartolaio-libraio, quale il famoso Vespasiano da Bisticci fiorentino.Il libro umanistico in pergamena aveva formati diversi, prevalentemente medi (l'altezza varia da cm. 20 a cm. 38); i fascicoli erano in prevalenza quinterni, ma a Milano e a Napoli, probabilmente per influenza francese, erano piuttosto quaderni.Con gli ultimi decenni del Quattrocento, in parallelo con l'affermarsi della stampa, si diffuse un tipo di libretto manoscritto di lusso di piccolo formato, riccamente ornato, scritto prevalentemente in elegante corsiva umanistica da copisti di alta qualità: il c.d. libretto da mano, che Aldo Manuzio avrebbe ripreso nella produzione a stampa di una collana di classici latini, greci e italiani e che compare come elemento figurativo nella produzione artistica veneziana contemporanea, con funzione di attributo caratterizzante dei personaggi ritratti.

Bibl.: E. Lesne, Histoire de la propriété ecclésiastique en France, IV, Les livres, ''Scriptoria'' et bibliothèques du commencement du VIIIe à la fin du XIe siècle (Mémoires et travaux publiés par des professeurs des Facultés catholiques de Lille), Lille 1938 (rist. New York-London 1964); A. Dain, Les manuscrits, Paris 1949 (19753); G. Cavallo, Libri e lettori nel Medioevo. Guida storica e critica, Roma-Bari 1977; J. Vezin, La réalisation matérielle des manuscrits latins pendant le haut Moyen Age, in Codicologica, a cura di A. Gruys, II, Elements pour une codicologie comparée, Leiden 1978, pp. 15-51; A. Petrucci, Libri scrittura e pubblico nel Rinascimento. Guida storica e critica, Roma-Bari 1979; A. Derolez, Codicologie des manuscrits en écriture humanistique sur parchemin, 2 voll., Turnhout 1984; Le livre au Moyen Age, a cura di J. Glenisson, Paris 1988; Mise en page et mise en texte du livre manuscrit, Paris 1991; M. Palma, Codicologia, in EI, app. V, I, 1992, pp. 673-674.A. Petrucci

Islam

Tra i diversi termini utilizzati nel mondo islamico per indicare il c., devono esserne menzionati due il cui impiego fu molto diffuso nel Medioevo: la parola muṣḥaf (dall'etiopico maṣ(Ə)ḥaf 'libro'), adottata sia dalla lingua araba sia da quelle persiana e turca per indicare genericamente tale oggetto e passata con il tempo anche a significare il Corano, inteso come il libro per antonomasia; il termine daftar (dal gr. diphthéra 'pelle'), anch'esso universalmente accolto nelle lingue maggiori dell'Islam e diffuso ancora oggi con il significato di 'quaderno'.Gli studi sono ancora agli inizi per quanto concerne le tecniche di fattura dei codici islamici. Relativamente alla composizione dei fascicoli nei c. in pergamena, sembra che nel mondo islamico orientale fosse preferito il quinione e la c.d. legge di Gregory non fosse rispettata (il lato pelo dei bifoli è sempre all'esterno). Invece nel mondo islamico occidentale, nei fascicoli dei c. pergamenacei sembrano attestati i ternioni, almeno per quanto concerne i Corani. Per i c. cartacei, sempre nell'incertezza delle conoscenze attuali, il quaternione è presente in misura preponderante, come dimostrerebbero diversi manoscritti di fattura iranica studiati da Richard (1989); tuttavia sempre in questo ambito esistono esempi di ternioni, quinioni e senioni. Nel resto del mondo arabo-islamico, sembra prevalere l'uso dei quinioni. È da segnalare il fatto che nei c. di studio cartacei sono attestati invece fascicoli composti da un alto numero di bifoli (sino a venti).Il foglio (arabo waraq, persiano barg) può essere articolato al suo interno da una cornice a reticolo (il jadwal), nel quale viene a porsi la scrittura, che può esservi inserita entro scanalature orizzontali e verticali di vario formato, predisposte ad accogliere testate e cartigli anche miniati, così come le linee del testo, spesso entro colonne (sutūn). A queste caratteristiche tipologiche della pagina scritta (ṣafḥa), qui genericamente enucleate, se ne devono aggiungere numerose altre rispondenti a esigenze paleografiche diverse (Piemontese, 1980, pp. 125-126). Il c. infine era contenuto entro una legatura (arabo jild, letteralmente 'pelle'), opera di un artigiano preposto (il mujallid), che era il più delle volte in pelle ma poteva essere anche in legno o in stoffa, quest'ultima talvolta broccata in oro, come quella di una costosissima copia di Corano eseguita per il califfo 'Uthmān (Arnold, Grohmann, 1929, p. 32).Libro per eccellenza, modello di tutti i c., è il Corano (v.), per le cui norme e convenzioni di stesura si formò nel corso del Medioevo una serie di tipologie omogenee che finirono poi per influenzare forme e modi di produzione di altri libri manoscritti; non mancarono tuttavia esempi originali rispetto al libro sacro dell'Islam che si allontanarono da quel modello.Giova ripetere che gli studi di codicologia sono tuttora in una fase pionieristica: tale settore gravita sostanzialmente attorno alla necessità di una recensione estensiva di gran parte del materiale manoscritto conservato nelle biblioteche occidentali e in quelle orientali. Tuttavia, in tempi recenti, si sono avuti diversi progressi che hanno portato a una definizione sistematica della disciplina. Da queste ricerche emergono i primi risultati organici, seppur molto parziali, che permettono trattazioni complessive sulla materia (Orsatti, 1990; 1993). Pur con inevitabili scambi culturali, si possono delineare due grandi aree di produzione di c. nel mondo islamico: quella occidentale, che comprende le regioni a O dell'Egitto sino alla Spagna compresa, e quella orientale, comprendente aree geografiche quali l'Iran, lo Yemen, l'India e la Turchia. Tuttavia Orsatti (1993, p.324) sottolinea che "queste differenze potrebbero essere interpretate come momenti diversi di sviluppo all'interno di un quadro sostanzialmente omogeneo". Genericamente tale differenziazione si può osservare nell'uso della pergamena, che sopravvive in Occidente sino al sec. 14° inoltrato, contrapposto, in ambito orientale, a quello della carta che appare, importata dai Cinesi, a Samarcanda tra il sec. 8° e il 9°, senza peraltro poter escluderne un'introduzione precedente in ambito islamico. La carta sostituì gradualmente l'uso della pergamena nel 10° e 11° secolo. Per quanto concerne quest'ultima, vari sono i tipi di pelle apprestati dai musulmani per uso scrittorio. Principalmente si tratta di pelli di ovini, ma potevano esserne utilizzate anche altre, quali quelle di bufalo o di gazzella (Bosch, Petherbridge, 1981, p. 25).Alla carta e alla pergamena va aggiunto il papiro, di cui si hanno testimonianze già in esemplari databili tra il sec. 7° e l'8°, anche se spesso si tratta di singoli fogli sciolti, il più delle volte costituenti rotoli, relativi a testi privati o comunque di carattere commerciale e amministrativo. Non sono però da escludere casi di c. arabi in papiro databili a epoche remote (Abbott, 1941; Grohmann, 1966). Dal sec. 10° si assiste a una progressiva decadenza nell'uso di questo materiale, sebbene sopravvivano ancora centri di produzione del papiro in Sicilia (Bockwitz, 1942).Altre caratteristiche distinguono i c. prodotti nelle aree orientale e occidentale: per es. l'uso di inchiostri bruni e marroni in Occidente si va a contrappore a quello di inchiostri neri, spesso lucenti, adottati in Oriente. Inoltre le tecniche relative alla rigatura dei c. a punta secca o in colore sopravvivono a lungo in Occidente, dove vengono impiegate anche per la carta, mentre in Oriente compare molto presto l'uso della misṭara (dall'arabo saṭr 'linea'), ovvero dell'inquadramento del testo tramite uno strumento a stampino, già attestato in ambito orientale intorno agli inizi del 12° secolo.La produzione e la copia dei manoscritti islamici non erano comunque appannaggio esclusivo dell'attività del copista; raramente peraltro si può parlare di scriptoria veri e propri. Nelle biblioteche pubbliche la carta veniva fornita gratuitamente, così come calamo e inchiostro (Orsatti, 1993, p. 272).Inoltre dev'essere segnalata un'intensa attività commerciale legata all'acquisto e alla vendita di c., come attestano le sezioni apposite dei mercati presenti a Baghdad nel sec. 11°, o nel Cairo mamelucco descritto da Maqrīzī (sec. 13°; Bosch, 1981, p. 8).Numerose sono le testimonianze delle fonti relative all'attività dei calligrafi (v. Arabi) e alle varie scuole che fondarono. Tra questi deve essere menzionato Ibn Muqla, che operò nel sec. 10° e fondò una scuola in cui, tra i numerosi allievi che adottarono il suo stile, figura il celebre Ibn al-Bawwāb, attivo intorno al Mille, a cui si deve un celebre Corano (Dublino, Chester Beatty Lib., 1431). Ibn al-Bawwāb svolse funzioni di miniatore, legatore nonché di bibliotecario (James, 1988, pp. 15-20).Le fonti danno invece scarse notizie sulla produzione di c. miniati. Le informazioni disponibili risalgono all'epoca mongola e in particolare all'attività della bottega di Aḥmad Mūsá, che operò all'epoca del sovrano ilkhanide Abū Sa'īd (1317-1334). Altre botteghe sono state identificate in vari ambiti senza però che a tutt'oggi si possa fornire un corretto riscontro codicologico a considerazioni che rimangono spesso relegate nella sfera dell'analisi stilistica delle miniature contenute negli esemplari.

Bibl.: T.W. Arnold, A. Grohmann, The Islamic Book: a Contribution to its Art and History from the VII-XVIII Century, München 1929; H. Bockwitz, Neue Forschungen zur alt-italienischen Papiergeschichte, in Wochenblatt für Papierfabrikation, Biberach 1939, pp. 469-473; N. Abbott, Arabic Paleography. The Development of Early Islamic Scripts, Ars islamica 8, 1941, pp. 65-104; A. Grohmann, Arabische Papyruskunde, in Handbuch der Orientalistik, I, 2, Leiden-Köln 1966, pp. 49-118; A.M. Piemontese, Arte persiana del libro e scrittura araba, Scrittura e civiltà 4, 1980, pp. 103-156; G. Bosch, Islamic Bookmaking: the Historical Setting, in Islamic Bindings & Bookmaking, a cura di G. Bosch, J. Carswell, G. Petherbridge, cat., Chicago 1981, pp. 1-21; G. Bosch, G. Petherbridge, The Materials Tecniques and Structures of Islamic Bookmaking, ivi, pp. 23-84; A.M. Piemontese, Aspetti magici e valori funzionali della scrittura araba, La ricerca folklorica 5, 1982, pp. 26-55; D. James, Qur'āns of the Mamlūks, London 1988; F. Richard, Catalogue des manuscrits persans, I, Ancien fonds. Bibliothèque Nationale. Département des manuscrits, Paris 1989; P. Orsatti, Gli studi di paleografia araba oggi. Problemi e metodi, Scrittura e civiltà 14, 1990, pp. 281-331; id., Le manuscrit islamique: caractéristiques matérielles et typologie, in Ancient and Medieval Book Materials and Techniques, a cura di M. Maniaci, P.F. Munafò, II, Città del Vaticano 1993, pp. 269-331.M. Bernardini

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