Clientelismo

Dizionario di Storia (2010)

clientelismo


Fenomeno diffuso nell’antica Roma, che indica il rapporto tra chi, pur godendo dello status libertatis, si trovava in stato di dipendenza da un patronus, dal quale riceveva protezione. L’espressione «relazioni patrono-cliente», coniata in origine per indicare un istituto caratteristico dell’antica Roma repubblicana, è stata usata in riferimento a un’ampia gamma di legami di dipendenza, talvolta diversi da quelli presenti nell’antica Roma, che hanno in comune il fatto di essere contratti da attori sociali i quali dispongono di risorse ineguali, che vengono scambiate in transazioni asimmetriche, ma in apparenza reciprocamente vantaggiose e aperte. Gli studi più recenti hanno messo in evidenza il fatto che, per quanto i fenomeni clientelari siano presenti in quasi tutte le società umane, la loro importanza istituzionale e il loro impatto variano da una società all’altra. In alcuni casi, specialmente nel bacino del Mediterraneo, nell’America Latina e nel Sud-Est asiatico, le relazioni patrono-cliente si sono insinuate per lunghi periodi nel cuore delle istituzioni, modellando gli scambi interpersonali e quelli tra le organizzazioni, e il flusso e l’utilizzo delle risorse. In molte altre società, invece, le relazioni patrono-cliente – se pur esistenti – hanno costituito soltanto un’appendice ai modelli dominanti di organizzazione, interazione e scambio sociale. Al primo tipo appartengono realtà come l’India, il Rwanda, la Cirenaica e il Giappone, che si basano su criteri ascrittivi e gerarchici, e alcune altre – come la Cina imperiale – che hanno combinato questi criteri gerarchici con altri di organizzazione sociale universalistici. Al secondo tipo appartengono diverse società moderne universalistiche – e in linea di principio egualitarie – basate su mercati relativamente liberi in cui predominano modelli pluralistici, associativi, totalitari, o una qualche loro combinazione. Da un punto di vista economico le società del 19° e del 20° sec. tendenti al c. sono state caratterizzate da una proprietà terriera assenteista, da un notevole divario tra il settore urbano e quello rurale e da gruppi oligarchici di proprietari terrieri largamente orientati verso i mercati esterni e i centri metropolitani. Mentre i governanti di queste società tentavano di controllare la proprietà della terra e il suo trasferimento per ostacolare il persistere di una classe contadina relativamente libera, in epoca moderna gli sforzi sono stati indirizzati allo sviluppo del settore terziario mediante investimenti pubblici. Ciò ha condotto alla cooptazione di specifici gruppi economici molto attivi: commercianti impegnati in scambi internazionali, o industrie che sono diventate una sorta di appendice delle multinazionali e dei loro interessi economici. Da un punto di vista sociale ha contato molto, per la diffusione del c., un livello relativamente basso di solidarietà interna dei centri di potere, che li ha resi incapaci di indirizzare i settori periferici della società (contadini, operai, lavoratori marginali) verso un crescente impegno nei confronti delle istituzioni. Naturalmente esistevano legami con le comunità locali (rurali, urbane o tribali). Ma, con poche eccezioni, la maggior parte di questi legami è stata stretta attraverso canali tradizionali, cioè la parentela o i vincoli rituali. In tal modo sono stati favoriti l’accesso mediato allo Stato e la dipendenza dal settore pubblico: tutti elementi che hanno promosso la formazione e la conservazione di clientele.

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